Decadenza dalle agevolazioni per la prima casa e denuncia di eventi successivi alla registrazione
Decadenza dalle agevolazioni per la prima casa e denuncia di eventi successivi alla registrazione
di Gaetano Petrelli
Consiglio Nazionale del Notariato - Studio n. 99/2000/T
Pubblicato nella rivista Studi e Materiali CNN, Milano,1/2002, p. 226 ss..

Si pone il problema di appurare se sia legittimo il comportamento dell’ufficio del registro che commini la sanzione amministrativa prevista dall’art. 69 del D.P.R. 131/1986 (1), per omessa presentazione di denunzia di evento successivo alla registrazione – ex art. 19 del medesimo T.U. – in caso di decadenza dai benefici per l’acquisto della prima casa per rivendita infraquinquennale dell’immobile acquisito con dette agevolazioni, non seguita da riacquisto entro l’anno di altro immobile da adibire a propria abitazione principale.

La disciplina della decadenza dai benefici fiscali per la prima casa è contenuta nel n. 4) della nota II-bis all’art. 1 della tariffa, parte prima, allegata al T.U. sull’imposta di registro. La norma equipara, sotto tale profilo, la dichiarazione mendace alla suddetta alienazione infraquinquennale, stabilendo che in tal caso “sono dovute le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, nonché una soprattassa (rectius sanzione amministrativa) (2) pari al 30 per cento delle stesse imposte”. Trattandosi di atto soggetto ad imposta sul valore aggiunto, l’ufficio del registro recupera dall’acquirente una “penalità (rectius sanzione amministrativa) pari alla differenza fra l’imposta calcolata in base all’aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall’applicazione dell’aliquota agevolata, aumentata del 30 per cento”. Sono inoltre dovuti gli interessi di mora di cui al comma 4 dell’art. 55 del T.U..

Si evince quindi, da quanto sopra, un primo elemento di analisi: mentre in caso di atto soggetto ad imposta di registro si fa luogo a riscossione delle imposte in misura ordinaria, oltre alle sanzioni, in caso di atto soggetto ad Iva si applicano unicamente queste ultime, sia pure parametrate alle imposte ordinarie (3). Nel primo caso, le imposte di registro, ipotecaria e catastale da recuperarsi nella misura ordinaria sono pacificamente qualificate, sia dall’Amministrazione finanziaria che dalla giurisprudenza, come imposte complementari (4).

Nulla dispone la norma in esame in relazione al procedimento per l’applicazione e la riscossione di detti importi, per il quale occorre far riferimento ai principi generali in materia di imposta di registro. Dottrina, giurisprudenza e prassi amministrativa si sono occupate soprattutto del problema del termine entro il quale l’ufficio può recuperare le suddette imposte e sanzioni: mentre l’Amministrazione finanziaria ed una giurisprudenza minoritaria affermano l’applicabilità del termine di prescrizione decennale (5), dottrina e giurisprudenza prevalenti (tra cui recentemente la Cassazione a Sezioni Unite) ritengono che trovi applicazione il termine di decadenza triennale previsto dall’art. 76, comma 2, lettera b), del T.U., decorrente dalla data di registrazione dell’atto (6).

Per quanto attiene al problema in esame, l’Amministrazione finanziaria, nelle circolari e risoluzioni sopra richiamate, parte dal presupposto dell’inesistenza di un obbligo di denuncia ex art. 19 T.U. relativamente agli eventi successivi alla registrazione che possono determinare revoca dei benefici fiscali ed applicazione delle imposte in misura ordinaria: nella misura, infatti, in cui sostiene l’applicabilità dell’ordinario termine di prescrizione decennale, ritiene estraneo all’ipotesi in esame il disposto dell’art. 76, comma 2, lettera b), nella parte in cui fa decorrere il termine di decadenza triennale dalla presentazione della denuncia ex art. 19: ciò significa, in realtà, che lo stesso Ministero delle Finanze ritiene insussistente un obbligo di denuncia in caso di decadenza dai benefici per la prima casa.

Le riflessioni di cui sopra valgono anche per l’interpretazione della posizione giurisprudenziale: tutte le sentenze che si sono occupate del problema partono dal presupposto che l’ipotesi in esame non trovi espressa disciplina nell’art. 76, comma 2, lettera b) del T.U., e quindi, conseguentemente, che non vi sia obbligo di denuncia ex art. 19.

