Legge finanziaria 2006 - Individuazione e calcolo delle plusvalenze immobiliari
Legge finanziaria 2006
Individuazione e calcolo delle plusvalenze immobiliari
di Maria Concetta Cignarella
Consiglio Nazionale del Notariato - Studio n. 34/2006/T
Pubblicato nella rivista Studi e Materiali CNN, Milano, 1/2006, II, p. 689 ss..

1. Premessa.

La legge finanziaria per il 2006 (Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 496) introduce un’imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito del 12,50% sulle plusvalenze(1) di cui all’art. 67, comma 1, lettera b) del Tuir (già art. 81).

Trattasi di plusvalenze realizzate mediante ..cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni e di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione..”.

L’imposta sostitutiva costituisce un regime opzionale che troverà applicazione in caso di richiesta della parte venditrice resa al notaio all’atto della cessione.

Il notaio provvederà all’applicazione ed al versamento dell’imposta ricevendo la provvista dal cedente. Egli dovrà, inoltre, comunicare all’Agenzia dell’Entrate i dati relativi alle summenzionate cessioni, secondo le modalità che verranno stabilite con provvedimento del direttore dell’Agenzia.

Seppur la normativa in materia sia piuttosto scarna, si ricorda che il Consiglio Nazionale del Notariato ha già ricostruito il ruolo del notaio come mero delegato di pagamento(2); ciò non vale ad escludere, tuttavia, che, ricevendo espresso incarico professionale, il notaio possa procedere egli stesso, in luogo del cedente, al computo della plusvalenza, con le conseguenze che ne derivano anche sul piano della responsabilità.

Alla luce di ciò si rende necessario il presente studio, finalizzato alla individuazione ed al calcolo delle plusvalenze immobiliari, anche ai fini dell’applicazione della imposta sostitutiva introdotta dalla Finanziaria.

2. Sviluppo della disciplina in materia di rilevanza reddituale delle plusvalenze immobiliari.

E’ con il Testo unico delle imposte dirette approvato con il D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 che venne per la prima volta fornita risposta all’esigenza di disciplinare l’imponibilità delle plusvalenze realizzate mediante operazioni assistite da intento speculativo da coloro i quali non esercitavano un’impresa commerciale.

Veniva così tracciata una netta linea di demarcazione tra le plusvalenze realizzate con fini speculativi e quelle realizzate nell’esercizio dell’attività d’impresa, potendo le prime, a differenza delle altre, essere realizzate da “chiunque”(3).

Un ulteriore sviluppo si ebbe per effetto della legge delega per la riforma del diritto tributario del 9 ottobre 1971, n. 825 che, tra le altre cose, ha previsto l’inclusione di tali plusvalenze nel computo del reddito complessivo delle persone fisiche.

In particolare, l’art. 76 del D.P.R. n. 597 del 1973, cui la legge delega ha dato vita, al suo comma 1, prevedeva che le plusvalenze conseguite mediante operazioni poste in essere con fini speculativi e non rientranti tra i redditi d’impresa concorrevano alla formazione del reddito complessivo per il periodo d’imposta in cui tali operazioni si erano concluse.

Il comma 3 dello stesso articolo, inoltre, stabiliva che alcune operazioni si consideravano in ogni caso poste in essere con fini speculativi, senza possibilità di prova contraria; tra esse si annoverava l’acquisto e la vendita di beni immobili non destinati all’utilizzazione personale da parte dell’acquirente o dei suoi familiari, se il periodo di tempo intercorso tra acquisto e vendita non era stato superiore a cinque anni(4).

La disposizione contenuta nell’art. 76 disciplinava quindi ipotesi di presunzione iuris et de iure di “intento speculativo” e ciò al fine di alleggerire l’onere di provare il carattere speculativo di una certa operazione che incombeva sull’Amministrazione finanziaria.

La nozione di intento speculativo, mai positivamente affermata e tuttavia emergente come generico criterio di identificazione di singoli redditi soggetti a prelievo, rappresentava l’esistenza di una manifestazione di volontà efficiente e preordinata, volta allo scopo di produrre un incremento di ricchezza, tassabile come reddito appunto in forza di questa preordinazione(5)

Nella riformulazione della disciplina dei redditi diversi, attuata con gli artt. 81 e seguenti del Tuir (oggi 67 e seguenti), il legislatore delegato ha modificato radicalmente il precedente assetto normativo.

La nuova disciplina è improntata a due fondamentali criteri generali.

In primo luogo essa contiene una casistica obiettiva e tassativa di singole fattispecie impositive raggruppate in categorie omogenee per cui al di fuori delle specifiche previsioni non è configurabile alcuna ipotesi di plusvalenza tassabile. Detta impostazione per fattispecie tassative ed autonome dei redditi assoggettati ad imposta determina l’esclusione di qualsivoglia definizione generica ed astratta di reddito; peraltro, provocando una chiusura strutturale della disciplina, risponde ad esigenze di equità fiscale.

In secondo luogo la normativa contenuta nel Tuir conduce al superamento della nozione di intento speculativo, così come intesa nella pregressa disciplina; rispondendo, infatti, all’insorta necessità di inserire presunzioni assolute al solo fine di escludere la sussistenza di finalità speculative trascorso un certo periodo di tempo, determina una definitiva eliminazione del consolidato criterio residuale di definizione dei redditi non altrimenti riconducibili a fattispecie specifiche(6).

3. Plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di immobili acquistati entro il quinquennio precedente. Profili soggettivi.

Nella prima parte della lettera b) del primo comma dell’art. 67 (già art. 81) è stabilito che sono redditi diversi le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione o donazione(7) e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del tempo intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari.

La ratio della norma va ricercata nella volontà del legislatore di evitare quei fenomeni che ormai si verificano di consueto, i quali, pur rappresentando indici di reddito, spesso riescono a sfuggire a tassazione.

Del resto è notorio che una delle forme più diffuse atte a garantire la salvaguardia del risparmio e la percezione di un eventuale reddito è l’acquisto di cespiti immobiliari i quali, in presenza del fenomeno inflattivo, assicurano la rivalutazione del capitale.

Dalla lettura del primo periodo dell’articolo 67 si evince nettamente che il destinatari della norma sono persone fisiche che non conseguono tali plusvalenze nell’esercizio di attività di lavoro autonomo o dipendente e di impresa commerciale. Si esclude quindi che possa trattarsi di società di capitali, di società in nome collettivo, di società in accomandita semplice e di persone fisiche nell’esercizio di arti, professioni, attività d’impresa o attività di lavoro dipendente.

4. Segue. Ambito oggettivo di applicazione della norma.

Nella nuova impostazione normativa, il termine vendita dell’art. 76 viene sostituito dall’espressione cessione a titolo oneroso di significato più ampio e comprensivo; si ritiene diffusamente infatti che non solo le ipotesi di compravendita, ma quelle di permuta rientrino nella previsione. D’altra parte, il richiamo espresso da parte dell’art. 1555 c.c. alla disciplina in materia di compravendita sta a testimoniare la prossimità sul piano della disciplina giuridica tra i due contratti traslativi, tanto che sovente può essere addirittura difficile qualificare esattamente una fattispecie in termini di vendita o di permuta(8) .

Bisogna tener conto, inoltre, che l’art. 9, comma 5, del Tuir prevede espressamente che ai fini delle imposte sui redditi le disposizioni relative alle “cessioni a titolo oneroso” valgono anche per gli atti a titolo oneroso che importano costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento e per i conferimenti in società. Di conseguenza si ritiene che anche la cessione a titolo oneroso di un diritto reale di godimento ed il conferimento in società realizzano plusvalenze tassabili ai sensi dell’articolo in commento(9).

In dottrina appare unanime la constatazione della configurabilità, in generale, del realizzo di plusvalenze attraverso la costituzione di diritti reali di godimento su cosa altrui; si riscontra, tuttavia, una difformità di vedute in relazione alla fattispecie specifica delle servitù prediali.

Per fornire soluzione al problema è parso utile considerare che il realizzo di plusvalenze deve necessariamente avere come presupposto un negozio idoneo a consentire la perdita della disponibilità del bene plusvalente da parte del titolare, non essendo logicamente possibile trasferire a terzi l’incremento di valore di un bene o convertire tale incremento in un’entità patrimoniale diversa senza il trasferimento del bene cui l’incremento inerisce. Alla luce di ciò, quindi, appare concettualmente impensabile che il realizzo di plusvalenza possa aver luogo, ad esempio, mediante la costituzione a titolo oneroso di una servitù di passaggio. Si ritiene, quindi, che questa categoria reddituale sia logicamente incompatibile con le caratteristiche di tale diritto reale(10).

Per quanto riguarda invece gli atti cd. di “cessione di cubatura”, – con i quali una determinata volumetria edificabile viene trasferita in modo tale da renderla utilizzabile da parte di un soggetto diverso dal proprietario del terreno cui detta volumetria originariamente compete – per stabilire se essi possano realizzare le plusvalenze di cui in oggetto, occorre individuarne con esattezza la natura giuridica. Le ipotesi a riguardo conducono a ritenere o che tali atti abbiano natura di negozi di tipo obbligatorio oppure che si tratti di negozi costitutivi di un diritto reale atipico o di servitù altius non tollendi(11). In particolare si ritiene che sia nel caso in cui tale negozio venga a configurare la cessione di un diritto reale atipico sia nelle ipotesi in cui si atteggi come costituzione di servitù di non edificare, esso sia idoneo a realizzare le plusvalenze di cui all’art. 67, lettera b), seconda parte.

