Tassazione dei patti di famiglia e dei trasferimenti di cui all'art. 1 comma 78 legge 27.12.2006 n. 296 (CD. Finanziaria 2007)
Tassazione dei patti di famiglia e dei trasferimenti di cui all'art. 1 comma 78 legge 27.12.2006 n. 296 (CD. Finanziaria 2007)
di Massimo Basilavecchia
Adriano Pischetola
Consiglio Nazionale del Notariato - Studio n. 43/2007/T
Pubblicato nella rivista Studi e Materiali CNN, 2/2008, p. 593.

Sommario 1. Premessa. 2 Profili del regime fiscale con riferimento alle imposte indirette. 3. Il presupposto negoziale. 3.1 In particolare i ‘trasferimenti’ nell’ambito del patto di famiglia. 4. I presupposti oggettivo e soggettivo; (segue) le quote sociali e le azioni; in particolare la detenzione del ‘controllo’ 5. Il presupposto temporale, con particolare riferimento alla prosecuzione dell’esercizio dell’attività d’impresa. 6. Il presupposto formale della dichiarazione. 7. La decadenza. 8. La decorrenza

1. Premessa

Il comma 78 articolo unico della legge 27 dicembre 2006 n.296 (cd. legge finanziaria 2007) (1) - come è noto - ha introdotto nel panorama normativo tributario (in tempi successivi alla reistituzione della 'neo-imposta' sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito(2) ...secondo le disposizioni del testo unico approvato con decreto legislativo 31 ottobre 1990 n.346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001(3)) una innovazione di rilevante spessore sistematico, consistente nella sottrazione dalla detta imposta dei "trasferimenti, effettuati anche tramite i patti di famiglia di cui agli artt. 768-bis e seguenti del codice civile a favore dei discendenti, di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni". L'innovativo intervento legislativo era stato da più parti e per più versi invocato particolarmente in relazione all'istituto del 'patto di famiglia' introdotto con legge 14 febbraio 2006 n. 55, nel cui ambito non era dato rilevare l'esistenza di una specifica regolamentazione dei relativi profili fiscali.(4)
Il legislatore ha inteso così colmare la lamentata lacuna, ampliando vieppiù l'ambito applicativo del trattamento fiscale esonerativo laddove ha previsto che esso trovi applicazione anche in caso di trasferimento del bene produttivo (azienda o partecipazione) al di fuori dello schema tipico del patto familiare.

Anche se, come si vedrà nel prosieguo, assume comunque un ruolo assorbente l'attività interpretativa del dettato normativo per coglierne l'esatta definizione del perimetro applicativo.

Il rilievo dell'intervento - come si diceva - si viene a profilare sul piano sistematico(5), soprattutto in funzione della (indiretta) qualificazione della fattispecie negoziale pattizia (i.e. del patto di famiglia), ascrivibile ora con ragionevole certezza all'area della 'gratuità' (6) (sia pure senza attenuazione della colorazione latamente divisionale in riguardo alla successione, per così dire, anticipata del disponente(7)), e fors’anche – come si avrà modo di precisare meglio nel prosieguo – di tutte le ulteriori articolazioni in cui quella fattispecie si atteggia, e segnatamente l'accordo liquidativo con i legittimari partecipanti al patto (non assegnatari del bene produttivo) e le attribuzioni da esso discendenti o ad esso connesse, anche a favore dei legittimari ulteriori o sopravvenuti. Non avrebbe senso infatti ritenere - ed ora più che mai dopo l'intervento innovativo di che trattasi - che il legislatore del patto di famiglia abbia voluto ipotizzare un trattamento civilistico privilegiato (ai fini della stabilità dell'acquisto del bene produttivo operato dal beneficiario), agevolando sul piano tributario solo il fenomeno traslativo del bene produttivo e non già le altre vicende ad esso connesse e tutte inscrivibili per statuizione normativa nella complessa economia del patto stesso: sarà ben vero il contrario, e cioè che quel trattamento può definirsi effettivamente privilegiato se comporta (anche) sul piano tributario la delimitazione di un'area, caratterizzata nel suo complesso da un’attenuazione significativa del prelievo, in cui farvi rientrare tutti gli elementi fattuali e negoziali che concorrono a qualificarne il contenuto.

Ciò tanto più se si accede da una lato alla opinione dottrinaria, che enfatizza correttamente la funzione 'unitaria' di quegli elementi, e predilige in ultima analisi un "inquadramento unitario" dell'istituto in parola(8) e dall'altro a quella (9)che senza indugio definisce il patto di famiglia un atto di liberalità "a carico dell'imprenditore ed a favore, in via diretta ed immediata, della parte assegnataria dell'azienda, ed in via indiretta e mediata, degli altri legittimari", o vuoi ancora ad altra autorevole opinione espressa di recente(10) per la quale il patto di famiglia potrebbe qualificarsi come ‘attribuzione liberale con funzione produttiva’ e rientrare più in generale nell’alveo dell’ampia e variegata categoria delle cd. ‘liberalità non donative’.

A quest’ultima prospettiva sembra ispirarsi la circolare dell’Agenzia delle Entrate n.3/E del 22 gennaio 2008(11) nel ricondurre il patto di famiglia nell’ambito degli atti a titolo gratuito, pur se stipulati – essa precisa - in assenza di un intento ‘prettamente donativo’ .

2. Profili del regime fiscale con riferimento alle imposte indirette

La tecnica redazionale adottata dal legislatore della novella presenta, per così dire, caratteristica 'additiva': ed infatti il regime di 'non assoggettamento ad imposta' (ça va sans dire, di successione e donazione) si ricava dall'aggiunta di un comma 4-ter all'art. 3 del T.U. n.346/90, rubricato, come è noto, "Trasferimenti non soggetti ad imposta". Collocazione che, per effetto della 'relatio' a quest'ultimo articolo operata dal comma 2 art. 1 e dal comma 3 art. 10 del T.U. approvato con d.lgs. 31 ottobre 1990 n.347 in materia di imposte ipotecaria e catastale, comporta la sottrazione (i.e. 'non assoggettamento' ) anche da dette ultime imposte dei trasferimenti di che trattasi (aziendali, in tutto o in parte, o di partecipazioni societarie) che comportino la esecuzione di formalità pubblicitarie di regola da esse incise. Sicché pare di poter ritenere non assoggettate ad imposte ipotecaria e catastale non solo le formalità finalizzate a dare pubblicità dell'avvenuto trasferimento aziendale comportante anche (indiretto) trasferimento di immobili ricompresi nel compendio alienato, quanto altresì quelle eseguite (sia pure facoltativamente) per dare conto dell'(eventuale) modifica della ragione sociale conseguente al trasferimento di società (intuitivamente solo) personali. Ciò in quanto la formula ampia ed onnicomprensiva usata da legislatore nell'art. 1 comma 2 e nell'art.10 comma 3 del cit. T.U. n.347 ('non sono soggette ad imposta le formalità [ndr: o rispettivamente] le volture ...relative ai trasferimenti di cui all'art. 3 del testo unico sull'imposta sulle successioni e donazioni') dovrebbe consentire agevolmente di pervenire a siffatta conclusione.(12)

Si è parlato opportunamente di 'non assoggettamento ad imposta' e non già di esenzione (come potrebbe accadere per l'operatività di una qualche franchigia), nonostante l’impropria collocazione prescelta per inserire la disciplina in esame(13); il che dovrebbe più fondatamente far ritenere la non debenza di alcuna imposta - nella fattispecie al vaglio - neppure quella in misura fissa prevista per l'imposta di registro. Se infatti (trattandosi di liberalità - ripetesi - non assoggettate ad imposta e non solo 'esenti') sicuramente non trova applicazione il disposto dell'art.59 1° comma lett.b) del T.U. n.346/90 - ove appunto è stabilita l'applicazione dell'imposta in misura fissa prevista per l'imposta di registro per le donazioni 'di ogni altro bene o diritto dichiarato 'esente' (14) - non è possibile nemmeno argomentare in senso affermativo per l'applicazione di tale imposta in forza del richiamo (operato per gli atti di donazione dall'art. 55 1° comma o dall'art. 60 del T.U. n.346/90) alle disposizioni contenute nel testo unico sull'imposta di registro ex DPR n.131/86 e, segnatamente, al disposto del comma 2 dell'art. 41 (rubricato 'Liquidazione dell'imposta'). Quest' ultimo infatti statuisce che "l'imposta principale non può essere in nessun caso inferiore alla misura fissa indicata nell'articolo 11 della tariffa, parte prima..."; ma - e qui è lo snodo essenziale - sempre laddove un'imposta (principale) sia dovuta (ancorché inferiore alla misura fissa). In ipotesi di non assoggettamento alcuno ad imposta invece pare logico concludere per l'assoluta non debenza.(15)

Di ciò pare potersi rinvenire una conferma nel passo della cit. circolare n.3E/2008 ove è precisato che ‘per la registrazione degli atti soggetti a tassazione in virtù dell’applicazione delle franchigie, è dovuta l’imposta in misura fissa’, rinviandosi alle osservazioni già formulate nella circolare 18 ottobre 2001 n.91. Dal che si dovrebbe desumere che se la imposizione non ha luogo perché trattasi di trasferimenti non assoggettati per nulla ad imposta (e non già per l’operatività di una qualche franchigia), l’imposta non è dovuta neanche in misura fissa.

Quanto sopra premesso consente ora e progressivamente di verificare quale siano i presupposti del ricordato regime fiscale, presupposti che per comodità descrittiva si indicano in : negoziale, oggettivo, e soggettivo.

3. Il presupposto negoziale

Il novellato art. 3 del T.U. n.346/90, al neo-introdotto comma 4-ter, statuisce la non soggezione ad imposta per i 'trasferimenti' di aziende o loro rami, di quote sociali ed azioni, senza nulla precisare in ordine alla natura di essi.

