Trust e imposte indirette
Trust e imposte indirette
di Cinzia Brunelli
Consiglio Nazionale del Notariato - Studio n. 80/2003/T
Pubblicato nella rivista Studi e materiali CNN, 1/2004, p. 362.
Quesito
trattamento tributario, sotto il profilo delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, di un atto istitutivo di trust interno, regolato da legge straniera, comportante, tra l’altro, trasferimento di beni immobili.
Generalità e definizione
Il contratto di trust, mutuato da sistemi giuridici di common law, pur non essendo disciplinato, a tutt’oggi, come istituto giuridico tipico, nell’ordinamento italiano, vi trova tuttavia cittadinanza come istituto di diritto straniero, in dipendenza dell’adesione dell’Italia alla Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, relativa alla legge applicabile al trust ed al suo riconoscimento, convenzione resa esecutiva in Italia con legge 16.10.1989, n. 364, in vigore dal 1° gennaio 1992. Ciò consente la costituzione di trusts, con scelta della legge straniera di rinvio, che ne regoli il rapporto, a norma degli artt. 10 e 11 della Convenzione.
Il riconoscimento così derivante al trust nell’ordinamento giuridico italiano assume rilevanza nell’individuazione del suo trattamento tributario.
Come correttamente è stato sottolineato da più parti, l’individuazione della normativa civilistica e fiscale applicabile al trust, nel nostro ordinamento, presuppone una valutazione della causa e degli effetti che tale contratto realizza.
Preliminarmente si rende opportuno chiarire che, col termine trust, ai sensi dell’art. 2 della Convenzione dell’Aja, ci si riferisce esclusivamente ai rapporti giuridici creati da una persona – costituente o settlor – per atto tra vivi o mortis causa(1), allorquando dei beni vengano posti sotto il controllo di un trustee, nell’interesse di un beneficiario o per uno scopo determinato. Non trovano, pertanto, riconoscimento, per ora, nel nostro ordinamento, i trusts legali o giudiziali, ma soltanto quelli costituiti per atto di volontà del disponente.
E’ richiesta, inoltre, la forma scritta non ad substantiam, ma solo ad probationem. (art. 3 Convenzione).
Come si desume dallo stesso significato letterale del nome, il trust si fonda essenzialmente sul rapporto di fiducia tra settlor e trustee, rapporto che induce il primo a compiere un’attribuzione patrimoniale in favore del secondo. In tal modo l’atto istitutivo del trust comporta l’”uscita” dei beni in trust dal patrimonio del settlor e la segregazione dei medesimi, rispetto ai beni personali del trustee, rimanendo questi vincolato, da una obbligazione di carattere fiduciario(2), ad amministrare e gestire i beni secondo il programma concordato, fino all’attribuzione di un beneficio finale ai beneficiaries.
I beni segregati, infatti, escono dal patrimonio del settlor(3) ed entrano nel patrimonio del trustee, costituendo un patrimonio separato, distinto dai restanti beni personali di quest’ultimo ed insensibile alle vicende di questi.
L’Agenzia delle Entrate ha avuto, in tempi recenti, diverse occasioni di intervenire in materia. Si segnala, infatti, sottolineandone l’importanza, il ripetuto intervento della Direzione centrale normativa e contenzioso della suddetta Agenzia, in risposta a tre diversi interpelli in materia(4).
L’Agenzia delle Entrate ha così avuto l’opportunità di “dettare linee-guida, che inevitabilmente travalicheranno le” tre diverse tipologie di trust esaminati. Come è stato giustamente osservato, pur trattandosi di pronunce che, ai sensi dell’art. 5, primo comma, del d.m. 26 aprile 2001, n. 209, avranno efficacia esclusivamente nei confronti del contribuente istante e limitatamente al caso concreto e personale prospettato nelle istanze di interpello, inevitabilmente “le premesse giuridiche e l’inquadramento teorico della specifica risposta fornita dall’Amministrazione influenzeranno decisivamente il comportamento degli organi periferici, specialmente quando la Direzione centrale, in tre successive pronunce, si è collocata a un elevato livello di generalizzazione, anche su temi controversi, che coerentemente ha riproposto in ciascun caso”(5).
Innanzitutto, in risposta all’interpello n. 954-249/2002, la Direzione centrale dell’Agenzia delle Entrate(6) ha elencato gli elementi essenziali e indefettibili che consentono di ricondurre una fattispecie al modello convenzionale di trust delineato dall’art. 2 della Convenzione:
- distinzione dei beni del trust dal patrimonio del trustee;
- intestazione degli stessi al trustee o ad un altro soggetto per conto del trustee(7);
- il fatto che il trustee sia investito del potere-dovere, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o disporre dei beni in conformità alle disposizioni del trust e secondo le norme imposte dalla legge al trustee.
Con risoluzione n. 8/E/2003(8) - poi ripresa letteralmente nella risposta in data 4 marzo 2003 all’interpello n. 576/2002(9) - la Direzione centrale dell’Agenzia delle Entrate si è soffermata su alcuni aspetti fondamentali per l’esame dell’istituto, precisando che:
- “rientrano nell’ambito di applicazione della Convenzione i soli rapporti giuridici riconducibili al concetto di trust come” definito dall’art. 2;
- “se l’articolo 11 prevede in via generale l’obbligo di riconoscimento del trust istituito secondo la legge di uno Stato che lo preveda nel proprio ordinamento giuridico quale istituto tipico, con riferimento invece al trust cosiddetto interno, i cui elementi essenziali soggettivi e oggettivi sono collegati al nostro ordinamento, il successivo articolo 13 stabilisce che “nessuno Stato è tenuto a riconoscere un trust i cui elementi importanti, ad eccezione della scelta della legge da applicare, del luogo di amministrazione e della residenza abituale del trustee, sono più strettamente connessi a Stati che non prevedono l’istituto del trust o la categoria del trust in questione”. Si ha così, conformemente alla giurisprudenza prevalente(10), una generale ammissibilità dei trusts interni(11), ossia di quei trusts, nei quali l’unico elemento di internazionalità sia costituito dalla legge straniera che ne disciplina il rapporto, mentre tutti gli elementi essenziali, soggettivi ed oggettivi, sono collegati al nostro ordinamento: residenza in Italia del disponente, dei beneficiari, del trustee; luogo di amministrazione del trust e singoli beni situati in Italia;
- “conformemente all’orientamento della più recente giurisprudenza e della dottrina prevalente”, l’art. 13 non prevede “comunque un divieto di riconoscimento”;
- “l’articolo 6, nel prevedere che il trust è regolato dalla legge scelta dal costituente, non sottopone la scelta di quest’ultima ad alcun limite, nel rispetto della più ampia autonomia delle parti;
- la riconoscibilità dei trusts deve effettuarsi non in astratto, considerando innanzitutto la loro natura “domestica” o meno, bensì caso per caso, tenuto conto del limite espressamente previsto dall’articolo 15 della Convenzione, ossia il rispetto delle norme imperative e dei principi inderogabili dell’ordinamento giuridico”.
Le preclusioni al riconoscimento o all’efficacia del trust sono determinate, come è stato correttamente osservato dalla giurisprudenza(12), con una scelta “abusiva” del disponente “e, cioè, quando i suoi effetti determinino, nel Paese in cui il trust presenta i collegamenti più stretti, l’elusione di norme imperative inderogabili con atto negoziale (art. 15) e/o di norme di applicazione necessaria (art. 16) oppure quando gli effetti appaiano in manifesto contrasto con l’ordine pubblico (art. 18) o, infine, in tutti i casi in cui il riconoscimento sia “ripugnante” per l’ordinamento (art. 13).”
Trattamento tributario(13)
La Convenzione dell’Aja non disciplina gli aspetti fiscali del trust, ma, escludendo espressamente qualsiasi pregiudizio alla competenza dei singoli Stati in materia fiscale (art. 19), attribuisce agli stessi competenza esclusiva al riguardo.
La prima pronuncia ufficiale in materia, nel nostro Paese, proviene dal Secit(14) il quale si è espresso affermando che “gli aspetti peculiari dell’istituto consentono di ritenere assoggettabile ad imposizione fiscale il trust in quanto connotato nei suoi elementi costitutivi (disponibilità di un patrimonio, percezione di un reddito, trasferimento della ricchezza nella forma e con il contenuto previsti dalle norme impositive) dalla capacità giuridico-economica alla contribuzione (art. 53 Costituzione)”.