In dottrina, una voce isolata ha sostenuto l’applicabilità alla specie dell’obbligo di denuncia ex art. 19 T.U., pur affermando che appare “certo che, nei casi discussi, pur in assenza di denuncia all’ufficio, non si applichino le gravose sanzioni previste dall’art. 69, in quanto assorbite dalla sanzione disposta nella nota II-bis) dell’art. 1 della tariffa, parte prima” (7). L’interpretazione, pur motivata da apprezzabili ragioni di equità, pare tuttavia collidere con il chiaro disposto dell’art. 69 (8).

Una sola sentenza, a quanto consta, si è occupata espressamente del problema (9), negando espressamente che l’art. 19 trovi applicazione nel caso in esame, ma con motivazioni che non appaiono convincenti.

Non è esatta, innanzitutto, l’affermazione che l’art. 19 trovi applicazione solo in caso di atto sottoposto a condizione sospensiva (10): a differenza della preesistente normativa (11), l’art. 19 T.U. contiene una norma di chiusura, che sancisce l’obbligo di denuncia a fronte del “verificarsi di eventi che, a norma del presente testo unico, diano luogo ad ulteriore liquidazione di imposta”. La novità, evidenziata già in sede di primo commento al nuovo testo unico (12), toglie ogni valore interpretativo all’affermazione surriportata.

Non appaiono quindi conferenti le rimanenti argomentazioni contenute nella citata decisione: né il rilievo che si tratterebbe di un evento risolutivo dell’agevolazione già ottenuta (si tratta comunque di un fatto che dà luogo ad ulteriore liquidazione di imposta), né il fatto che l’evento futuro sarebbe in realtà un … non evento (nella fattispecie, il non avere adibito l’immobile a propria abitazione principale, ma potrebbe trattarsi del mancato riacquisto entro l’anno dalla rivendita infraquinquennale), posto che anche nella teoria generale della condizione è conosciuta la c.d. condizione negativa, in cui l’evento condizionante è rappresentato proprio dal mancato accadimento di un fatto (13).

Le vere ragioni che convincono dell’inapplicabilità della norma in esame – e della relativa sanzione – alla fattispecie in oggetto sono altre. Innanzitutto, la considerazione che la violazione in esame è specificamente punita con una sanzione amministrativa pecuniaria pari al 30 per cento della maggiore imposta dovuta: in un regime – come quello instauratosi a seguito dell’emanazione del D. Lgs. 472/1997 – informato alla rigorosa tipicità e tassatività delle sanzioni amministrative, appare irragionevole che la violazione di un’unica disposizione legislativa dia luogo, oltre all’applicazione della sanzione per essa specificamente prevista, alla comminatoria di una ulteriore, pesante sanzione, ricavata peraltro solo in via interpretativa.

Va poi rilevato che il comma 4 della nota II-bis disciplina unitariamente due fattispecie distinte: quella della dichiarazione mendace, riferita alla sussistenza (nel presente) dei requisiti soggettivi per usufruire dei benefici, e quella della rivendita nel quinquennio dall’acquisto (e quindi in un momento necessariamente futuro, a cui è equiparabile l’altra della mancata ottemperanza all’onere di riacquisto entro l’anno). Non essendo, per ovvi motivi, possibile ritenere che alla prima ipotesi (dichiarazione mendace riferita ad una situazione presente) sia applicabile un obbligo di denuncia riferito ad “eventi successivi alla registrazione”, sarebbe assolutamente irrazionale – ed in contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza e capacità contributiva – un sistema che applicasse, nella prima ipotesi, la mera sanzione del 30 per cento della maggiore imposta, ed invece, nella seconda ipotesi, (anche) la sanzione dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell’imposta dovuta.

La violazione dei principi di uguaglianza e capacità contributiva – determinata dalla suddetta interpretazione – emerge in modo ancor più palese, raffrontando le diverse discipline previste per gli atti soggetti ad imposta di registro o ad imposta sul valore aggiunto: in questo secondo caso, come si è visto, il presunto “evento successivo alla registrazione” legittima non già la liquidazione di un’imposta, bensì l’applicazione di una sanzione, e quindi l’art. 19 sarebbe chiaramente inapplicabile. Non è chi non veda quale grave disparità di trattamento si creerebbe rispetto all’ipotesi di un atto soggetto ad imposta di registro.