Si ha ragione di pensare che con la detta espressione si possano intendere tutte le fattispecie negoziali derivativo-costitutive (contrassegnate dalla connotazione della 'liberalità') all'uopo idonee ad assicurare (almeno laddove abbiano ad oggetto compendi aziendali) la traslazione della gestione del bene produttivo: e pertanto - oltre le cessioni nella loro configurazione paradigmatica anche - le costituzioni di usufrutto, le sub-cessioni di usufrutto da parte dell'usufruttuario (laddove non vietate dal titolo), le cessioni effettuate sia pure con riserva di disporre di cose determinate (ai sensi dell'art. 790 c.c.) o con condizione di riversibilità (ai sensi dell'art. 791 c.c.). Come è evidente che tali fattispecie possano concretarsi tanto in atti tra vivi quanto in disposizioni testamentarie a titolo universale o particolare (nella formula, ad esempio, del c. ‘legato d’azienda’). (16)

Inoltre è da ritenersi che il legislatore della novella abbia voluto far riferimento a fattispecie negoziali suscettibili di realizzare un effettivo arricchimento patrimoniale del beneficiario a fronte di un impoverimento del disponente, e cioè che nel concetto di 'trasferimenti' si debbano rinvenire i tratti distintivi di quelle che la migliore dottrina(17) qualifica come effettive 'liberalità' per distinguerle da fattispecie, pur gratuite, che realizzino una mera 'omissio adquirendi' (ove difettano sia l'arricchimento quanto l'impoverimento sopra detti).(18) Il che non impedisce di assimilare al concetto al vaglio l’ipotesi della mera rinuncia al diritto reale parziario sul bene produttivo, già vantato dal titolare, quando posta in essere con intento liberale o comunque gratuito, e ciò in quanto, come è noto, l’art. 1 comma 2 del T.U. n.346/90 considera ‘trasferimenti’ ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni anche le rinunzie a diritti reali.

3.1 In particolare i ‘trasferimenti’ nell’ambito del patto di famiglia

Non può, con evidenza, esaurirsi una riflessione esaustiva sul concetto di ‘trasferimenti’ di cui alla novella se non ci si fa carico di concentrare l’attenzione anche su quei momenti o elementi negoziali con efficacia in senso lato ‘attributiva’ – di cui s’è detto nella premessa - ulteriori rispetto al trasferimento del bene produttivo, e nei quali si racchiude la particolarità dell’istituto ‘patto di famiglia’. Ci si vuole riferire qui segnatamente alle attribuzioni, anche in natura:

  • a) effettuate dal discendente-beneficiario che provveda in tal modo alla ‘liquidazione’ a profitto dei legittimari partecipanti al patto – non assegnatari, ex art. 768-quater c.c. 2° comma;
  • b) effettuate direttamente dal disponente a vantaggio di questi ultimi (sia pure nell’ambito, in relazione ed a motivo dell’esistenza del patto) ex art. 768-quater c.c. 3° comma;
  • c) effettuate a vantaggio dei legittimari cd. di secondo grado o sopravvenuti non partecipanti al patto, all’apertura della successione del disponente, ex art. 768-sexies c.c.

Analizzando gradatamente le superiori ipotesi e supponendo – come già illustrato nella premessa - che tutta l’area negoziale (sia pure nelle sue variegate accezioni paradigmatiche ipotizzate dal legislatore con legge n.55/2006) sia ascrivibile, in senso unitario, all’ambito della ‘gratuità’ in senso lato e sia connotata da una fondante funzione programmatico-attributiva finalizzata ad attuare una successione anticipata del disponente(19), non sfugge come l’ipotesi sub a) – soprattutto se si ritenga giustificata una sua qualificazione in termini di strumentalità o correlatività(20) rispetto al trasferimento del bene produttivo, assumendo pertanto una colorazione assimilabile a quella di un ‘modus’ od onere donativo nella sua definizione tipica ex art. 793 c.c., sia pure di fonte legale – non possa essere soggetta ad altra tassazione diversa da quella prevista per gli atti a titolo gratuito. Di tanto si trova senz’altro una conferma sistematica nel disposto dell’art. 58 1° comma del T.U. n.346/90 per cui “Gli oneri di cui è gravata la donazione, che hanno per oggetto prestazioni a soggetti terzi determinati individualmente, si considerano donazioni a favore dei beneficiari”, e vieppiù nel disposto del 4° comma del medesimo articolo ove si prevede l’applicabilità delle disposizioni del Titolo III del T.U. , in quanto compatibili, anche “per gli atti di liberalità tra vivi diversi dalla donazione”. Ciò, non tanto e non solo perché il paradigma della donazione modale(21) si configura come quello che presenta maggiori similitudini con l’istituto al vaglio(22) e consente di accedere ad una considerazione unitaria dei vari segmenti in cui si articola il negozio pattizio, ma soprattutto perché l’attribuzione effettuata dal discendente può essere qualificata essa stessa a sua volta come liberalità ‘indiretta’ del disponente a favore dei legittimari non assegnatari(23). Del resto la neo-istituita imposta sulle successioni e le donazioni ( di cui ai commi 47 e ss. art. 2 del d.l. n.262/2006), e vieppiù la novella di cui al comma 78 al vaglio sembrano nel complesso decisamente ispirate ad un favor legislativo di largo respiro nei confronti di tutti i trasferimenti gratuiti (liberali e non), ed in particolare per quelli funzionalmente collegati e connessi con il trapasso generazionale di un bene produttivo. Peraltro siffatta ricostruzione teorica è l’unica che legittimi anche la operatività in concreto della disattivazione dei meccanismi di collazione e riduzione, disposta dal quarto comma art. 768-quater c.c., e cioè di istituti che presuppongono necessariamente l’effettuazione di pregresse liberalità, sia pure indirette.(24)

Le superiori considerazioni dovrebbero allora senza particolari affanni consentire di ritenere estensibile il sistema impositivo concepito dal più recente legislatore per gli atti liberali e gratuiti anche alla fattispecie negoziale di cui supra sub b): all’evidenza infatti, l’attribuzione (o, per usare, l’espressione usata dal legislatore, l’assegnazione), effettuata direttamente dal disponente a favore degli altri legittimari non assegnatari del bene produttivo(25) a fortiori va considerata una liberalità a loro profitto, anzi stavolta una liberalità diretta ed immediata, e ciò anche se disposta, come stabilisce l’art. 768-quater c.c., con successivo contratto espressamente dichiarato collegato al patto originario ed ove intervengano tutti gli originari contraenti (o i soggetti ad essi sostituiti). Tra l’altro non condurrebbe a diverse conclusioni, sotto il profilo che qui interessa, nemmeno una ricostruzione sia pure parzialmente diversa, che volesse individuare nell’assegnazione effettuata dal disponente (in sostituzione della liquidazione dovuta dal discendente-beneficiario, in tal modo sollevato dal relativo obbligo), una liberalità indiretta nei suoi confronti, realizzata attraverso l’adempimento del terzo ex art. 1180 c.c. o una sorta di espromissione ex art. 1272 c.c.: sempre infatti si continuerebbe a gravitare ai fini fiscali nell’orbita della pura liberalità negoziale, con consequenziale applicazione del relativo regime impositivo. Probabilmente si dovrebbe, accedendo a siffatta ultima ricostruzione dell’intera vicenda, ulteriormente distinguere tra liberalità di cui direttamente o indirettamente beneficerebbe il discendente (fino a concorrenza dell’ammontare della liquidazione dal medesimo dovuta agli altri legittimari non beneficiari del bene produttivo) e liberalità da intendersi effettuata direttamente a favore di tali ultimi legittimari per l’esubero rispetto alla liquidazione stessa.(26) Ma è evidente che sul piano della imposizione fiscale nulla cambierebbe.

Ne discende - a mò di corollario di quanto sopra detto - che ai fini dell’applicazione della neo-imposta sulle successioni e donazioni alle fattispecie, entrambe, rubricate sotto le precedenti lettere a) e b), dovrà prendersi a riferimento in ogni caso il rapporto di parentela in linea retta o di coniugio (con applicazione della relativa franchigia legale) intercorrente tra il disponente da un lato ed i legittimari non beneficiari del bene produttivo dall’altro, e non già (laddove la ‘liquidazione’ avvenga per il tramite del discendente beneficiario) del rapporto (di regola di parentela in linea collaterale) intercorrente tra questi e quei legittimari.(27)

Infine in riguardo all’ipotesi sopra rubricata sotto la lettera c) [i.e. attribuzioni effettuate a favori dei legittimari di secondo grado o sopravvenuti] va innanzitutto precisato che tali attribuzioni, lungi dall’esaurirsi solo nel ‘pagamento della somma prevista dal secondo comma dell’art. 768-quater c.c., aumentata dagli interessi legali’, possono consistere, pur nel silenzio della norma, anche in prestazioni diverse da quella specificamente pecuniaria, così come in atti con efficacia traslativa vera e propria, evidentemente anche nella forma della ‘datio in solutum’, ai sensi e in coerenza con quanto stabilito dall’art. 1197 c.c. Anche per detti segmenti della vicenda pattizia, peraltro, e quale che sia il soggetto passivo dell’obbligo di liquidazione (l’assegnatario del bene produttivo e/o anche gli altri legittimari non assegnatari che hanno ottenuto la liquidazione dei propri diritti in sede di stipula del patto o anche in esecuzione di contratto successivo, in quanto tutti ‘beneficiari del contratto’, così come si esprime la norma dell’art. 768-sexies c.c.) , è pensabile – coerentemente a quanto sopra detto – che essi rappresentino altrettante presumibili liberalità indirette che il disponente, se fosse sopravvissuto, avrebbe posto in essere nei confronti degli aventi diritto e che risultano di fatto formalizzate per il tramite del soggetto passivo di volta in volta esposto all’obbligo di liquidazione. Né in senso contrario depone la circostanza che l’adempimento della prestazione liquidativa avvenga in tempi successivi al decesso del disponente, in quanto ciò appare coerente già con il sistema (come si verifica esemplificativamente nell’ipotesi della prestazione eseguita a profitto del terzo dopo la morte dello stipulante ex art. 1412 c.c. o nella donazione cum praemoriar).

Di guisa che ai fini dell’imposizione fiscale indiretta dovrà aversi riguardo anche stavolta al rapporto di parentela (o di coniugio) che sarebbe intercorso tra il disponente del bene produttivo (poi mancato ai vivi) e il beneficiario (legittimario di secondo grado o sopravvenuto) della liquidazione di che trattasi, e non già a quello intercorrente tra tale beneficiario ed il soggetto passivo dell’obbligazione liquidativa; con ciò riconfermandosi l’unitarietà della qualificazione giuridica di tutte le fattispecie rientranti o comunque ricomprese nell’ambito genetico e funzionale della vicenda pattizia familiare.