Allo stato attuale, il suddetto art. 19 della Convenzione costituisce l’unico riferimento normativo al trattamento tributario del trust, come ha osservato la stessa Amministrazione finanziaria(15), la quale aggiunge che “l’individuazione del regime impositivo da applicare è quindi lasciata all’autonomia di ciascuno Stato contraente. Ne consegue che in assenza, tuttora, di un intervento in materia da parte del legislatore – nonostante le sollecitazioni in tal senso(16) - deve soccorrere l’interpretazione, al fine di individuare, nell’ordinamento vigente, le regole applicabili alle singole fattispecie.
Sul terreno squisitamente tributario, le implicazioni derivanti dal riconoscimento – prima fra tutte la segregazione dei beni in trust – devono essere valutate dall’interprete in concreto, tenuto conto della molteplicità dei rapporti giuridici, della loro evoluzione, oltre che della circostanza che sono modificabili ex post gli essenziali elementi di collegamento del trust con il territorio nazionale (localizzazione dei beni, sede di amministrazione, del trust, residenza del trustee o dei beneficiari, ecc.)”.
Considerando, infatti, il fatto che i trusts possono essere utilizzati per una molteplicità di scopi ed il fatto che “l’ordinamento italiano potrà conoscere una variegata tipologia di applicazioni concrete dell’istituto(17), ciascuna caratterizzata dalla legge regolatrice scelta dal disponente”, è “pressoché impossibile inseguire una casistica, che è aprioristicamente indeterminabile, dovendosi ripiegare sulla previsione delle applicazioni più frequenti dell’istituto, secondo una catalogazione che tenga conto di caratteristiche generali ed uniformanti”(18).
Più in generale si osserva, comunque, l’estrema difficoltà teorica e tecnica con la quale ci si confronta nell’inquadrare schemi giuridici propri di ordinamenti di common law - nei quali è conosciuta soltanto la fiducia di tipo germanico(19) - in un ordinamento di civil law quale è il nostro, nel quale l’unico tipo di fiducia è di tipo romano(20).
A livello internazionale, è interessante rilevare come molte legislazioni abbiano accordato l’esenzione fiscale “ad ogni rapporto riconducibile al trust, che da questo ha tratto nuovo impulso, risultandone favorito sia nella diffusione che nella adattabilità alle più svariate esigenze economiche e finanziarie”(21).
Nel caso concreto, si renderà, pertanto, necessario esaminare con estrema attenzione ogni singola fattispecie(22), al fine di individuare il risultato economico raggiunto dal singolo trust, le “fattispecie tributarie di diritto italiano che si rivelino funzionalmente analoghe(23)” ed il conseguente trattamento tributario, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, nonché il soggetto passivo di imposta.
In questa sede, ci si limiterà ad esaminare solo i trusts cui l’ordinamento italiano attribuisca riconoscimento giuridico, ai sensi della Convenzione dell’Aja, ossia quelli che trovino origine nella volontà privata (art. 3) - con esclusione, quindi dei trusts costituiti in virtù di precetto legislativo o giudiziario – conformi al modello indicato dall’art. 2 della Convenzione dell’Aja ed i cui beneficiari siano determinati o determinabili.
Peraltro, la nostra indagine sarà limitata alla sola imposizione indiretta, per la quale il percorso interpretativo è indicato dallo stesso legislatore nell’art. 20 del d.p.r. n. 131/86, in tema di imposta di registro: “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma.”
Si premette, al riguardo, che, derivando dal trust interno un rapporto giuridico trilaterale tra settlor, trustee e beneficiari(24), i suoi profili tributari sono in funzione delle singole relazioni giuridiche bilaterali che vengono a crearsi fra i vari soggetti e precisamente:
1) un rapporto essenzialmente fiduciario, consistente in un’attribuzione patrimoniale, tra settlor e trustee, col quale quest’ultimo viene incaricato di amministrare e gestire i beni in funzione dello scopo concordato;
2) un successivo negozio traslativo tra trustee e beneficiari finali, compiuto in adempimento dell’obbligo assunto con il negozio istitutivo di trust.
La costituzione di un trust per atto tra vivi può avvenire secondo due dinamiche diverse(25):
1) una fattispecie, che potremmo definire a formazione progressiva, nella quale l’atto istitutivo del trust è distinto dall’atto dispositivo di segregazione dei beni nel trust, qualificato altresì come atto di dotazione(26);
2) l’atto istitutivo del trust contiene al suo interno anche l’atto dispositivo: l’intero programma di attribuzioni si esaurisce in un unico contesto (salvo sempre la possibilità che beni ulteriori vengano destinati al trust) e coincide con il negozio istitutivo.
Nella prima ipotesi, l’atto istitutivo del trust, esaurendosi nella delineazione del programma di attribuzioni da parte del settlor e non concretandosi in un vero e proprio atto dispositivo, è assimilabile ad un atto non avente per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, il quale, se riveste la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, sconterà l’imposta di registro in misura fissa, ai sensi dell’art. 11, Tariffa parte prima allegata al d.p.r. n. 131/86)(27).
Particolarmente complesso, invece, è l’inquadramento tributario dell’atto di dotazione/segregazione col quale il settlor attribuisce i beni al trustee (costituendo così, quindi, anche il rapporto obbligatorio di natura fiduciaria relativamente ai beni in oggetto)(28).
Fino all’entrata in vigore della legge 18 ottobre 2001, n. 383 - il cui art. 13 ha soppresso l’imposta sulle successioni e donazioni - ed in mancanza, come si diceva, di una normativa specifica, il dibattito dottrinario è stato per lungo tempo incentrato sulla imponibilità o meno dei negozi traslativi connessi al trust, sulla conseguente applicabilità, in caso di risposta positiva, delle imposte sui trasferimenti o piuttosto dell’imposta sulle successioni e donazioni(29), con particolare attenzione alla problematica sulla doppia imposizione, nel caso in cui si ritenga di sottoporre a tassazione sia l’atto dispositivo dal settlor al trustee, sia l’atto dispositivo successivo dal trustee ai beneficiaries.
Con riferimento al vero e proprio atto di segregazione, col quale il settlor trasferisce i beni oggetto del trust al trustee, si rende opportuno distinguere a seconda della sua natura mortis causa o tra vivi.
a) Il trust testamentario
Sul trattamento tributario dell’istituto in esame, si è espresso in prima battuta il Secit(30), che ha assimilato il trust costituito per testamento ad un legato(31), con conseguente assoggettamento all’imposta di successione ancora in vigore al tempo della pronuncia, tranne il caso di regime agevolato ex art. 3 d. lgs. n. 346/1990.
Quanto alla individuazione del soggetto passivo di imposta, il Secit ha assimilato l’istituto del trust alla sostituzione fedecommissaria(32) disciplinata dall’art. 69 c.c., con conseguente applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 45 del d. lgs. n. 346/1990(33).
Ne deriva, secondo il Secit, l’applicazione dell’imposta sul trasferimento patrimoniale al trustee(34) “su un valore pari a quello dell’usufrutto sui beni facenti parte del patrimonio trasferito, mentre il pagamento dell’imposta residuale, a carico del beneficiario, dovrebbe essere collegato al momento in cui il trust viene meno all’atto dell’attribuzione finale dei cespiti al beneficiario stesso”.
Non si concorda con l’assimilabilità, anche se soltanto sotto il profilo tributario, del contratto istitutivo di trust alla sostituzione fedecommissaria di cui all’art. 692 c.c., considerando la natura del tutto peculiare di tale istituto, caratterizzato da un tassativo ambito di applicazione e da motivazioni ben specifiche(35).
