Il compito del notaio alla luce delle recenti norme in tema di nullità di protezione
Il compito del notaio alla luce delle recenti norme in tema di nullità di protezione
di Giovanni Casu
Consiglio Nazionale del Notariato - Studio n. 6057/C
Pubblicato nella rivista Studi e Materiali CNN, Milano, 1/2006, p. 85 ss..
1. Premessa
Di recente la dottrina ha portato la sua attenzione sul problema della portata dell’art. 28, n. 1 della legge notarile, per un verso sulla base di una critica alla giurisprudenza della Cassazione, pervenuta al consolidato convincimento che l’articolo predetto sia applicabile soltanto in caso di nullità dell’atto posto in essere; per un altro verso su sollecitazione di una recente normativa a cascata, la quale, su suggerimento della normativa CE, prevedeva sempre più frequenti fattispecie di nullità relativa, qualificata anche nullità di protezione di determinati soggetti.
Evidentemente la discussione concerneva soprattutto quest’ultimo punto, considerati gli sforzi dottrinali intesi a comparare la disciplina della nullità relativa con la disciplina della nullità disegnata dal codice civile, sulla base del quale la dottrina aveva fissato determinati principi dogmatici che confliggevano in parte con la nullità relativa. Di qui anche l’esigenza di valutare quanta parte delle argomentazioni che sorreggevano il pensiero giurisprudenziale sull’art. 28 potevano trovare applicazione rapportati alla nullità relativa di protezione.
Si ritiene pertanto opportuno svolgere il presente studio sulla base della seguente linea operativa: partire dai punti d’arrivo dell’opinione consolidata dell’ultima giurisprudenza sull’interpretazione dell’art. 28; non senza avere scandagliato due aspetti rimasti in superficie nell’opinione della giurisprudenza: la nullità formale e la nullità parziale; successivamente considerazione dei più recenti sviluppi normativi, determinati dalla normativa CE, caratterizzati da una specifica protezione di soggetti contraenti deboli con lo strumento della nullità relativa; qualificazione della nullità relativa alla luce della disciplina codicistica sulla nullità assoluta; infine ripercussioni di queste valutazioni sul comportamento che plausibilmente dovrebbe tenere il notaio in questa materia.
2. Il controllo di legalità nell’ultima giurisprudenza
In origine, sia dottrina che giurisprudenza davano portata ampia al divieto sancito dall’art. 28 legge notarile, ricomprendendovi sia vizi di nullità, sia vizi di annullabilità, e in un primo tempo anche vizi di inefficacia che non si sostanziavano in vizi d’invalidità (1). Sia dottrina che giurisprudenza basavano la propria opinione estensiva del divieto facendo in sostanza esclusivo riferimento alla natura pubblicistica della funzione notarile.
Di qui il tentativo, da parte della dottrina più moderna, di fare breccia su un’eccessiva estensione della portata dell’art. 28 legge notarile. Quanto più si estendeva nella qualificazione dell’attività notarile l’aspetto di libero professionista, tanto più si comprimeva l’ambito operativo dell’art. 28, legato questo fortemente al concetto di pubblico ufficio del notaio. E, soprattutto, si riconosceva pienezza all’autonomia privata, sviluppata attraverso l’opera professionale del notaio, a perseguire effetti negoziali suscettibili solo di azione di annullamento, affidata alla discrezionale iniziativa dei privati interessati.
Dopo lunga maturazione, la Cassazione è pervenuta alla conclusione che l’art. 28 faccia riferimento soltanto agli atti viziati di nullità e non a quelli viziati di annullabilità o di inefficacia (2).
L’opinione giurisprudenziale, dopo la lunga motivazione anche di carattere storico che l’ha supportata, data anche la sua reiterazione con numerose sentenze a distanza di tempo l’una dall’altra, sembra destinata a presentarsi ormai come nuovo indirizzo consolidato (3).
Si è tentato di attribuire una sorta di giustificazione razionale a questa soluzione giurisprudenziale, nel dilemma se il comportamento del notaio nell’applicazione dell’art. 28 della legge notarile dovesse spingersi fino al punto di effettuare un atto sotto tutti i punti di vista valido, oppure dovesse fermarsi soltanto per evitare sanzioni forti che giustificassero il mancato intervento di un pubblico ufficiale chiamato ad attribuire ad un atto pubblica fede.
E si è affermato che lo Stato non può consentire che sia attribuita fede pubblica ad un assetto negoziale che sia gravemente in contrasto con il proprio ordinamento giuridico, e quindi sostanzialmente in contrasto con gli interessi generali di esso Stato. Il notaio costituisce pertanto la barriera di questa esigenza, lo strumento vigile ed attento che viene fortemente impegnato alla salvaguardia di detto interesse, per cui la legge non solo lo facultizza, ma addirittura gli impone di non prestare il suo ministero allorquando il negozio divisato abbia forti vizi di legittimità. Il tutto con la comminatoria di forti sanzioni disciplinari e le intuibili conseguenze sul piano della responsabilità per danni che possono ricavarsi dai comuni principi che governano il contratto di prestazione d’opera professionale.
3. Controllo di legalità e nullità formale
Di recente la Cassazione si è anche occupata di un altro problema: quello di valutare se l’art. 28 legge notarile dia copertura anche alla nullità qualificabile come nullità formale. La Suprema Corte ha infatti stabilito che l’avere ricompreso nell’art. 28 n. 1 legge notarile i vizi di nullità non ha escluso tra questi anche i vizi di nullità formale dell’atto. Fermo quindi che l’atto viziato di nullità sostanziale deve ritenersi incluso fra quelli vietati ex art. 28 legge notarile, va ritenuto che anche i vizi che danno luogo a nullità formale debbono ritenersi inclusi nella previsione di questa noma di divieto.
Occupandosi di un atto redatto senza l’osservanza dell’art. 3, comma 13-ter della legge 26 giugno 1990, n. 165 sull’obbligatoria dichiarazione dell’alienante di un fabbricato di avere ottemperato agli obblighi fiscali concernenti il fabbricato stesso (norma ormai espressamente abrogata dall’art. 23 della legge 29 luglio 2003, n. 229), la Cassazione ha affermato che incorre nella violazione disciplinare di cui all'art. 28 legge notarile il notaio che abbia ricevuto un atto di compravendita privo della dichiarazione prevista a pena di nullità dalla predetta norma (4).
La Cassazione, in questa sentenza, è partita dall’accogliere il nuovo indirizzo della Suprema Corte in ordine all’applicabilità dell’art. 28 soltanto agli atti viziati da nullità. Successivamente essa si preoccupa di raccordare detto indirizzo al sistema dei vizi negoziali e trova la risposta con riferimento all’art. 1418 c.c., pervenendo alla conclusione seguente: l'atto proibito dalla legge cui fa richiamo l’art. 28 legge notarile corrisponde all’atto nullo; l’atto nullo significa atto contrario a norme imperative; atti contrari a norme imperative e come tali proibiti dalla legge e pertanto vietati ex art. 28 sono tutti gli atti nulli, senza che abbia alcun rilievo la motivazione della nullità (per motivi di contenuto o per carenza di forma). In questo modo la Cassazione finisce per attribuire al temine “nullità” il significato di “contrarietà a norme tale da non consentire possibilità di esenzione dalla sua osservanza per alcuni dei destinatari della norma stessa” e cita al riguardo Cass. 4 dicembre 1982, n. 6601 (5).
L’opinione contraria, per la quale si ritiene che l’art. 28 n. 1 legge notarile non trovi applicazione in caso di nullità per motivi di forma, già accolta da una parte della giurisprudenza di merito (6), era sostenuta anche da una parte della dottrina, la quale si era mossa sotto un duplice profilo: a) da una parte, facendo leva sull’argomento che la scelta della forma negoziale costituisce per le parti un onere e non un obbligo, si era pervenuti alla conclusione che il problema della mancanza di forma dell’atto non poteva mai essere considerato alla stessa stregua di atto proibito dalla legge (7); b) da un’altra parte, facendo leva sugli argomenti desumibili dall’art. 58 della legge notarile, che disciplina le ipotesi di nullità documentale (e quindi formale) dell’atto notarile, si era pervenuti alla conclusione che se alcune fattispecie ex art. 58 legge notarile erano sanzionate in modo autonomo dalla legge notarile, non potevano le stesse fattispecie essere contemporaneamente sanzionate con la più grave pena disciplinare derivante dalla violazione dell'art. 28 legge notarile (8).
Come si è altra volta affermato (9), il rapporto tra l’art. 28 e l’art. 58 legge notarile pone problemi di puntualizzazione che influiscono sulla soluzione del nostro problema.
Infatti è differente l'ambito operativo delle due norme: mentre l'art. 28 impedisce che il notaio riceva un atto proibito dalla legge, e pertanto trattasi di norma che definisce la possibilità di accesso alla facoltà di rogito, in sintonia con l'art. 27 legge notarile (questa norma prescrive, in positivo, il dovere di rogito del notaio; l'art. 28 prescrive, in negativo, il dovere del notaio di non iniziare il rogito), l'art. 58 legge notarile dà per presupposto che l'atto non sia vietato e si limita a prescriverne le formalità operative per evitare la nullità documentale.
E' anche differente l'oggetto delle due norme: l'art. 28 attiene al contenuto negoziale dell'atto; l'art. 58 concerne il contenente, cioè il documento destinato a racchiudere il negozio voluto dalle parti.
