PPC - Divieto decennale di rivendita
PPC - Divieto decennale di rivendita
di Diego Podetti
Consiglio Nazionale del Notariato - Studio n. 41/2005/T
Pubblicato nella rivista Studi e Materiali CNN, Milano, 2/2005, p. 1413 ss..
Fattispecie
acquisto a titolo di permuta nel febbraio 2000 di terreno agricolo con fabbricati di pertinenza, con le c.d. agevolazioni della piccola proprietà contadina.
Quesito
si chiede di sapere se la vendita prima del decorso del decennio dall’acquisto sia nulla o comporti solo la decadenza dalle agevolazioni fiscali.
Risposta al quesito
Il Consiglio Nazionale del Notariato, sotto il vigore della normativa antecedente l’entrata in vigore del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, ha già espresso il proprio parere nello Studio n. 603 bis, approvato il 3 luglio 1997, che qui di seguito si riassume.
“In linea generale la rivendita prima del decennio dall'acquisto è da ritenersi possibile. Occorre tuttavia accertare se l'acquisto agevolato era stato effettuato nell'esercizio del diritto di prelazione legale agraria. Infatti, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. 21 giugno 1979, n. 3446, in Giust. Civ. 1979, I, pag. 2103 e ss.; Cass. 22 luglio 1982, n. 4709; Cass. 2 febbraio 1984, n. 820.) l’acquisto di un fondo rustico nell'esercizio del diritto di prelazione, non in relazione all'interesse ad esercitarvi l'impresa agricola senza condizionamenti di poteri dominicali altrui, ma per trasferirlo a terzi, l'acquisto effettuato, con abuso del diritto di prelazione, sarebbe viziato da nullità o addirittura inesistente. Dubbi e riserve sono stati espressi al riguardo in dottrina. Secondo un'altra tesi, sostenuta da una parte della dottrina e da un recente orientamento della Cassazione (Cass. 11 giugno 1992, n. 7159), il secondo comma dell'articolo 28 della legge 26 maggio 1965, n. 590, sancirebbe la nullità dell'atto di rivendita, prima del decorso dei dieci anni dall'acquisto, del fondo acquistato giovandosi del diritto di prelazione. La nullità concernerebbe quindi l'atto di rivendita e non il precedente acquisto effettuato nell'esercizio della prelazione. Com'è stato rilevato dalla stessa Suprema Corte (Cass. sez. III, 28 giugno 1994, n. 6192), la surriportata interpretazione del comma 2 dell'articolo 28 della legge n. 590 del 1965, si pone in contrasto con la precedente giurisprudenza della stessa Corte (Cass. 9 ottobre 1976, n. 3351; Cass. 12 febbraio 1988, n. 1524 e Cass. 14 dicembre 1990, n. 11909.) secondo la quale, invece, il comma 2 dell'articolo 28 citato si limiterebbe a sancire la decadenza dai benefici della concessione dei mutui e delle agevolazioni tributarie goduti per l'acquisto, che andrebbero perduti in caso di rivendita prima dei dieci anni dall'acquisto.”
In quest’ultimo senso si era pronunciato il Consiglio Nazionale del Notariato, nel precedente studio 564 bis del 6 maggio 1993, ove si chiariva che l'avversata tesi della nullità avrebbe dovuto, comunque, essere limitata all'ipotesi di acquisto effettuato con i benefici creditizi previsti dalla legge n. 590/1965.
Con il decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, vi è stata una attenuazione dei vincoli in materia di proprietà coltivatrice. Infatti l’art. 11, ha ridotto da dieci a cinque anni il periodo di decadenza dai benefici previsti dalla vigente legislazione in materia di formazione e di arrotondamento di proprietà coltivatrice, riduzione che opera anche retroattivamente, anche per gli atti di acquisto posti in essere in data antecedente di almeno cinque anni la data di entrata in vigore del decreto (non quindi nella fattispecie di cui è caso) , sancendo altresì che non incorre nella decadenza dei benefici fiscali e creditizi l'acquirente che, durante il periodo vincolativo, ferma restando la destinazione agricola, alieni il fondo o conceda il godimento dello stesso a favore del coniuge, di parenti entro il terzo grado o di affini entro il secondo grado, che esercitano l'attività di imprenditore agricolo di cui all'articolo 2135 del codice civile, nonché in tutti i casi di alienazione conseguente all'attuazione di politiche comunitarie, nazionali e regionali volte a favorire l'insediamento di giovani in agricoltura o tendenti a promuovere il prepensionamento nel settore.