La sostituzione fedecommissaria è la disposizione con la quale il testatore impone all’erede o al legatario l’obbligo (rectius onere) di conservare i beni ricevuti, per restituirli, alla sua morte, ad altra persona. Le differenze di tale istituto dal trust sono tuttavia preponderanti rispetto alle analogie(36). Infatti:
- nella sostituzione fedecommissaria vi è una duplice delazione, in virtù della quale il testatore attribuisce la titolarità degli stessi beni a due distinti soggetti, che assumono entrambi la qualità di eredi o legatari, non contemporaneamente, ma in ordine successivo, conformemente all’opinione della dottrina prevalente. Nel trust, invece, il trustee ed i beneficiaries, pur susseguendosi in ordine successivo nella titolarità dei beni del settlor, non assumono la stessa qualifica di legatari (o eredi);
- nella sostituzione fedecommissaria il trasferimento dei beni dall’istituito al sostituito avviene automaticamente al momento della morte del primo; nel trust, invece, la devoluzione ai beneficiaries non è automatica, ma presuppone un facere da parte del trustee;
- nella sostituzione fedecommissaria, in capo al sostituito è posto l’onere di prestare cura all’istituito, ossia di tenere un comportamento libero (in quanto non costituisce oggetto di un obbligo la cui inosservanza determini la comminazione di una sanzione), ma necessitato, in quanto è condizione per la realizzazione del suo interesse; nel trust, invece, i beneficiaries non sono tenuti, salvo uno specifico eventuale obbligo in tal senso dell’atto istitutivo di trust, all’osservanza di alcun obbligo e/o onere;
- nella sostituzione fedecommissaria, i beni oggetto della stessa costituiscono una sorta di patrimonio separato, ma soltanto per gli effetti previsti dall’art. 695 c.c., nel senso che i creditori personali dell’istituito possono agire soltanto sui frutti dei beni che formano oggetto della sostituzione. I beni in trust costituiscono, invece, un patrimonio separato, senza alcuna eccezione;
- nella sostituzione fedecommissaria è previsto che l’istituito si trovi in condizioni di incapacità legale (interdetto o abituale infermità di mente per il minore) e sia legato al testatore da un preciso vincolo di parentela (figli, discendenti, coniuge); per il trustee, invece, non è previsto alcun requisito soggettivo, al di là dell’implicita necessaria capacità di intendere e volere al fine di poter gestire ed amministrare il patrimonio;
- nella sostituzione fedecommissaria all’istituito si applicano le norme in tema di usufrutto (art. 693, ult. co., c.c.); nel trust, il potere di gestione del trustee non è invece assimilabile ad un diritto di usufrutto;
- nella sostituzione fedecommissaria il sostituito può essere scelto solo nella persona o nell’ente che, sotto la vigilanza del tutore, si sia preso cura dell’interdetto – istituito, mentre per i beneficiaries del trust non è di norma richiesto alcun requisito soggettivo.
Il trattamento tributario come sopra delineato, è stato per lo più condiviso dalla dottrina quanto alla normativa di riferimento (l’imposta sulle successioni), mentre ha suscitato perplessità quanto alla individuazione del soggetto passivo di imposta.
La soluzione prevalente individua costui nel solo beneficiario finale e non nel trustee, che, nella sua qualità di titolare di un ufficio di diritto privato(37), non potrebbe mai assumere la qualità di successore mortis causa del settlor.
Non manca tuttavia neppure chi non condivide l’applicazione dell’imposta sulle successioni al trust testamentario, sulla base delle seguenti osservazioni:
- non può configurarsi nessun effettivo trasferimento mortis causa “fino alla designazione, o alla successiva individuazione, e all’accettazione dei legatari(38), ossia appunto dei beneficiaries, che potrebbe anche intervenire molto tempo dopo la morte del settlor, o addirittura mai; donde il problema – tipico del diritto inglese, ma non anche di quelli continentali – della possibile violazione delle norme against perpetuities”;
- il presupposto impositivo, pertanto, sorge soltanto “al momento dell’effettiva individuazione dei beneficiaries;
- alla morte del settlor residente in Italia il patrimonio del trust non concorre(va) a formare la base imponibile dell’imposta di successione(39).
A far capo dal 25 ottobre 2001, la fattispecie del trust costituito con atto mortis causa, non pare più soggetta ad alcuna imposizione, in seguito all’entrata in vigore dell’art. 13, primo comma, della legge 18 ottobre 2001, n. 383, che ha modificato il regime fiscale dei trasferimenti a titolo gratuito conseguenti a successioni mortis causa ed atti di donazione, con la soppressione, tra l’altro, dell’imposta sulle successioni e donazioni.
Diversa è poi l’ipotesi del trust post mortem, ossia un trust costituito con atto tra vivi, ma destinato a produrre effetti dopo la morte del settlor, in ordine al quale si è ritenuta non applicabile l’imposta sulle successioni(40) (durante il periodo della sua vigenza).
b) Il trust costituito per atto tra vivi
Per quanto riguarda il trust costituito con atto tra vivi, il dibattito dottrinale è stato per lungo tempo incentrato sull’applicabilità dell’imposta di registro o dell’imposta sulle donazioni, nonché sulla imposizione di entrambi i trasferimenti collegati al trust (dal settlor al trustee e dal trustee al beneficiario) o soltanto dell’ultimo di essi.
Si tratta di un dibattito sorto quando era ancora in vigore, nel nostro ordinamento, l’imposta sulle donazioni, ma che oggi ha perso l’importanza peculiare di allora, considerando che l’unica imposta applicabile rimane ora l’imposta di registro, alla luce anche del rinvio che ad essa fa la nuova normativa sulle donazioni(41).
Gli esiti del dibattito non sono tuttavia privi di importanza neppure oggi, sia sotto il profilo della tassazione in concreto applicabile, sia in quanto offrono spunto per un approccio più sistematico e consapevole alla materia.
Con la timida ma progressiva diffusione del trust in Italia, si avverte chiaramente l’esigenza di una corretta “ricostruzione giuridica dell’istituto, rimuovendo gli ostacoli di ordine fiscale all’assunzione delle strutture giuridiche più soddisfacenti in relazione agli obiettivi da conseguire, ed evitando così che si indossi l’”abito” fiscalmente più conveniente, anziché quello operativamente (42) più appropriato.”
Riguardo alla tassazione in concreto applicabile, infatti, pur rimanendo l’imposta di registro l’unica imposta in vigore tra le due sopra menzionate e, quindi, di fatto, l’unica applicabile, non bisogna tuttavia dimenticare che la soppressione dell’imposta di donazione non significa in assoluto eliminazione di qualsiasi tipo di imposizione sugli atti di donazione(43).
Da quanto sopra esposto consegue che, anche ora, è assai rilevante stabilire, ai fini della tassazione del trust costituito con atto tra vivi, se lo stesso possa essere assimilato ad una donazione, perché, in tal caso, un rapporto di parentela fra i soggetti coinvolti può ancora significare assoluta mancanza di imposizione fiscale.
In materia è intervenuto il Secit(44) il quale, argomentando dalle caratteristiche di liberalità del trasferimento di beni, che comporta anche, come effetto, la decurtazione definitiva del patrimonio del disponente, ha ritenuto che il trust sia attratto dalla disciplina sulle donazioni prevista dall’art. 809 c.c. e, sotto il profilo fiscale, assoggettabile all’imposta sulle donazioni. Per quanto riguarda poi l’individuazione del soggetto passivo tenuto al pagamento dell’imposta, il Secit ha ritenuto, anche in questa ipotesi, applicabile il trattamento tributario della sostituzione fedecommissaria, analogamente a quanto già visto sopra in tema di trust testamentario, e ciò in forza del richiamo operato dall’art. 58, comma 3, del d. lgs. n. 346/90 alle disposizioni contenute nell’art. 45 del medesimo decreto e sempre facendo salvo, anche in questo caso, l’eventuale applicazione del regime di esenzione di cui all’art. 3 del d. lgs. n. 346/90.
E’ sempre il Secit a precisare che, per quanto riguarda gli adempimenti, “gli atti di costituzione di trust inter vivos recanti attribuzione di patrimonio, dovranno essere sottoposti alla registrazione entro il termine di venti giorni e il competente ufficio del registro procederà alla liquidazione dell’imposta di donazione, applicando il disposto di cui all’art. 56 del d. lgs. n. 346 del 1990, nonché le norme procedurali riguardanti gli atti da registrare in termine fisso previste dal d.p.r. n. 131 del 1986”.
Lo stesso Secit ha precisato anche che, “nel caso in cui l’atto di costituzione di trust non contempli la contemporanea attribuzione di un patrimonio, dovrebbe rendersi applicabile l’art. 11 della Tariffa, parte I, allegata al d.p.r. n. 131 del 1986” (applicazione dell’imposta di registro in misura fissa).