L’ art. 67, c.1, lett. b), come del resto la stessa norma pregressa faceva, richiama i beni immobili, così riferendosi a fabbricati ed a terreni agricoli. La norma in questione, tuttavia, diversamente dalla normativa pregressa, dispone altresì l’imposizione nelle ipotesi di cessioni di beni, non solo acquistati, ma anche costruiti. E’ il caso, quindi, di sottolineare che con riferimento alle ipotesi di “ricostruzione” di un bene distrutto per cause di forza maggiore, per poter stabilire se la vendita dell’immobile, ferme le altre condizioni previste, dia luogo a plusvalenza tassabile, occorre verificare se la ricostruzione dello stesso si configuri come nuova edificazione o come rifacimento, anche “profondo” e pressoché integrale, del preesistente cespite. Tale verifica va effettuata in fatto e costituisce quindi il presupposto su cui fondare eventualmente la tassazione.

5. Segue. Casi di esclusione.

Quanto alle fattispecie che comportano esclusione dell’imposizione, è da riferire che in aggiunta alla simile disposizione già contenuta al n. 2, comma 3 dell’art. 76 del D.P.R n. 597/1973, la norma in questione prevede l’espressa esclusione delle plusvalenze derivanti dalla vendita di beni pervenuti per successione o per donazione. Si ritiene, infatti, che in questi casi non possa configurarsi un’operazione di carattere speculativo in quanto manca l’elemento base per la determinazione della plusvalenza rappresentato dal prezzo di acquisto.

La norma in oggetto non fa alcun riferimento alla rivendita di immobili acquisiti mediante modi di acquisto della proprietà a titolo originario; trattasi in particolare dei casi di usucapione. Ci si è posti, pertanto, il problema di valutare in via interpretativa se tali ipotesi di acquisto siano idonee a configurare all’atto di rivendita un plusvalore tassabile. In proposito occorre ribadire che la categoria dei redditi diversi contempla proventi che non sono riconducibili alle altre categorie reddittuali previste dall’art. 6 del Tuir, ma che il legislatore ha comunque ritenuto di assoggettare a tassazione. Tuttavia a differenza della previsione contenuta all’art. 76 del D.P.R. 597/1973, secondo cui, come detto in precedenza, erano considerate imponibili tutte le plusvalenze caratterizzate da “intento speculativo”, l’art. 67, c. 1, lett. b) riduce l’imponibilità delle plusvalenze alle sole ipotesi specificamente indicate. In quest’ottica è evidente che la rivendita di fabbricati acquistati ad usucapionem non può essere ricondotta alla previsione di cui all’art. 67, lett. b), prima parte, in quanto in tal caso l’immobile, pervenuto a titolo originario, non è stato trasferito mediante atto traslativo a carattere oneroso, così come richiesto dalla norma. Inoltre, la circostanza per cui l’immobile sia stato acquisito a titolo originario e non derivativo vale ad escludere il realizzo di plusvalenza, non essendoci l’elemento base per la sua determinazione rappresentato dal prezzo di acquisto(12).

L’art. 67 lettera b), ancora, esclude l’imposizione nelle ipotesi di cessioni a titolo oneroso aventi ad oggetto solo unità immobiliari urbane (e non quindi quelle rurali ovvero i terreni) che per il periodo prevalente siano state destinate ad abitazione principale da parte del titolare o, in alternativa, dei suoi familiari; laddove per la definizione di familiari occorre far riferimento all’ultimo comma dell’art. 5 del Tuir in base al quale si intendono come tali il coniuge i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo grado.

Secondo la giurisprudenza prevalente la dimostrazione che l’immobile sia stato adibito ad uso abitativo dal cedente o dai suoi familiari fa carico al contribuente, poiché l’attestazione di una situazione di esclusione si configura come eccezionale rispetto alla pretesa dell’Amministrazione finanziaria fondata sulla regola normativa astratta. Tale prova quindi deve consistere nel dimostrare di aver destinato l’immobile ad abitazione principale (residenza o dimora)(13) e che la durata dell’uso si sia estesa per la gran parte del tempo, che presumibilmente si reputa essere più della metà dell’intero periodo intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione. Per quanto riguarda i familiari occorre che sia data anche prova di tale qualificazione(14).

Va rilevato che attraverso l’uso di unità immobiliari urbane effettivamente utilizzate per la maggior parte del periodo di possesso, la nuova norma accoglie un concetto molto più chiaro e ristretto rispetto alla locuzione di gran lunga più generica ed imprecisa utilizzata nella disposizione pregressa, la quale, peraltro, facendo riferimento a beni immobili non destinati all’utilizzazione personale, ha indotto in passato, ai fini dell’esclusione della imposizione, a ritenere sufficiente qualsiasi tipo di utilizzazione, purché provata, anche, quindi, se di carattere lavorativo o imprenditoriale(15).

Risulta, invece, ancora attuale e del tutto corretta l’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria circa l’esclusione dall’imposizione della cessione della quota di comproprietà o della proprietà di un immobile, già adibito ad abitazione principale, nell’ambito di accordi di divorzio o di separazione.

Con riguardo a tali fattispecie già la sola destinazione ad uso abitativo da parte dello stesso cedente-coniuge sarebbe valsa ad escludere la tassazione(16); per di più, è opportuno sottolineare che la Corte Costituzionale, con sentenza del 10 maggio 1999, ha dichiarato l’incostituzionalità di quella parte dell’art. 19 della Legge n. 74/1987 che non estendeva l’esenzione in essa prevista a tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi ed ha interpretato la norma nel senso di considerare oggetto dell’esenzione la totalità dei tributi afferenti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi alle diverse fasi della crisi del matrimonio. Alla luce di ciò, si può ritenere che anche le plusvalenze di cui all’art. 67 lettera b) rientrino nell’ambito agevolativo, risultando di conseguenza indifferenti ai fini fiscali(17).

Con riferimento all’ipotesi di uso abitativo per il periodo prevalente da parte di un familiare che sia anche titolare del diritto di usufrutto sull’immobile, si ritiene che, seppur la cessione della piena proprietà dell’immobile avviene nel quinquennio, sia se successiva al consolidamento di usufrutto e nuda proprietà, sia che vi sia stata contestuale alienazione dei diritti da parte del nudo proprietario e dell’usufruttuario, l’interpretazione depone nel senso dell’esclusione dell’imposizione, in quanto dal dettato della norma risulta un’equivocabile attenzione rivolta dal legislatore al dato oggettivo, più che alle situazioni giuridiche soggettive in cui si trovano il cedente e i familiari che usano il bene. Del resto sono le sole condizioni individuate dal legislatore a costituire presupposto per la imposizione dei redditi ricavati dalla cessione, cosicché la individuazione dell’esimente al regime di tassazione va valutata unicamente sulla base di tali elementi.

E’ del tutto palese, a questo punto, che con l’introduzione dell’art. 67 del Tuir (già art. 81) la fascia di esclusione da tassazione, per le fattispecie tassativamente previste, risulta molto più ridotta, così da rendere molto meno agevole sollevare eccezioni fondate sull’emergenza di motivi di forza maggiore che siano in grado di determinare la cessione infraquinquiennale o di impedire l’uso abitativo dell’immobile(18).

6. Plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di terreni edificabili. Presupposti di applicazione della norma.

A seguito della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (c.d. “Legge Formica”) tra le fattispecie impositive comprese tra i “redditi diversi” sono state introdotte due nuove ipotesi di plusvalenze realizzate da soggetti che non esercitano attività d’impresa e che derivano l’una dalla cessione di terreni fabbricabili e l’altra dalla percezione di indennità di esproprio di aree edificabili.

Con l’introduzione di tali fattispecie appare ancor più evidente come l’”intento speculativo”, inteso come volontà preordinata alla realizzazione di plusvalenze non imprenditoriali, abbia gradatamente cessato di essere l’elemento giustificativo dell’imposizione di questo tipo di plusvalenze che, come espressamente previsto dalla Legge n. 413/1991, “scaturiscono non in virtù di un’attività produttiva del proprietario o possessore, ma per l’avvenuta destinazione edificatoria in sede di pianificazione urbanistica” dei terreni(19).

L’attuale art. 67, comma 1, lettera b), seconda parte del Tuir (già art. 81) disciplina la tassazione, quali redditi diversi, delle plusvalenze realizzate a seguito di “cessione a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione”. L’ art. 17 del Tuir, al comma 1, lettera g-bis) (già art. 16), introdotto dall’art. 11, comma 1, lettera c) della medesima Legge n. 413/1991, dispone la tassazione separata di tale categoria di plusvalenze.

Va anzitutto riferito che, diversamente dalle cessioni di fabbricati e terreni agricoli, nel caso di cessioni di terreni edificabili la plusvalenza si realizza “in ogni caso”, ossia anche se il terreno è pervenuto per successione o donazione ovvero se è stato acquistato a titolo oneroso da più di cinque anni. La cessione di terreni edificabili quindi realizza sempre una plusvalenza imponibile, non essendo stata prevista alcuna attenuazione dell’onere impositivo in relazione alla durata o alla provenienza del bene e ciò nella convinzione che in questo caso è sempre riscontrabile un accrescimento di valore fiscalmente rilevante.