Se pertanto ha un senso parlare di nullità negoziale, nei confronti della quale il notaio si deve confrontare e che chiama necessariamente in causa l'art. 28, ha senso diverso parlare di nullità documentale ex art. 58.
Oltre tutto la nullità ex art. 58 legge notarile è strutturata in modo tale da superare l'argomento di fondo sul quale la Cassazione qui considerata fonda la sua principale argomentazione: quella di ritenere che si ha nullità tutte le volte che il vizio sia tale da determinare un atto irrecuperabile per le parti interessate. Ebbene in contrario è risaputo che la nullità documentale dell'atto pubblico può sempre essere recuperata, se il negozio non richieda forma pubblica ad substantiam, per effetto dell'art. 2701 c.c. sulla conversione dell'atto pubblico.
E quest’ultima è probabilmente la norma decisiva per risolvere il problema: se l’art. 28 è una sorta di diga affidata al notaio per impedire l’ingresso nel nostro ordinamento di atti giuridici dotati di pubblica fede ma privi di qualunque effetto a causa della nullità dell’atto, non vi è alcun dubbio che va esclusa la portata dell’art. 58 della legge notarile, che contempla non tanto la forma dell’atto, bensì la documentazione minima per la nascita dell’atto notarile (10).
Se poi si parla di nullità formale con riferimento all’atto pubblico come forma vincolata necessaria a pena di nullità per il negozio posto in essere, non vi è alcun dubbio che il legislatore non potrebbe in questo caso avere fatto riferimento all’art. 28 della legge notarile, perché se il notaio viene chiamato a ricevere l’atto pubblico, il problema è risolto automaticamente e non si potrebbe mai porre un problema di forma negoziale.
Il problema potrebbe venire in esame se il notaio, anziché formalizzare l’atto per atto pubblico, utilizzi la scrittura autenticata, mentre la legge pretenda a pena di nullità l’atto pubblico. Ma anche in questo caso, sul presupposto di comune convinzione che l’art. 28 trovi applicazione anche nell’ipotesi di autenticazione di scrittura privata (11), è stato sostenuto, con motivazione da ritenere ineccepibile, che i problemi di forma negoziale costituiscono onere e non danno luogo ad obblighi delle parti, per cui in questo caso verrebbe meno qualsiasi prescrizione di divieto che si traduca nella violazione dell’art. 28 legge notarile (12).
Invece dovrebbe farsi rientrare nell’art. 28 legge notarile qualsiasi altra norma che preveda determinati contenuti formali a pena di nullità, che non involgano né la forma negoziale, né la forma del documento notarile; in tal caso si tratterebbe di formalità prevista per la salvaguardia di interessi generali, che vanno ben oltre la pura forma e concernenti invece problemi di sostanza: si pensi egli interessi pubblici che il legislatore persegue nell’ipotesi della nullità formale, ma anche sostanziale (garantire il commercio giuridico di manufatti urbanisticamente regolari) prevista dalla normativa sul condono edilizio.
In conclusione, esclusi le fattispecie previste dall’art. 58 legge notarile ed escluse le fattispecie tipicamente rientranti nella forma negoziale, qualunque altra prescrizione di forma garantita da nullità dovrebbe essere fatta rientrare nell’art. 28 della legge notarile.
4. Controllo di legalità e nullità parziale
La giurisprudenza della Cassazione non si è mai occupata di nullità parziale, disciplinata dall’art. 1419 c.c., che prevede sostanzialmente due norme: a) la norma (primo comma) per la quale la nullità della singola clausola involge la nullità dell’intero contratto se si tratta di clausola essenziale; b) altra norma (secondo comma) per la quale la nullità di singole clausole non coinvolge l’intero contratto se le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative.
E qui nasce un primo problema. Allorquando l’art. 28 n. 1 legge notarile parla di “atto” che non può essere ricevuto perché in contrasto con la legge, esso si riferisce inevitabilmente all’intero atto o può fare riferimento anche a singole clausole contrattuali? La risposta più ovvia appare quella di comprendere nella portata della norma anche le singole clausole contrattuali, che rappresentano vari tasselli di un contenuto composito. Se fosse vero il contrario, teoricamente dovrebbe ammettersi come ricevibile un atto che per la gran parte contenga clausole nulle, ancorché in minima parte alcune di esse siano perfettamente valide.
E si deve pervenire a questa conclusione anche per la portata di argine che occorre attribuire al primo comma dell’art. 1419 c.c.: soltanto le parti possono stabilire l’essenzialità, rispetto al tutto, della singola clausola nulla e quindi soltanto esse possono valutare l’incidenza della singola clausola sulla sorte dell’intero contratto. In concreto, infatti, è stato statuito che l’effetto estensivo della nullità della singola clausola all’intero contratto ha carattere eccezionale e non può essere dal giudice dichiarato d’ufficio, essendo onere della parte allegarlo e dimostrare l’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola nulla (13).
Pertanto, data questa incertezza sull’incidenza globale della singola clausola, sarebbe pericoloso consentire al notaio l’inserimento di una clausola nulla che potrebbe inficiare l’intero negozio.
In tema di nullità parziale va specificato che la giurisprudenza ritiene che il principio di conservazione del negozio giuridico affetto da nullità parziale sia, nel codice civile, la regola, mentre l’estensione all’intero negozio degli effetti di tale nullità costituisca l’eccezione, la quale deve essere provata dalla parte interessata, e precisa che tale effetto si verifica allorquando la nullità concerna un elemento essenziale del negozio o una pattuizione legata alle altre da un rapporto di interdipendenza e di inscindibilità ((14).
Ciò peraltro non significa che, trattandosi di un principio, la conservazione del negozio rappresenti per il notaio una valvola di sicurezza, mettendo al riparo dall’applicazione dell’art. 28 legge notarile. Proprio l’incertezza negoziale, derivante dal collegamento della singola clausola con l’intero impianto negoziale, per cui esiste il pericolo che venga richiesto l’accertamento della nullità dell’intero contratto, rende indispensabile un’azione cautelativa per evitare di incorrere nelle conseguenze sanzionatorie che metterebbero a repentaglio da una parte gli effetti negoziali e dall’altra la responsabilità disciplinare e risarcitoria del notaio.
E’ motivo di forte perplessità, invece, se meriti sanzione per l’applicazione dell’art. 28 legge notarile l’ipotesi che la clausola nulla rientri fra quelle disciplinate dal secondo comma dell’art. 1419 c.c., ancorché in tal caso la clausola nulla venga sostituita di diritto dalla norma imperativa che ne disciplina il contenuto. Non può mancarsi di affermare che in questo caso la clausola nulla e imperativamente sostituita non va riguardata alla stessa stregua di una clausola del tutto priva di effetti, perché l’ordinamento ritiene prevalente, rispetto alla carenza di effetti propria dell’invalidità, la sostituzione di essa clausola con un contenuto già predisposto dal legislatore e quindi ritenuto pienamente in linea con l’ordinamento. Si tratta non più di clausola assolutamente contraria all’ordinamento, bensì di clausola inadeguata nella sua formulazione, ma che giustifica la sovrapposizione di altra clausola espressamente prevista.
In definitiva, nel nostro caso, è come se il contratto sorgesse sin dall’inizio con la clausola imperativa imposta dalla legge e quindi non vi sarebbe alcun motivo, per il notaio, di rifiutarne l’accoglimento. Ma ciò non appare incontrovertibile, perché in tal modo si minerebbe il ruolo di garante della legalità proprio del notaio.
Ma perché possa trovare applicazione la norma contenuta nel secondo comma dell’art. 1419 c.c. occorre una duplice condizione: a) che la nullità investa soltanto una clausola contrattuale e non l’intero contratto, ove per clausola si intende una parte elementare del contratto, e cioè elemento irriducibile del medesimo, anche quando essa consti di più disposizioni le quali costituiscano il precetto unitario che disciplina un’obbligazione contrattuale, principale o accessoria, nel suo insieme (15); b) che esista una specifica disposizione di legge che, oltre a comminare la nullità della clausola, ne imponga anche la sostituzione con una normativa legale, mentre la norma non trova applicazione qualora il legislatore, nello statuire la nullità di una determinata clausola o do una pattuizione, non ne abbia previsto la sostituzione con una norma imperativa.
Quest’ultima condizione, che sembra emergere dal testo della norma e che era fatta propria da una risalente giurisprudenza (16), di recente è stata modificata, perché la dottrina, letta la norma in collegamento con l’art. 1339 c.c., ha espresso l’avviso che non occorra apposita norma prevedente la sostituzione di clausola, potendo ciò desumersi dalla ratio stessa della norma. E in questo discorso ampliativo la dottrina è stata seguita dalla giurisprudenza, che ha in tal modo modificato il proprio precedente indirizzo (17).
Non vi è alcun dubbio che l’esistenza di una norma che esplicitamente preveda sia la nullità della clausola che la sostituzione automatica di essa con altra clausola legale espressamente formalizzata dal legislatore, porrebbe il notaio in una situazione di una certa sicurezza, ancorché non possa disconoscersi la congruità di un comportamento notarile di stretto rigore.