L’assimilazione del trust alla donazione, sia sotto il profilo civilistico che tributario, è stata condivisa anche da parte di dottrina e di giurisprudenza(45). Non manca, infatti, chi osserva che “con l’atto di costituzione del trust si possono perfezionare due atti di liberalità, un trasferimento fiduciario gratuito sottoposto all’onere di gestire i beni, attribuirne eventualmente il risultato economico ai beneficiari, ai quali poi definitivamente ritrasferire il bene medesimo e una donazione vera e propria di diritti rilevanti fiscalmente in sede di determinazione della base imponibile”. Soggetti passivi dell’imposizione sarebbero “rispettivamente i trustees in quanto fiduciari-donatori e i beneficiari in quanto donatari dei corrispondenti diritti ai benefici previsti nel trust”, in proporzione alle corrispondenti attribuzioni, argomentando dall’art. 5 e 58, comma 1, d. lgs. n. 346/1990(46).
Non manca neppure chi, pur rimanendo sempre nell’ambito della donazione, si interroga sulla difficoltà di individuare con certezza il soggetto passivo di imposta, per la contemporanea presenza di due soggetti (trustee e beneficiaries) entrambi astrattamente qualificabili come beneficiari e conclude ritenendo soggetti passivi di imposta solo i beneficiaries, che sarebbero i soli effettivi destinatari dei beni conferiti in trust e dei redditi prodotti(47).
In ordine alla problematica qui in esame, non si condivide l’opinione di chi assimila alla donazione il negozio dispositivo dal settlor al trustee e ciò ragionando sia sotto il profilo della causa(48), che sotto il profilo degli effetti. Il settlor, infatti, non è mosso da un intento di liberalità nei confronti del trustee(49) - scelto solo come persona di fiducia alla quale affidare l’amministrazione di alcuni beni in funzione di un programma predeterminato - ma piuttosto da un intento di liberalità nei confronti dei beneficiaries finali, intento che troverà realizzazione solo alla scadenza finale del trust, con l’atto dispositivo che il trustee sarà obbligato a compiere, in virtù del rapporto fiduciario, nei confronti dei beneficiaries. Ed inoltre, come è stato correttamente sottolineato, vi è una totale “inettitudine del trustee a manifestare una capacità contributiva propria con riferimento ai beni affidatigli fiduciariamente:” la sua titolarità dei beni “ha un contenuto economico-giuridico non corrispondente al diritto di proprietà(50)” ed inoltre la sua funzione, pur nell’ambito dell’intuitus personae, è caratterizzata da una tendenziale fungibilità(51).
Non pare, inoltre, possibile assimilare il negozio istitutivo di trust al contratto di donazione, neppure considerando il fatto che lo stesso comporta un depauperamento del patrimonio del settlor, sia perché questo effetto non è necessariamente collegato soltanto ad un contratto donativo, ma ben può verificarsi anche in atti a titolo gratuito non donativi, sia perché, nella fattispecie in esame, non si verifica un corrispondente arricchimento del patrimonio del trustee(52), in considerazione dell’effetto di segregazione dei beni in trust rispetto al suo patrimonio personale, nonché del fatto che egli non è il destinatario finale dei beni, ma la persona obbligata a trasferirli ai beneficiaries.
Vi è poi la posizione di chi ritiene comunque applicabile al trust l’imposta sui trasferimenti, da individuarsi a seconda della corrispondenza addirittura di entrambi gli atti di disposizione (dal settlor al trustee e dal trustee al beneficiario) alle singole fattispecie previste e disciplinate dal d.p.r. n. 131/86 in tema di imposta di registro(53) o nella categoria residuale di cui all’art. 9, tariffa parte, allegata al suddetto decreto(54).
A questa teoria è stato giustamente obiettato che la tassazione dovrebbe colpire soltanto l’ultimo trasferimento dal trustee ai beneficiaries, mentre “l’atto di dotazione, in quanto tale, nulla dice sulla causa dell’attribuzione ai beneficiari e si configura, pertanto, come atto neutro ai fini che qui interessano(55), non diversamente da come atto neutro è considerato il trasferimento di valori mobiliari alle società fiduciarie”(56).
“La ragione o causa pratica del trust non sta nella attribuzione definitiva del diritto trasferito al trustee, ma nella conservazione di tale diritto e nel compimento di tutti quegli atti (anche di alienazione) che, nei limiti prescritti dall’atto istitutivo, il trustee dovrà porre in essere per realizzare lo scopo del trust e quindi per soddisfare gli interessi che il disponente ha attribuito ai beneficiari.
Il trustee, in sostanza, non manifesta alcuna capacità contributiva”, non avendo la proprietà sostanziale del bene e non essendo il soggetto interessato all’operazione. “A ciò si aggiunga la considerazione che i beni del trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del trustee, tanto che alla sua morte non concorrono a formare il relictum né, in caso di fallimento, la massa attiva. In sostanza il trustee non gode del diritto di proprietà al quale, nel nostro ordinamento, si collegano le norme fiscali, né si determina il presupposto impositivo del “trasferimento”, giacché quest’ultimo è il passaggio di un bene o diritto da un patrimonio all’altro, ciò che nella specie” non si verifica”.
In altri termini, “non dovrebbe essere assoggettato ad imposta proporzionale il trasferimento dal settlor al trustee, trattandosi di un’attribuzione meramente strumentale al raggiungimento del fine ultimo del trust”.
Condividendo l’opinione, che si ritiene preferibile, di non considerare trasferimento l’atto dispositivo dal settlor al trustee(57), si conclude nel senso di ritenere lo stesso soggetto ad imposizione indiretta in misura fissa ex art. 11 tariffa parte prima allegata al d.p.r. n. 131/86 in tema di imposta di registro, quale atto non avente per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale(58) (oltre ad imposta ipotecaria e catastale, sempre in misura fissa, laddove se ne presentino i presupposti impositivi).
“Se pertanto gli unici soggetti passivi di imposta sono i beneficiaries, “solo prendendo in considerazione la posizione di costoro (e quindi solo in un secondo momento) sarà possibile stabilire quale sia l’imposta applicabile ed in che misura”.
“Nella maggior parte dei casi la causa dell’attribuzione ai beneficiari sarà ascrivibile tra quelle di liberalità(59)”. “Qualora, invece, l’intento ultimo del disponente non sia ascrivibile nella categoria di quelli di liberalità, il trasferimento dal trustee ai beneficiari andrà sottoposto ad imposta di registro, con aliquota variabile a seconda del diritto che ne forma oggetto.(60)”
In tempi recenti, inoltre, l’atto istitutivo di trust è stato da più parti assimilato al fondo patrimoniale(61) senza trasferimento di beni, disciplinato dagli artt. 167 ss. c.c., considerando gli effetti di segregazione del patrimonio che ne derivano.
Su questa linea è anche una recente sentenza del tribunale di Milano(62), che argomenta in base alle seguenti motivazioni: “dai connotati salienti del Trust ora enunciati emerge come l’intestazione dei beni del Trust passi formalmente dal disponente al Trustee per costituire una “massa distinta” dal patrimonio di quest’ultimo, al quale viene posto un limite di disponibilità, in quanto essa è vincolata dalla destinazione stabilita nel Trust, così che il Trustee non ne possa disporre in proprio né essa possa essere aggredita dai creditori del Trustee o suscettibile di atti di disposizione anche mortis causa da parte del gestore.
Si tratta dunque di una sorta di “cristallizzazione” dei beni, sottratti al patrimonio del disponente, ma non entrati a far parte neppure del patrimonio del Trustee, che su di essi ha unicamente poteri e doveri di gestione fiduciaria nei termini stabiliti dall’atto istitutivo del Trust.” Il tribunale conclude che, “in presenza dei connotati sopra individuati, il Trust non possa essere assimilato ad un atto di trasferimento della proprietà o ad uno di quelli elencati all’art. 2643 del codice civile ovvero di cui all’art. 2465 del codice civile”, ma piuttosto pare assimilabile al fondo patrimoniale, “nel quale pure viene posto un limite – per il titolare formale di essi – alla disponibilità di determinati beni per il raggiungimento di uno scopo determinato: fronteggiare i bisogni familiari”(63).