Occorre, infine, rilevare che restano escluse dalla fattispecie di cui alla seconda parte della lettera b) dell’art. 67, rientrando, come visto, nelle fattispecie della prima parte dell’articolo, sia le cessioni di terreni agricoli, la cui limitata edificabilità è funzionale all’esercizio dell’impresa agricola, sia la cessione e di aree urbane o periferiche non destinate ad edificazione dagli strumenti urbanistici. Alla luce di ciò potrebbe non ritenersi giustificabile sul piano dell’equità una diversità di trattamento tra alienazione di terreni agricoli ed alienazione di terreni edificabili, atteso che quest’ultima qualifica non è conseguenza di una manifestazione negoziale del contribuente, ma deriva da scelte operate direttamente dagli amministratori locali che, prescindendo dalla volontà dei proprietari dei fondi individuati, predispongono ed approvano i piani regolatori. Va tuttavia sottolineato come la differenza tra le due ipotesi, non essendo puramente nominalistica, si concretizza, dal punto di vista economico e finanziario, in una sostanziale diversità di valore che non poteva sfuggire al Fisco e che quindi elimina ogni dubbio su possibili ipotesi di sperequazioni e di incostituzionalità.

Questione che riveste particolare interesse e che si ritiene opportuno segnalare è il caso di cessione di terreno edificabile posta in essere da imprenditore agricolo(20).

Come chiarito, presupposto soggettivo indispensabile perché si configurino le plusvalenze di cui in oggetto è che la cessione avvenga ad opera di persona fisica non imprenditore. Consequenziale è ritenere che rientrano nell’ambito di applicazione della norma le cessioni realizzate da soggetti che, pur essendo imprenditori, alienano beni facenti parte del proprio patrimonio personale o aventi, comunque, destinazione extraimprenditoriale; laddove per “destinazione imprenditoriale” si intende, non solo quella dei beni oggetto di commercializzazione, ma anche quella propria dei beni strumentali all’esercizio di attività d’impresa(21).

Va tenuto presente che gli imprenditori agricoli sono assoggettati a tassazione secondo il particolare sistema forfetario di determinazione catastale del reddito, basato sulla produttività del fondo. Tale criterio di tassazione va però riferito alle componenti di reddito connesse all’attività agricola mentre perde di significato in relazione alle attività che esulano dall’esercizio dell’agricoltura. Queste ultime non sono infatti considerate nella determinazione delle rendite catastali, calcolate in base alle stime della produzione agricola ricavabile dal fondo in relazione al genere di coltivazione praticata. E’ evidente che nei casi in cui un imprenditore agricolo ceda un terreno divenuto edificabile in base ai nuovi strumenti urbanistici pone in essere un’attività che esula dal normale esercizio dell’agricoltura. Ciò determina che i relativi ricavi non possono ritenersi assorbiti dalla tassazione forfetaria del reddito agrario in quanto il valore economico dell’operazione risulta essere determinato appunto dalla perdita della qualificazione agricola del terreno e dall’acquisizione del nuovo carattere edificatorio, che è estraneo alla determinazione della rendita catastale(22). Tali considerazioni inducono a ritenere, dunque, che la fattispecie in esame non può non entrare nella previsione normativa di cui all’art. 67 lettera b), laddove si stabilisce che rientrano tra i redditi diversi “…in ogni caso le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria…”. D’altronde, tenuto conto che l’agricoltore ponendo in essere detta attività produce un incremento patrimoniale determinato da un elemento estraneo all’attività agricola, si presenta la necessità di assoggettare a tassazione un reddito che altrimenti, per effetto dei criteri di determinazione forfetaria del reddito agrario, resterebbe escluso da ogni forma di imposizione(23).

Per completezza, a tal punto, pare doveroso specificare che la summenzionata Legge n. 413/1991 all’art. 11, comma 5 estende la disciplina di cui all’art. 67 lettera b) ai casi di plusvalenze conseguenti alla percezione, da parte di soggetti che non esercitano attività di impresa commerciale, di indennità di esproprio o di somme a seguito di cessioni volontarie nel corso di procedimenti espropriativi(24).

Va detto che in questi casi la particolarità consiste nel fatto che il contribuente che riceva un’indennità di esproprio da parte di un ente pubblico, anche a seguito di cessione volontaria nel corso di un procedimento espropriativo, possa decidere il trattamento fiscale delle somme ricevute, scegliendo tra la ritenuta a titolo di imposta del 20% operata sull’intera somma erogata e la tassazione ordinaria che determina l’ammontare dell’imposta tenendo conto della sola plusvalenza, unitamente alle altre componenti reddituali; in questo secondo caso, quindi, la plusvalenza transiterà in dichiarazione e la ritenuta del 20%, effettuata dall’ente erogante all’atto di corresponsione, si considera effettuata a titolo d’acconto e si scomputa dall’imposta dovuta o se ne chiede il rimborso(25).

Alla luce del fatto che il prelievo alla fonte del 20%, come anticipato, si calcola sull’entità lorda, quale è quella erogata dall’Ente, e non sulla plusvalenza ai sensi dell’art. 68 del Tuir, va evidenziato che l’art. 11 della legge n. 213/1991 pone il contribuente come unico arbitro della propria vicenda fiscale, lasciandogli la scelta tra una tassazione secca, senza considerare i costi, ed una tassazione piena (che potrebbe anche essere nulla) considerando i costi. Il contribuente, quindi, messo nella condizione di scegliere, opterà per il regime che più gli si addice in termini di risparmio fiscale.

L’assenza di qualsivoglia indicazione circa un’eventuale limitazione od esclusione dall’ambito di operatività del comma 496 dell’art. 1 della Legge finanziaria potrebbe erroneamente indurre a concludere che anche in questi casi, assimilati, lo ribadiamo, alle fattispecie che originano le plusvalenze di cui alla lettera b) dell’art. 67, è possibile avvalersi del regime opzionale dell’imposta sostitutiva del 12,50%.

In effetti, seppur ancora in assenza di posizioni consolidate a riguardo, è il caso di precisare che il sistema di tassazione delle indennità espropriative basato sul prelievo diretto da parte dell’ente erogante costituisce di per sé un regime sostitutivo di tassazione che, come detto, opera automaticamente, salvo poi la possibilità per il contribuente di optare per il regime ordinario(26).

Ciò detto, risulta impensabile che i due regimi sostitutivi possano trovare entrambi applicazione. Né, d’altra parte, in assenza di una precisa disposizione a riguardo, si ritiene sia configurabile una eliminazione del regime di prelievo alla fonte del 20% su richiesta del contribuente, intenzionato ad optare per la sostitutiva del 12,50%.

E’ da dire, inoltre, che, pur volendo ammettere la possibilità per il contribuente di optare per la sostitutiva del 12,50%, dopo aver subito la ritenuta del 20 % da parte dell’Ente erogante, notevoli sarebbero le difficoltà pratiche legate, ad esempio, all’individuazione del momento in cui poterne fare richiesta al notaio(27) ed all’eventualità di uno scomputo o di un rimborso dell’imposta già versata(28).

7. Segue. Il concetto di suscettibilità di utilizzazione edificatoria.

Prima dell’ingresso nel Tuir, la nozione di “area fabbricabile” era già presente nel diritto tributario, vi si faceva infatti riferimento sia nell’art. 2 del D.P.R. n. 633 del 1972, a proposito della esclusione dalla soggezione ad IVA, sia nell’art. 52 del D.P.R. n. 131 del 1986, relativamente alla non applicabilità delle disposizioni sulla determinazione automatica del valore dei terreni. E’ però solo nelle disposizioni del Tuir e del D.P.R. sull’IVA che viene fatto espresso richiamo al concetto di “suscettibilità di utilizzazione edificatoria”.

Con riferimento alla disposizione contenuta nel Tuir, occorre evidenziare che, in relazione all’effettiva natura del bene oggetto di cessione, si è lungamente dibattuto se il carattere “edificabile” dello stesso acquisisca rilevanza fiscale solo nell’ipotesi in cui tale edificabilità sia immediata e concreta o se sia, a tal fine, sufficiente che si tratti di una edificabilità solo potenziale.

E’ opportuno rammentare che l’attribuzione della destinazione edificatoria ad un immobile costituisce il risultato di un procedimento complesso: l’immobile deve essere inserito, quale edificabile, in un piano regolatore generale predisposto dal Comune, successivamente il suolo deve essere incluso, sulla base di piani particolareggiati o di piani di lottizzazione in un programma pluriennale di attuazione; soltanto a tal punto il proprietario del terreno può ottenere la concessione ad edificare(29).

L’espressione utilizzata dal legislatore in ambito IVA ed imposte dirette sembrerebbe ad una prima lettura riferirsi ad una edificabilità semplicemente futura ed attesa; va comunque tenuto presente che rispetto alla normativa in materia di IVA la disposizione contenuta nel Tuir presenta un maggior grado di dettaglio, laddove stabilisce espressamente come tale caratteristica vada concretamente verificata sulla base degli “strumenti urbanisti vigenti al momento della cessione”. Ciò induce a ritenere che il legislatore abbia inteso limitare il prelievo alle sole plusvalenze realizzate mediante alienazione di terreni destinati all’edificazione in base agli strumenti urbanistici in atto, ossia approvati all’epoca della cessione, così lasciando poco spazio ad eventuali interpretazioni troppo ampie. Non è, pertanto, sufficiente che vi sia una edificabilità soltanto ipotetica, essendo, al contrario, necessario che il terreno sia concretamente utilizzabile per scopi edificatori. In proposito, si è dell’avviso che la concreta utilizzabilità edificatoria si realizzi soltanto in presenza di strumenti urbanistici già perfezionati, di modo che al contribuente non rimanga altro che chiedere il rilascio della concessione ad edificare.