5. Nullità di protezione. Concetto e problemi
Con il termine “nullità di protezione” si intende fare riferimento ad alcune fattispecie normative recenti, spesso dettate da sollecitazioni comunitarie, che stabiliscono determinate nullità allo scopo di proteggere un singolo contraente (solitamente consumatore oppure cliente); che pertanto si pongono a servizio di esso (18). Si afferma anche che questa categoria ricorre nelle ipotesi in cui la nullità viene comminata per l’inosservanza di norme poste a tutela del contraente che versi secondo la legge in condizione di debolezza nei confronti della controparte contrattuale (19).
Le fattispecie più significative per l’attività notarile sono le seguenti:
- l’art. 36, comma 3 del codice del consumo (D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206), il quale dispone, in tema di clausole vessatorie per i contratti del consumatore, che la nullità di determinate clausole ivi previste “opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice”;
- l’art. 127, comma 2, del D. Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, recante il testo unico bancario, il quale stabilisce che determinate nullità dei contratti bancari “possono essere fatte valere soltanto dal cliente” (20);
- l’art. 2 comma 1 del D. Lgs. 20 giugno 2005, n. 122 sugli acquisti di immobili da costruire, il quale stabilisce che la nullità del contratto per mancato rilascio della fideiussione “può essere fatta valere unicamente dall’acquirente”.
Caratteristica di queste leggi è quella di prevedere una determinata nullità allo scopo di tutelare l’interesse di un determinato soggetto che ha nel contratto il ruolo di contraente debole. In queste norme, l’avere circoscritto la tutela dell’interesse con lo strumento della nullità negoziale, a vantaggio di una sola parte, ha spesso determinato anche un restringimento della usuale disciplina codicistica prevista per le nullità negoziali: anziché ammettere l’impugnabilità generalizzata dell’atto nullo, il legislatore ha previsto un’impugnabilità limitata, riservata soltanto ai soggetti portatori degli interessi salvaguardati dalla norma. Ciò significa che l’altro contraente (vale a dire colui che appartiene alla categoria di soggetti non protetti dalla norma stessa) non può far valere la nullità con una propria azione in giudizio.
Si comprende come questa caratteristica della c.d. nullità di protezione abbia indotto la dottrina a porsi tutta una serie di domande: si tratta di vera nullità? In caso affermativo, deve parlarsi di nullità eccezionale, che deroga fortemente alle norme codicistiche sulla nullità e che, come tale, respinge l’utilizzabilità dell’interpretazione per analogia, oppure la reiterazione di leggi in materia deve far pensare non a norme eccezionali, bensì a norme espressione di un principio generale diverso e distinto rispetto alla disciplina codicistica?
Di fronte a queste domande, la dottrina si è dovuta interrogare anche sul problema se i principi finora recepiti sul piano dogmatico in materia di nullità dovessero essere essi stessi rivisti, talvolta affermando, di fronte al forte impatto della normativa comunitaria, che le norme del codice in materia non potevano continuare ad essere interpretate desumendo da esse una serie di principi immodificabili.
In precedenza il paradigma codicistico veniva ritenuto unico strumento di confronto per incasellare le nuove nullità che la legislazione specialistica andava esprimendo.
L’invalidità, afferma un autorevole studioso (21), mentre in precedenza era riscontrata e rapportata all’unicità normativa, che faceva da unico parametro di riferimento, ora è mutata in tanti schemi astratti cui bisogna rapportare i singoli negozi: non si ha una nullità sola, da riscontrare in concreto analizzando la fattispecie, ma si hanno tante distinte tipologie di nullità. Ciò deriva dal fatto che la nullità è raccordata all’interesse negoziato e ritagliata in sintonia con questo: tante figure distinte di nullità quanti sono i tipi di interesse da salvaguardare. Occorre sottolineare, afferma nella sostanza questa dottrina, che si tratta di nullità collegate al tipo di interesse tutelato, anche di carattere personale e talvolta derivanti anche da circostanze ultronee rispetto all’atto posto in essere.
In questo quadro si tiene conto non soltanto del contratto, bensì del comportamento che ruota intorno al contratto. Cioè l’invalidità può incidere anche su vizi di ordine comportamentale anteriori o successivi all’atto, incidendo talvolta più sugli effetti dell’atto, che sulla sua struttura (22).
Si comprende agevolmente come tutto ciò può influire sulla valutazione se queste nullità di protezione siano da prendere in considerazione ai fini dell’applicazione dell’art. 28 n. 1 legge notarile. In altre parole, allorquando il notaio sia chiamato ad esercitare il controllo di legalità sull’atto posto in essere, deve egli rifiutare l’atto (o la singola clausola) se essi diano luogo ad una delle fattispecie sanzionate con la nullità di protezione? Si tratta, insomma, di fattispecie normative estranee all’art. 28, oppure deve affermarsi che anche in tal caso il notaio deve rifiutare di ricevere l’atto?
Per tentare di dare una risposta a questo problema occorre passare in rapida rassegna lo stato cui è pervenuta la dottrina nel tentativo di costruire una trama sistematica di disciplina intorno a queste nullità di protezione.
6. Nullità di protezione in genere. Natura giuridica
Caratteristica essenziale delle nullità di protezione è certamente quella di attribuire la legittimazione a farla valere in giudizio esclusivamente ad una sola parte contraente. Si parla in tal caso di nullità relativa, contrapposta alla nullità assoluta disciplinata dal codice civile e questa caratteristica della nullità relativa in un primo tempo ha posto in crisi la dottrina, che vedeva nella nullità relativa (23) il superamento di uno dei cardini della disciplina codicistica sulla nullità: l’interesse pubblico generale afferente alla nullità assoluta contrapposto all’interesse particolare di un determinato soggetto o di una determinata categoria afferente alla nullità relativa; la legittimazione a proporre l’azione di nullità riconosciuta a chiunque ne avesse interesse, anziché una legittimazione riservata soltanto a determinati soggetti.
Tant’è vero che alcuni Autori, o si sono limitati a valutare la nullità relativa alla stessa stregua dell’annullabilità (24), oppure hanno posto in discussione l’impianto stesso della disciplina codicistica, giudicato ormai come sistema da rivedere, o addirittura da valutare come disciplina residuale nell’ambito della legislazione che andava sovrapponendosi su impulso della normativa comunitaria.
E la dottrina continuava nei suoi approfondimenti talvolta parlando di nullità eccezionale, cioè di nullità costituente eccezione alla regola codicistica sulla nullità assoluta; talaltra affermando che non di nullità eccezionale doveva parlarsi, bensì di nullità speciale, cioè di una tipologia distinta dalla nullità codicistica ma essa stessa costituente sistema, e come tale suscettibile di applicazione analogica (25).
Trattasi di una materia ancora ben lontana da una sistemazione organica definitiva. Peraltro appare opportuno evidenziare alcuni aspetti che possono giocare un ruolo rilevante nel momento di raccordare queste nullità con il comportamento del notaio di fronte a queste norme.
Il primo aspetto concerne l’interesse protetto dalla norma che contempla la nullità di protezione. Si tratta di sapere se queste norme intendano tutelare esclusivamente l’interesse della categoria di soggetti espressamente previsti, oppure se, ferma restando questa tutela, la norma intenda salvaguardare anche un interesse più ampio. E a questo quesito si risponde in dottrina affermativamente, cioè nel senso che al di là dell’interesse proprio dei soggetti a favore dei quali è stata espressamente prevista la legittimazione ad agire in giudizio per far dichiarare la nullità, esiste un altro interesse di portata più generale che la norma intende salvaguardare (26). E si parla in tal caso di efficienza del mercato, oppure di un interesse della legge al traffico giuridico (27).
Un secondo aspetto concerne il dubbio se, allorquando il legislatore ha previsto la legittimazione di una sola parte negoziale, debba, pur nel silenzio della legge, riconoscersi la possibilità che la nullità sia rilevata d’ufficio dal giudice. E la dottrina è dell’avviso che l’ammettere la competenza d’ufficio del giudice non snatura la norma che prevede la legittimazione in capo ad una sola delle parti negoziali, come del resto si desume da qualche norma che espressamente prevede la legittimazione di una sola parte e contemporaneamente la rilevabilità d’ufficio da parte del giudice (28) e come deve affermarsi nel quadro di un discorso che deve pur attribuire una qualche valenza al concetto di nullità introdotto dal legislatore (29).
Ancorché poi si affermi che il giudice, pur competente a rilevare d’ufficio l’esistenza della nullità, non dovrebbe svolgere il suo ruolo in danno del contraente favorito: pertanto si ammette che il rilievo d’ufficio possa avvenire soltanto a vantaggio della parte favorita e non a suo danno (30).
Un terzo aspetto peraltro poco approfondito appare la sorte, in termini di effetti giuridici, di queste nullità, nella fase di passaggio tra la nascita del contratto e l’eventuale sentenza che, su impulso di parte, ne accerti la nullità. Il contratto o la clausola nulla, prima dell’azione in giudizio della parte legittimata, ha effetto fra le parti o quantomeno limitatamente alla parte cui non è stata attribuita la legittimazione ad agire? Questo appare un punto ancora oscuro nelle riflessioni dottrinali.
Un dottrina afferma che soltanto la sentenza accertativa della nullità determina il venir meno degli effetti contrattuali sanzionati con la nullità relativa (31).
Altra dottrina ritiene che il contratto nullo è attualmente carente di effetti e non sussiste un particolare onere di iniziativa processuale per fare dichiarare lo stato in cui versa.” E conclude affermando che “se la nullità relativa, proprio perché non smette di essere nullità, opera ipso iure; è logico corollario predicarne la rilevabilità d’ufficio” ([32]).