Per dovere di completezza qui va peraltro riferito di quella linea di pensiero (28)espressa nella direzione della non imponibilità in forma ancora più radicale, e fondata sul presupposto che nelle convenzioni e nelle intese pattizie intercorrenti tra i futuri legittimari con attribuzione a profitto di quelli non beneficiari del bene produttivo di entità per così dire 'compensative' delle loro ragioni, sia possibile ravvisare i tratti distintivi degli "accordi diretti a reintegrare i diritti dei legittimari, risultanti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata" di cui è menzione all'art. 43 del D.Lgs. n.346/90. Questa norma (29)statuisce infatti che a quegli accordi si applichi l'imposta di successione (e giammai l'imposta di registro) in quanto ritenuti uno strumento giuridico finalizzato ad incidere sulla pianificazione dei rapporti comunque riconducibili al fenomeno successorio afferente il comune dante causa dei paciscenti(30). Vieppiù, se tali accordi si inscrivono nella vicenda del 'patto di famiglia' o comunque trovano in esso la scintilla causativa e genetica della loro formulazione, si dovrebbe optare coerentemente – secondo quanto argomentato nella linea di pensiero qui riferita - per la totale non imponibilità, perché proprio questa il legislatore della novella ha statuito espressamente in riferimento alla vicenda fondante (i.e. il trasferimento del bene produttivo): di guisa che non si potrebbe invocare la imponibilità delle vicende negoziali da quella scaturenti (come appunto gli accordi con funzione compensativa e con effetti ora attributivi, ora traslativi o comunque transattivi, intercorrenti con gli altri legittimari non beneficiari del bene produttivo), senza con ciò (forse) vanificare l'impalcatura complessiva del regime fiscale agevolato. (31)

Opinione, quella or ora esposta, che peraltro risulta sconfessata dai contenuti della richiamata Circolare n.ro 3E/2008 che ha espressamente escluso - come è noto - le attribuzioni (di somme di danaro e/o di beni diversi) poste in essere dall’assegnatario del bene produttivo a favore degli altri legittimari non assegnatari dall’ambito di ‘non assoggettamento ad imposta’ disegnato dal cit. comma 78, attraendole al contrario nell’alveo applicativo dell’ordinaria imposta sulle successioni e donazioni, senza peraltro entrare nel merito in ordine alla individuazione del rapporto di parentela o meno fiscalmente rilevante.

4. I presupposti oggettivo e soggettivo

Il trasferimento non soggetto ad imposta secondo quanto disposto dal cit. comma 78, in riferimento all’azienda o ad un suo ramo, deve riguardare un “complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa” (art. 2555 c.c.), ove pertanto l’organizzazione viene a configurarsi quale elemento coagulante del compendio trasferito; ma è evidente che la produttività potrebbe essere solo potenziale (e non già attuale). In senso più restrittivo invece si potrebbe ipotizzare che l’attività sia almeno iniziata, pur non essendosi formato un vero e proprio valore di avviamento(32). In ogni caso il dettato normativo non richiede nel disponente e nell’attualità del trasferimento la ‘qualitas’ di imprenditore in senso tecnico, pur dovendosi ragionevolmente ritenere che il trattamento fiscale agevolato sia finalizzato proprio alla conservazione dell’integrità funzionale dell’impresa esercitata (o da esercitare) tramite il compendio trasferito (o un suo ramo). Sicché laddove questo collegamento funzionale tra i beni strumentali si affievolisse o comunque risultasse non qualificativo dell’oggetto del trasferimento, si dovrebbe coerentemente negare l’applicazione di quel trattamento.

D’altra parte è bensì vero che, con riferimento al Patto di famiglia, l’art. 768 bis c.c. lo definisce un contratto con cui un ‘imprenditore’ trasferisce l’azienda in tutto o in parte ad uno o più discendenti, ma in dottrina(33) al riguardo si è fatto notare che non sembrerebbero sussistere apprezzabili ragioni per escludere l'applicabilità della relativa disciplina anche in mancanza attuale della qualifica imprenditoriale nel disponente: basti pensare all’ipotesi del proprietario dell'azienda concessa in affitto, che si preoccupi di garantire, alla scadenza dell'affitto, la continuità di gestione dell'impresa o all’azienda affittata (o concessa in comodato) al medesimo discendente destinatario del trasferimento. In tali fattispecie, sembrerebbe almeno incongruo - rispetto alle finalità conservative [rectius: non dispersive] perseguite dal legislatore - pretendere nel disponente la titolarità attuale di quella qualifica ai fini dell’applicazione del trattamento agevolato.

Risulta ormai risolta inoltre sul piano positivo la questione (che pure si era posta nei primi tempi di applicazione della disciplina di cui al comma 78 cit.) se i beneficiari del trasferimento debbano essere necessariamente o meno discendenti del disponente, problematica, questa, - come si ricorderà - che era stata sollevata da una formulazione non del tutto cristallina del dettato normativo, laddove nell’incipit del comma 4-ter citato si racchiudeva tra due segni di interpunzione l’inciso (con riferimento ai trasferimenti) “effettuati anche tramite i patti di famiglia di cui agli articoli 768-bis e seguenti del codice civile a favore dei discendenti ”. Una lettura - è evidente - non solo letterale, ma finalistica del disposto di legge e fondata su di una presunta costituzione da parte del legislatore della novella di un’area di ‘protezione fiscale’ del bene produttivo (azienda o partecipazione sociale che sia), indipendente dal rapporto di discendenza del beneficiario rispetto al disponente, avrebbe infatti potuto indurre a ritenere plausibile un approccio alla novella in tal senso(34). Anche se, oltre che ragioni di cautela nel considerare legittima una siffatta pervasiva innovazione normativa in campo fiscale, anche altre motivazioni più meditate avrebbero già di per sé potuto sospingere l’interprete ad optare per un approccio diverso, più ridotto, tale da considerare applicabile il trattamento di favore solo ai trasferimenti a favore dei discendenti del disponente.

E tale infatti - più ridotto - approccio è quello desumibile per effetto della novella portata dal comma 31 art. 1 della legge n.244/2007 (cd. Finanziaria per il 2008) ove è stabilito che all’art.3 comma 4-ter del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990 n.346, dopo le parole “a favore dei discendenti” sono inserite le seguenti “e del coniuge”.

La previsione consente infatti ora di argomentare con ragionevole certezza nel senso che risulta ridondante l’espressione ‘a favore dei discendenti’ se intesa con riferimento ai soli ‘patti di famiglia’: questi, nella loro definizione paradigmatica ex art. 768-bis c.c., (35)non potrebbero concepirsi se non fossero stipulati proprio e solo a favore dei discendenti.

Sicché, come già rilevato, “la tesi più ampia, che considerava esclusi tutti i trasferimenti di azienda, riferendo ai soli casi di ricorso al patto di famiglia l'identificazione dei cessionari con i "discendenti", sembra ora insostenibile, posto che il legislatore ha avvertito l'esigenza di menzionare espressamente un'ulteriore categoria di cessionari meritevoli dell'esclusione, affiancando ‘il coniuge’ ai ‘discendenti’ ".(36)

Del resto anche scorrendo taluni degli atti parlamentari relativi alla Finanziaria 2007 non pare che nelle intenzioni degli elaboratori del legislatore abbia mai preso corpo l’idea di un’applicazione indiscriminata del trattamento di favore:(37) tanto forte, probabilmente, sarebbe stata la discrasìa rispetto all’impianto generale e complessivo della reistituita imposta sulle successioni e donazioni ove grande rilievo viene dato al rapporto di parentela (o di coniugio) e quindi, per converso, alla speculare circostanza dell’assenza di un tale rapporto.

A ciò aggiungasi che anche in sede comunitaria è stata di regola sempre oggetto di particolare attenzione non solo la preservazione della unità funzionale del bene produttivo in sé - in vista dell’evento ‘morte’ del titolare -, ma soprattutto la trasmissione a livello generazionale della potenzialità produttiva del bene. Prova ne sia che nella famosa Comunicazione della Commissione CEE del 7 dicembre 1994, sulla successione nelle piccole e medie imprese(38), antesignana rispetto al movimento di opinioni e culturale tradottosi poi sul piano normativo nell’emanazione della legge n.55/2006 sul Patto di famiglia, si sollecitavano i paesi membri ad adottare innovazioni legislative in grado di indurre ad una trasformazione della riserva in ‘natura’ ad una riserva ‘di valore’, e ad agevolare fenomeni di trasmissione 'veicolata' dell'azienda, con riguardo giustappunto all’ambito familiare(39). E così pure, con altra comunicazione qualche anno più tardi (40) si rilevava che “specialmente nel caso delle imprese familiari, gli accordi (interfamiliari) possono essere utili per tramandare determinati criteri gestionali da una generazione all’altra”.

Inoltre anche la legislazione speciale spesso ha normato in relazione a particolari fattispecie prevedendo criteri di preferenza (in ordine alla concentrazione dell’azienda ed in deroga ai principi successori generali) a favore dell’uno o dell’altro soggetto avente causa dal titolare, pur sempre però individuato nel novero degli eredi (e presumibilmente legato da un vincolo di parentela con il dante causa) e non di qualunque soggetto anche terzo e magari estraneo a quel novero. Così dicasi in riferimento alla normativa sui contratti agrari(41) o a quella in materia di “Conservazione dell'integrità dell'azienda agricola” di cui alla legge n.97/1994(42) o ancora in materia di ‘Compendio unico’, considerato – come è noto – indivisibile dal d.lgs. n.99/2004 per un periodo di dieci anni, prevedendosi all’art.7 che “Qualora nel periodo di cui al comma 4 [n.d.a cioè del decennio di indivisibilità], i beni disponibili nell'asse ereditario non consentano la soddisfazione di tutti gli eredi secondo quanto disposto dalla legge in materia di successioni o dal dante causa, si provvede all'assegnazione del compendio di cui al presente articolo all'erede che la richieda, con addebito dell'eccedenza.”

In altre parole, da tutto quanto sopra evidenziato, sembra di poter cogliere quale specifica ‘ratio legis’ sottesa alla norma introduttiva del trattamento fiscale quella di assicurare la neutralità fiscale del passaggio intergenerazionale o al più interfamiliare del bene ‘azienda’ (o comunque del bene sia pure indirettamente collegato ad essa, qual è la partecipazione all’organismo societario a sua volta esercente attività d’impresa), con consequenziale soggezione ad imposizione ordinaria dei trasferimenti di beni produttivi a favore di soggetti diversi dai discendenti e (ora anche) dal coniuge.