L’edificabilità disposta da un piano regolatore generale, dunque, si ritiene non realizzi di per sé le condizioni di suscettibilità edificatoria di un’area; essendo invece indispensabile che tale strumento sia integrato da uno strumento di attuazione che renda materialmente possibile il rilascio della concezione edilizia(30).

Sull’argomento la giurisprudenza di legittimità nel tempo è venuta ad assumere posizioni diverse. Negli ultimi anni, tuttavia, la Suprema Corte ha prevalentemente sostenuto l’interpretazione secondo cui, ai fini tributari, debbano essere considerate edificabili solamente quelle aree la cui destinazione edificatoria sia prevista da strumenti perfezionati ed efficaci. In particolare, è da segnalare che in una recentissima sentenza, la Corte di Cassazione, tornando ad occuparsi della questione, ha nuovamente ed in maniera incisiva affermato il principio, pienamente condivisibile, in base al quale possono essere considerati edificabili solo quei terreni che siano qualificati tali da uno strumento urbanistico “perfetto”, pervenuto, cioè, con l’approvazione regionale, alla conclusione dell’iter amministrativo(31). Rimangono quindi esclusi da tale nozione quelle aree che per le quali la destinazione edificatoria sia stata prevista da un piano regolatore adottato dal Comune, ma non ancor approvato dalla Regione(32).

8. Calcolo delle plusvalenze di cui all’ 67, comma 1, lettera b).

L’art. 68, comma 1 del Tuir (già art. 82) prevede che le plusvalenze di cui all’art. 67, comma 1, lettera. b) sono date dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo d’imposta e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo.

Lo stesso articolo, al comma 2, stabilisce, inoltre, che il costo dei terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria è dato dal costo di acquisto aumentato di ogni altro costo inerente e rivalutato in base alla variazione degli indici dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati nonché dell’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili.

Va anzitutto sottolineato che l’utilizzo nel precedente testo normativo delle locuzioni “prezzo reale d’acquisto” e “prezzo reale conseguito”, che ben si attagliavano solo al contratto di compravendita, faceva sorgere dubbi in merito alla possibilità che le plusvalenze in questione potessero emergere anche da altre fattispecie contrattuali. La presenza nella disciplina attuale della locuzione “corrispettivi percepiti” ha, pertanto, eliminato ogni dubbio, fornendo, in questa sede, un’ulteriore conferma a quanto già sostenuto nel paragrafo n. 4 in ordine alla tassabilità di plusvalenze derivanti da operazioni di permuta, costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento, conferimenti in società (33).

Va rilevato, inoltre, che, a differenza di quanto previsto dall’art. 76, comma 1 del D.P.R n. 597/1973 secondo cui le plusvalenze “…concorrono alla formazione del reddito complessivo per il periodo d’imposta in cui le operazioni si sono concluse”, la norma in esame assume come momento rilevante ai fini dell’imputazione al periodo d’imposta delle plusvalenze stesse quello in cui i corrispettivi sono percepiti. Viene, in tal modo, affermato per tali redditi il principio di cassa, superando per gli stessi il principio di competenza accolto invece nella previgente disciplina e valido attualmente per i redditi d’impresa.

In virtù di tale principio, in caso di dilazione di pagamento in più periodi d’imposta, la tassazione avviene in ciascun periodo d’imposta, ai sensi dell’art. 82, comma 4, con riferimento alla parte del prezzo di acquisto o del costo proporzionalmente corrispondente alla somma percepita nel periodo stesso(34). Si ricorda, peraltro, che non è ammessa la deduzione delle minusvalenze.

Passiamo ora a considerare il calcolo delle plusvalenze con distinto riferimento alle due fattispecie di cui all’art. 67, comma 1, lettera b).

La determinazione della plusvalenza nel caso di cessioni di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni si ottiene sottraendo al corrispettivo percepito il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente allo stesso bene debitamente documentato.

E’ bene sottolineare che l’art. 68, nel riferire le modalità di calcolo, richiama espressamente ogni costo “inerente al bene medesimo”. Tale inequivocabile riferimento, si ritiene, possa fornire la chiave interpretativa al fine dell’esatta individuazione delle spese sostenute dal cedente e di cui occorre tener conto per la determinazione della plusvalenza.

In effetti la nozione di “inerenza” nel diritto tributario assume connotati diversi a seconda che venga considerata con riferimento ai redditi d’impresa e ai redditi di lavoro autonomo o ai redditi diversi di cui in oggetto.

Nei redditi d’impresa e nei redditi di lavoro autonomo l’inerenza, infatti, è intimamente connessa all’esercizio dell’attività. A differenza che in passato, quindi, i costi assumono rilevanza ai fini della deducibilità non in quanto posti in relazione con i ricavi, ma in quanto “riferibili” all’attività svolta; in tal senso si esclude che l’inerenza sia un concetto di ordine “quantitativo” e se ne afferma il carattere “qualitativo”, che elimina per definizione la proporzionalità ad un parametro.

Se dunque per redditi d’impresa e per quelli di lavoro autonomo i costi inerenti sono legati all’attività, per la categoria reddituale di cui ci stiamo occupando essi sono legati al “bene oggetto di cessione”; in tal modo acquistano rilevanza tutte quelle spese sostenute in quanto necessarie alla vita del bene ed alle vicende che la caratterizzano, compresi gli oneri tributari e le altre spese relative alla cessione dello stesso, le spese di costruzione, di manutenzione straordinaria e quelle volte ad incrementarne il valore(35).

Nell’ipotesi di bene immobile acquistato, nella categoria dei costi inerenti bisogna ricomprendere quindi i carichi fiscali assunti al momento dell’acquisto (imposte di registro, catastali e di trascrizione), le spese notarili, le spese di manutenzione straordinaria(36) e le cd. “spese incrementative” di cui all’art. 13 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643(37). Tali spese incrementative e le spese di manutenzione straordinaria vanno documentalmente provate al notaio, con le relative fatture dalle quali sarà possibile provare la tipologia e la natura degli interventi.

Si badi bene, in ipotesi di costi comuni a più unità immobiliari, la ripartizione dovrà avvenire sulla base di elementi oggettivi, preliminarmente secondo le tabelle di ripartizione millesimale; solo in loro assenza si può ricorrere alla superficie o alla cubatura ovvero al valore fiscale catastale.

Importante è porre in luce che, nell’ottica delle possibili responsabilità del notaio, tenuto all’applicazione dell’imposta sostitutiva del 12,50%, si ritiene opportuno che la consegna dei documenti comprovanti le spese sostenute comprenda anche un apposito prospetto di calcolo controfirmato dal contribuente.

Si ricorda che il legislatore fiscale, in relazione ad altre fattispecie, ha indirettamente offerto un’indicazione sulla natura dei costi di manutenzione straordinaria(38). Si reputa, comunque, che la definizione e l’individuazione delle spese di natura straordinaria che qui rilevano – mutuando dalla normativa i principi base - siano desumibili dal D.P.R. 380/2001(39).

Nel caso, invece, di costruzione dell’immobile, occorre tener conto anche dei costi dell’area e di tutti gli oneri sostenuti per la costruzione (ad esempio costi di appalto, oneri di progettazione, oneri di urbanizzazione), nonché di ulteriori eventuali costi sostenuti per demolire costruzioni esistenti sull’area da edificare ovvero di spese giudiziarie sostenute per liberare l’immobile da servitù o altri vincoli. Non pare, di contro, possano essere annoverati tra i costi inerenti quelli per interessi passivi legati alla realizzazione del fabbricato, in quanto essi non incidono direttamente sul bene dal momento che non ne incrementano il valore(40).

Più articolata risulta essere la determinazione della plusvalenza nell’ipotesi di cessione di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria. Anche in questo caso al corrispettivo percepito va sottratto il prezzo di acquisto aumentato di ogni costo inerente. Il valore iniziale complessivo (comprensivo, si badi bene, del costo storico e delle spese inerenti), tuttavia, va rivalutato alla luce della variazione tra la data di acquisto e quella di cessione degli indici Istat, al fine di neutralizzare gli effetti dell’inflazione monetaria. E’ opportuno anzitutto precisare che per le aree fabbricabili la cui edificazione è subordinata, a norma di legge, all’accollo delle spese per l’urbanizzazione primaria o secondaria, il valore iniziale è maggiorato anche della quota parte di tali spese, ancorché non eseguite alla data di alienazione, da computarsi, con riferimento alla edificabilità specifica dell’area, in base all’importo risultante dalle convenzioni o da altri atti di impegno stipulati con i Comuni ovvero dalle delibere adottate in merito dai Comuni stessi. Tale riferimento a convenzioni, atti d’impegno e delibere dei Comuni, in effetti, consente di evitare, per tali particolari spese, il ricorso alla esibizione di apposita documentazione probatoria – in taluni casi senza dubbio ardua per la complessità e vastità delle opere da eseguire – e la necessità che le spese stesse, e di conseguenza le opere cui sono afferenti, debbano essere effettuate prima dell’alienazione delle aree cui si riferiscono.