Diverso pare, poi, l’inquadramento del successivo atto di trasferimento col quale il trustee trasmetterà i diritti o i beni ai beneficiari finali. Questo atto realizza il vero risultato economico perseguito dal settlor e trasferisce, questa volta definitivamente e pienamente, il diritto di proprietà. Trattandosi quindi di un trasferimento vero e proprio sotto tutti i profili, pare corretto ritenerlo suscettibile di imposizione fiscale, che andrà ricercata nella causa propria del trasferimento, da individuarsi caso per caso, ma che normalmente sarà donativa(64) (ora disciplinata dalla normativa di cui all’art. 14 della legge 18 ottobre 2001, n. 383)(65), con il trattamento tributario corrispondente al negozio che viene posto in essere(66).
Si segnala anche l’opinione di chi ritiene applicabile a tale atto l’imposta di registro nella misura proporzionale del 3% ex art. 9, tariffa parte prima, allegata al d.p.r. n. 131/86, oltre alle imposte ipotecarie e catastali in misura proporzionale, considerando la sua natura di trasferimento “senza corrispettivo, ma in adempimento delle obbligazioni assunte con l’istituzione del trust”(67).
Si segnala, infine, lo studio realizzato dal Gruppo di lavoro costituito presso la Direzione Regionale dell’Emilia Romagna(68), sui profili civilistici e fiscali del trust, in linea con le interpretazioni da ultimo citate:
- atto dispositivo di trust con cui il disponente esprime la volontà di costituire un trust: imposta fissa di registro ex art. 11, Tariffa parte prima, d.p.r. n. 131/86 per atti pubblici e scritture private autenticate - escluse le procure - non aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale;
- atto dispositivo con cui il disponente trasferisce, a titolo gratuito, i beni in trust al trustee, qualora abbia per oggetto beni o diritti per i quali sia prevista la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata: imposta fissa di registro ex art. 11, Tariffa parte prima, d.p.r. n. 131/86. Se il trasferimento avviene con lo stesso atto istitutivo di trust, l’imposta fissa di registro, secondo la normativa sopra indicata, sarà applicabile una volta sola.
Se il disponente è un imprenditore o un professionista e trasferisce beni relativi all’impresa o alla professione, si realizza l’ipotesi di destinazione dei beni stessi a finalità estranee all’esercizio d’impresa o all’esercizio di arte o professione (ex art. 2, co. 2, n. 5 d.p.r. n. 633/72), con conseguente assoggettamento dei trasferimenti ad IVA, ferma rimanendo l’imposta fissa di registro ex art. 40 d.p.r. n. 131/86;
- trasferimento dei beni in trust ai beneficiari: si tratta di “una sorta di liberalità indiretta che, quindi, costituisce il presupposto per l’applicazione dell’imposta di donazione nei confronti dei beneficiari finali, ove ne ricorrano le condizioni. Occorrerà, pertanto, avere riguardo al rapporto intercorrente fra i beneficiari e il disponente al fine di verificare se sussistono le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 2, della legge 18 ottobre 2001, n. 383”;
- successione di trustees per morte, revoca o sostituzione: “poiché in tal caso la titolarità dei beni in trust deve essere trasferita al nuovo trustee, qualora si sia in presenza dei presupposti di registrazione dell’atto, si renderà applicabile, come per il primo atto, l’imposta di registro in misura fissa di cui all’art 11 della Tariffa, parte prima, del citato d.p.r. n. 131/86;
- successione di guardiani: valgono le considerazioni svolte per il trustee;
- acquisti e vendite durante la vita del trust, compiute dal trustee: ordinarie imposte di registro, con le aliquote proprie dei beni oggetto delle predette operazioni, salva l’applicazione dell’IVA nelle ipotesi previste dal d.p.r. n. 633/1972”;
- imposte ipotecarie e catastali: “se dovute, si rendono applicabili sia in relazione agli atti di trasferimento dal disponente al trustee, in misura fissa, sia in relazione ai successivi atti traslativi effettuati dal trustee in favore dei beneficiari, in misura proporzionale, secondo la disciplina per esse prevista dalle disposizioni contenute nel d. lgs. 31 ottobre 1990, n. 347”.
In conclusione, si rammenta che tutte le osservazioni di cui sopra presuppongono l’esistenza di un trust riconosciuto dal nostro ordinamento giuridico e, quindi, con caratteristiche tali da renderlo conforme a quanto stabilito dalla citata Convenzione dell’Aja(69): In caso contrario, la fattispecie non potrà essere qualificata come trust né dal punto di vista civilistico, né sotto il profilo tributario(70).
Per quanto riguarda, più in particolare, il quesito concreto proposto, si sottolinea come, la mancata conoscenza di elementi sufficienti per accertare se il trust in questione abbia le caratteristiche indicate dalla Convenzione dell’Aja al fine del riconoscimento nel nostro ordinamento giuridico, non consente alcuna valutazione in tal senso.
Sotto il profilo tributario, in mancanza ed in attesa di una normativa specifica sull’istituto in esame, le interpretazioni da preferire, in linea con gli orientamenti più recenti sopra segnalati, tra i quali anche quello dell’Amministrazione finanziaria(71) e per le motivazioni tutte sopra espresse, sono nel senso di considerare la costituzione di beni in trust un atto non equiparabile ad un trasferimento di proprietà, neutro dal punto di vista fiscale e, come tale, soggetto ad imposizione indiretta (imposta di registro, ipotecaria e catastale) in misura fissa(72), mentre il successivo atto di trasferimento ai beneficiari sarà soggetto alla tassazione propria del negozio a cui corrisponde.
(1) Nell’ambito delle diverse tipologie di trust nei paesi di common law, emerge la distinzione fondamentale in base al modo di costituzione, utilizzando, nella stessa terminologia inglese, termini latini propri del nostro diritto: il trust inter vivos, che trova appunto origine in un atto costitutivo tra vivi (trust deed), si distingue dal trust mortis causa, che trae origine in un will, ossia in un testamento.
Il riconoscimento internazionale è così riservato soltanto ai voluntary trusts ed agli express trusts, restando esclusi gli statutory trusts (implied and constructive trusts).
(2) Il trust è stato definito una fiducia legale opponibile ai terzi (LUPOI, Trusts, Milano, 1997).
(3) Si è infatti affermato in dottrina che, alla morte del settlor residente in Italia, il patrimonio del trust in precedenza costituito non concorre a formare la base imponibile per l’imposta di successione (oggi peraltro soppressa), in quanto tale patrimonio non appartiene più al de cuius, ma al trust. In tal senso SCREPANTI, Trusts e imposizione indiretta, in Il fisco, 2001, 13, p. 4916 ss.; APRILE, Gli aspetti fiscali del trust, in Il fisco, 2001, 14, p. 5277 ss.; DE ANGELIS, Questioni di diritto sostanziale e tributario connesse al riconoscimento del trust nell’ordinamento italiano. Lacune normative e prospettive di regolamentazione, (Parte prima e parte seconda), in Fiducia e Trust, n. 1-2002.
(4) Agenzia delle Entrate, Direzione centrale normativa e contenzioso, in data 1 ottobre 2002, in risposta all’interpello n. 954-249/2002; Risoluzione Agenzia delle Entrate, Direzione centrale normativa e contenzioso, in data 17 gennaio 2003, n. 8/E; Agenzia delle Entrate, Direzione centrale normativa e contenzioso nota n. 30900, in data 4 marzo 2003, in risposta all’interpello n. 576/2002.
Per un esteso commento delle citate pronunce, cfr. LUPOI, Osservazioni sui primi interpelli riguardanti trust, in Il fisco, 2003, 28, p. 1-4342; FORMICA, La destinazione di beni e patrimoni nella esperienza del diritto tributario, in Quaderni romani di diritto commerciale, Destinazione di beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative, Milano, 2003, p. 137 ss.
Il coinvolgimento della struttura centrale dell’Agenzia è già di per sé indice di un intervento non ordinario, conformemente agli indirizzi dettati dalle circolari ministeriali, che prevedono in linea generale la competenza delle Direzioni regionali dell’Agenzia, in materia di interpello, ad esclusione del ricorso eccezionale alla struttura centrale “nei casi di maggiore complessità o incertezza della soluzione ovvero qualora l’interpello concerna norme di recente approvazione sulle quali la competente Direzione centrale non si sia ancora pronunciata”. Cfr. Circolare Ministero delle finanze 31 maggio 2001, n. 50/E, punto 6 e circolare Ministero dell’economia e delle finanze 7 agosto 2001, n. 7/T.