In effetti caratteristica della nullità relativa è quella di attribuire al solo soggetto interessato il compito di decidere se far valere l’esistente nullità, oppure di rinunciare ad agire in giudizio per farla dichiarare, nell’ipotesi che egli trovi più comodo tacere, per evitare che sia posto nel nulla l’intero contratto o comunque ad evitare che l’intera operazione posta in campo abbia per lui risvolti negativi.
Eppure, giocando fortemente sul rilievo che la legittimazione all’azione di nullità è soltanto di una parte negoziale, si è affermato che la sorte del negozio appartiene a questo soggetto, per la salvaguardia di un suo interesse particolarmente protetto dal legislatore, per cui la nullità rappresenta una sorta di strumento improprio offerto in mano ad un determinato soggetto negoziale, cui spetta la facoltà di utilizzazione e quindi indirettamente cui spetta di stabilire se una determinata clausola vietata possa o meno comparire nel negozio posto in essere.
E sulla stessa linea si pone l’osservazione che talvolta il legislatore, nello stabilire la nullità di una determinata clausola negoziale, ha espressamente fatto salvo l’intero negozio (è il caso dell’art. 36, primo comma del codice del consumo, il quale dispone che “le clausole considerate vessatorie…sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto”), il che conferma che lo stesso legislatore dà per scontato che l’interesse da tutelare va visto in chiave globale e non in chiave separata, evidenziando in tal modo indirettamente la differenziata flessibilità del concetto di nullità.
Si comprende agevolmente come queste discussioni dottrinali sono testimonianza di una sostanziale incertezza interpretativa nel classificare fattispecie di invalidità che, imposte nel nostro ordinamento per effetto di trasposizione integrale di normative CE dettate su impulso di diversi ordinamenti giuridici, stentano a trovare adeguato spazio sistematico nel diritto italiano.
7. Codice del consumo. Premesse generali
Un’incertezza anche maggiore, sul piano interpretativo, la si riscontra analizzando un’ipotesi particolare di nullità relativa: quella prevista dal codice del consumo.
Il codice del consumo (Decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206), entrato in vigore, sulla base dell’ordinaria vacatio legis il 23 ottobre 2005, ha inteso, come si desume dal suo articolo 1, armonizzare e riordinare tutta la normativa dei processi di acquisto e di consumo, in sintonia con la normativa comunitaria, allo scopo di ottenere la tutela dei consumatori e degli utenti (33).
In particolare il codice ha avuto di mira due obiettivi rilevanti per l’attività notarile: a) garantire un’adeguata informazione e una corretta pubblicità; b) garantire la correttezza, la trasparenza e l’equità nei rapporti contrattuali.
In modo più specifico vanno analizzate le disposizioni che hanno inserito nel codice del consumo le norme contenute nel Libro IV, Titolo II, Capo XVI del codice civile (artt. 1469-bis, 1469-ter, 1469-quater, 1469-quinquies, 1469-sexies), intitolato “Dei contratti del consumatore”. In questo modo le norme predette sono sparite dal codice civile e sono state inserite nel codice del consumo, con un raccordo tra i due codici ottenuto con una norma del seguente tenore (art. 142 del codice del consumo così formulata: “le disposizioni del presente titolo si applicano ai contratti del consumatore, ove non derogate dal codice del consumo o da altre disposizioni più favorevoli per il consumatore”).
Per effetto di questa norma, insomma, per i contratti dei consumatori trovano applicazione tutte le norme generali codicistiche in materia di contratti, con le eccezioni stabilite dal codice del consumo o comunque con le discipline diverse che si configurano come disposizioni più favorevoli per il consumatore.
Evidentemente tutta questa tematica ruota intorno ad un contratto che vede come parti, da un lato il professionista (qualificato come “persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale”) o il produttore (qualificato come “il fabbricante del bene o il fornitore del servizio”); da un altro lato il consumatore (qualificato come “persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”).
La regola che vige per il contratto del consumatore, regola che rappresenta una sorta di eccezione all'ampiezza dell'autonomia negoziale prevista dal codice civile, può ridursi alla seguente espressione: va garantito l'equilibrio dell'assetto di interessi del contratto del consumatore. In dottrina si parla di intento di evitare che si verifichi uno squilibrio contrattuale, inteso peraltro come squilibrio non dei contenuti economici del contratto, bensì dei contenuto normativi e giuridici dello stesso (34).
Allorquando si vulnera detto equilibrio si ha la clausola vessatoria, che può investire l’intero contratto o ridursi a singole disposizioni negoziali. Infatti la norma di fondo che può ritenersi il cardine del sistema è quella contenuta nell’art.33, primo comma del codice di consumo, che recita: “nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”.
In definitiva, per effetto di questa norma, si possono evidenziare i seguenti elementi che caratterizzano la disciplina in discorso:
a) la norma non dispone in positivo, ma in negativo: non dice quali siano le clausole consentite, bensì quali siano le clausole vietate, che traduce nell’espressione “clausole vessatorie”;
b) la norma è congegnata in modo tale da prevedere che l’abusività della clausola debba essere considerata in una globale ponderazione dell’intero assetto negoziale: ”squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”;
c) vi è poi un’elencazione di possibili clausole vessatorie, per le quali non vi è l’acclarazione decisa che esse siano clausole vessatorie, bensì una presunzione semplice di vessatorietà aperta alla possibilità di provare il contrario.
8. Differenziata tipologia di clausole vessatorie. Sanzioni
La disciplina che, in estrema sintesi, potrebbe ricavarsi dagli artt. 33 e segg. del codice del consumo, può così riassumersi:
- esistono fattispecie esemplificative di una situazione di squilibrio tra contraente forte e contraente debole nel contratto del consumatore;
- l’esemplificazione di queste clausole non perviene alla conclusione che esse siano vietate, ma soltanto alla conclusione che esse siano vessatorie (espressione nella quale è stata tradotta l’altra di pari valore definita come “abusiva”), ma soltanto sulla base di una presunzione semplice di vessatorietà, suscettibile di prova contraria, prova che deve essere fornita dal contraente professionista;
- la vessatorietà non incide sull’oggetto o sul prezzo del contratto, purché vi sia chiarezza esplicativa, si tenga conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione del contratto e non concerne clausole imposte per legge o per convenzione internazionale;
- non sono vessatorie, in linea di principio, le clausole oggetto di trattativa individuale;
- sono comunque vessatorie, ancorché oggetto di trattativa individuale, le clausole che hanno per oggetto o per effetto: a) le clausole esonerative di responsabilità del professionista per danno al consumatore; b) le clausole limitative di azione di responsabilità per inadempimento contrattuale; c) la clausola per la quale il consumatore deve ritenersi che abbia aderito a clausole non conosciute prima della conclusione del contratto;
- tutte le clausole vessatorie sono nulle, ma non inficiano la validità dell’intero contratto;
- la nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata dal giudice;
- è in ogni caso nulla la clausola che, prevedendo l’applicabilità al contratto di una legislazione di una Paese extracomunitario, abbia l’effetto di privare il consumatore della protezione assicurata dalle norme qui considerate, laddove il contratto presenti un collegamento più stretto con il territorio di uno Stato membro dell’Unione europea.
Come è stato correttamente precisato, può accadere che una clausola non appartenente all’elenco sia vessatoria, perché comporta squilibrio contrattuale, e per converso che una clausola pur appartenente all’elenco non sia vessatoria, perché non comporta squilibrio contrattuale. Il che impone un accertamento caso per caso (35).
9. Lista grigia e lista nera
La dottrina usa differenziare la lista contenuta nell’art. 33 del codice da quella contenuta nell’art. 36: viene indicata con l’espressione “zona grigia” l’elenco di clausole previste dall’art. 33 del codice del consumo e con l’espressione “zona nera” l’elenco di clausole indicate nell’art. 36, secondo comma dello stesso codice. Le clausole inserite nella lista “grigia” sono ritenute vessatorie sulla base di una presunzione semplice; le clausole inserite nella “zona nera” non prevedono una preventivo passaggio di presunzione ma sono ritenute in ogni caso “nulle”, ancorché sulla base di una nullità relativa di protezione.
Dopo questa ripartizione di fondo, nascono per queste norme una serie di problemi interpretativi sulla portata di questa disciplina.
Il primo problema che sorge è quello del coordinamento tra clausole vessatorie e il concetto di buona fede. La norma che fa sorgere questo problema è contenuta nel primo comma dell’art. 33, rappresenta una sorta di criterio generale ed è così formulata: “nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”.
L’inciso “malgrado la buona fede” era contenuto nella Direttiva CE ed aveva dato luogo a varie discussioni in dottrina (36).
Dai più si sosteneva che si trattasse di buona fede in senso oggettivo, vale a dire depurata dalle persone dei contraenti e mentre alcuni Autori affermavano che il concetto di buona fede risultasse insensibile ai fini della valutazione di un significativo squilibrio fra i contraenti, altri invece sostenevano che la buona o mala fede costituisce il termometro di valutazione di un significativo squilibrio contrattuale.
Un altro problema he sorge è il seguente: se si esaminano le clausole vessatorie riportate nella zona grigia (art.33 codice del consumo) e si confrontano con quelle riportate nella zona nera (art. 36, secondo comma) si riscontra che si tratta di clausole identiche nella formulazione quasi letterale e pertanto si pone la questione di stabilire il motivo per cui una stessa clausola sia stata inserita in entrambe le zone (zona grigia e zona nera).