E’ inoltre espressamente stabilito che nelle ipotesi di cessione di terreni il cui valore storico sia stato rideterminato ai sensi dell’art. 11-quaterdecies, comma quarto, D.L. 203/2005 vanno annoverati tra i costi inerenti quelli sostenuti per la relazione giurata di stima, se effettivamente sostenuti e rimasti a carico del contribuente(41).

Occorre sottolineare che, non solo i terreni acquisiti a titolo oneroso, ma anche quelli acquisiti a titolo gratuito vanno rivalutati alla luce degli indici Istat. La Corte Costituzionale, infatti, con sentenza del 9 luglio 2002, n. 328, ha dichiarato incostituzionale, in quanto in contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione, l’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 82 del Tuir, nella parte “in cui non prevede che, per i terreni acquistati per effetto di successione o donazione, il valore dichiarato sulle relative denunzie ed atti registrati od in seguito definito o liquidato, assunto quale prezzo di acquisto ai fini della determinazione della plusvalenza tassabile, sia rivalutato in base alla variazione dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati” (42). Il medesimo meccanismo stabilito per i casi di terreni acquistati a titolo oneroso si applica quindi anche nelle ipotesi di terreni acquisiti a titolo gratuito (successione o donazione). In tal caso il valore iniziale è dato dal valore dichiarato nelle relative denunce ed atti registrati ovvero in seguito definito e liquidato aumentato di ogni eventuale costo successivo.

9. L’Imposta sostitutiva del 12,50%.

La manovra finanziaria per il 2006, Legge n. 266 del 2005, come chiarito, si innesta sui redditi diversi di cui agli articoli 67 e 68 del Tuir; laddove il primo dei due articoli individua le fattispecie tassabili, mentre il secondo determina le modalità di tassazione delle plusvalenze.

Il comma 496 della legge in questione stabilisce che “in caso di cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, e di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione, all’atto della cessione su richiesta della parte venditrice(43) resa al notaio, in deroga alla disciplina di cui all’art. 67, comma 1, lettera b), del testo unico delle imposte sui redditi (…) sulle plusvalenze realizzate si applica un’imposta sostitutiva del 12,50 per cento…” .

Il regime opzionale di applicazione della nuova aliquota sostitutiva opera con decorrenza dal primo gennaio 2006. Trattasi di un’imposta di gran lunga conveniente se si considera che la prima aliquota IRE è del 23% e si applica ai redditi fino a 26.000 euro; inoltre, essendo una “sostitutiva” assorbe anche l’impatto delle addizionali (regionali e comunali).

Tale nuovo regime d’imposizione per le plusvalenze in oggetto, pertanto, costituisce un’alternativa al regime di tassazione ordinaria sulla base dell’aliquota marginale IRE e, per quanto riguarda le sole plusvalenze da cessione di terreni edificabili, anche al regime di tassazione separata di cui all’art. 17, comma 1, lettera g-bis) del Tuir.

10. Rivalutazione dei terreni edificabili e con destinazione agricola.

Nel caso di cessione di terreni, peraltro, attualmente l’art. 11-quaterdecies, comma quarto, del D.L. n. 203/2005, riconosce la possibilità di procedere alla rideterminazione del valore di acquisto dei terreni posseduti alla data primo gennaio 2005, versando entro il 30 giugno 2006 un’imposta sostitutiva del 4% sull’intero valore dell’area risultante dalla perizia(44).

Tale rivalutazione, con il versamento della relativa imposta, offre sostanzialmente la possibilità di avvalersi di un nuovo costo storico del bene, in modo tale da evitare in concreto di realizzare plusvalenza nell’ipotesi di rivendita del bene medesimo nel breve periodo. Non si tratta di un’alternativa giuridica all’imposta sostitutiva sulle plusvalenze del 12,50%; ciononostante, è evidente che chi sceglie la rivalutazione, intendendo alienare il terreno nel breve periodo, si viene a trovare di fatto nella condizione di non aver alcun interesse ad optare per il regime previsto dalla Finanziaria.

Si può sostenere, quindi, che la situazione vari a seconda del rapporto esistente tra il prezzo di cessione e il valore storico del terreno, quindi dalla plusvalenza che deriva dalla cessione.

E’ stato infatti matematicamente accertato che qualora il prezzo di cessione sia coincidente con il valore di rivalutazione (il che accade nelle ipotesi di cessione nel breve periodo in cui non si origina alcuna plusvalenza) l’aver optato per la rideterminazione del valore sarà stata la soluzione più conveniente(45).

Quello del D.L. n. 203/2005 è l’ultimo di una serie di interventi legislativi in tema di rivalutazione del valore dei terreni(46).

11. Segue. Profili soggettivi ed oggettivi della rivalutazione. Cenni.

Si ricorda che i soggetti interessati alla disciplina in materia di rideterminazione del valore dei terreni sono persone fisiche non imprenditori, società semplici, enti non commerciali. Prima di passare a considerare brevemente i presupposti oggettivi dell’applicazione della normativa in questione, va precisato che, trattandosi di una nuova norma e non di una proroga dei termini, il contribuente che già si è avvalso della rivalutazione prevista dalla precedente disciplina e che rivaluta i terreni posseduti alla data del primo gennaio 2005 non potrà effettuare alcuna compensazione tra l’imposta sostitutiva versata e quella da versare, essendo solo legittimato a chiedere il rimborso dell’imposta già versata.

Quanto ai profili oggettivi, occorre sottolineare anzitutto che i proprietari o titolari di terreni edificabili o con destinazione agricola non sono obbligati a rivalutare tutti i terreni posseduti alla data del 1 gennaio 2005; parimenti nel caso di comproprietà o contitolarità non è necessario che tutti i soggetti procedano alla rideterminazione del valore dei terreni, ben potendo uno solo di essi (quotista) optare per beneficiare della norma agevolativa.

I terreni posseduti in regime di comunione pro indiviso possono essere oggetto di rivalutazione parziale, nel caso in cui solamente alcuni dei comproprietari o contitolari dei diritti reali di godimento intendano avvalersi della facoltà di rideterminare il costo storico dei terreni.

Per i terreni concessi in usufrutto è possibile rivalutare anche il solo valore della nuda proprietà o del diritto d’usufrutto, posto che anche l’usufruttuario, nel caso di cessione a titolo oneroso del suo diritto, può realizzare una plusvalenza tassabile.

La procedura di rivalutazione opera anche per i terreni oggetto di provvedimenti ablatori, posto che ai sensi dell’art. 11 della Legge n. 413/1991 generano plusvalenze tassabili le indennità di espropriazione o le somme percepite a seguito di cessioni volontarie nel corso di procedimenti espropriativi, nonché le somme comunque dovute per effetto di acquisizione coattiva conseguente ad occupazione di urgenza o ad infrastrutture urbane delle zone omogenee di tipo A, B, C, D definite dagli strumenti urbanistici, ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica(47).

Nell’ipotesi in cui gli strumenti urbanistici prevedano destinazioni differenziate all’interno di una stessa particella catastale, il contribuente può procedere alla rivalutazione dell’unità catastale limitatamente alla parte dichiarata edificabile.

Infine, occorre evidenziare che l’affrancamento operato dal de cuius o dal donante produce effetti nei confronti dell’erede o del donatario, in quanto non v’è alcun dubbio che la rivalutazione interessi anche i terreni edificabili acquisiti per successione o per donazione.