(5) LUPOI, Osservazioni sui primi interpelli, cit..
BELLUZZO – LO PRESTI VENTURA, Trusts “interni” “discrezionali” ed imposizione diretta: note a margine della risoluzione 17 gennaio 2003, n. 8/E, in Il fisco, 2003, 22, p. 1-3398) osservano che l’Agenzia “ha fornito un’ampia interpretazione del caso, particolarmente utile nell’evidenziare la crescente sensibilità del Ministero verso l’istituto in analisi e nel fornire agli operatori nuove indicazioni sull’attuale stato dell’arte”.
(6) Agenzia delle Entrate, Direzione centrale normativa e contenzioso, in data 1 ottobre 2002, in risposta all’interpello n. 954-249/2002. Con tale pronuncia, l’Agenzia ha negato la riconducibilità della fattispecie esaminata al trust di cui all’art. 2 della Convenzione dell’Aja, collegandola piuttosto al mandato con rappresentanza, in considerazione delle seguenti caratteristiche: mancanza di un effettivo potere-dovere gestorio del trustee, potere incondizionato del disponente di revocare il trustee, identità tra disponente e beneficiario e, soprattutto, circostanza che il reddito prodotto dal bene oggetto di trust (nella fattispecie una partecipazione societaria quale socio accomandante) fluisse direttamente dal trust in capo ai beneficiari.
(7) A questo proposito, si ricorda che, in base ad alcune normative straniere, il trustee può essere lo stesso settlor, verificandosi comunque, anche in tal caso, la segregazione dei beni in trust.
Nello stesso senso pare orientata la giurisprudenza più recente. Il Tribunale di Parma, infatti, con sentenza n. 1406/03, in data 13 ottobre 2003, ha ordinato al Conservatore dei Registri Immobiliari di cancellare la riserva apposta alla trascrizione di un atto di trust, nel quale vi è coincidenza soggettiva tra settlor e trustee. Da tale pronuncia si desume implicitamente il riconoscimento, nel nostro ordinamento, anche del cd. autotrust. Sul punto cfr. Il trust “autodichiarato” fa un passo verso l’ammissibilità, in Il Sole 24 Ore 20 novembre 2003, p. 29.
Contra: Trib. Napoli, 1 ottobre 2003, che parla, in tal caso, di struttura atipica del trust rispetto al suo modello delineato dalla Convenzione dell’Aja, interpretando l’art. 2 nel senso di richiedere l’esistenza quantomeno di “due soggetti per la costituzione del rapporto giuridico di trust: da un lato il costituente e dall’altro il trustee”, argomentando anche sulla base della proposta di legge n. 6547/99, diretta ad introdurre l’istituto nella nostra legislazione.
(8) Si tratta della risoluzione in data 17 gennaio 2003, n. 8/E, in risposta ad un interpello sulla soggettività passiva, ai fini delle imposte sui redditi, di un trust interno regolato dalla legge di Jersey - Isole del Canale.
In particolare, si tratta di un trust col quale il disponente, non più giovane e consapevole di non poter provvedere personalmente, nel tempo, ai piccoli bisogni degli ultimi nipoti ex filio, così come ha provveduto per i primi nipoti ormai maggiorenni, trasferisce al trustee modiche somme non eccedenti la porzione disponibile (nel manifestato intento di non ledere gli interessi dei legittimari), con lo scopo di assicurare ai beneficiari la paghetta settimanale proporzionata all’età, un giocattolo ad ogni festa di compleanno e ad ogni Natale, l’istruzione anche universitaria e specialistica, un terzo del patrimonio del trust per iniziare un’attività di lavoro autonomo.
Anche in questo caso l’Agenzia ha negato la riconducibilità della fattispecie oggetto di interpello al trust di cui all’art. 2 della Convenzione dell’Aja, non ravvisando “un effettivo potere di gestione e amministrazione del trustee, in considerazione della “persistente connotazione di dominus del rapporto giuridico che l’atto in esame attribuisce alla figura del” guardiano, il quale si identifica, nel caso concreto, proprio col disponente.
L’Agenzia riconduce così la fattispecie negoziale ad una di quelle che, “secondo il rapporto OCSE del 26-27 aprile 2001, potrebbero prestarsi ad usi non del tutto trasparenti”, quale “un trust formalmente regolare in cui il settlor mantiene l’effettivo controllo sui beni attraverso un guardiano che – persona di fiducia o consigliere del settlor – può sostituire il trustee per qualsiasi ragione e in qualsiasi momento.
Se la gestione del trust è riconducibile al settlor o disponente, il trust è tamquam non esset come pacificamente riconosciuto in dottrina e affermato dalla nota sentenza della Royal Court of Jersey”.
L’Agenzia conclude così nel senso che, se “non si verifica un reale spossessamento del disponente, e i beni in trust sono – come nel caso – beni mobili, il negozio rileva ai fini fiscali come un mandato con rappresentanza, con la conseguente diretta imputabilità dei redditi al disponente”.
(9) Agenzia delle Entrate, Direzione centrale normativa e contenzioso, in data 4 marzo 2003, in risposta all’interpello n. 576/2002 sulla soggettività passiva, ai fini delle imposte sui redditi, di un trust interno, a favore di un soggetto disabile, con lo scopo di assicurargli l’assistenza necessaria vita natural durante, cosicché, in nessun caso, debba mai trascorrere la propria vita in un istituto di assistenza per invalidi.
L’Agenzia nega alla fattispecie gli effetti segregativi di cui all’art. 2 della Convenzione dell’Aja, secondo cui i beni del trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del trustee e ritiene conseguentemente il trustee soggetto passivo di imposta ai fini delle imposte dirette, sulla base dei seguenti rilievi:
a) la documentazione prodotta dall’istante non consente di verificare la conformità del trust alla legge scelta dal disponente - nella specie la legge inglese - e nel diritto inglese non esiste in senso proprio una legge sui trust;
b) diversamente dalla prassi dei trust a favore di disabili, non è stato nominato nell’atto istitutivo il guardiano, quale figura che proietta nel tempo la volontà del disponente, adatta a seguire il disabile nella sua vita e a vigilare sull’operato del trustee, esercitando eventualmente il suo potere di revoca”.
(10) Trib. Milano, 27 dicembre 1996; Trib. Genova, 24 marzo 1997; Trib. Lucca, 23 settembre 1997, confermata da App. Firenze, 9 agosto 2001; Pretura Roma, 13 aprile 1999; Trib. Roma 2 luglio 1999; Trib. Bologna 18 aprile 2000; Trib. Chieti, 10 marzo 2000; Comm. prov. Treviso, 20 marzo 2001; Trib. Perugia, 26 giugno 2001; Comm. prov. Lodi 5 novembre 2001; Trib. Pisa, 22 dicembre 2001; Trib. Perugia, 16 aprile 2002; Trib. Milano, 8-29 ottobre 2002; Trib. Firenze, 23 ottobre 2002; Trib. Verona, 8 gennaio 2003; Comm. reg. Venezia, 23 gennaio 2003, Trib. Roma, sez. fall., 4 aprile 2003; Trib. Bologna, 16 giugno 2003.
(11) Cfr. GIULIANI, Il trust “interno” (regolato da una “legge trust”) e la Cconvenzione dell’Aja, in Contratto e impresa, 2003, p. 433 ss.
(12) Trib. Bologna, 1 ottobre 2003, n. 4545/03
(13) Sui profili fiscali del trust cfr., oltre agli autori in seguito citati, A. ORLANDI CONTUCCI, Trusts. Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985. Aspetti civili e fiscali connessi all’introduzione dell’istituto nell’ordinamento italiano, in Il fisco, 1991, p. 6894 ss; F. TUNDO, Implicazioni di diritto tributario connesse al riconoscimento del “trust”, in Dir. prat. trib., 1993, I, p. 1285 ss..
Quanto ai profili fiscali di antielusione e di interposizione, collegabili al trust, cfr. GALLO, Trusts, interposizione ed elusione fiscale, in Rass. trib., 1996, 5, p. 1043 e in I trusts in Italia oggi, Milano, 1996, p. 289 ss.; BELLUZZO, La tassazione in Italia dei trusts, in Il fisco, 1999, 22, 7448.