In relazione alla normativa introdotta dal citato D.Lgs. 228/2001, il Consiglio Nazionale del Notariato, con lo Studio 3520, approvato dalla Commissione Studi l’11 settembre 2001, ha ritenuto che essa non offra nuovi elementi che aiutino a dare una soluzione al problema in oggetto (nullità e decadenza dalle agevolazioni o solo decadenza), in quanto i primi due commi dell’articolo 11, sono la quasi pedissequa riproduzione dei primi due commi dell’art. 28 della legge n. 590 del 1965.
Si riporta qui uno stralcio delle considerazioni fatte nello Studio 3520:
“L’argomento di fondo sul quale appariva costruita la conclusione della Cassazione del 1992, pertanto, si racchiudeva nell’esigenza di attribuire giustificazione autonoma al secondo comma dell’art. 28 della legge n. 590 del 1965, a fronte del primo comma dello stesso articolo che stabiliva in modo espresso la decadenza, ma collegata quest'ultima con le ottenute agevolazioni fiscali previste da norme precedenti. La dottrina ha tentato di contrastare l’argomentazione predetta e l’ha fatto utilizzando due sostanziali argomentati: a) da una parte si è tentato di individuare la ragione giustificativa della norma concernente il divieto temporaneo di alienazione ricercando il tipo di interesse protetto; b) da un’altra parte si è tentata una ricostruzione storica di tutta la normativa sulla proprietà contadina pervenendo alla conclusione che solo all’ultimo momento, sulla base di una concitata discussione parlamentare, la norma di divieto era stata inserita per evitare che i finanziamenti previsti dalla legge n. 590 restassero privi di sanzione; infatti il primo comma dell’art. 28 sopra richiamato faceva riferimento ai benefici fiscali e non concerneva i benefici finanziari; allo scopo di non lasciare anche questi ultimi privi di tutela (sosteneva questa seconda opinione) era stato necessario formulare una norma di divieto, norma peraltro dal tenore poco chiaro per i concitati avvenimenti della discussione parlamentare.
L’avere individuato una norma giustificativa della ragione di divieto diversa da quella individuata dalla Cassazione del 1992 rendeva l’argomento di quest’ultima piuttosto fragile. Infatti, alla luce dell’iter formativo della legislazione sulla proprietà coltivatrice, è stato possibile pervenire ad una conclusione del tutto diversa, per cui nel caso di specie si riteneva applicabile solo la sanzione della decadenza e non la sanzione della nullità. Sulla base della considerazione che ogni fattispecie normativa di nullità virtuale, cioè di nullità non sanzionata espressamente dal legislatore, ma derivante dall’esigenza di tutelare fortemente un interesse generale, presuppone appunto l’esistenza di un simile interesse, si è ritenuto che, nel caso di specie, l’unico interesse degno di protezione apparisse quello di salvaguardare la concessione di benefici sia fiscali che finanziari, benefici appunto previsti dalla legislazione sulla proprietà contadina. E, conseguentemente, che il miglior modo per salvaguardare questo interesse (cioè l'interesse alla conservazione del beneficio) fosse quello evitarne la decadenza. In precedenza esistevano soltanto le norme di favore di carattere fiscale: in primo luogo la legge 6 agosto 1954, n. 604 che prevedeva agevolazioni per l’imposta di bollo, l’imposta di registro e l’imposta ipotecaria per gli atti di formazione e di arrotondamento della piccola proprietà contadina. L’art. 7 di questa legge stabiliva la decadenza dalle agevolazioni, da parte dell’acquirente, qualora il fondo fosse stato rivenduto prima di un certo termine dall’acquisto (termine previsto in precedenza in 5 anni, poi ampliato a 10 anni e da ultimo riportato a 5 anni). In definitiva, la sanzione della decadenza dai benefici fiscali era prevista espressamente dalla legge e non poteva argomentarsi che fosse sanzionata anche la nullità dell’atto, oltre tutto perché il riferimento era effettuato ad un determinato soggetto (l’acquirente, il permutante, l’enfiteuta) e pertanto non poteva riguardare l’intero atto, condizione quest’ultima necessaria per l’insorgere del vizio di nullità. In definitiva, queste leggi di agevolazione tributaria stabilivano la decadenza per la rivendita del fondo entro un termine determinato, ma non concernevano aspetti di finanziamento. Il finanziamento fu disposto successivamente, con legge 2 giugno 1961, n. 454, denominata "Piano quinquennale per lo sviluppo dell’agricoltura". Questa legge mirava, con l’intervento finanziario dello Stato, a determinare "lo sviluppo economico-sociale dell’agricoltura, da realizzare promuovendo la formazione ed il consolidamento di imprese efficienti e razionalmente organizzate, in specie di quelle a carattere familiare, l’incremento della produttività e della occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e la elevazione dei redditi di lavoro delle popolazioni rurali, l’adeguamento della produzione agricola alle richieste dei mercati interni ed internazionali". Progetto ambizioso, per il quale si prevedeva un ampio intervento finanziario, la cui concessione, peraltro, non prevedeva divieti e decadenze. Va solo precisato che quest’ultima legge, unitamente ai provvedimenti finanziari, stabiliva ulteriori agevolazioni fiscali in materia di imposte dirette, che avevano una durata limitata nel tempo, fermo restando che l’esenzione dall’imposta diretta veniva meno in caso di alienazione del terreno prima della scadenza del periodo di esenzione ("l’esenzione cessa quando i terreni sono alienati prima della scadenza dei termini suindicati": così l’art. 28, 7° comma della legge 2 giugno 1961, n. 454).