(1) Il termine plusvalenza, com’è noto, presuppone il raffronto tra due grandezze e consiste nella differenza tra il valore attuale di un bene ed il suo costo d’acquisizione (cd. costo storico).
Possono originare plusvalenze, quindi, tutte le attività il cui valore non è collegato al principio nominalistico della moneta; in tal modo, mentre i crediti si riscuotono sempre nella medesima misura monetaria in cui sono sorti, a prescindere da eventuali oscillazioni di valore della moneta, tutte le altre attività costituite da beni materiali ed immateriali possono a distanza di tempo essere caratterizzate da un valore maggiore rispetto al costo sostenuto per la loro acquisizione. Tale maggior valore può dipendere da due principali fattori: la valutazione monetaria – ciò che muta in questo caso non è il valore intrinseco del bene bensì la sua espressione monetaria - e le favorevoli condizioni di mercato – in tal caso cresce il valore del bene e solo di riflesso la quantità di moneta che lo rappresenta.
(2) Cfr. Studio CNN n. 3/2006/T di Commissione Studi Tributari.
(3) In tal modo, ricevette finalmente codificazione un principio che, seppur vissuto nell’interpretazione offerta dalla giurisprudenza e dalla prassi, non aveva fino ad allora trovato alcun riscontro nella legislazione.
(4) Si considerava altresì fatta in ogni caso con fini speculativi, senza possibilità di prova contraria, la lottizzazione o l’esecuzione di opere intese a rendere edificabili terreni inclusi in piani regolatori o in programma di fabbricazione e la successiva vendita anche parziale dei terreni stessi.
(5) LEO-MONACCHI-SCHIAVO, Le imposte sui redditi nel Testo Unico, Milano, 1993, 1251 ss. L’esistenza di un intento speculativo, quindi, trasformava flussi di ricchezza, seppur non inquadrati in alcuna categoria reddituale tipica, in reddito imponibile (in quanto prodotto). Affinché l’intento speculativo desse luogo alla tassazione di una plusvalenza in occasione di una isolata speculazione di compravendita di immobile posta in essere da una persona fisica, occorreva che esso sussisteva sia al momento del suo acquisto che alla data della sua successiva alienazione, sicchè era legittimo escluderne l’esistenza nel caso in cui fosse trascorso un lungo lasso di tempo tra l’atto di acquisto e quello di vendita del bene e quest’ultimo risultasse essere stato stipulato per fronteggiare precarie situazioni di famiglia (Comm. Centr., 19 febbraio, 1975, n. 2492).
(6) A tal punto si ritiene opportuno effettuare un preliminare cenno alla problematica in materia di privilegi sui redditi immobiliari. In particolare, ci si rivolge al disposto dell’art. 2771 c.c. rubricato “Crediti per le imposte sui redditi immobiliari” . Nell’articolo in questione, infatti, si legge che i crediti dello Stato per l’imposta sul reddito delle persone fisiche e per l’imposta sul reddito delle persone giuridiche, limitatamente all’imposta o alla quota proporzionale d’imposta imputabile ai redditi immobiliari, compresi quelli di natura fondiaria non determinabili catastalmente, sono privilegiati sopra tutti gli immobili del contribuente situati nel territorio del comune in cui il tributo si riscuote nonchè sopra i frutti, i fitti e le pigioni dei medesimi immobili. E’ anzitutto il caso di sottolineare che la norma in esame ha, nel tempo, dato adito a dubbi interpretativi circa la natura del privilegio di cui trattasi; sicché ad oggi la questione risulta ancora controversa ed irrisolta. In effetti, benché espressamente si parli di “privilegio speciale”, esso non ha precisamente ad oggetto gli immobili cui si riferiscono i redditi tassati, ma “gli immobili tutti del contribuente situati nel territorio del comune in cui il tributo si riscuote”. Non a torto, quindi, si è parlato di privilegio generale “territorialmente limitato” (PUGLIESE, Istituzioni di diritto finanziario, Padova 1938, 387). La delimitazione oggettiva del privilegio è ancor più problematica se si considera che i tributi riguardano redditi complessivi producibili in luoghi diversi da quello del domicilio fiscale e di riscossione, non avendo perciò alcun senso limitare il privilegio al solo eventuale immobile esistente in quest’ultimo luogo. Tutto ciò, com’è ovvio, ha determinato e determina non poche conseguenze problematiche quanto all’esercizio del diritto di seguito. Dibattuta in passato è stata altresì la natura del privilegio sui frutti, i fitti e le pigioni degli immobili. In tali casi, tuttavia, si ritiene che la natura del privilegio possa qualificarsi come immobiliare qualora esso viene esercitato congiuntamente sull’immobile e sui frutti, mentre è sicuramente mobiliare quando l’esattore agisce direttamente sui soli frutti, pigioni e fitti dell’immobile (Per ulteriori riferimenti, si veda Relazione per il convegno di Taormina del 15/16 aprile 2005 “Circolazione dei beni immobili e privilegio dello Stato per le imposte” di LOMONACO). Aldilà di questi sintetici ma doverosi chiarimenti, la questione che in questa sede più da vicino ci riguarda è stabilire se nella nozione di “redditi immobiliari” di cui all’art. 2771 rientrino o meno le plusvalenze immobiliari di cui ci stiamo occupando. E’ bene precisare che quando si parla di “redditi immobiliari” non ci si riferisce direttamente ad una delle categoria reddituali tassativamente previste dal Tuir. I redditi immobiliari, infatti, a norma dell’art. 90 del Tuir (“Proventi immobiliari”), se non rientrano tra i redditi d’impresa, sono qualificabili come redditi fondiari e, quindi, determinati secondo le disposizioni degli artt. da 27 a 35 (redditi dei terreni) o degli artt. da 36 a 42 e dell’art. 190 (redditi dei fabbricati) del Tuir, cioè, in sostanza, ed in via generale, in base alle rendite catastali o agli affitti. Alla luce di ciò è comprensibile che le plusvalenze immobiliari di cui in oggetto non si considerano incluse tra i redditi immobiliari per un duplice ordine di motivi. Innanzitutto tali plusvalenze sono contenute nella categoria residuale dei redditi diversi di all’art. 67 del Tuir; e già solo questo basterebbe ad escludere che esse possano rientrare tra i redditi immobiliari. In secondo luogo è opportuno evidenziare che i redditi immobiliari, consistendo in rendite di terreni e fabbricati, hanno una palese caratterizzazione oggettiva in quanto legati alla capacità di un bene, facente parte del patrimonio di un soggetto e senza fuoriuscire da esso, di produrre dei frutti. Le plusvalenze immobiliari, diversamente, si sostanziano in un incremento di ricchezza che si produce all’atto di cessione, quindi al momento della fuoriuscita del bene dal patrimonio del soggetto alienante, e che consiste nella differenza tra il corrispettivo che il cedente percepisce e l’originario valore del bene. E’ pertanto indubbio che in tal caso non è il bene, oggettivamente considerato, a produrre incremento di ricchezza, quanto piuttosto la cessione dello stesso. Ulteriore conforto a riguardo deriva, inoltre, dall’aver l’esame preliminarmente svolto posto in luce che né la prassi né la giurisprudenza hanno mai ritenuto che il privilegio di cui all’art. 2771 c.c. potesse essere costituito sulle plusvalenze derivanti dalla cessione di immobili.
(7) L’esclusione esplicita degli immobili acquistati a titolo gratuito già esisteva nella vigenza dell’art. 76. L’Amministrazione finanziaria, infatti, ne sottolineava l’irrilevanza giustificata dalla mancanza di “intento speculativo”; vedi, in proposito, Circ. Min. Fin., 28 novembre 1977, n. 8/1059, in Dir. Prat. Trib., 1978, I, 677.
(8) Comm. Trib. Prov. di Matera, sez. I, 17 aprile 1997, n. 208. Secondo cui: “…la presunzione assoluta di carattere speculativo di cessioni di immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni (…) trova applicazione anche nel caso di permuta dell’immobile con mano d’opera da fornire per altra costruzione, trattandosi pur sempre di cessione a titolo oneroso”. Ai fini della determinazione della plusvalenza nelle ipotesi di permuta, occorre tener conto del valore normale del bene e non già del valore dichiarato in atto. Nei casi di permuta tra cosa presente e cosa futura (è, ad esmpio, il caso di cessione di terreno a fronte di una porzione di fabbricato da edificare), in forza del principio di cassa, per determinare e tassare la plusvalenza, non si avrà riguardo alla data di stipula dell’atto, bensì a quella in cui l’immobile viene ad esistenza (Cfr.Cass. Sent. 1427 del 25 novembre 2005, in “Il Fisco”, 2006, 11, 1, 4366).
(9) Si tenga conto che in quest’ottica si comprende anche perché in tema di rideterminazione del valore dei terreni, tra gli immobili affrancabili, i quali possono quindi beneficiare dell’opportunità fiscale della rivalutazione, vi sono anche i terreni gravati da usufrutto. La possibilità è infatti riconosciuta all’ usufruttuario in ragione del fatto che anch’egli cedendo a titolo oneroso il suo diritto realizza una plusvalenza tassabile (Per ulteriori approfondimenti si veda infra ai paragrafi n. 10-11).
(10) Si veda a riguardo FALSITTA, La tassazione delle plusvalenze e sopravvenienze nelle imposte sui redditi, Padova, 1986, 88 ss.
(11) Cfr. Studio CNN n. 24/2002/T di Commissione studi tributari.