(14) Delibera Secit 11 maggio 1998, n. 37, La circolazione dei trusts esteri in Italia (delibera del Servizio Consultivo e Ispettivo tributario).
(15) In tal senso, letteralmente, risoluzione Agenzia delle Entrate n. 8/E del 17 gennaio 2003, nonché Agenzia delle Entrate, Direzione centrale, in data 4 marzo 2003, entrambe già citate.
Si osserva che, al momento della ratifica della Convenzione dell’Aja - come risulta dalla relazione al relativo disegno di legge presentato alla Camera, in ordine all’art. 19 - il legislatore osservò: “non vi sono per il momento adattamenti o modifiche da apportare al nostro sistema fiscale in vista del riconoscimento degli effetti dei trusts esteri nel nostro territorio. Eventuali disposizioni sono rimesse all’autonomia decisionale delle sedi competenti, qualora appaia che il fenomeno abbia assunto dimensioni tali da richiederne l’emanazione”.
(16) Lo stesso Secit, con la citata delibera in data 11 maggio 1998, n. 37, aveva appunto deliberato la “necessità di un intervento normativo diretto a disciplinare i diversi profili civilistici e fiscali” del trust.
(17) A titolo esemplificativo, è sufficiente ricordare soltanto alcune delle classificazioni tipiche dei trusts nei paesi dove essi trovano disciplina propria:
- trusts inglesi regolati da norme di common law e di equità; trusts internazionali originati da legislazioni diverse ispirate al modello originario inglese, ma adattato ad esigenze specifiche; trusts civilistici derivanti da norme specifiche di Stati di civil law;
- private trusts, che prevedono beneficiari, e public trusts istituiti a tutela di uno scopo determinato (es. i chairities, istituiti per finalità caritatevoli e i non charitable purpose trusts);
- voluntary trust e statutory trust;
- trusts inter vivos e trusts mortis causa, a seconda del diverso titolo costitutivo;
- simple trust, in cui il beneficiario ha diritto alla totalità del capitale e del reddito del trust; interest in possession trust, in cui il beneficiario ha diritto soltanto al reddito del trust; discretionary trust e accumulation trust (anche detto golden trust), nei quali il beneficiario non ha diritto immediato né al reddito né al capitale, qualora sia attribuita al trustee ampia discrezionalità in tal senso;
- revocable trust (o grantor trust) e irrevocable trust (o ordinary trust).
(18) Relazione Secit n. 37 dell’11 maggio 1998, La circolazione dei “trusts” esteri in Italia.
(19) Nella fiducia di tipo germanico, al fiduciario era trasferito un potere giuridico di disposizione, condizionato risolutivamente; ogni uso contrario allo scopo convenuto determinava un ritorno del bene al fiduciante, anche a danno del terzo acquirente.
(20) Nella fiducia di tipo romano, il fiduciario era investito di un potere giuridico dal punto di vista reale illimitato, circoscritto però dall’obbligo convenuto fra i due soggetti, con il pactum fiduciae, per conseguire un fine più ristretto.
Nel rispetto di tale obbligo, il fiduciario doveva fare del diritto trasferitogli, di cui aveva la titolarità assoluta, un determinato uso, oppure trasferirlo alla persona indicatagli dal fiduciante o al fiduciante stesso.
In caso di violazione dell’obbligo, il fiduciante poteva agire solo per il risarcimento dei danni.
Dai rapporti di fiducia del diritto romano sono derivati gli istituti del negozio fiduciario e del mandato fiduciario.
Secondo autorevole dottrina, nel nostro ordinamento non potrebbe trovare cittadinanza la fiducia di tipo germanico, se non ammettendo la proprietà temporanea e risolubile.
Osserva, tuttavia, Trib. Bologna 18 aprile 2000, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, p. 372, che “lo stesso concetto di “trasferimento di proprietà” di cui al n. 1 dell’art. 2643 c.c. non appare più del tutto univoco, a fronte dell’emersione di istituti nei quali lo stesso diritto di proprietà si atteggia con modalità parzialmente diverse da quelle tradizionali (si pensi alla multiproprietà ovvero alla proprietà fiduciaria)”.
(21) Relazione Secit n. 37 dell’11 maggio 1998, cit.
(22) FEDELE, Visione di insieme della problematica interna, in I trusts in Italia oggi, Milano, 1996, p. 269 ss., sottolinea gli aspetti imprescindibili del trust da considerare per la loro incidenza sul piano fiscale: “qualsiasi forma di trust si risolve necessariamente in destinazione, giuridicamente rilevante, di beni, diritti o complessi patrimoniali alla soddisfazione di interessi od all’attuazione di scopi, autonomamente tutelati e riconosciuti”. “La destinazione si risolve … in separazione (se si vuole in segregazione) dal residuo patrimonio del trustee ed in vincolo di scopo imposto ai suoi poteri di gestione; strumentale ad essa è il trasferimento al trustee, … mentre assume rilevanza fiscale, quale conclusiva attuazione dello scopo perseguito, l’eventuale attribuzione al, od ai, beneficiari”.
(23) LUPOI, Trusts, Milano, 1997, 605, il quale osserva, tra l’altro, che se non può considerarsi una novità “l’insorgere di fenomeni economico-giuridici da regolare con norme tributarie preesistenti”, nella materia qui in commento si ha invece una novità, che “consiste nell’estraneità: “la legge fiscale italiana applicata a un rapporto regolato da un diritto straniero che non trova, altro che rarissimamente, omologhi nel nostro”.
(24) Esiste anche una quarta eventuale figura, il protector o guardiano, con funzioni di controllo dell’operato del trustee per conto del settlor, figura che non si trova nella “linea diretta di rapporto” dei tre soggetti principali, ma al di sopra degli stessi. Cfr. D’ALFONSO, Trust. Inquadramento fiscale, cit.
(25) Cfr. DE NOVA, Trust: negozio istitutivo e negozi dispositivi, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, p. 162 ss.
(26) Non vi è, invece, distinzione fra i suddetti due momenti nel trust testamentario, nel quale non vi è separazione temporale tra atto istitutivo ed atto dispositivo. Cfr. LUPOI, Trusts, cit., p. 607.
(27) Si segnala, peraltro, l’opinione di chi preferisce parlare di contratto preliminare - considerando il suo contenuto di delineazione del programma da parte del settlor e di obbligo assunto dallo stesso di realizzarlo - soggetto, pertanto, ad imposta di registro in misura fissa ex art. 10, tariffa parte prima, allegata al d.p.r. n. 131/86. Cfr. SCREPANTI, Trust e imposizione indiretta: i possibili riflessi di alcuni recenti interventi normativi e orientamenti ministeriali, in Il fisco, 2001, 13, p. 4926; APRILE, Gli aspetti fiscali del trust, in Il fisco, 2001, 14, p. 5277.
Al di là del medesimo “risultato” tributario raggiunto, tale ricostruzione non appare, tuttavia, convincente, non ravvisandosi né la natura di contratto preliminare, né l’azionabilità nel caso in cui il settlor non realizzi il programma delineato.
(28) Si segnala l’opinione di chi ravvisa un’unica eccezione alla problematica legata al trattamento tributario in esame, nel caso di costituzione del cd. blind trust, nel quale la coincidenza della persona del settlor con quella del beneficiario esclude la natura di atto di trasferimento. Cfr. DE ANGELIS, Questioni di diritto sostanziale e tributario cit.; CESARO, Il trust: quale disciplina? in Contratti, 1998, 6, p. 619 ss.
(29) E’ lo stesso Secit, nella citata relazione n. 37 dell’11 maggio 1998, ad osservare che la scelta non è di poco conto, considerando che “l’applicazione dell’imposta di registro colpisce solo l’atto formato in Italia o quello che, formato all’estero, è relativo a beni immobili o ad aziende site nel territorio dello Stato”, mentre “l’imposta sulle donazioni si applica nei confronti di chiunque per gli atti di liberalità compiuti in Italia, nei confronti degli stranieri per gli atti compiuti all’estero da stranieri ove riguardino beni immobili o aziende italiane, e nei confronti dei residenti, ovunque essi abbiano disposto la donazione”.