Occorre pervenire alla legge 26 maggio 1965, n. 590 per vedere operata una sorta di disciplina unitaria, concernente sia i finanziamenti che i benefici fiscali. Il titolo III della legge, dopo una serie di disposizioni finanziarie, si sofferma su una sorta di riassunto finale (Capo II, intitolato "Disposizioni finali"), nel quale, richiamate le norme fiscali precedenti, pone tutta una serie di limitazioni:
a) prevede l’incompatibilità di ulteriori analoghe provvidenze creditizie per chi abbia beneficiato di quelle previste dalla legge (art. 26, 1° comma);
b) stabilisce una misura minima d’imponibile catastale per godere delle agevolazioni (art. 27);
c) richiama i divieti temporanei di alienazione previsti dalla legislazione precedente, estendendone il termine (art. 28, 1° comma);
d) infine stabilisce un divieto temporaneo di estinzione anticipata del mutuo e un divieto temporaneo di vendita del fondo acquistato con i benefici previsti dalla legge (art. 28, 2° comma).
Qual è il significato di questi due commi dell’art. 28? La Cassazione, nella nota sentenza del 1992, lo attribuisce all’esigenza di differenziare il tipo di sanzione: decadenza per il primo comma; nullità per il secondo comma. La spiegazione più plausibile appare invece un’altra: con il primo comma l’art. 28 si è limitato a richiamare, nella sostanza, la precedente disciplina sulla decadenza dalle agevolazioni fiscali, ampliando il termine ivi previsto; per effetto di questo primo comma, pertanto, trova completa applicazione la disciplina della legge 454 del 1961, che si limitava a prevedere la decadenza dalle agevolazioni fiscali per la rivendita del fondo entro il previsto termine. Con il secondo comma dell’art. 28 della legge n. 590, invece, si è tentato di porre un argine alle agevolazioni finanziarie, argine perfettamente in linea con le nuove provvidenze creditizie disciplinate dalla legge n. 590 del 1965, che non potevano restare ritagliate sulla base dell’argine già esistente per le provvidenze previste dalla legislazione anteriore per le agevolazioni fiscali. Sotto altro profilo, per contestare l’affermazione che si tratti di nullità può valere un’ultima riflessione: si è detto (sempre dalla predetta sentenza della Cassazione del 1992) che la sanzione della nullità si sovrappone alla sanzione della decadenza, determinandosi una contemporanea applicazione di due diverse sanzioni. Questa affermazione, peraltro, determina una netta incongruenza, perché la decadenza presuppone, a monte, un atto valido e produttivo di effetti e di vantaggi, mentre se l’atto a monte è nullo, cioè privo di qualsiasi effetto, non vi è più alcuna ragione di caducarne gli effetti (che non esistono) con la sanzione della decadenza.”
Con il D.Lgs. 99/2004 le agevolazioni in materia di imposte indirette e creditizie riconosciute dalla normativa vigente a favore dei coltivatori diretti, sono state estese anche all’Imprenditore Agricolo Professionale iscritto nella relativa gestione previdenziale INPS ed alle società equiparate allo IAP persona fisica. Per tali soggetti, diversi dai coltivatori diretti, non è espressamente previsto un obbligo di conduzione per cinque anni, né un divieto di alienazione per cinque anni dall’acquisto ed è dubbio se ad essi siano estensibili le norme dettate al riguardo per i coltivatori diretti. Nello schema di D.Lgs. correttivo (atto del governo n. 455), si prevede che “La perdita dei requisiti … nei cinque anni dalla data di applicazione delle agevolazioni ricevute in qualità di IAP, determina la decadenza dalle agevolazioni medesime.”
Risultano pertanto ulteriori elementi per poter affermare che la rivendita prima del quinquennio dall’acquisto agevolato con le c.d. agevolazioni per la ppc da parte dello IAP non può determinare altra conseguenza, se non la decadenza dalle agevolazioni stesse. Né vi è motivo per ritenere che la rivendita da parte del coltivatore diretto del fondo acquistato, prima del decorso del periodo minimo di legge, determini la più grave sanzione della nullità.
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