(12) Si ritiene, inoltre, che il tempo richiesto per il compimento dell’usucapione (20 anni in caso di usucapione ordinaria, 10 anni in caso di usucapione abbreviata) risulti concettualmente incompatibile con lo scopo di lucrare la rivalutazione del cespite con una successiva rivendita (animus speculandi) che sottende alla previsione di cui al richiamato art. 67, lett. b) in base al quale si evidenzia un incremento di ricchezza imponibile solo nelle ipotesi in cui l’operazione di acquisto e rivendita si realizzi nell’arco di un quinquennio (Ris. Min., 31 marzo 2003, n. 78/E, in www.finanze.it). Si badi bene che quando si parla di animus speculandi, con riferimento alle operazioni di cessione di cui alla norma in commento, non ci si rivolge al criterio generale di “intento speculativo” che, come visto, esistente nella disciplina pregressa, è stato attualmente del tutto abbandonato. L’animus speculandi rimane sotteso alla disposizione come ratio giustificativa dell’imposizione delle plusvalenze immobiliari di cui alla prima parte della lettera a) dell’art. 67, che, comunque, sono soggette a tassazione solo ed esclusivamente qualora si integri la fattispecie tassativamente prevista. Le considerazioni svolte non valgono però per le plusvalenze che derivano dalla cessione di terreni edificabili . Infatti, come si chiarirà in seguito, l’alienazione di tali cespiti produce reddito tassabile indipendentemente dalla onerosità dell’acquisto; quindi anche se l’immobile è stato acquisito per successione o donazione o a titolo originario per usucapione. Cfr. Ris. Min., n. 78/E, del 31 marzo 2003. Sul punto, ZANETTI, Plusvalenze - Acquisto di immobile per usucapione , in Pratica fiscale e professionale, n. 12, 2006, 45-46.
(13) La residenza è un quid facti; risulta dal fatto che la persona ha abituale dimora in un dato luogo, con una stabilità non perpetua e continua, ma duratura (art. 43, c. 2 c.c.). La prova di aver destinato un immobile ad uso abitativo prescinde, quindi, dal solo fornire certificazione anagrafica, consistendo, invece, principalmente nel darne dimostrazione sulla base di elementi oggettivi e di fatto (si considerino, ad esempio, i contratti per le utenze di gas, luce, etc.). Ai sensi del D.P.R. n. 445, del 28 dicembre 2000, è possibile effettuare la cd. “autocertificazione”, con cui dare dimostrazione che si dimora in luogo diverso da quello in cui di residenza anagrafica. E’ bene precisare che le condizioni previste perché un immobile sia “abitazione principale” non coincidono con i requisiti richiesti ai fini della possibilità di beneficiare delle agevolazioni cd. “prima casa” (Si veda Circ. min. 38/E del 12 agosto 2005). Se è vero, infatti, che la possibilità di godere di tali agevolazioni prescinde dalla circostanza che l’immobile sia adibito ad abitazione principale, è altrettanto vero che le plusvalenze di cui ci si sta occupando si originano se la cessione infraquinquiennale ha ad oggetto immobili che non siano stati destinati a prima abitazione, ad opera del cedente o dei suoi familiari, solo ed esclusivamente nel senso chiarito; indipendentemente, quindi, dal fatto che per tali immobili sia stata richiesta o meno l’agevolazione “prima casa”.
(14) Cfr. Comm. Trib. Centr., sez. XVIII, 27 maggio 1988, n. 4562 cit., DE CANDIA, in D’AMATI, L’imposta sul reddito delle persone fisiche, Torino, 1992, 708. Cfr., a riguardo, anche Studio CCN. n. 87/2005, estensore GIUNCHI.
(15) Cfr. Comm. Trib. Centr., Sez. VIII, 20 ottobre 1988, n. 7179, in Boll. Trib. 1989, 308.
(16) Cfr. Ris. Min. Fin. 2 aprile 1983, n. 871471, in Dir. Prat. Trib., 1983, I, 1326.
(17) Cfr. Studio n. 67/99/T, estensore GIUNCHI.
(18) Cfr. per il passato Comm. Trib. Centr., sez. XVII, 4 aprile 1991, n. 2632, in Fisco , 1991, 7315; Comm. Trib. I g. Reggio Emilia, sez. I, 6 giugno 1981, n. 2039 in POZZO, I redditi diversi (1974-1991) in Dir. Prat. Trib., 1992, II, 935-936. Restano ferme le fattispecie in ordine alle quali le condizioni di esclusione non si sono potute realizzare per fatti estranei alla volontà del soggetto che abbia acquistato o rivenduto. Come, ad esempio, quando l’uso dell’immobile acquistato sia stato impedito dall’occupazione da parte di terzi (Comm. Trib. Centr., sez. VIII, 29 ottobre 1988, n. 7179, in Boll. Trib., 1989, 308).
(19) FANZINI, Le plusvalenze immobiliari, in Giurisprudenza sistematica, vol. II, a cura di TESAURO, 1994, 967 ss.; ID. Il nuovo regime impositivo delle plusvalenze realizzate in seguito a cessioni di terreni edificabili ed espropri per opere pubbliche, in Boll. Trib., 1992, 574; LEO-MONACCHI- SCHIAVO, Le imposte sui redditi, cit., 1253.
(20) Ci si riferisce, chiaramente, ai casi in cui il reddito prodotto rientri nella categoria di reddito agrario e non ai casi in cui trattasi di reddito d’impresa (art. 55 Tuir).
(21) Per le imprese individuali deve trattarsi di uno dei beni indicati nell’inventario redatto ai sensi dell’art. 2217c.c., ovvero, nel caso di imprenditore in contabilità semplificata ex art. 66 del Tuir, nel registro dei beni ammortizzabili, o, infine, secondo il disposto dell’art. 13 del D.P.R. n. 435/2001 e dell’art. 2, comma 1, del D.P.R. n. 695/1996.
(22) Cfr. Ris. Ag. Ent. N. 137/E del 7 magio 2002.
(23) Cfr., in senso diverso Studio n. 1/2005/T, estensore FORTE. A riguardo, infatti, nello Studio si riporta la sentenza n. 5366 del 12 gennaio 1999, in cui la Suprema Corte ha statuito l’assoggettabilità ad imposta di registro della cessione “di un bene che a seguito di una destinazione diversa (area edificabile) da quella che aveva quando fu impiegato nell’attività d’impresa agricola viene a perdere il carattere originario di bene strumentale”. In questa pronuncia, dunque, la Corte, ritiene che un terreno, nel passare da agricolo ad edificabile, perda “automaticamente”il carattere di strumentalità all’impresa agricola. Tale interpretazione nel citato Studio non si ritiene condivisibile, poiché, in luogo di un discorso effettuato in termini generali, si reputa necessaria un’analisi accurata della fattispecie concreta; in quanto si ritiene evidente che a priori non si possa escludere la strumentalità di un terreno edificabile ad un’impresa agricola.
(24) Nonché di somme comunque dovute per effetto di acquisizione coattiva conseguente ad occupazioni d’urgenza divenute illegittime relativamente a terreni destinati ad opere pubbliche o ad infrastrutture urbane all’interno delle zone omogenee di tipo A, B, C, D, di cui al Decreto ministeriale 2 aprile 1968, definite dagli strumenti urbanistici, ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica ed economica e popolare di cui alla legge n. 167 del 18 aprile 1962 e successive modificazioni. Le categorie di terreni per i quali, nelle ipotesi di esproprio o di cessione volontaria nell’ambito di procedimenti espropriativi, trova applicazione il comma 5 dell’art. 11 della legge n. 413/1991, sono previste tassativamente. Questo ha portato ad escludere che siano oggetto della previsione normativa in questione gli espropri e le cessioni volontarie di quei terreni che abbiano una destinazione diversa da quella normativamente prevista (Così, Cass., sez. trib., sent. n. 21733 del 9 novembre 2005, in relazione a terreni destinati ad insediamenti produttivi).
(25) Cass. sez. trib., sent. 8 febbraio 2005, n. 2490. Legge 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11, comma 7. Infine alle indennità in questione, per effetto delle disposizioni di cui all’art. 67, comma 1, lettera b) del Tuir, si rende applicabile anche la tassazione separata di cui all’art. 17, comma 1, lettera g-bis), del Tuir.
(26) Pare opportuno aggiungere che la norma contenuta al comma 7, dell’art. 11 della legge succitata crea una serie di dubbi, relativi in particolare allo stabilire se il prelievo alla fonte a titolo d’imposta, proprio perché commisurato ad una somma lorda, diventi o meno un prelievo indebito giacchè non correlato ad un reddito determinato con i criteri puntuali stabiliti dall’art. 82 del Tuir. A ben vedere l’art. 11, comma 7, prevede in relazione all’applicazione di una ritenuta alla fonte di una sola aliquota, due fonti distinte di prelievo che non sono correlate al medesimo presupposto d’imposta.
(27) Il problema specifico non si porrebbe eventualmente nei soli casi di cessioni volontarie nell’ambito di procedimenti espropriativi.
(28) Il tentativo di approdare ad un coordinamento tra l’art. 11 della legge n. 213/1999 ed il regime di imposta sostitutiva introdotto dalla Finanziaria non è agevole. E’ pur vero, ad ogni modo, che le fattispecie che il legislatore ha inteso espressamente assoggettare alla nuova imposta sostitutiva sono solo quelle elencate nel comma 496 dell’art. 1 della Legge finanziaria 2006. Per esse unicamente è stata disposta una deroga espressa alla disciplina di cui all’art. 67, comma 1, lettera b), del Tuir, che comunque non potrà essere facilmente concessa in via amministrativa alle indennità di esproprio.
(29) Cfr. anche Studio CNN n. 861-bis, estensore COLUCCI.
(30) L’interpretazione ministeriale è più volte intervenuta sulla questione chiarendo che quand’anche il terreno si trovi in una zona edificabile, secondo il piano regolatore generale, esso non può qualificarsi quale suscettibile di utilizzazione edificatoria, qualora manchino gli strumenti attuativi (se previsti) o il terreno si trovi per la maggior parte della propria estensione in una “fascia di rispetto della viabilità” o in una zona a vincolo speciale (Ris. Min., 10 settembre 1991, n. 430065, in “Il Fisco” n. 42/1991, 6953). E’ stato inoltre affermato che un terreno inserito in un piano di fabbricazione, per il quale non sia stata perfezionata la relativa convenzione per il piano di lottizzazione, è da ritenersi non suscettibile di utilizzazione edificatoria, non essendo possibile per tale ragione il rilascio di alcuna concessione edilizia (Ris. Min., 6 dicembre1990, n. 431291, in “Il Fisco” n. 12/1991, 1914).