La soluzione più attendibile appare la seguente: le tre clausole inserite nella zona nera si presume che siano vessatorie, e pertanto nulle, ancorché si sia in presenza di trattative tra le parti (37).
Altra dottrina, invece, non ammette per queste clausole inserite nella zona nera una presunzione semplice di vessatorietà, ma ritiene che debba applicarsi una presunzione assoluta. In questo modo, insomma, la differenza tra le due tipologie di clausole non consisterebbe soltanto sull’ininfluenza del precedente accordo, ma anche sul fatto che mentre le clausole della zona grigia sono disciplinate con la presenza di una presunzione semplice, le clausole della zona nera sarebbero caratterizzata dalla presenza di una presunzione assoluta che non ammette prove contrarie (38).
Si comprende la differenza che esiste fra le due posizioni dottrinali: se si accetta la prima opinione indirettamente si ammette che anche per le clausole esistenti nella c.d. zona nera è consentito al professionista dimostrare che non vi è stato alcuno scompenso contrattuale e quindi si ammette che con questa dimostrazione la nullità non operi; se invece si aderisce alla seconda soluzione, si afferma indirettamente che al professionista non è consentita alcuna dimostrazione contraria, per cui la nullità di queste clausole apparirebbe inconfutabile in modo assoluto.
Ma sin intuisce, altresì, l’inerenza che avrebbe sul comportamento del notaio aderire all’una o all’altra delle due ipotizzate soluzioni.
10. Riflessioni sul comportamento del notaio
Si tratta di sapere in quali limiti una simile disciplina coinvolga le varie sfaccettature del comportamento del notaio (responsabilità funzionale, o esclusivamente professionale, oppure entrambe?). In altre parole, poiché ogni clausola vessatoria è nulla, ma poiché si tratta di nullità relativa, o nullità di protezione del consumatore che dir si voglia, fino a che punto può spingersi l’attività del notaio senza violare norme del proprio ordinamento?
Un fatto è certo: soltanto per le clausole disciplinate dall’art. 36, commi 2 e 5 del codice del consumatore, la nullità è testualmente ed in modo inconfutabile disciplinata dal legislatore. Invece per tutte le fattispecie previste dall'art. 33 codice del consumo la nullità passa per lo strumento dell’accertamento della vessatorietà della clausola, dato dalla valutazione di tutte le predette clausole come clausole presuntivamente, ma non decisamente e senza possibilità di dubbio, vessatorie e pertanto nulle.
Né va dimenticato che tutte queste clausole, oltre che dalla prova contraria offerta dal contraente forte, possono essere snaturate (nel loro ruolo di clausole vessatorie) dall’accertamento che esse hanno costituito oggetto di trattative individuali (art. 34, 4°comma del codice del consumo).
In altre parole, ad esclusione delle fattispecie previste dall’art. 36, 2° comma, tutte le altre fattispecie di clausole contrattuali disciplinate dall’art. 33 codice del consumo non sono invalide se si riesce a dimostrare che la clausola interessata ha costituito oggetto di trattativa individuale.
E qui il discorso si sposta sull’attività del notaio. L’opera di quest’ultimo è caratterizzata da un preventivo colloquio con le parti, per accertare il loro volere negoziale; dalla formulazione per iscritto, in termini tecnico-legali appropriati; dalla dichiarata volontà negoziale delle parti; dalla lettura dell’atto alle parti e dall’interrogativo finale (ancorché non legislativamente previsto per esso, ma sostanzialmente avallato dalla prassi professionale notarile) se lo scritto corrisponde alla volontà delle parti.
Il rilievo che assume, nella qualificazione della nullità relativa prevista per il contratto del consumatore, questo elemento “esterno” alla fattispecie negoziale, perché si nutre di fatti anteriori all’impostazione del negozio, il che fa perdere alla nullità il connotato tradizionale di vizio strutturale dell’atto, è ben evidenziato da autorevole dottrina (39).
Ciò dovrebbe escludere (sempre, ripetesi, per le clausole disciplinate dall’art. 33 del codice del consumatore) sia la loro vessatorietà, sia la loro conseguente nullità. Il che imporrebbe di ritenere che queste clausole, inserite nell’atto notarile, non determinano mai la violazione dell’art. 28 legge notarile e non danno mai luogo a sanzione disciplinare per il notaio (40).
Si intuisce perfettamente che ciò vale in astratto, ma è anche vero che allorquando si pone in discussione l’atto vietato dalla legge si deve tener conto di fattispecie astratte che impongono al notaio di valutare se procedere o meno nella stipula dell’atto.
Eventuali manchevolezze notarili (ad esempio superficialità nella stesura dell’atto; una mancanza di approfondimento dell’esistenza della clausola presuntivamente abusiva e della compita spiegazione di essa nei confronti del contraente debole) potrebbero incidere sotto altri aspetti (violazione del codice deontologico e quindi sanzione disciplinare ex art. 147 legge notarile; eventuale responsabilità civile del notaio) ma non certamente sotto il profilo dell’applicazione dell’art. 28 legge notarile.
E vi è un secondo profilo sufficientemente illustrato in dottrina, la quale ha affermato che l’applicabilità dell’art. 28 legge notarile in questa materia “è da escludere, in quanto la legge qui commentata non formula un elenco di clausole di per sé e in ogni caso abusive, ma la vessatorietà, sia per le clausole legislativamente previste che si presumono soltanto vessatorie, sia per quelle che rientrano nella norma generale di cui all’art. 1469-bis, è la risultante di una valutazione sul merito che coinvolge l’intero contratto, le circostanze che ne accompagnano la conclusione e persino un eventuale contratto collegato, ex art. 1469-ter primo comma. Tale valutazione, che viene a sindacare l’operazione contrattuale nel suo complesso, esula dalle competenze del notaio e non può ammettersi, di conseguenza, un obbligo professionale di rilevare la nullità della clausola, sanzionabile ai sensi dell’art. 28 della legge notarile” (41).
In altre parole, nel nostro caso il notaio non si trova di fronte ad un atto o ad una clausola vietati, bensì di fronte ad un atto o ad una clausola vietati a determinate condizioni: queste ultime presuppongono la presenza o meno di un determinato grado di valutazione della clausola critica da parte del consumatore ed altresì pretendono la comparazione rispetto a tutte le restanti clausole contrattuali., allo scopo di stabilire il bilanciamento dei contrapposti interessi al fine di fornire un quadro complessivo sullo sbilanciamento degli interessi negoziati.
Pur avendo, pertanto, l’ordinamento attribuito alla clausola critica un giudizio di disvalore, lo ha peraltro mirato elasticamente alla sussistenza o meno di determinate e complesse valutazioni. Manca quindi, in questo caso, la condizione primaria per l’applicazione dell’art. 28, n. 1 legge notarile: l’espressa volontà del legislatore di proibire la clausola.
Lo strumento pertanto della nullità, che per se stesso (sia essa relativa oppure assoluta) dovrebbe impedire al notaio la formalizzazione dell’atto, nel nostro caso non basta più per risolvere il problema, trattandosi non di una patologia assoluta, bensì di una patologia graduata sub condicione, che implica tutta una serie di valutazioni in parte estranee all’atto e che pertanto sembrano collocarsi al di fuori della dinamica nella quale il legislatore ha impostato l’art. 28 della legge notarile.
Diverso discorso sembra di dover sviluppare in ordine alla clausole che rientrano nella c.d. zona nera. Qui il legislatore non ha concesso spazio per una valutazione della clausola nel quadro di una più ampia valutazione delle altre clausole contrattuali.
Infatti la norma non sembra lasciare spazio ai fini di valutare la vessatorietà della clausola in relazione ad una presunzione semplice di detto vizio (tanto è vero che si afferma nel nostro caso trattarsi di presunzione assoluta, che non ammette prova contraria) e soprattutto gioca a favore di una diretta considerazione dell’art. 28 legge notarile il fatto che lo stesso legislatore non parla di queste clausole come di clausole vessatorie e quindi, in quanto vessatorie, nulle, bensì direttamente di clausole nulle, ancorché offrendo spazio alla nullità relativa.
11. Conclusioni
La giurisprudenza non ha avuto ancora occasione di esprimersi in merito al problema delle eventuali conseguenze sul notaio dell’avere ricevuto atti contenenti clausole relativamente nulle.
Il discorso è stato sinora dibattuto in dottrina, senza peraltro pervenire a risultati pacifici, nel dilemma se qualificare la nullità relativa come un’eccezione rispetto alla nullità assoluta disegnata dal codice civile, oppure come istituto autonomo, che gode di una disciplina sua propria, non comparabile con la disciplina codicistica. E si intuisce come questo dilemma passi per una riconsiderazione della struttura del contratto, che impone un ripensamento del ruolo che vengono ad assumere in un contratto sia le parti contraenti che il pubblico ufficiale chiamato a formalizzarne il contenuto in atto pubblico.
La dottrina, pur non disconoscendo la delicatezza del problema, non manca infatti di evidenziare il compito che viene ad assumere il notaio chiamato a rogare atti nei quali insiste prepotentemente l’esigenza di protezione a favore di determinati contraenti e l’invito, che essa rivolge al notaio, affinché egli si preoccupi di dipanare in anticipo l’insorgenza di rilievi critici in materia. Va da sé che tutto ciò comporta una particolare attenzione del notaio nel predisporre questi atti, cercando anche di informare diffusamente le parti sul loro contenuto (42).