(segue) le quote sociali e le azioni; in particolare la detenzione del ‘controllo’.

Nell’ambito dei presupposti oggettivi, particolare rilievo assume la riflessione in ordine al tipo di partecipazioni societarie il cui trasferimento rientri nel perimetro della normativa fiscale di favore. La legge Finanziaria 2007 precisa che tali – in caso di s.p.a, s.a.p.a., s.r.l., società cooperative e società di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato – sono solo quelle che assicurino al beneficiario del trasferimento l’acquisizione o l’integrazione del controllo ex art. 2359 primo comma n.1 c.c., e cioè quel controllo che si esercita disponendo della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria(43). Non è richiesto, al contrario, in caso di trasferimento di società personali, alcuna idoneità delle partecipazioni trasferite ad assicurare un siffatto controllo. Ciò forse si spiega perché il legislatore della novella suppone che solo nelle prime società possa prevalere - in riferimento alla titolarità delle partecipazioni possedute dal disponente - un interesse più marcatamente speculativo e di natura capitalistica, e possa pertanto difettare quel collegamento tra titolare della partecipazione sociale stessa ed attività aziendale (di regola, più stretto nelle società di persone, se non altro sul piano delle responsabilità per le obbligazioni sociali, con la sola eccezione del socio accomandante nelle s.a.s.), in considerazione della cui permanenza nell’ambito della vicenda di trasmissione generazionale - come sopra si è visto - trova giustificazione il trattamento fiscale agevolato.

A) Controllo e società personali. I dubbi però s’infittiscono laddove la novella condiziona la permanenza delle agevolazioni alle ulteriori condizioni (operanti con modalità alternative) della prosecuzione dell’esercizio dell’attività d’impresa ovvero della detenzione del controllo (deve ritenersi) nell’ambito societario per un quinquennio dalla data di trasferimento. Ora, mentre la prosecuzione dell’esercizio dell’attività d’impresa - di cui amplius infra - non può non riferirsi all’unica ipotesi dell’azienda già individuale del disponente e proseguita dal beneficiario quale unico titolare, [e ciò per l’evidente motivo che non può essere posta una condizione di siffatto genere con riferimento alle partecipazioni societarie eventualmente trasferite], la condizione della ‘detenzione del controllo’, anche da un punto di vista sintattico e nell’ottica di una interpretazione combinata dei disposti di cui al secondo e al terzo periodo del comma 4-ter al vaglio, sembrerebbe avere immediato riferimento a quel concetto di “controllo ai sensi dell’art. 2359 prima comma numero 1) del codice civile”, alla cui acquisizione [o integrazione] la legge Finanziaria 2007 subordina il trattamento agevolato in caso di trasferimento delle sole partecipazioni a s.p.a, s.a.p.a., s.r.l., società cooperative e società di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato(44). Del resto parrebbe almeno anomalo riferire la condizione quinquennale della “detenzione del controllo” anche alle società personali per evitare la decadenza dal regime fiscale agevolato (di cui si dirà più ampiamente in appresso), se già in fase di input (i.e. di iniziale accesso al regime stesso) non è richiesto dalla norma che le partecipazioni trasferite debbano giocoforza assicurare l’acquisizione o l’integrazione del controllo stesso (come invece stabilito per le altre società di cui s’è detto ed espressamente individuate dal legislatore della novella).

Tale lettura, evidentemente, conduce a ritenere plausibile tale trattamento anche laddove oggetto di trasferimento fossero partecipazioni a società personali del tutto insignificanti ed assolutamente non determinanti in riferimento alla gestione aziendale; ne risulterebbe disattesa la presunta ‘ratio legis’ qui individuata nella neutralizzazione fiscale del trapasso generazionale di ogni realtà od organismo imprenditoriale direttamente [i.e azienda o un suo ramo] o indirettamente [i.e. le partecipazioni societarie] produttivo, preservandone efficienza, funzionalità ed unitarietà.

Ma a ben vedere, forse, così non è.

Se certo non basta il prendere atto di una ben precisa statuizione legislativa per convincersi della sua coerenza logica, d’altra parte è pensabile che proprio il più diretto coinvolgimento alle sorti dell’impresa da parte del socio di società personale (sia pure di minoranza) rispetto al socio di altro tipo di società, di capitale o comunque non personale, può essere stato il fattore dirimente per non richiedere anche per le partecipazioni alle prime la loro idoneità ad ‘acquisire’ o ‘integrare’ alcun controllo, e che, pertanto, coerentemente, non sia richiesto alcuna detenzione di ‘quel’ controllo (tanto meno per un periodo di tempo minimo) al fine dell’applicazione del trattamento agevolato. In altre parole, pare legittimo sostenere che la detenzione quinquennale del controllo sia richiesta – come ulteriore condizione oggettiva ai fini del trattamento di che trattasi – solo per società diverse da quelle di persone (e segnatamente, s.p.a, s.a.p.a., s.r.l., società cooperative e società di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato), in quanto in queste [e non in quelle personali] la distanza tra le sorti dell’impresa ed i soci può essere più ampia, e la partecipazione può avere colorazione e valenza più marcatamente speculativa; del che correttivo naturale ai fini di che trattasi sembrerebbe essere proprio la possibilità, attraverso il controllo di cui s’è detto, di esercitare un dominio sull’attività d’impresa, e quindi, a motivo di questo, un più diretto ed effettivo coinvolgimento nelle sorti della medesima. Nelle società di persone questa esigenza di controllo pare sfumare, quanto meno - come si accennava - per il generale ordinario regime di responsabilità connessa alle obbligazioni sociali; ciò legittimando sul punto una lettura restrittiva della novella recata dalla Finanziaria 2007.

Le superiori conclusioni risultano altresì confermate dall’orientamento assunto dall’A.F. nella cit. circolare n.3/E del 22 gennaio 2008 ove è testualmente richiesta la condizione della detenzione del controllo – ai fini dell’applicazione del regime fiscale premiale – solo ai trasferimenti aventi ad oggetto azioni o quote di partecipazione in società di capitali e non di persone.

B) Controllo ed operazioni straordinarie.

Sempre in relazione al controllo, ma sotto diverso profilo, potrebbe profilarsi il dubbio che, in caso di operazioni straordinarie (trasformazione, fusione scissione, ecc..), succedutesi nel quinquennio dal trasferimento, possa verificarsi un causa decadenziale dal trattamento agevolato, laddove, beninteso, in esito all'operazione stessa si palesi uno stravolgimento nei rapporti di forza tra i vari soci e, segnatamente, una perdita da parte di quello o di quelli beneficiati dello status detentivo qualificato richiesto dalla norma . E ciò, si badi bene, sempre e solo nell’ambito delle società di capitali (restando acquisito che in quelle personali le siffatte operazioni straordinarie non potranno in ogni caso determinare decadenza dal trattamento agevolato, per la irrilevanza della idoneità delle partecipazioni societarie ad assicurare il ‘controllo’).

Siffatta risulta essere proprio la posizione dell’A.F. che, nella richiamata circolare n. 3/E, ha ritenuto di poter condizionare la permanenza del trattamento di cui si discute alla circostanza per cui in esito all’operazione straordinaria il socio risulti comunque possedere o integrare lo status detentivo qualificato. (45)

C) Controllo e tipologie di società di capitali.

Infine resta da capire se il richiamo effettuato nel comma 4-ter, secondo periodo, ai soggetti di cui all’art.73 comma 1, lettera a) del TUIR (e quindi, come si accennava, a s.p.a, s.a.p.a., s.r.l., società cooperative e società di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato), sia da qualificarsi come ‘vincolante’, oppure consenta: a) da un lato di ritenere estensibile il trattamento agevolato anche a siffatte società, ancorché non residenti nel territorio dello Stato, e b) dall’altro di escludere dal novero dei soggetti, per i quali è stabilita la condizione della detenzione quinquennale del controllo, le società cooperative e le società di mutua assicurazione.

Sembra da preferire al riguardo, in ordine alla prima delle due questioni, l’opinione più estensiva, in quanto non pare che la pregressa residenza nel territorio dello Stato italiano della società interessata al trattamento al vaglio sia stata mai valutata specificamente dal legislatore della novella quale ‘conditio sine qua non’ per l’accesso al trattamento stesso(46). Di tanto si può trovare conferma nei lavori preparatori ove non è mai fatto cenno a questa presunta condizione; del resto in tal senso depongono anche considerazioni di carattere logico fondate sul favor legislativo in ordine al ‘tipo’ di trasferimenti gratuiti (che abbiano ad oggetto quote ed azioni) e non certo sulla nazionalità della società che quelle quote o azioni abbia emesso.

In ordine poi alla seconda delle due questioni poste (circa la sottrazione di cooperative e di mutue assicuratrice dal novero dei soggetti tenuti a rispettare la detenzione quinquennale del controllo per non decadere dal trattamento agevolato), sembra che non possa compiutamente discorrersi in ordine a siffatti tipi societari della possibilità di un ‘controllo’ in senso stretto e tecnico, come invece accade nell’ambito delle società capitalistiche. Sicuro indice normativo in tal senso è proprio il cd. principio del voto capitario (ex art. 2538 2° comma c.c. – per il quale ‘ciascun socio cooperatore ha un voto, qualunque sia il valore della quota o il numero delle azioni possedute’), (47)applicabile, per il richiamo fatto dall’art. 2547 c.c., anche alle mutue assicuratrici(48). In queste ultime poi, come è noto, la mutualità si atteggia in modo affatto particolare: vi è stretta connessione, se non identificazione, tra rapporto sociale e rapporto mutualistico (società e socio sono vincolati dal rapporto mutualistico per il solo fatto dell'instaurazione del rapporto sociale) e addirittura in esse manca un capitale sociale,(49) potendo prevedersi nell’atto costitutivo (ex art. 2548 c.c.) solo la costituzione di fondi di garanzia. Ciò lascia pensare che con estrema difficoltà possa richiedersi anche con riferimenti a tali organismi, segnati da una comune causa mutualistica, il rispetto della condizione quinquennale detentiva del ‘controllo’: in essi infatti un ‘controllo’ (nel senso inteso dalla norma agevolativa) non appare effettivamente esperibile (ad onta della entità della partecipazione posseduta), per i limiti posti nella espressione del voto e quindi in generale per la irrilevanza della partecipazione stessa (rispetto al capitale sociale, e sempreché un capitale sussista) in ordine ai destini dell’impresa societaria.