(31) Cass., 3 febbraio 2006, n. 2387, in Banca dati Big dell’IPSOA. Ad una soluzione analoga a quella per le imposte dirette sembra lecito, peraltro, debba pervenirsi anche con riferimento all’imposta di registro ed all’ICI. L’orientamento giurisprudenziale dominante, infatti, ai fini della determinazione dell’imposta di registro ha sostenuto che l’esclusione del meccanismo automatico di valutazione ed il conseguente accoglimento del criterio di valutazione del bene in base al suo valore di mercato può aversi solo in presenza di un piano regolatore che abbia ottenuto l’approvazione regionale (Cass., del 3 dicembre 1994, n. 10406; Cass., del 12 novembre 2001, n. 13968; Cass., del 27 dicembre 2001, n. 1620 ; Cass. n. 4426/2003; Comm. trib. prov. di Salerno, del 26 marzo, 2001, n. 59; Comm. trib. prov. di Pistoia, del 6 dicembre 2000, n. 296, in www.finanze.it.) Anche il D.Lgs. del 30 dicembre 1992, n. 504, istitutivo dell’ICI, contempla un’apposita disciplina relativa alle aree edificabili; il concetto di area edificabile contenuto nella disciplina ICI, tuttavia, si discosta da quello utilizzato ai fini dell’imposizione sui redditi per avvicinarsi di gran lunga a quello in vigore per le espropriazioni per pubblica utilità. In questo caso, infatti, ciò che rileva ai fini dell’individuazione di un’area fabbricabile è la potenzialità edificatoria (Ris. Min. Fin., 17 ottobre 1997, n. 209/E, in Banca dati tributaria Fisconline). Questo vuol dire che, ai fini ICI, la fabbricabilità di un’area può dipendere dal suo essere ricompresa in un piano regolatore, ma può altresì derivare dalla sua ubicazione qualificata da un complesso di elementi obiettivi quali la sua accessibilità, lo sviluppo edilizio della zona, l’adiacenza con reti viarie e di collegamento con il centro urbano etc. Quanto agli strumenti urbanistici è da dire, però, che anche ai fini ICI un consolidato orientamento giurisprudenziale ritiene che il piano regolatore generale non sia presupposto sufficiente per attribuire all’immobile la natura di area edificabile, essendo invece necessaria l’adozione di un ulteriore strumento attuativo (tra le altre vedi Cass., sent. del 13 ottobre 2004, n. 21573).
(32) Cass., 15 gennaio 2003, n. 467, in “Il Fisco”, n. 6/2003, fasc. n. 1, 946.
(33) Cfr., a riguardo, la già menzionata sentenza: Comm. Trib. Prov. di Matera, sez. I, 17 aprile 1997, n. 208, in Banca dati tributaria Fisconline.
(34) Ai fini dell’applicazione dell’imposta sostitutiva del 12,50%, nei casi di dilazione di pagamento, considerato che la norma si riferisce alle “plusvalenze realizzate”, in base al principio di cassa, si ritiene che l’imposta sostitutiva andrebbe applicata alla sola parte di corrispettivo effettivamente percepita. Sarebbe ipotizzabile tuttavia altresì che, facendone il cedente espressa richiesta al notaio, l’imposta sostitutiva possa essere applicata anche alla parte di corrispettivo non ancora percepita, evitando in tal modo di applicare l’imposta ordinaria.
(35) Cfr. Ris. Min. fin., del 23 novembre 1981, n. 9/1716, in cui si precisava che la spesa documentata sostenuta dal proprietario di un immobile locato, consistente nell’erogazione di una somma di denaro al conduttore per la riconsegna di un edificio (successivamente rivenduto a terzi), poteva ricondursi tra costi di cui all’art. 76. Si noti comunque una certa differenza tra la portata del primo comma dell’art. 68 e quella del secondo comma dello stesso articolo. Se infatti nella prime parte il concetto di “costo inerente”è chiaramente riferito al bene; nella seconda parte dell’articolo, laddove si sostiene che il costo del terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria è costituito dal prezzo di acquisto aumentato di ogni altro costo inerente rivalutato in base all’indice istat, pare, invece che il legislatore abbia inteso riferire il concetto di inerenza non al bene bensì all’acquisto. Secondo una simile impostazione è evidente che dalle spese inerenti andrebbero escluse tutte le spese incrementative e di accrescimento del valore del bene di cui si parla nel testo.
(36) Cfr. Comm. Trib. Centr., sez. IX, dec., 19 marzo 2003, n. 5524, relativo all’ammissione in detrazione della plusvalenza, per la rivendita nel quinquennio, dell’imposta di registro relativa all’atto di acquisto commisurata al valore accertato e non a quello dichiarato.
(37) Trattasi del decreto istitutivo dell’Invim, il cui art. 13, facente espresso richiamo alle cd. “spese incrementetive”, si ritiene possa esser tenuto in considerazione ai fini dell’esatta individuazione dei costi inerenti di cui alla norma in commento; anche tali costi, infatti, come le spese incrementative nell’Invim, incidono sul valore di scambio del bene, in quanto producono un suo accrescimento di valore (Cfr. Comm. Trib. Centr. Sez. 10, n. 3093, del 20 aprile 1988).
(38) Da ultimo con la novella dell’art. 7 della Legge n. 248/2005.
(39) Trattasi, in particolare, degli interventi di manutenzione, restauro, risanamento, ricostruzione etc..di cui alle lettere b), c), d), e), f) dell’art. 3 del richiamato D.P.R. Un caso particolare che va segnalato è quello di fabbricati assegnati da società di comodo, ad esempio a seguito delle leggi di assegnazione agevolata. In tal caso il costo di acquisto sarà pari al valore fiscale dell’assegnazione, generalmente pari al valore normale definito in sede di assegnazione. Per tali fattispecie sarà, pertanto opportuno fare riferimento agli atti di assegnazione dei beni interessati. Sul punto, TEDESCHI, Nuova imposta sostitutiva sulle plusvalenze immobiliari, in Federnotizie, n. 2, 2006, 65 ss.
(40) Cfr. in materia di Invim, Dir. Fin. Loc., T.M. n. 1/150/T del 15 febbraio 1985. Si è dello stesso avviso per quanto concerne le spese di agenzia sostenute per l’acquisto del bene.
(41) Cfr. Legge del 28 dicembre 2001, n. 448; vedi Circ. Agenzia delle Entrate, 1 febbraio 2002, n. 15. Controverso, nei casi di rideterminazione del valore dei terreni, è se, al di là della rivalutazione Istat e delle spese sostenute per la relazione giurata di stima, anche altri costi inerenti sostenuti a seguito della suddetta rideterminazione, debbano essere presi in considerazione ai fini del calcolo delle plusvalenze. A riguardo si veda Ancora chiarimenti dell’Agenzia dell’Entrate sulla rideterminazione dei valori di acquisto dei terreni, a cura di CANNIZZARO, in CNN Notizie, del 20 marzo 2006.
(42) in “Il Fisco”n. 29/2002, fasc. n. 1, 4730.
(43) Stando alle osservazioni svolte nel paragrafo n. 4, in base alle quali, ai sensi dell’art. 67, lettera b), per “cessione” non deve intendersi la sola “vendita”, si ritiene imprecisa la lettera della norma laddove si riferisce alla sola “parte venditrice”.
(44) Per esplicita previsione legislativa il valore da attribuire ai terreni posseduti alla data del primo gennaio 2005 e da rivalutare entro il 30 giugno 2006 deve essere determinato da soggetti competenti in materia urbanistica e attestato con apposita relazione di stima, redatta e giurata da un professionista tecnico affidatario dell’incarico. Sono abilitati alla redazione ed al giuramento della perizia di stima: i soggetti iscritti all’albo degli ingegneri, architetti, geometri, dottori agronomi, agrotecnici, periti agrari e dei periti industriali civili, nonché i periti regolarmente iscritti alle camere di commercio, industria ed agricoltura.
(45) SARTORI, in Novità fiscali 2006, a cura de “Il Sole 24 Ore”, gennaio 2006, ha posto in luce come tale convenienza si annulli allorché il rapporto tra prezzo di cessione e valore storico si approssima a 1,4706; in tal caso, l’aver optato direttamente per il regime di imposta sostitutiva sulle plusvalenze o l’essersi avvalsi della rivalutazione dell’area saranno state soluzioni equivalenti Qualora invece il suddetto rapporto scenda al di sotto di tale valore numerico, la convenienza fiscale sarà stata data dal pagamento dell’imposta sostitutiva del 12/50% sulla plusvalenza realizzata dalla cessione e non, quindi, dall’aver optato per la previa determinazione del valore.
(46) Per approfondimenti si rinvia alla Segnalazione novità del CNN, n. 106 del 2 dicembre 2005, I terreni nella legge di conversione del decreto fiscale n. 203/2005: rideterminazione dei valori di acquisto e definizione di area fabbricabile. In ordine all’evoluzione della normativa, si segnala altresì Circ. Ag. Ent., del 22 aprile 2005, n. 16/E. Si badi bene che la circostanza di aver provveduto alla rivalutazione dei terreni non è di impedimento all’applicazione della rivalutazione secondo l’indice Istat per il periodo intercorrente tra la data considerata ai fini della rivalutazione e quella della successiva cessione.
(47) Cort. Cost. ord. n. 395 del 25 luglio 2002 e n. 109 del 12 aprile 2002, rispettivamente in “Il Fisco” n. 33/2002, fasc. n. 1, 5369 e n. 24/2002, fasc. 1, 3895; sent. n. 161 del 31 maggio 2001; Cass. sez. trib., ex multis, sent. n. 16231 del 19 agosto 2004, in “Il Fisco”, n. 39/2004, fasc. 1, 6732.

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