Altra riflessione. L’art. 19 T.U. contempla gli eventi che danno luogo “ad ulteriore liquidazione di imposta”, e l’Amministrazione finanziaria, commentando la nuova formulazione del testo unico, ha esattamente collegato tale nozione al fenomeno della tassazione sospesa nel tempo (14), che ricorre ogni qualvolta l’imposta – già astrattamente determinabile al momento della stipula dell’atto – necessita di ulteriori eventi per la sua quantificazione. Si pensi, quale fattispecie paradigmatica, all’ipotesi del contratto con prezzo determinabile (art. 35 T.U.), nella quale il successivo evento oggetto di denuncia non determina alcun mutamento nel regime giuridico dell’imposta, ma comporta unicamente un “completamento” della tassazione, ferma la sua originaria caratterizzazione. Nella fattispecie in esame, si ha invece la decadenza da un beneficio tributario, autonomamente sanzionata, e che non può essere in alcun modo assimilata ad un’ipotesi di tassazione sospesa nel tempo.

L’esame sistematico delle disposizioni tributarie che disciplinano fattispecie analoghe conferma le suddette valutazioni, e fornisce ulteriori argomenti a sostegno della tesi suesposta. Emerge, infatti, che laddove il legislatore tributario ha voluto prevedere uno specifico obbligo di comunicazione a carico del contribuente, lo ha fatto espressamente. Si pensi, a titolo esemplificativo, all’obbligo dell’imprenditore agricolo a titolo principale, in caso di mutamento della destinazione del fondo acquistato, di comunicare all’ufficio del registro competente tale mutamento (nota I all’art. 1 della tariffa, parte prima); oppure all’obbligo, in capo all’ente che riceva una donazione per scopi esclusivi di pubblica utilità, di “dimostrare”, entro cinque anni, di aver adibito i beni ricevuti a tale scopo (art. 3, comma 3, del D. Lgs. 31 ottobre 1990 n. 346). In altre ipotesi, viceversa, nessun obbligo è posto a carico del contribuente: si pensi agli atti di acquisto di fabbricati esenti da Iva con la condizione della rivendita nel triennio, o dell’acquisto da parte di Onlus alle condizioni di cui alla nota II-quater all’art. 1 della tariffa.

Le ipotesi in cui è sancito uno specifico obbligo di comunicazione presentano una precisa caratteristica, che le accomuna a quelle (avveramento di condizione sospensiva, acquisto di pertinenze, successiva determinazione del prezzo) che – nel previgente elenco dell’art. 18 del D.P.R. 634/1972 – davano luogo ad un obbligo di denuncia a carico del contribuente: sono tutte ipotesi in cui l’ufficio non è in condizione di accertare l’evento che dà luogo ad ulteriore liquidazione di imposta se non a mezzo di dichiarazione di parte.

Emerge chiaramente, a questo punto, la ratio dell’obbligo di denuncia e, nel contempo, il suo limite. L’Amministrazione finanziaria è perfettamente in grado di accertare – tramite l’anagrafe tributaria – se il contribuente abbia, o meno, alienato nel quinquennio e se abbia riacquistato una nuova abitazione entro l’anno. I principi propri del procedimento amministrativo vietano alla pubblica amministrazione di chiedere al contribuente dati che sono già in suo possesso (15), e nulla autorizza a ritenere che detti principi debbano intendersi derogati nel caso de quo (16).

La corretta interpretazione dell’art. 19 del D.P.R. 131/1986, che già emerge dal sistema del testo unico, trova quindi un’ulteriore e decisiva conferma nell’evoluzione normativa verificatasi successivamente all’emanazione del testo unico sull’imposta di registro, ed in particolare nei nuovi principi sul procedimento amministrativo: in tal guisa, deve ritenersi che l’art. 19 succitato faccia obbligo al contribuente di comunicare all’Amministrazione finanziaria ogni e qualsiasi evento successivo alla registrazione che dia luogo a “ulteriore” (non diversa) liquidazione di imposta, purché si tratti di elementi di cui l’Amministrazione non è comunque in possesso o che non ha l’obbligo di procurarsi autonomamente.