5. Il presupposto temporale, con particolare riferimento alla prosecuzione dell’esercizio dell’attività d’impresa

Ulteriore condizione per beneficiare del trattamento agevolato è, come sopra accennato, la prosecuzione dell’esercizio dell’attività d’impresa per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento: condizione di cui potrà verificarsi la sussistenza solo ex post, decorso il quinquennio.

Al di là della intuitiva operatività di tale condizione nell’ipotesi piana (e statisticamente più ricorrente) della prosecuzione dell’attività d’impresa da parte dell’unico beneficiario della ditta individuale già di titolarità del disponente, non sembra che possa ritenersi insoddisfatta la detta condizione qualora l’attività d’impresa prosegua nelle forme dell’esercizio collettivo da parte dei beneficiari congiunti dell’azienda trasferita. Del che dovrebbe costituire prova adeguata anche il regime di neutralità fiscale - ai fini delle imposte dirette - del trasferimento di azienda per causa di morte o per atto gratuito che ai sensi dell’art. 58 TUIR approvato con DPR n.917/86, non costituisce realizzo di plusvalenze dell'azienda stessa, restando questa assunta ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti nei confronti del dante causa; e ciò anche quando, a seguito dello scioglimento, entro cinque anni dall'apertura della successione, della società esistente tra gli eredi, la predetta azienda resti acquisita da uno solo di essi: il che lascia intuire un favor dell’ordinamento per i trasferimenti aziendali gratuiti quale che sia la forma di esercizio dell’attività d’impresa, con riguardo quindi alla sua struttura oggettiva e non soggettiva.

E in questa stessa prospettiva l’A.F. ha ritenuto(50) che il conferimento in società dell’azienda donata dal disponente ai discendenti sia ‘assimilabile al proseguimento dell’esercizio dell’attività d’impresa’, anche se poi – coerentemente con quanto sopra illustrato – ha operato un distinguo al fine della permanenza del trattamento fiscale agevolato tra conferimento in società di persone (in esito al quale non sarebbe richiesta l’ulteriore condizione soggettiva della detenzione del ‘controllo’ delle partecipazioni societarie acquisite da parte dei soci conferenti) e in società di capitali (ove invece quella condizione apparirebbe essenziale).

Né, per motivazioni consimili a quelle accennate, sembrano ostare al trattamento agevolato vicende infraquinquennali di tipo ‘straordinario’ (quali operazioni di fusione, scissione, trasformazione, ecc..) conseguenti all’acquisizione dell’azienda(51): sicché anche il successivo conferimento del patrimonio aziendale in una società a costituirsi o già esistente, avvenuto medio tempore, non costituirà causa di decadenza dal beneficio fiscale, risultando comunque rispettata la condizione di legge.

Potrebbe accadere, poi, che l’assegnatario del complesso aziendale deceda a sua volta, a quinquennio ancora pendente, aprendo una nuova successione nella quale il bene produttivo agevolato subisce un secondo trasferimento. Se il secondo beneficiario non prosegue l’attività d’impresa, il relativo trasferimento sarà da includere nell’attivo ereditario, sia pure senza tener conto del valore di avviamento, mentre si pone il dubbio se la mancata prosecuzione infraquinquennale dell’impresa, da parte dell’avente causa diverso dall’originario beneficiario, determini la decadenza dall’agevolazione del primo trasferimento (con esclusione, comunque, della sanzione, attesa la normativa di principio del d.lgs. 472/97, che presuppone un trasgressore consapevole, quanto meno in stato di colpa, quale non può essere ritenuto chi appare terzo rispetto al trasferimento agevolato). Si tratta di scegliere tra una visione più liberale, che evidentemente, pur dandosi carico della ragione oggettiva di tutelare la prosecuzione dell’attività produttiva agevolata, tiene conto della impossibilità di trasmettere vincoli derivanti da scelte personali del beneficiario del primo trasferimento sugli aventi causa, ed una concezione più rigorosa, che valorizza sopra ogni altro aspetto l’esigenza sostanziale perseguita dal legislatore, fino a ipotizzare un vincolo di portata quasi reale; concezione che trova forse un supporto letterale nella minacciosa formulazione plurale (“gli aventi causa”) con la quale la portata soggettiva della condizione sotto pena di decadenza è espressa nel comma 4ter dell’art. 3(52).

E’ evidente, poi, che la prosecuzione dell’esercizio d’impresa potrà ritenersi circostanza condizionante l’applicazione del beneficio di che trattasi solo laddove l’oggetto del trasferimento sarà costituito dall’azienda o un suo ramo e non da partecipazioni societarie, insuscettibili queste di influire in modo diretto ed immediato sulla possibilità o meno di assicurare la continuazione dell’attività imprenditoriale, riferibile alla società, e quindi a soggetto diverso dai titolari delle partecipazioni stesse(53). Si potrebbe pensare in contrario che la legge richieda anche in questa seconda fattispecie il mantenimento della titolarità della partecipazione, in modo da assicurare - sia pure in via mediata - che venga rispettata la condizione dell’esercizio dell’attività d’impresa (almeno) quinquennale. Ma si tratterebbe di un ragionamento che forse - come usa dire - prova troppo, in quanto laddove il legislatore ha ritenuto condizionante – pena la decadenza dal beneficio – il rispetto dell’obbligo di conservazione della titolarità, lo ha lasciato intendere, sia pure indirettamente, richiedendo la ‘detenzione del controllo’ della società di cui è socio il beneficiario (detenzione che indubbiamente contiene in sé ed implica la permanente titolarità delle partecipazioni): a tutto concedere ciò allora è da ritenersi – sulla scorta delle pregresse argomentazioni – che accada solo in relazione alle s.p.a, s.a.p.a., s.r.l., società cooperative e società di mutua assicurazione(54), e non in relazione ad altri tipi societari in cui il titolare delle partecipazioni possa anche non disporre del ’controllo’. Il che trova anche una sua coerenza logica, perché solo detenendo il dominio ‘di fatto’ di una società si può ragionevolmente influire sulle decisioni di prosecuzione o cessazione gestionale, e perché parallelamente non pare equa l’applicazione della sanzione decadenziale a carico del titolare di partecipazioni societarie (a causa del sopravvenuto mancato esercizio dell’attività d’impresa), il cui peso possa non essere al riguardo influente e determinante (come può accadere nelle società personali, se si condivide il superiore ragionamento elaborato).

6. Il presupposto formale della dichiarazione

La novella pone tra le condizioni cui è subordinato il regime fiscale di favore anche la dichiarazione (da rendersi contestualmente alla presentazione della denuncia di successione o – come si esprime il legislatore – “all’atto di donazione”) con cui gli aventi causa esprimano l’intenzione di proseguire l’esercizio dell’attività d’impresa o di detenere il controllo societario per un quinquennio dalla data del trasferimento. Al riguardo, in caso di successione, la data del trasferimento (e quindi dell’acquisto della titolarità dell’azienda o delle partecipazioni) non è necessariamente coincidente con quello della presentazione della dichiarazione di successione, ma ovviamente con quello dell’acquisto della qualità di erede (o legatario); pertanto solo da questo momento (e non dal primo) decorrerà il periodo quinquennale di esercizio dell’impresa o di detenzione del controllo cui la norma assoggetta il regime di favore. Sicché, in caso di acquisto della qualità ereditaria in tempi precedenti rispetto alla dichiarazione di successione, il quinquennio si compirà prima del decorso di cinque anni dalla presentazione di quest’ultima. Detta dichiarazione, poi, come precisato, - pur non dovendo assumere veste formale solenne - deve essere ‘contestuale’: il che potrebbe non significare necessariamente nel medesimo contesto ‘documentale’ (denuncia o atto), ma al più nel medesimo contesto ‘temporale’ . Ragioni di più agevole intelligibilità (in riferimento all’applicazione del trattamento fiscale agevolato) e di carattere probatorio suggeriscono tuttavia di intendere l’espressione anche in senso ‘documentale’ .(55)

Per i motivi di cui sopra sarà poi opportuno, anche laddove non ricorra l’obbligo legale di presentare la denuncia di successione ex art. 28 settimo comma del T.U. n.346/90(56), provvedere parimenti a tale adempimento, corredandola con la dichiarazione di che trattasi.

Pare poi intuitivo - anche se è opportuno precisarlo - che in ogni caso a fronte del trasferimento gratuito del bene produttivo il beneficiario potrà anche non valersi dello speciale regime agevolato al vaglio (soprattutto qualora non intenda rendere la dichiarazione di impegno alla prosecuzione dell'esercizio dell'attività d'impresa o alla detenzione del controllo per un quinquennio), di guisa che quel trasferimento verrà sottratto dalla particolare area di 'non imponibilità' tratteggiata dalla novella e risulterà attratto invece in quella di ordinaria imponibilità (salva l'applicazione della franchigia di rito con suo relativo assorbimento in tutto o in parte) di cui alla 'neo-istituita' imposta di successione/donazione; fermo rimanendo il fatto che, al contrario, qualora il beneficiario del bene produttivo volesse evitare l'assorbimento, sia pure parziale, della franchigia di legge, sarà giocoforza ricorrere alla dichiarazione d'impegno di cui si discorre.

7. La decadenza

Si verifica decadenza dal trattamento di favore qualora risulti dismesso l’esercizio dell’attività d’impresa o la titolarità del ‘controllo’ societario prima dei cinque anni dal trasferimento; mentre è ragionevole che non si verifichi decadenza, ma, più correttamente, non vi sia nemmeno il presupposto per l’accesso al trattamento stesso qualora non risulti resa, contestualmente alla denuncia di successione o all’atto traslativo, la dichiarazione richiesta dal terzo periodo del nuovo comma 4-ter al vaglio (cioè di voler proseguire l’esercizio imprenditoriale o detenere il controllo per il quinquennio).In tal caso è previsto, oltre il pagamento dell’imposta in misura ordinaria (se dovuta), anche l’applicazione della sanzione amministrativa ex art. 13 d.leg.vo 18 dicembre n.471 (pari al trenta per cento dell’importo non versato) ed il pagamento degli interessi di mora decorrenti dalla data in cui l’imposta medesima avrebbe dovuto essere versata.