Lo sforzo maggiore che si verifica in dottrina è quello di appurare se la nullità relativa sia vizio strutturale del negozio, oppure uno strumento posto a disposizione del contraente debole, allo scopo di consentirgli di recuperare una parità negoziale posta in discussione in linea di principio in considerazione della diversa qualità soggettiva dei contraenti.
In altre parole, per taluno la clausola nulla relativamente, più che uno strumento a favore del contraente debole, costituisce uno strumento contro il contraente forte, strumento lasciato alla mercé del soggetto debole, che potrebbe (per calcoli di equilibrio contrattuale, oppure per evitare di sobbarcarsi gli elevati costi processuali, o ancora per una valutazione di scarsa influenza della clausola nella valutazione complessiva degli interessi negoziali) trovare il suo strumento di soddisfacimento proprio rinunciando ad esercitare l’azione di nullità.
Si comprende come, alla luce di queste considerazioni, la nullità relativa in discorso appare più strumento di equilibrio contrattuale che elemento di diaspora per i contraenti. E si ha avvertenza come, in questo contesto, assuma un particolare spessore la diligenza del notaio, la sua sensibilità professionale, la quale deve proiettarsi per impedire del tutto l’apposizione della clausola, oppure che la clausola, pur apposta, non entri in conflitto con l’equilibrio negoziale che la legge nel nostro caso ha inteso imporre: di qui l’esigenza di illustrare alle parti compiutamente il significato della clausola critica e la sua portata nella complessiva economia del contratto posto in essere.
E’ qui che il notaio si appropria interamente del suo ruolo di strumento neutrale di sicurezza e di antilitigiosità. E, si badi, non soltanto nell’interesse del contraente debole, bensì anche nell’interesse del contraente forte, cui una clausola nulla potrebbe essere di grosso intralcio giuridico e di fastidio processuale.
Ed è intuitivo affermare che per lo svolgimento del proprio compito il notaio deve tener conto di tutta la disciplina del proprio codice deontologico, ma altresì delle possibili conseguenze civilistiche cui una sua attività superficiale o poco solerte alla valutazione complessiva e coordinata dell’intero impianto negoziale potrebbe dare luogo.
E qui gioca un ruolo del tutto nuovo il notaio, il quale esplica la sua attività non soltanto ricorrendo all’operazione di adeguamento prevista dall’art. 47, ultimo comma della legge notarile, bensì imponendosi l’impegno di concertare con le parti l’influenza che può rivestire, nella fusione dei contrapposti interessi, la valutazione che il contraente debole faccia della clausola critica, certamente adoperandosi, come pubblico ufficiale terzo, per farla eliminare dal contratto, ma probabilmente accettando di porla in essere se la parte interessata, avendone compreso lo spirito, non la contesta.
Il tutto, evidentemente, differenziando l’attenzione tra clausole della zona grigia e clausole della zona nera, ed in attesa di conoscere gli sviluppi del discorso di fondo che dottrina e giurisprudenza avranno modo di sviluppare sul problema.
(1) V. per la dottrina, CONTI, L’art. 24 della legge notarile e l’art. 43 del regolamento, in Il Giornale de’ notai, 1876, pag. 248; FALCIONI, Manuale teorico-pratico del notariato, Torino, 1899, I, pag. 167; MANZO, Rappresentanza senza potere e responsabilità del notaio, in Rolandino, 1957, pag. 3; MANZO, Sull’art. 28 n. 1 della legge notarile, in Riv. not., 1947, pag. 442; MOSCATELLO, Intorno agli atti che la legge vieta al notaio di ricevere, in Notariato italiano, 1879, pag. 402; PATRONI, Osservazioni sulla prima parte del n. 1 dell’art. 28 T.U. del notariato, in Rolandino, 1949, pag. 81; PUCCINI, La legge sul notariato, Civitavecchia, 1880, pag. 63; SOLIMENA, Commento alla legislazione notarile italiana, Milano, 1918, pag. 87; SOLIMENA, Della compartecipazione volontaria del notaio negli atti simulati e fraudolenti revocabili ed in quelli simulati e fraudolenti punibili, in Notaro, 1933, pag. 6.
Per la giurisprudenza, invece, cfr. Cass. Roma 3 dicembre 1937, in Massime, 1938, pag. 138; Cass. 18 aprile 1941, in Monit. trib., 1941, pag. 614; Cass. Roma 22 giugno 1942, in Massime, 1942, pag. 215; Cass. 1 agosto 1959, n. 2444, in Foro it., 1960, I, pag. 100; Cass. 26 ottobre 1962, n. 3063, in Riv. not., 1963, pag. 167; Cass. 11 marzo 1964, n. 525, in Riv. not., 1964, pag. 702; App. Napoli 23 novembre 1938, in Massime, 1939, pag. 61; App. Milano 14 aprile 1944, in Notaro, 1946, pag. 70; Trib. Milano 18 settembre 1959, in Riv. not. 1960, pag. 673; Trib. Milano 9 ottobre 1955, in Riv. not. 1960, pag. 673; Trib. Catanzaro 28 marzo 1958, in Riv. not., 1958, pag. 255; Trib. Milano 9 ottobre 1959, in Riv. not. 1960, pag. 682; Trib. Milano 6 novembre 1959, in Riv. not. 1960, pag. 673; Trib. Milano 22 aprile 1960, in Riv. not. 1960, pag. 673; Trib. Milano 10 giugno 1961, in Riv. not., pag. 505; App. Firenze 20 luglio 1962, in Riv. not., 1962, pag. 865; App. Firenze 24 settembre 1965, in Riv. not., 1966, pag. 509.
(2) Così Cass. 11 novembre 1997, n. 11128, in Notariato, 1998, pag. 7, con nota di commento di BRIGANTI; e in Giust. civ., 1998, I, 380, con nota di TRIOLA.
(3) Oltre a Cass. 11 novembre 1997, n. 11128, cit., cfr. Cass. 19 febbraio 1998, n. 1766, in Riv. dir. civ., 1999, II, 589, con nota di NATUCCI; Cass. 9 marzo 1988, n. 2591; Cass. 4 maggio 1998, n. 4441, in Riv. not., 1998, 717; Cass. 3 agosto 1998, n. 7602, in Vita not., 1998, I, 1767; Cass. 4 novembre 1998, n. 11071, in Riv. not., 1999, 1015; Cass. 12 aprile 2000, n. 4657, in Riv. not., 2000, 1430, con nota di CASU; Cass. 1 febbraio 2001, n. 1394, in Giur. it., 2001, 1599, con nota di MARAZZI.
(4) Cass. 1 febbraio 2001, n. 1394, in Riv. not., 2001, pag. 892.
(5) Vedila in Giust. civ., 1983, I, 1172, con nota di COSTANZA.
(6) App. Milano 17 novembre 1961, in Riv. not., 1962, 602; Trib. Milano 18 settembre 1959, in Riv. not., 1960, 673; Trib. Milano 19 gennaio 1962, in Vita not., 1962, 602; Trib. Milano 11 giugno 1965, in Riv. not., 1966, 505; Trib. Milano 14 luglio 1965, in Foro pad. 1965, I, 1153; App. Catanzaro, 28 novembre 1967, in Riv. not., 1968, 175; Trib. Firenze 29 ottobre 1987, in Vita not., 1988, 598; ma v. in senso contrario Trib. Reggio Emilia, 14 novembre 1980, in Riv. not., 1981, 189; Trib. Palermo, 28 aprile 1979, in Foro it., 1980, I, 244.
(7) In tal senso v. MALAGUTI, Requisiti formali dell’atto e art. 28 L. N., in Studi e materiali, vol. 2, Milano, 1990, pag. 74, il quale così conclude, con specifico riferimento all'accettazione di eredità con beneficio d'inventario effettuata per scrittura privata autenticata anziché per atto pubblico: “se al chiamato non è comunque proibito manifestare per scrittura privata la propria volontà, ancorché tale manifestazione, per non avere assolto l’onere della forma pubblica, non possa raggiungere l’effetto voluto, al notaio non può essere proibita la relativa autenticazione”; MOLINARI, Nullità, art. 58 legge notarile e altri argomenti, in Federnotizie, maggio 1999, 4.
(8) CASU, Funzione notarile e controllo di legalità, in Riv. not., 1998, 589; sembra sensibile a questo argomento anche GAETA, Riassetto della invalidità negoziale e controlli notarili, , in Spontaneità del mercato e regole giuridiche. Il ruolo del notaio, Relazioni al XXXIX Congresso nazionale del notariato, svoltosi a Milano nei giorni 10-13 ottobre 2002, Milano, 2002, p.363, e specie pag. 368 e segg.
(9) V. Nota redazionale a Cass. 1 febbraio 2001, n. 1394, in Riv. not., 2001, pag. 892.
(10) V. DETTI, Natura del rapporto notarile, irricevibilità dei negozi illeciti, vendita di cosa poignorata, atto costitutivo di s.r.l. senza preventivo deposito del capitale versato, in Riv. not., 1964, 189 e ss.