L’unica spiegazione della normativa in oggetto che non confligga con le norme costituzionali ed i principi generali del diritto amministrativo è quindi quella che preclude l’applicazione dell’art. 19 T.U. (e delle conseguenti sanzioni), oltre che nelle ipotesi in cui l’Amministrazione sia già in possesso dei dati ed elementi necessari per la tassazione o abbia l’obbligo di procurarseli, in tutti quei casi che non rappresentano propriamente un’ipotesi di tassazione “in sospeso”, ma piuttosto una fattispecie di “decadenza” da benefici tributari o di “mutamento” del regime impositivo, specificamente disciplinata ed autonomamente sanzionata. Il che avviene, propriamente, nel caso in esame, in cui la legge prevede un preciso onere di riacquisto in caso di rivendita infraquinquennale dell’abitazione acquistata con i benefici fiscali, e l’applicazione di una precisa sanzione per la violazione di tale obbligo.


(1) L’art. 69 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, come sostituito dall’art. 1 del D. Lgs. 18 dicembre 1997 n. 473, prevede, per l’omissione della presentazione delle denunce previste dall’art. 19 del medesimo D.P.R. 131/1986, la sanzione amministrativa pecuniaria dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell’imposta dovuta.
(2) Ai sensi dell’art. 26 del D. Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, il riferimento alla soprattassa ed alla pena pecuniaria, nonché ad ogni altra sanzione amministrativa, ancorché diversamente denominata, contenuto nelle leggi previgenti, e’ sostituito con il riferimento alla sanzione pecuniaria, di uguale importo.
(3) La chiara dizione normativa rende assolutamente non condivisibile la recente Nota della Direzione Regionale delle Entrate del Piemonte n. 200091618 del 28 settembre 2000, che – nell’ipotesi di atto soggetto ad IVA – esclude la qualificazione come sanzione (per mancanza delle “caratteristiche di afflittività”) della differenza d’imposta percepita dall’ufficio quale “penalità”; non si comprende, tra l’altro, quale qualificazione dia la suddetta Direzione Regionale a tale “entità” riscossa dall’ufficio, che non sarebbe certamente imposta sul valore aggiunto, non sarebbe sanzione, non sarebbe neanche imposta di registro. Del resto, la qualifica sanzionatoria della “penalità” in oggetto emerge chiaramente dal paragrafo 1 del capitolo II della Circ. Min. Fin. 2 marzo 1994 n. 1/E, laddove si esplicita chiaramente: “E’ di chiara evidenza che nella nozione di penalità è da ricomprendere sia la differenza di imposta come sopra calcolata sia la maggiorazione del 30% applicata sulla differenza medesima”.
(4) Cass. 29 settembre 1999 n. 10796; Cass. 21 maggio 1999 n. 4944; Comm. trib. reg. Napoli 18 novembre 1998; Cass. 19 febbraio 1997 n. 26; Cass. 13 novembre 1991 n. 12127; Circ. Dir. Reg. Entrate Lombardia 14 luglio 2000 n. 24/60661; Ris. Min. Fin. 20 dicembre 1990 n. 260211; Ris. Min. Fin. 10 marzo 1989 n. 310650; Ris. Min. Fin. 11 luglio 1986 n. 43/3153; tutte in Fiscovideo.
(5) Circ. Dir. Reg. Entrate Lombardia 14 luglio 2000 n. 24/60661; Cass. 21 maggio 1999 n. 4944; Cass. 18 febbraio 1997 n. 26; tutte in Fiscovideo.
(6) Cfr. Cass. S.U. n. 1196/2000; Cass. 29 settembre 1999 n. 10796; Cass. 23 luglio 1999 n. 7947; Cass. 21 maggio 1999 n. 4944; Cass. 17 settembre 1998 n. 9280; Comm. trib. reg. Napoli 18 novembre 1998; Cass. 19 febbraio 1997 n. 26; tutte in Fiscovideo.
In dottrina, cfr. per tutti BAGGIO, I termini di decadenza dell’azione della finanza in ipotesi di decadenza dalle agevolazioni sulla “prima casa”, in Rass. trib., 1998, p. 652 ss.; ID., Disconoscimento delle agevolazioni sulla «prima casa»: i termini di decadenza dell'azione della finanza, in Riv. dir. trib., 1998, II, p. 834; GIORDANO, Le agevolazioni “prima casa” tra prescrizione e decadenza”, in Fiscovideo.