8. La decorrenza

La novella risulta entrata in vigore in tempi differenziati secondo che il trasferimento sia di provenienza successoria (in tal caso 3 ottobre 2006) o non successoria (in tal caso 1° gennaio 2007). Ciò può avere delle ricadute di non lieve momento per quanto concerne i trasferimenti di matrice successoria. Questi, infatti, potrebbero ben aver comportato la devoluzione di aziende (o di loro rami) come di partecipazioni societarie, magari soggetta ad imposizione secondo il regime in vigore dal 3 ottobre 2006 fino all’entrata in vigore della finanziaria 2007, regime che non prevedeva il ‘non assoggettamento ad imposta’ di tale devoluzione, introdotto dalla novella di che trattasi. E’ pertanto possibile che, ricorrendo tutte le condizioni previste dalla norma di cui al comma 4-ter e laddove la fattispecie devolutiva avesse comportato l’esborso di imposta, il beneficiario del trasferimento (intercorso nel detto lasso temporale) potrebbe aver maturato un diritto alla ripetizione dell’imposta indebitamente percetta dall’A.F., che a sua volta potrà semmai subordinare il riconoscimento ex post del trattamento agevolato alla sola dichiarazione di prosecuzione dell’esercizio dell’attività d’impresa o di detenzione del controllo, da rendersi necessariamente ed in via eccezionale in tempi non contestuali con la già avvenuta presentazione della denuncia di successione.