(11) La dottrina è ormai dell’avviso che il notaio debba effettuare il controllo di legalità anche per l’autenticazione di scritture private: v TONDO, Forma e sostanza dell'autentica, in Vita not., 1980, pagg. 281 e segg.; BARILE, Riflessioni di un costituzionalista sulla professione di notaio, in Vita not., 1984, pag. 41; PETRELLI, Atto pubblico e scrittura privata autenticata: funzione notarile e responsabilità, in Riv. not., 1994, pagg. 1423-1426; BOERO, La legge notarile commentata con la dottrina e la giurisprudenza, Torino, 1993, pag. 426; DI FABIO, Manuale di notariato, Milano, 1981, pag. 189; FALZONE-ALIBRANDI, Autenticazione di sottoscrizioni, in Dizionario enciclopedico del notariato, vol. I, Roma, 1973, pag. 250; GIULIANI, Dell'autenticazione di scrittura privata, in Riv. not., 1951, pag. 645; PAOLUCCI, Atti vietati e responsabilità notarile nella giurisprudenza, Milano, 1990, pagg. 34-35; DETTI, Natura del rapporto notarile, irricevibilità dei negozi illeciti, vendita di cosa pignorata, atto costitutivo di s.r.l. senza preventivo deposito del capitale versato, in Riv. not., 1964, pag. 205; BUSANI, Reato di lottizzazione abusiva e responsabilità del notaio, in Corr. giur., 1990, pag. 964; MARMOCCHI, Scrittura privata, in Riv. not., 1987, pag. 976.
Per la giurisprudenza v. Cass. civ. 22 marzo 1994, n. 2699, in Riv. not., 1994, pag. 1094. La Cassazione penale, invece, ed anche la giurisprudenza di merito, si esprimono per l'inapplicabilità dell'art. 28, n. 1 legge notarile alle autentiche di scritture private: cfr. Cass. pen. 12 gennaio 1982, in Riv. not., 1982, pag. 588; Cass. pen. 6 aprile 1982, ivi, 1982, pag. 588; Cass. pen. 20 giugno 1983, in Vita not., 1984, pag. 1049; Cass. pen. 3 febbraio 1990, in Corr. giur., 1990, pag. 963; per la giurisprudenza di merito cfr. Trib. Milano 2 ottobre 1959, in Riv. not., 1960, pag. 680; Trib. Milano 6 novembre 1959, ivi, 1960, pag. 684.
(12) Cfr. DETTI, Natura del rapporto notarile, irricevibilità dei negozi illeciti, vendita di cosa pignorata, atto costitutivo di s.r.l. senza preventivo deposito del capitale versato, in Riv. not., 1964, 191; MALAGUTI, Requisiti formali dell’atto e art. 28 L. N., in Studi e materiali, vol. 2, Milano, 1990, pag. 73; RUOTOLO, Difetto di autorizzazione all’accettazione di eredità con beneficio d’inventario per conto del minore e conseguenze di carattere notarile, in Studi e materiali, 5.2., 1995-1997, Milano, 1998, 493-494.
(13) Cfr. Cass. 28 gennaio 1970, n. 174, in Foro pad., 1971, I, 847, con nota di ROPPO, I poteri del giudice ex art. 1421 c.c. e la nullità parziale del contratto; Cass. 26 giugno 1987, n. 5675, in Giust. civ., 1988, I, 2090.
(14) Cfr. in questo senso Cass. 19 luglio 2002, n. 10536, in Giust. civ., 2003, I, 2858; analogamente v. Cass. 27 gennaio 2003, n. 1189, la quale afferma che la relativa questione non può essere esaminata ex ufficio e che essa, se non dedotta in appello, non è proponibile per la prima volta in cassazione.
(15) Cfr. Cass. 11 aprile 1979, n. 2123; Cass. 26 giugno 1987, n. 5676, in Giust. civ., 1988, I, 2090.
(16) V. Cass. 18 giugno 1955, n. 1900, in Giust. civ., 1955, I, 1052; Cass. 30 ottobre 1957, n. 4220, in Giur. it., 1958, I, 1, 803; Cass. 28 giugno 2000, n. 8794, in Giur. it., 2001, 1153, con nota di LENTI.
(17) V. DE NOVA, Nullità relativa, nullità parziale e clausole vessatorie non specificamente approvate per iscritto, in Riv. dir. civ., 1976, II, 486; ROPPO, Nullità parziale del contratto e giudizio di buona fede, in Riv. dir. civ., 1971, I, 719; PASSAGNOLI, Nullità speciali, Milano, 1995, p. 219; per la giurisprudenza v. per tutte Cass. Sez. Unite 18 luglio 1989, n. 3363, in Foro it., 1989, I, 2739, con nota di MATASSA; Cass. Sez. Unite 17 febbraio 1984, n. 6602, in Foro it., 1985, I, 710, con nota di MATASSA.
(18) V. in tal senso DI MAJO, Le nullità nuove, in Trattato di diritto privato, diretto da M. Bessone, vol. XIII, Tomo VII, Il contratto in generale, Torino, 2002, pag. 129.
(19) BONFIGLIO, La rilevabilità d’ufficio della nullità di protezione, in Riv. dir. priv., 2004, 868.
(20) Su questa tematica v. NIGRO, Disciplina di trasparenza delle operazioni bancarie e contenuto delle condizioni contrattuali: note esegetiche, in Diritto della banca e del mercato finanziario, 1998, I, pagg. 511; VALENTINO, Obblighi di informazione e vendite a distanza, in Rassegna di diritto civile, 1998, pagg. 375; PAGNI, Tutela del consumatore e poteri del giudice, in Questione giustizia, 1999, pagg. 985; CACCAVALE, Gli "atti unilaterali di mutuo" nel credito bancario, in Rivista di diritto privato, 2001, pagg. 307; PASSAGNOLI, Responsabilità notarile, nullità relativa e clausole vessatorie, in Rivista di diritto privato, 2001, pagg. 458- 464; CARBONE, La responsabilità degli intermediari, in Danno e responsabilità, 2002, pagg. 103; MAGGIOLO, Predisposizione e "scambi senza accordo" nei contratti bancari, in Banca borsa e titoli di credito, 2002, I, pagg. 31.
(21) Così LIPARI, Il ruolo del notaio nella nuova realtà delle nullità contrattuali, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2002, 361 e segg.; riportato anche in Spontaneità del mercato e regole giuridiche. Il ruolo del notaio, Relazioni al XXXIX Congresso nazionale del notariato, svoltosi a Milano nei giorni 10-13 ottobre 2002, Milano, 2002, p. 225.
(22) Così LIPARI, Il ruolo del notaio nella nuova realtà delle nullità contrattuali, in Spontaneità del mercato e regole giuridiche. Il ruolo del notaio, Relazioni al XXXIX Congresso nazionale del notariato, svoltosi a Milano nei giorni 10-13 ottobre 2002, Milano, 2002, p. 225. (23) Soprattutto nella nullità relativa definita tale dalla giurisprudenza, quando ancora il legislatore non si era avventurato a disciplinarla ampiamente su impulso del diritto comunitario: si pensi alla nullità relativa qualificata come tale in materia di beni culturali, quando peraltro il testo legislativo esistente parlava e parla tuttora di nullità semplicemente, non di nullità relativa: cfr. Cass. 17 giugno 1967, n. 1429, in Foro it., 1967, I, 2381, la quale afferma che soltanto allo Stato, e non anche ai privati, spetta la facoltà di far valere la nullità di pieno diritto ex art. 61 legge 1089 del 1939; Cass., Sez. Unite, 15 maggio 1971, n. 1440, in Foro it., 1971, I, 2829, la quale afferma che l’acquirente del bene vincolato non perde la titolarità del diritto di proprietà acquistato con la convenzione nulla; Cass. 14 febbraio 1975, n. 590, in Foro it., 1975, I, 1107, la quale nell’affermare che si tratta di nullità relativa, precisa che per impedirla occorra la “previa denuncia”; Cass., Sez. Unite 24 novembre 1989, n. 5070; Cass. 12 giugno 1990, n. 5688; Cass. 26 aprile 1991, n. 4559; Cass. 12 ottobre 1998, n. 10083, in Foro it., 1999, I, 126.
(24) V. per informazioni in tal senso BONFIGLIO, La rilevabilità d’ufficio della nullità di protezione, in Riv. dir. priv., 2004, 861 e ss.
(25) V. in tal senso PASSAGNOLI, Nullità speciali, Milano, 1995, p. 202 e segg.
(26) V. in tal senso v. BONFIGLIO, La rilevabilità d’ufficio della nullità di protezione, in Riv. dir. priv., 2004, 894, il quale afferma che “la soluzione coerente con il sistema è quella di ammettere la rilevanza d’ufficio di una nullità che, benché ispirata alla finalità di protezione di una parte, non tralascia di perseguire un interesse a carattere pubblico.”
(27) GENTILI, Atti notarili “proibiti” e sistema delle invalidità, in Riv. dir. priv., 2005, p. 276 e segg., il quale afferma che “il legislatore non può rimanere indifferente all’inefficienza che sorpresa, disinformazione, abusi, producono” per il mercato. E conclude affermando “e questo è un interesse generale, espressione dell’ordine pubblico di direzione e non della sola protezione di una parte.”
(28) Cfr. art. 36, comma 3 del D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, il quale dispone che la nullità “opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice”.