(7) BAGGIO, op. ult. cit., p. 654 (il quale coerentemente fa decorrere, anche nella fattispecie in esame, dalla presentazione della denuncia il termine triennale di decadenza ex art. 76). Lo stesso autore evidenzia come “nessun soggetto si sia mai attivato per comunicare all’Amministrazione finanziaria il mancato verificarsi dell’evento condizionante l’agevolazione”, ma ritiene che ciò possa cambiare in seguito all’introduzione delle disposizioni premiali per il c.d. ravvedimento, contenute nell’art. 13 del D. Lgs. 472/1997.
(8) Lo stesso autore sopra citato riconosce che “la norma sarebbe stata più coerente se avesse limitato, da un lato, la sanzione specifica ai casi di dichiarazioni mendaci fin dalla stipula (elevandone la misura rispetto a quella attuale), e dall’altro permesso al contribuente di denunciare, secondo le disposizioni dell’art. 19, il mancato realizzo dell’evento nei termini stabiliti dalla legge, con conseguente applicazione, nei casi di omessa o ritardata denuncia, delle sanzioni previste dall’art. 69”.
(9) Comm. trib. reg. Napoli 18 novembre 1998 n. 165, in Fiscovideo.
(10) Secondo la sentenza citata, “la condizione presa in considerazione in considerazione dagli artt. 19 e 27 e’ quella che incide sulla sospensione degli effetti complessivi nel negozio non sul rapporto fiscale ad esso accessorio”.
(11) L’art. 18 del D.P.R. 634/1972 prevedeva l’obbligo di denuncia da parte del contribuente per “l’avveramento della condizione sospensiva apposta ad un atto, l’esecuzione di tale atto prima dell’avveramento della condizione e il verificarsi di un evento che a norma degli articoli 23, 26, 33 e 34 dia luogo ad ulteriore liquidazione d’imposta”. Si trattava quindi di fattispecie tassative, al di fuori delle quali non era configurabile alcun obbligo analogo.
(12) Circ. Min. Fin. 10 giugno 1986 n. 37: “Per quanto concerne l’obbligo di denunciare eventi che diano luogo ad ulteriore liquidazione d’imposta si fa rilevare la più ampia formulazione della norma che impone tale obbligo non solo per gli eventi già individuati dalla previgente normativa, ma, più in generale, per tutti gli eventi che diano luogo ad ulteriore liquidazione dell’imposta ai sensi di una qualsiasi delle disposizioni del testo unico che preveda una tassazione sospesa nel tempo”. Nello stesso senso, URICCHIO, Commento all’art. 19, in D’AMATI, La nuova disciplina dell’imposta di registro, Torino, 1989, p. 175.
(13) RESCIGNO, Condizione (dir. vig.), in Enc. dir., VIII, Milano, 1961, p. 766 ss.
(14) Circ. Min. Fin. 10 giugno 1986 n. 37.
(15) Ai sensi dell’art. 18, comma 3, della legge 7 agosto 1990 n. 241, “sono accertati d’ufficio dal responsabile del procedimento i fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra pubblica amministrazione e’ tenuta a certificare”.
L’articolo 7, comma 1, del D.P.R. 20 ottobre 1998 n. 403 dispone che – ogni qualvolta l’interessato non intenda utilizzare lo strumento dell’autocertificazione, “i certificati relativi a stati, fatti o qualità personali risultanti da albi o da pubblici registri tenuti o conservati da una pubblica amministrazione sono sempre acquisiti d’ufficio dall’amministrazione procedente … su semplice indicazione da parte dell’interessato della specifica amministrazione che conserva l’albo o il registro”. Quest’ultima “indicazione” appare evidentemente superflua in tutti i casi in cui i dati siano in possesso della stessa amministrazione che deve provvedere, o risulti chiaramente dagli atti del procedimento di quale amministrazione si tratti.
(16) All’ipotesi della rivendita infraquinquennale può equipararsi, sotto il profilo in esame, il trasferimento della residenza nel Comune in cui e’ stato acquistato l’immobile: evento, quest’ultimo, che l’ufficio del registro (o delle entrate) può certamente accertare tramite i registri di stato civile.

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