(1) pubblicata sul Supplemento ordinario alla G.U. n.299 del 27 dicembre 2006 - Serie generale
(2) avvenuta in forza del disposto di cui all'art. 2 comma 47 del D.L. 3 ottobre 2006 n.262 come convertito dalla L.24 novembre 2006 n.286
(3) e fatto salvo quanto disposto dai commi da 48 a 54 del medesimo art. 2 D.L. n.262/2006
(4) cfr. sul punto le osservazioni formulate dai primi commentatori dell'istituto al vaglio FRIEDMANN, Le implicazioni fiscali delle attribuzioni familiari, Prime riflessioni sul trattamento del Patto di f. ai fini delle imposte indirette, in Patti di famiglia per l'impresa, Milano 2006, pag.185; BASILAVECCHIA, Le implicazioni fiscali delle attribuzioni tra familiari, le implicazioni del Patto di f. , aspetti sistematici, ibidem p.194; PURI, Le implicazioni fiscali delle attribuzioni tra familiari, Profili dell'imposizione diretta del Patto di f. , ibidem p.202; si è in particolare auspicato che “il passaggio generazionale del’impresa sia escluso (o, quanto meno, radicalmente agevolato) dalla imposizione anche indiretta”, osservando che la norma agevolativa “non potrebbe investire solo i trasferimenti conseguenti al patto di famiglia, ma dovrebbe più ampiamente garantire l’esclusione dalla imposizione sulle liberalità e sulle successioni di tutti i trasferimenti nell’ambito familiare aventi ad oggetto aziende. Per le partecipazioni sociali, potrebbe invece limitarsi l’agevolazione a quelle sole cessioni che garantiscano, per la loro attitudine a consentire un controllo gestionale, il raggiungimento di effetti equivalenti a quelli connessi al trasferimento di azienda.” Così BASILAVECCHIA, op.loc.cit.. Sembra che il legislatore si sia mosso proprio in tale ottica, tanto da modellare la non soggezione ad imposta proprio sulla fattispecie del patto di famiglia, così condizionando eccessivamente, come si avrà modo di vedere, l’applicazione del beneficio o le strategie aziendali successive al trasferimento, soprattutto nei casi di successione ereditaria; così, consapevolmente o meno, finendo con il disegnare una disciplina che incentiva fortemente il ricorso al patto di famiglia, che consente un’anticipata sistemazione delle aspettative di tutti i potenziali legittimari.
(5) come già rilevato da PISCHETOLA nelle Segnalazioni Novità Normative: legge finanziaria 2007 - le modifiche relative ai trasferimenti gratuiti a favore di discendenti di aziende, quote sociali, azioni in CNN Notizie del 19 dicembre 2006 n.239
(6) nel contempo è da rilevare che il progetto di legge a firma dell’On.Pastore n.ro 1353 (che a sua volta riproduceva con alcune modifiche semplificative il disegno di legge n.2799, presentato sempre dall'On.Pastore il 2 ottobre 1997, nel corso della XIII legislatura), poi assorbito in quello n.ro 3567, definitivamente approvato e che si è tradotto nella legge n.55/2006,, era più esplicito rispetto al testo risultante da questa ultima legge, perché qualificava espressamente come ‘donazione’ l’atto di assegnazione dell’azienda (o delle partecipazioni sociali) ad uno o più discendenti. Tale precisazione invece manca nel testo vigente.
Ma ciò non sembra costituire un argomento decisivo per escludere la colorazione ‘liberale’ della fattispecie in questione, in quanto l’esatta definizione del ‘genus’ cui il patto di famiglia è ascrivibile non pare possa e soprattutto debba essere - di per sé - operazione concettuale di spettanza del legislatore, quanto dell’interprete e del giurista in particolare. Soprattutto, sembra di poter reputare legittima quella colorazione se si aderisce alla opinione autorevolmente espressa in dottrina per la quale si ha donazione ogni qual volta si ponga in essere un “depauperamento del donante accompagnato dall’arricchimento del donatario, intendendo tale arricchimento non in senso empirico ed economico, ma in senso giuridico, cioè come mancanza di corrispettivo dell’attribuzione patrimoniale”(così CAPOZZI, Successioni e Donazioni, Milano1982, pag. 791, riferendosi alla cd. ‘teoria oggettiva’ sostenuta in dottrina da Torrente, Messineo, Casulli)
(7) ciò in quanto tale colorazione non può essere denegata: e non tanto e non solo per considerazioni di carattere topografico (risultando collocato il patto di famiglia nel nuovo capo V-bis nel titolo IV del Libro delle successioni, dedicato alla "divisione"), quanto piuttosto per la funzione di 'apporzionamento' perseguita in ultima analisi dal patto di famiglia, nell'ottica di una 'successione anticipata' (sul che amplius AMADIO, Divieto dei patti successori ed attualità di interessi tutelati, in Patti di famiglia per l'impresa, op.cit., pagg.75 e ss.; nonché ZOPPINI, Il patto di famiglia (linee per la riforma dei patti sulle successioni future), Diritto privato, 1998, IV, Del rapporto successorio: aspetti, Padova 1999, p.263 ss.
(8) così BASILAVECCHIA, op, cit., pag. 197 per il quale, se si dovesse addivenire ad una imposizione frammentata e distinta di tutti i segmenti di cui si compone la vicenda pattizia, si dovrebbe ammettere che " il legislatore avrebbe introdotto un istituto di riconosciuta utilità economica e sociale, ma strutturato in una forma complessa che, se sottoposta a tassazione con riguardo alla separata considerazione di ciascun elemento della fattispecie, avrebbe dato luogo a un regime fiscale nettamente più gravoso di quello che si realizza a seguito della successione ereditaria... con la conseguenza che di fatto non sarebbe conveniente farvi ricorso."
(9) cfr. RIZZI, Il patto di famiglia, in Notariato, 2006, 4, pag. 429 e ss.
(10) PERLINGIERI, Il patto di famiglia tra bilanciamento dei principi e valutazione comparativa degli interessi, in Liberalità non donative ed attività notarile, I Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato, 2008, pagg. 122 e ss.
(11) consultabile in Fisconline, De Agostini Professionale
(12) sembra di capire che al contrario GAFFURI, Il patto di famiglia nel quadro dell'imposizione tributaria, in Atti del Convegno di Paradigma del 2 febbraio 2007, pag. 8 sia attestato su posizioni diverse, ritenendo che la novella al vaglio non consenta di ampliare i margini applicativi del trattamento fiscale agevolato oltre l'ambito della 'rinata imposta successoria'; ma il combinato disposto delle norme citate nel testo - tra di esse coordinate - non può essere ignorato.
(13) Infatti, l’art. 3 del d.lgs. 346/90 conteneva, prima della recente integrazione, esenzioni di tipo soggettivo, giustificate cioè dalla qualità del soggetto beneficiario dell’attribuzione, e non dalla natura del bene oggetto del trasferimento. L’inserimento dei trasferimenti di aziende, quote sociali e di azioni, nell’art. 3, potrebbe indurre, in prima battuta, a considerarli oggetto di un’esenzione, ma a ben vedere proprio la collocazione sistematica induce a concludere in senso diverso. Infatti, nell’agevolazione che concerne aziende, quote ed azioni l’oggetto del beneficio è certamente da individuare nella natura del bene trasferito, piuttosto che nella qualità del beneficiario; quindi, un’agevolazione oggettiva è stata inserita in una disposizione che si occupa di agevolazioni soggettive. Se da un lato - del resto - ciò potrebbe far pensare che la scelta topografica del legislatore sia frutto di una valutazione casuale e che come tale essa collocazione non apporti alcun argomento decisivo in favore della tesi dell’esenzione, d'altro lato va rilevato che l'assenza di orientamenti dottrinari convergenti e pacifici in ordine alla qualificazione delle ipotesi disciplinate dal detto art. 3 non consente di argomentare decisamente per la esclusione della fattispecie di che trattasi dall'ambito delle 'esenzioni' in senso tecnico.
(14) ipotesi in cui peraltro la esenzione viene collegata al 'tipo' di bene o diritto oggetto di donazione e non al tipo di atto posto in essere
(15) al riguardo nel recente Studio n.168-2006/T approvato dalla Commissione Studi Tributari del CNN il 15 dicembre 2006, Prime note a commento della nuova imposta sulle successioni e donazioni
(D.L. n. 262/2006 convertito dalla legge n. 286/2006 e successive modifiche introdotte
dalla legge finanziaria 2007) all'indirizzo http://www.notariato.it/Notariato/StaticFiles/Studi_e_approfondimenti/168.pdf si sostiene la non debenza financo in relazione agli atti 'esenti': "pur dopo la 'reistituzione' dell'imposta de qua, deve ritenersi l'inesistenza dell'obbligo di assolvimento dell'imposta sia pure nella sola misura fissa qualora il trasferimento a titolo gratuito abbia ad oggetto beni o diritti il cui valore non ecceda la nuova detta franchigia."
(16) Sulle problematiche poste dalla successione avente ad oggetto aziende, cfr. in dottrina METITIERI, I debiti aziendali e le disposizioni di ultima volonta', in COMITATO NOTARILE INTERREGIONALE PIEMONTE E VALLE D'AOSTA - Azienda ed impresa, individuale e collettiva, nella successione mortis causa: problemi di diritto civile e tributario, Nuovi Quaderni di Vita Notarile, II, Palermo 1983; nonché SATTA, Legato di azienda e accettazione di eredita' con beneficio d'inventario, in Foro it., 1955, I, c. 290; e ancora TRADII, Legato di azienda (tecniche contrattuali), in Notariato, 1999, 3, p. 259.
(17) CAPOZZI, Successioni e donazioni, Milano 1982 pag. 783
(18) come potrebbe essere un mero comodato gratuito (posto in essere quindi in assenza di un corrispettivo), laddove risultasse ammissibile in relazione ad un’azienda o ad un suo ramo;
(19) Secondo GAFFURI, Il patto di famiglia..op.cit. pag. 2 "è incontrovertibile...che il patto di famiglia appartiene al fenomeno successorio, largamente inteso, se non altro perché le norme che lo riguardano compongono...il capo V-bis del titolo II [nda. del codice civile] che è appunto dedicato alla successione ereditaria."
(20) che, evidentemente, è concetto diverso da ‘corrispettività’:vedi quanto precisato nella nota che segue.
(21) sulla donazione modale per tutti v. TORRENTE, La donazione, in Trattato dir.civ. e comm., diretto da Cicu e Messineo, vol.XXII, Milano, 1956, p.277 ss.; ma anche CARNEVALI, La donazione modale, Milano 1969; Id. Le donazioni, in Tratto di Diritto Privato diretto da Rescigno, 6, Le successioni, II, Torino, 1997, 553 ss.; di recente anche CATAUDELLA, Successioni e donazioni, La donazione, in Tratt.Bessone, V, Torino, 2005, p.118 ss.
(22) ritengono che il patto di famiglia integri un contratto di donazione modale LUPETTI, Il finanziamento dell’operazione family buy out, in Patti di famiglia per l'impresa, cit. pag.369 (quanto meno nella fattispecie qui all’esame, ove la prestazione liquidativa viene effettuata dal discendente beneficiario); e MERLO, Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati. Profili civilistici del Patto di famiglia, ibidem, pag.102; CACCAVALE, Appunti per uno studio sul Patto di famiglia: profili strutturali e funzionali, in Notariato n.3/2006, pag.304; ai fini fiscali l’assimilazione è sembrata evidente e giustificabile già a FRIEDMANN, Le implicazioni fiscali delle attribuzioni familiari, Prime riflessioni sul trattamento del Patto di f. ai fini delle imposte indirette, in Patti di famiglia per l'impresa, cit., pag.186; BASILAVECCHIA, Le implicazioni fiscali delle attribuzioni tra familiari, le implicazioni del Patto di f. , aspetti sistematici, ibidem p.196. Del resto l’opinione dottrinaria che qualifica il patto di famiglia una ‘donazione modale’ non appare affatto peregrina, se si considera che nel suo ambito l’onere ‘liquidativo’ a carico del beneficiario non costituisce un elemento di corrispettività rispetto all’attribuzione del bene produttivo, tale da scardinare la natura liberale complessiva della fattispecie.
A ben vedere anche nell’ambito dello schema tipico della donazione modale è ben possibile che si verifichi la circostanza che l’adempimento dell’onere comporti erosione della entità patrimoniale dell’attribuzione donativa principale (se non addirittura abbattimento di tale entità, sia pure entro il limite del valore della cosa donata ex art. 793 secondo comma c.c.), , ma ciò non innesca necessariamente nel meccanismo contrattuale un dirompente elemento di onerosità/corrispettività tale da stravolgere il profilo funzionale e causale complessivo della fattispecie. Al riguardo dottrina autorevole (cfr. TORRENTE, La donazione, in Trattato dir.civ. e comm., diretto da Cicu e Messineo, vol.XXII, Milano, 1956, pag. 291 ss.) ritiene che proprio nell’ambito della donazione modale, per avere certezza che l’onere non alteri la natura liberale del contratto, più che alla congruità dei valori economici tra attribuzione donativa e prestazione posta a carico dell’onerato, bisogna aver riguardo alla valutazione soggettiva delle parti, cui occorre riferirsi per distinguere nel caso concreto il ‘modus’ dal corrispettivo.
(23) in tal senso CACCAVALE, Appunti per uno studio sul patto di famiglia - I Parte: profili strutturali e funzionali della fattispecie., in Notariato 3/2006 , op. cit. pag.305 ; anche BARALIS, Attribuzioni ai legittimari non assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni sociali, in Patti di famiglia per l'impresa, cit. pag. 227 nel ritenere inammissibile nell'ambito del patto di famiglia una liquidazione dei legittimari non assegnatari fatta direttamente dal disponente, sostiene che quella fatta dal cessionario del bene produttivo ha funzione surrogatoria di quella che il disponente non potrebbe fare: "è come se il disponente, nei confronti di quest'ultimi (n.d.a cioè dei legittimari non assegnatari) avesse surrogato l'azienda con altri beni disponendo a loro favore in via indiretta tramite il cessionario" ; ciò solo, secondo il chiaro Autore, spiegherebbe il disposto dell'art. 768-quater terzo comma c.c. che stabilisce l'obbligo d'imputazione alle quote di legittima spettanti ai legittimari non assegnatari di quanto ricevuto da persona diversa dall'autore della (futura) successione.
(24) cfr. artt. 809 c.c. e 737 c.c. ove è previsto che anche liberalità diverse da quelle donative in senso stretto o comunque indirette sono soggette, rispettivamente, a riduzione e a collazione.
(25) Espone bene la possibilità di un’attribuzione diretta da parte del disponente MASCHERONI, Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati. L’ordinamento successorio italiano dopo la legge 14 febbraio 2006 n.55, in Patti di famiglia per l’impresa, op. cit. pag. 27; il quale anzi ricorda come nella relazione al Ddl n.1335 (Pastore ed altri) comunicato alla Presidenza del Senato il 23 aprile 2000 si individua proprio nell’assegnazione diretta da parte dell’imprenditore ai propri discendenti non beneficiari del bene produttivo (con conseguente imputazione alle loro quote di legittima di quanto da lui ricevuto) l’ipotesi ordinaria di liquidazione degli stessi..