(29) BONFIGLIO, La rilevabilità d’ufficio della nullità di protezione, in Riv. dir. priv., 2004, 875, il quale afferma che “a parte il profilo della legittimazione attiva, sotto tutti gli altri profili di disciplina la nullità relativa si comporta come quella assoluta”. V. anche AMADIO, Nullità anomale e conformazione del contratto (note minime in tema di “abuso dell’autonomia contrattuale”), in Riv. dir. priv., 2005, p. 293, il quale sottilmente distingue affermando che “altro è il potere-dovere del giudice di rilevare la nullità (anche in forza di elementi dedotti in giudizio dal non legittimato), altro il caso in cui la carenza di legittimazione conduca a una pronuncia di inammissibilità dell’esame del merito” (pag. 293).
(30) V. in questo senso PETRELLI, Gli acquisti di immobili da costruire, Milano, 2005, p. 244; PAOLINI-RUOTOLO, Prime considerazioni sulla bozza di decreto legislativo in tema di tutela degli acquirenti di immobili da costruire o in corso di costruzione, in CNN Notizie, 3 maggio 2005, per i quali ancorché si tratti di nullità relativa che può essere fatta valere solo dall’acquirente, tuttavia deve ritenersi di argomento comunque ed in ogni caso rilevabile d’ufficio da parte dal giudice, anche se “è necessario contemperare gli obiettivi di tutela dell’interesse pubblico con le esigenze di protezione concreta del singolo contraente” per cui la rilevabilità d’ufficio dovrebbe comunque ammettersi nel solo interesse del soggetto tutelato; RIZZI, Decreto Legislativo 122/2005: La garanzia fideiussoria ed i presupposti di applicazione della nuova normativa, in Banca dati del Consiglio nazionale del notariato; PANZARINI, Sulle nullità del contratto bancario, in Contratto e impresa, 1995, 481.
(31) PETRELLI, Gli acquisti di immobili da costruire, Milano, 2005, p. 246, il quale testualmente afferma che la sentenza con la quale il giudice, accogliendo la domanda del contraente debole, “dichiara” nullo il contratto è, in realtà, una sentenza costitutiva”. E chiama a sostegno GIOIA, Nuove nullità relative e tutela del contraente debole, in Contratto e impresa, 1999, 1332 e ss.: quest’ultimo Autore infatti afferma che la nullità relativa costituisce una via intermedia, un tertium genus tra nullità assoluta e annullabilità, con le caratteristiche della prima (nullità assoluta), ma a legittimazione limitata. In senso contrario peraltro v. BONFIGLIO, La rilevabilità d’ufficio della nullità di protezione, in Riv. dir. priv., 2004, 902.
(32) BONFIGLIO, La rilevabilità d’ufficio della nullità di protezione, in Riv. dir. priv., 2004, 896; dello stesso avviso v. PANZARINI, Sulle nullità del contratto bancario, in Contratto e impresa, 1995, 481, il quale afferma che la nullità relativa opera di diritto come la nullità assoluta.
(33) Per quanto ne consta, la prima riflessione, prevalentemente di carattere ricostruttivo storico delle vicende legislative che hanno condotto prima alla Direttiva CE n. 93/13 del 5 aprile 1993 per la tutela dei consumatori, poi all’approvazione del codice del consumo v. G. ALPA, Il commento, in I contratti, 2005, 1047. Invece è copiosa la letteratura sulle norme fino a poco tempo fa inserite negli artt. 1469-bis e segg. del codice civile, per effetto della legge 29 luglio 2003, n. 229: v. per tutti AA.VV., Il contratto in generale. I contratti dei consumatori, in Il diritto privato nella giurisprudenza, a cura di P. CENDON, Torino, 2001; E. MINERVINI, Tutela del consumatore e clausole vessatorie, Napoli, 1999; G. DE NOVA, Le clausole vessatorie, in Prima lettura, Collana a cura di G. DE NOVA, IPSOA, 1996; AA. VV., I contratti dei consumatori, a cura di E. GABRIELLI e E. MINERVINI, Torino, 2005; AA. VV., Le clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, Commentario agli articoli 1469-bis-1469-sexies del codice civile, a cura di G. ALPA e S. PATTI, Milano, 1997; P. L. FAUSTI, L’atto pubblico notarile e la disciplina delle clausole vessatorie ed abusive, in Mutui ipotecari. Riflessioni giuridiche e tecniche contrattuali, Milano, 1999, pag. 133 e segg.; AA. VV., Clausole vessatorie e contratto del consumatore (artt. 1469-bis e segg.), a cura di E. CESARO, Padova, 2001; G. TATARANO, Clausole vessatorie e atto notarile. Osservazioni sul ruolo del notaio nella contrattazione standardizzata, in Scritti in onore di Guido Capozzi, Vol. I. Diritto privato, Milano, 1992, pag. 1171; R. CALVO, I contratti del consumatore, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia diretto da F. GALGANO, Padova, 2005; L. VALLE, L’inefficacia delle clausole vessatorie, Padova, 2004; AA. VV. in Commentario al Capo XIV bis del codice civile: dei contratti del consumatore, Commentario a cura di C.M. BIANCA e F.D. BUSNELLI, Padova, 1999.
(34) Si afferma che la disciplina sul contratto dei consumatori non vuole prospettarsi come normativa di governo dell’economia e di controllo dei prezzi, non intende cioè sindacare la congruità dello scambio, l’opportunità e la convenienza dell’affare, l’equivalenza fra le prestazioni; più modestamente “il legislatore vuol far corrispondere ad un diritto del professionista un diritto del consumatore, in un’ottica di tendenziale corrispondenza tra le posizioni giuridiche di vantaggio e di svantaggio di ciascun contraente”: così E. MINERVINI, Tutela del consumatore e clausole vessatorie, cit., pag. 114-115.
(35) G. DE NOVA, Le clausole vessatorie, in Prima lettura, cit. pag. 10.
(36) Vedila riassunta da E. MINERVINI, Tutela del consumatore e clausole vessatorie, cit., pag. 103 e segg.
(37) G. DE NOVA, Le clausole vessatorie, in Prima lettura, cit. pag. 33.
(38) Così G. LENE, La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori, in Foro it., 1996, V, c. 155; V.CARBONE, L’individuazione delle clausole vessatorie tra criteri generali ed elencazioni statistiche, in Corr. giur., 1996, 1308.
(39) Da A. DI MAJO, Il contratto in generale, in Trattato di diritto privato diretto da A. Bessone, Vol. XIII, Tomo VII, Torino, 2002, pag. 128. (40) Anche se in dottrina non manca di evidenziarsi che non basterebbe la lettura dell’atto per ritenere verificata la trattativa delle parti sulla clausola critica, ma che occorra un intervento del notaio atto a consigliare l’introduzione o l’eliminazione della clausola interessata: così G. DE NOVA, Le clausole vessatorie, in Prima lettura, cit. pag. 39.
(41) A. BELLELLI, Il problema della qualificazione giuridica della sanzione, in Le clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, Commentario agli articoli 1469-bis-1469-sexies del codice civile, a cura di G. ALPA e S. PATTI, Milano, 1997, pagg. 687-688.
(42) Cfr. DOLMETTA, Sui limiti di applicazione dell’art. 28 legge notarile. A proposito della violazione di norme imperative di protezione, in Contratto e impresa, 2004, 76 e segg., il quale afferma che “il notaio deve prendere in considerazione anche i tratti delle fattispecie concrete che di volta in volta gli vengono presentate per l’esercizio del suo ministero” e che “in relazione al rilascio di detto giudizio, ciò determina l’insorgere di un distinto fattore di incertezza: più o meno accentuato, a seconda dei casi, ma, comunque, in sé sempre presente” (pag. 93); PASSAGNOLI, Responsabilità notarile, nullità relativa e clausole vessatorie, in Riv. dir. priv., 2001, 458 e segg., il quale afferma che “il notaio vede oggi aggravato il proprio compito: egli non può invocare l’estraneità al suo ufficio di una valutazione di conformità dell’atto all’ordine pubblico di protezione. Egli, tuttavia, proprio per la particolare difficoltà che tale vaglio preventivo può comportare, potrà risultare immune da responsabilità, ove la nullità relativa dell’atto non sia manifesta o inequivoca: consegua cioè ad una sua negligenza o imperizia che, in relazione alla complessità e frammentazione delle fonti, alla loro difficoltà interpretativa, alla peculiarità del contenuto contrattuale od alla necessaria speditezza della attività notarile, possa ritenersi lieve. Ciò, se non varrà ad escludere la nullità dell’atto e delle sue clausole, ben potrà esonerare il notaio dalla responsabilità ex art. 28 della legge 16 febbraio 1913, n. 89” (pag. 464); MONTICELLI, Dalla inefficacia della clausola vessatoria alla nullità del contratto (Note a margine dell’art. 1469-quinquies, commi 1 e 3, cc.), in Rass. dir. civ., 1997, 565 e segg. il quale così dichiara: “riterrei che il pericolo della caducazione del contratto in conseguenza dell’accertata inefficacia della clausola abusiva non sia del tutto scongiurato ogniqualvolta l’inefficacia della singola clausola dia luogo ad una grave lacuna nel regolamento negoziale che ne impedisca il funzionamento per carenza di taluno degli elementi essenziali. In tale ipotesi il disposto rimane inefficace per il resto si rivela null’altro che un enunciato privo di valenza normativa” (pag. 578).
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