(26) Cfr. sul punto efficacemente TASSINARI, Il patto di famiglia: presupposti soggettivi, oggettivi e requisiti formali. Il patto di famiglia per l’impresa e la tutela dei legittimari, in Patti di famiglia per l’impresa, cit, pag.169; è come se si verificasse, in sostanza, una duplice liberalità del disponente nei confronti del beneficiario, la prima avente ad oggetto l’azienda o le partecipazioni, la seconda tale da esonerarlo dall’obbligo legale di liquidare i legittimari non assegnatari di azienda o quota.
(27) cfr. in tal senso anche BUSANI, Passo avanti sul patto di famiglia, in Il Sole24 Ore di lunedì 12 febbraio 2007
(28) cfr. GAFFURI, Il patto di famiglia... cit. pag. 6;
(29) trattasi di disposizione mai definitivamente tramontata (pur dopo la soppressione dell'imposta di successione operata dalla legge n.383/2001) ed ora ripristinata in toto per effetto della neo-imposta introdotta con il D.L. n.262/2006.
(30) cfr. Cass. 3 maggio 1979 n. 2554, in Giust. civ. Mass., 1979, fasc. 5 secondo cui “ le convenzioni con cui l'erede testamentario ed i legittimari preteriti o comunque lesi nei propri diritti di riserva soddisfino -- anche in misura parziale -- tali diritti, inserendosi nella vicenda successoria ed avendo natura sostanzialmente ereditaria, rientrano nella previsione dell'art. 6 r.d. 30 dicembre 1923 n. 3270, per cui sono tassabili con l'imposta di successione e non con l'imposta di registro applicabile agli atti traslativi inter vivos (la massima mantiene la sua validità per l'applicazione dell'art. 43 del T.U. n. 346/1990) ”; nonché Cassazione civile , sez. I, 10 marzo 1992, n. 2869, in Giust..civ.Mass..1992, fasc.3,;
la dottrina maggioritaria però dissente dalla posizione assunta dalla Cassazione, soprattutto contestando la natura ‘sostanzialmente ereditaria’ degli accordi in parola: cfr. BULGARELLI, Gli atti dispositivi della legittima, in Notariato 2000 , Fasc. 5, Pagg. 481-496; nonché SALVATORE, Accordi di reintegrazione di legittima: accertamento e transazione, in Riv. notar. 1996, Fasc. 2, Parte 1, Pag. 211-220, secondo cui “gli atti in questione non possono che essere considerati inter vivos, non inserendosi in alcun modo… nella vicenda successoria, non mutando il numero dei successibili né il titolo della devoluzione, solo provocando, invece, attribuzioni patrimoniali successive all'apertura della successione.”; in generale sui problemi riguardanti la intangibilità quantitativa e non qualitativa della legittima cfr. MAGLIULO, La tacitazione della legittima con beni non ereditari, in Notariato, 2001, 4, p. 412;
(31) Il che parrebbe confermato anche dal fatto che tali ulteriori ipotesi - per così dire - non ‘tipizzate’, non espressamente previste dalla norma agevolativa ed ulteriori rispetto a quella paradigmatica, dovrebbero intendersi ‘ricomprese’ in questa, nel senso che la loro rilevanza sul piano fiscale è inscritta in quella della (più ampia) fattispecie agevolata. A ben pensare, infatti, il sacrificio economico che sopporta il beneficiario (e nel quale quelle fattispecie in concreto si traducono) può ben rappresentare il costo che il beneficiario paga per acquisire il valore pieno dell’azienda senza esporlo a riduzione e collazione.
Né vanno sottovalutate esigenze di equo trattamento fiscale del beneficiario dell'azienda (al di fuori del 'patto di famiglia) - che non è tenuto ad alcunché e fruisce della previsione di assoluta non imponibilità, senza alcun detrimento del valore netto del bene acquisito - da un lato, e di quello che, per aver beneficiato dell'acquisizione del bene produttivo attraverso il meccanismo del patto stesso, sia poi tenuto a 'compensare' (per ipotesi) altri legittimari non assegnatari, dall'altro: senza ignorare insomma che la esecuzione dei pagamenti compensativi si traduce, per il beneficiario adempiente, in un decremento in termini economici del valore netto del bene produttivo al medesimo trasferito.
(32) CIAN-TRABUCCHI, Commentario breve al Cod.civ., 2002, pag.2611
(33) PETRELLI, La nuova discilina del patto di famiglia, in Riv.Not, Volume LX, Marzo – Aprile 2006, pagg. 418-419; FIETTA, Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati, in Patti di famiglia per l’impresa, cit. pag. 89,
(34) cfr. in tal senso la Circolare Assonime n.13 del 12 marzo 2007 leggibile all’indirizzo www.assonime.it e secondo cui “ La formulazione della norma non esclude …un’interpretazione tendente a riconoscere l’operatività dell’agevolazione per i trasferimenti in parola (di aziende, quote, azioni), posti in essere in sede di successione o con atto di donazione, anche a favore di soggetti diversi dai discendenti, ad esempio, del coniuge o di parenti in linea collaterale, come fratelli o sorelle. Il che renderebbe la disposizione più aderente alle sopra ricordate indicazioni comunitarie che tendono a salvaguardare l’equilibrio finanziario dell’impresa nel momento della sua trasmissione, in generale per i casi di trasmissione delle imprese, non soltanto per quelli in cui la titolarità dell’impresa è assunta da discendenti dell’imprenditore.”
(35) che recita “E’ patto di famiglia il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l'imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l'azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti”. Come anticipato nella precedente nota 4, appare evidente l’influenza spiegata dal patto di famiglia sul comma 78, nel senso che è stata l’esigenza di tutelare ed incentivare il patto a fare da propulsore per l’introduzione di una norma agevolativa necessariamente destinata ad andare oltre il patto. Se si tiene presente questo percorso legislativo, dal patto di famiglia all’agevolazione, sembra possa essere esclusa l’evenienza di una incostituzionalità del comma 78 per deteriore trattamento del coniuge, se non sulla base di una pregiudiziale incostituzionalità dello stesso art. 768 bis c.c..
(36) così BASILAVECCHIA, Trasferimenti di azienda in favore del coniuge, Legge Finanziaria 2008: disposizioni d'interesse notarile. Rassegna coordinata dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale in CNN Notizie del 3 gennaio 2008;
(37) nella discussione assembleare dell’Aula parlamentare nella seduta del 20 dicembre 2006 avente ad oggetto i disegni di legge: Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007) (A.C. 1746-bis-B ); Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2007 e bilancio pluriennale per il triennio 2007-2009 (e relative note di variazioni) (Approvati dalla Camera e modificati dal Senato) (A.C. 1747-B), l’ on. Dante D’ELPIDIO così si esprimeva “ Nei passaggi di impresa tra padre e figlio la tassa di successione non si pagherà, a patto che il figlio non venda l'impresa per cinque anni.” Così come nell’intervento dell’on. Francesco TOLOTTI, presidente relatore, presso la VI Commissione permanente Finanze in data 18 dicembre 2006 in sede consultiva si legge che per effetto della novella “ viene integrato l'articolo 3 del citato testo unico, il quale individua i trasferimenti non soggetti all'imposta sulle successioni e donazioni. Viene accordata l'esenzione dall'imposta per i trasferimenti di aziende o rami di esse, di azioni, di quote di società di persone o di capitali, effettuati, a causa di morte o a titolo gratuito fra vivi, in favore di discendenti, anche tramite i patti di famiglia di cui agli articoli 768-bis e seguenti del codice”;
gli atti sono reperibili all’indirizzo
http://www.camera.it/banchedatikm/Documenti/leg15/dossier/testi/BI0063P.htm
(38) pubblicata in G.U.C.E. 31 dicembre 1994, L 385;
(39) in particolare la Commissione aveva affermato che "gli Stati membri dovrebbero rimuovere gli ostacoli che possono derivare da talune disposizioni del diritto di famiglia o del diritto di successione: ad esempio, la cessione tra coniugi dovrebbe essere consentita, il divieto di patti sulla futura successione dovrebbe essere attenuato e la riserva in natura esistente in taluni paesi potrebbe essere trasformata in riserva in valore ".
(40) comunicazione n.98/C 93/02 pubb. in G.U.C.E. n.C93 del 28 marzo 1998
(41) la legge n.203/82[41] sui contratti agrari all’art. 49 stabilisce che “ Nel caso di morte del proprietario di fondi rustici condotti o coltivati direttamente da lui o dai suoi familiari, quelli tra gli eredi che, al momento dell'apertura della successione, risultino avere esercitato e continuino ad esercitare su tali fondi attività agricola, in qualità di imprenditori a titolo principale …o di coltivatori diretti, hanno diritto a continuare nella conduzione o coltivazione dei fondi stessi anche per le porzioni ricomprese nelle quote degli altri coeredi e sono considerati affittuari di esse.”
(42) trattasi del D.Lgs. 29-3-2004 n. 99, Disposizioni in materia di soggetti e attività, integrità aziendale e semplificazione amministrativa in agricoltura, a norma dell'articolo 1, comma 2, lettere d), f), g), l), e), della L. 7 marzo 2003, n. 38, pubblicato nella Gazz. Uff. 22 aprile 2004, n. 94; ed il cui art. 4 dispone “ Nei comuni montani, gli eredi considerati affittuari ai sensi dell'articolo 49 della legge 3 maggio 1982, n. 203, delle porzioni di fondi rustici ricomprese nelle quote degli altri coeredi hanno diritto, alla scadenza del rapporto di affitto instauratosi per legge, all'acquisto della proprietà delle porzioni medesime, unitamente alle scorte, alle pertinenze ed agli annessi rustici.”.
(43) La stampa quotidiana ha segnalato la difficoltà di acquisizione del controllo, quando i beneficiari sono più di uno: nell’ipotesi infatti in cui si creino pacchetti a titolarità esclusiva, non è possibile considerarli globalmente, dato che ciascuno degli interessati ne potrebbe disporre autonomamente; se invece si crea la comproprietà sull’unico pacchetto, come accadrà nei casi di successione intestata, si avranno problemi da un lato per la frequente presenza di un erede “non discendente”, come tale non abilitato all’agevolazione, dall’altro per la impossibilità di sciogliere la comunione prima del quinquennio.
(44) Consegue, dal vincolo quinquennale di conservazione del controllo, una limitazione all’effettuazione di operazioni straordinarie che, pur in linea di principio non preclusive della conservazione del trattamento agevolato, abbiano però attitudine a modificare la partecipazione al capitale, riducendola al di sotto del limite consentito. Ma su ciò vedi infra nel testo.
(45) Anche se, in un'ottica non rigoristica di applicazione della novella e nel contempo rispettosa del favor su cui essa appare fondata, si potrebbe forse ipotizzare la plausibilità della permanenza del trattamento agevolato anche nella fattispecie or delineata, se solo il contribuente potesse evidenziare l'inesistenza di effetti elusivi astrattamente ricollegabili all'operazione posta in essere, magari (preferibilmente) ricorrendo ad una sorta di 'interpello' dell'A.F. a' sensi dell'art. 37 bis ottavo comma DPR n.600/73 per la disapplicazione dell'(eventuale) regime decadenziale;
(46) Peraltro per le società non residenti si dovrebbe ritenere non operante l’ulteriore condizione della detenzione quinquennale del “controllo”, in considerazione della formulazione letterale del disposto di cui al cit. comma 78.
(47) sia pure con l’attenuazione di cui ai commi 3° e 4° art. 2538 c.c. prevista in caso di soci cooperatori persone giuridiche, cui possono essere attribuiti più voti, ma non oltre cinque, e in caso di attribuzione del diritto di voto in ragione della partecipazione dei soci allo scambio mutualistico tramite la rispettiva struttura imprenditoriale, fermi restando i limiti per il voto plurimo.
(48) e salva l’attribuzione di un numero massimo di cinque voti ai soci sovventori ex art. 2548 2° comma c.c.;
in dottrina sul tema delle mutue assicuratrici cfr. per tutti DE LUCA, Le assicurazioni mutue in Italia, Milano 2001; TEDESCHI, Mutua assicuratrice, in Digesto discipline privatistiche (sezione commerciale), X, Torino 1994,; MARTELLO, Mutue (società assicuratrici), in Enc. dir., XXVII, Milano 1977; FERRI, Mutua assicuratrice, in Novissimo dig. it., X, Torino 1964.
(49) Cfr. le considerazioni di PETRELLI, nello studio CNN n. 5486/I//2004, Natura giuridica e disciplina delle società di mutuo soccorso (segnatamente nella nota 23) leggibile all’indirizzo http://www.notariato.it/Notariato/StaticFiles/Studi_e_approfondimenti/5486.pdf nonché in CNN Notizie del 6.12.2004.
(50) cfr. risoluzione n.341/E del 23 novembre 2007 consultabile in Fisconline, De Agostini Professionale,;
(51) in questi stessi termini GAFFURI, Il patto di famiglia nel quadro dell’imposizione tributaria, Atti del Convegno di Paradigma s.r.l. ‘La nuova imposta sulle successioni e sugli atti a titolo gratuito. La tassazione del Trust e dei vincoli di destinazione', tenutosi a Milano il 2 febbraio 2007.
(52) Potrebbe essere utile, in merito, l’esperienza applicativa di molte agevolazioni risolutivamente condizionate, quali quelle sull’acquisto di prima casa, a proposito dell’ipotesi di morte, all’interno del periodo di osservazione, del soggetto fruitore dell’abitazione.
(53) condivide questa impostazione COLUCCI, Il regime fiscale dei trasferimenti di aziende e di partecipazioni sociali a favore dei discendenti con particolare riferimento al patto di famiglia: condizioni per l’esenzione e dichiarazioni previste dalla legge. Profili di interesse notarile, in Atti del Convegno Paradigma, cit.; su posizioni diverse invece sembra attestarsi GAFFURI, Il patto di famiglia, cit.
(54) e pur con la riserva sopra fatta in ordine a questi due ultimi tipi sociali per quanto concerne la condizione della detenzione del controllo cfr. § 4
(55) anche COLUCCI, Il regime fiscale dei trasferimenti di aziende e di partecipazioni sociali, op. cit., pag. 10, è orientato nello stesso senso;
(56) trattandosi di devoluzione a favore di parente in linea retta, con attivo ereditario non superiore ad Euro 25.822,84 e non avente ad oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari; e sempreché tale norma si ritenga non incompatibile con l’impianto sistematico della neo-istituita imposta di successione e donazione

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