(30) Delibera Secit 11 maggio 1998, n. 37, La circolazione dei trusts esteri in Italia, cit.
(31) Si ricorda l’opinione di chi ipotizza la possibilità anche di una istituzione di erede, da ravvisarsi nel caso in cui il testatore intenda devolvere al trust il suo intero patrimonio o una quota di esso, individuando così nel beneficiario il suo erede. Cfr. PALAZZO, Trust e interesse all’ambulatorietà dell’attribuzione gratuita, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, 2, p. 179.
(32) Il Secit individua nella provvisorietà del trasferimento al trustee l’elemento che maggiormente accomuna il trust alla sostituzione fedecommissaria. Questa provvisorietà, alla quale non corrisponde, tuttavia, necessariamente, una temporaneità dell’istituzione – potendo ben esistere anche trust perpetui - “contraddistingue la finalizzazione del trasferimento ad uno scopo ulteriore e diverso dall’arricchimento del soggetto intermedio”.
(33) All’epoca della pronuncia era ancora in vigore l’imposta sulle successioni.
(34) Riguardo alla determinazione dell’aliquota impositiva, il Secit ritiene applicabile l’aliquota più elevata riservata agli estranei, considerando che non possa tenersi conto del vincolo familiare eventualmente esistente tra settlor e beneficiari, in quanto la costituzione di un trust comporta l’intervento di un soggetto terzo, destinatario effettivo del trasferimento, che “segna una crisi nel passaggio dal settlor ai suoi parenti.
(35) Comm. trib. reg. Venezia, sex. XIX, 24 ottobre 2001, n. 104 esclude qualsiasi parallelismo tra il trust e la sostituzione fedecommissaria di cui all’art. 692 c.c., “stante la natura assolutamente peculiare e limitata di tale istituto, che restringe il proprio ambito di applicazione a casi ben specifici e la cui causa pertanto è da ravvisare in ben altre ragioni sociali”.
Considera inaccettabile la tesi di equiparazione del trust alla sostituzione fedecommissaria anche APRILE, Gli aspetti fiscali del trust, cit., per un duplice ordine di motivi: “duplicazione dell’imposta con riferimento al medesimo presupposto impositivo” e non corretta assimilazione tra i due istituti.
(36) Si è espressa nello stesso senso anche Trib. Lucca, 23 settembre 1997, il quale nega, infatti, che nel trust si possa parlare di una duplice istituzione di erede con ordo successivus, come nella sostituzione fedecommissaria, sottolineandone la natura sua propria di “istituto di common law denominato trust”.
(37) CESARO, Il trust: quale disciplina? cit., p. 626.
(38) Espressione atecnica se riferita al legato, ma che sta a significare più in generale l’accettazione della condizione di beneficiario del trust.
(39) Cfr. nota 2.
(40) CESARO, Il trust: quale disciplina? cit., p. 626.
(41) Art. 132, secondo comma, legge 18 ottobre 2001, n. 383.
(42) CESARO, Il trust: quale disciplina? cit., p. 627.
(43) A differenza dalle successioni, infatti, le donazioni sono soggette a trattamenti fiscali diversi a seconda del rapporto di parentela intercorrente tra il donante ed il beneficiario.
L’effetto di assoluta irrilevanza fiscale dell’atto è riservato alle sole donazioni effettuate in favore di:
- coniuge;
- parenti in linea retta (padre/figlio; nonno/nipote);
- altri parenti fino al quarto grado (zio/nipote; fratelli; cugini).
Se, invece, il beneficiario non rientra nelle categorie di persone sopra elencate ed il valore delle donazioni eccede la franchigia di 180.759,91 euro, devono essere corrisposte, sul valore che supera la franchigia, le imposte sui trasferimenti ordinariamente applicabili per le operazioni a titolo oneroso. In altri termini, è dovuta l’imposta di registro nella misura stabilita per le diverse tipologie di beni dalle disposizioni concernenti questa imposta.
Sul punto cfr. FRIEDMANN e PETRELLI, Il nuovo regime impositivo delle successioni e delle donazioni e liberalità tra vivi, est., in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e materiali, Milano, 1/2002, p. 145; BELLINI e FRIEDMANN, Circolare 7 maggio 2001 n. 44/E dell’agenzia delle entrate, avente per oggetto “imposta sulle successioni e donazioni – legge 21 novembre 2000, n. 342, art. 69”. Aspetti particolari, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e materiali, Milano, 1/2002, p. 184; FRIEDMANN e PETRELLI, Primi commenti alla modifica del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e materiali, Milano, 1/2002, p. 189; FRIEDMANN e CIPOLLINI, La posizione del beneficiario per estensione delle agevolazioni prima casa in materia di successione e donazione, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e materiali, Milano, 2/2003, p. 546.
(44) Delibera Secit 11 maggio 1998, n. 37, La circolazione dei trusts esteri in Italia, cit.
(45) Cfr. Comm. trib. prov. Treviso 29 marzo 2001, n. 27: in caso di costituzione di un trust, si è in presenza di un atto che, pur avendo una causa giuridica particolare, realizza comunque lo scopo economico che caratterizza una donazione. Se si può convenire che manca l’animus donandi, esiste da subito un vantaggio per i beneficiari e agli stessi va poi la proprietà del bene al termine del periodo prefissato e alle condizioni espressamente indicate nel provvedimento di costituzione del trust. Conseguentemente, l’imposta applicabile sarà quella sulle donazioni.
(46) In tal senso PALUMBO, Pianificazione fiscale dei trusts alla luce della giurisprudenza italiana e svizzera, in Il fisco, 1999, 36, p. 11655.
(47) SERBINI, Appunti sul trust e sui riflessi fiscali conseguenti al suo riconoscimento, in Il fisco, 1994, 33, 7869.
In ordine alla individuazione del soggetto passivo, è stata sottolineata l’importanza di accertare, nella fattispecie concreta, chi sarà il destinatario finale del patrimonio del trust. “Se infatti il beneficiario finale dei beni sarà lo stesso settlor, nessuna imposta sarà dovuta in quanto i beni stessi non sono mai usciti dalla sua sfera patrimoniale”. In tal senso D’ALFONSO, Trust. Inquadramento fiscale, cit.
GAFFURI – ALBERTINI, Costituzione del trust e trasferimento dei beni, in I trusts in Italia oggi, Milano, 1996, p. 314 ss., ritengono che il presupposto dell’imposta sulle donazioni sia “sufficientemente ampio da abbracciare anche il trasferimento dei beni al trust” – considerando la gratuità e la mancanza di corrispettivo nel trasferimento dal settlor al trust - ma individuano nei beneficiari i soli soggetti passivi del tributo, per l’“inettitudine del trustee a manifestare una capacità contributiva propria”, il che “induce ad escludere un doppio trasferimento dal settloral trustee, prima, e da questi ai beneficiari, poi”.
(48) Comm. trib. prov. Lodi, sez. I, 5 novembre 2001, n. 135, osserva che l’atto di dotazione patrimoniale del trust individua la sua “causa” non nella “finale destinazione del diritto trasferito al trustee, bensì” nella “conservazione di tale diritto e compimento di tutti e solo quegli atti che, nel rispetto dell’atto costitutivo del trust, il trustee stesso deve compiere per soddisfare quegli interessi che il disponente ha attributo solo ai beneficiari.” La sentenza prosegue aggiungendo che l’atto di dotazione “non può certamente considerarsi una “donazione” in senso tecnico, difettandone … la “causa” (e non solo quindi l’animus donandi), neanche, (potendo sussistere solo un onere conseguente all’assunzione dell’obbligazione di istituire un trust), un atto a titolo oneroso, perché non v’è un corrispettivo della controparte (con la conseguente impossibilità, per esempio, di applicare gli artt. 1 e 2 della Tariffa, Parte prima, allegata alla legge di registro). Esso è un atto a titolo gratuito di intestazione al trustee di poteri ed oneri relativi all’amministrazione e gestione di beni, secondo quanto disposto dal disponente nell’atto istitutivo del trust, con vincolo di destinazione dei beni medesimi ad esclusivo vantaggio del beneficiario.
Il momento dispositivo a favore del trustee va tenuto allora distinto da quello, successivo, di trasferimento dei diritti in capo al beneficario.
Ne deriva che l’imposta da applicare non è quella delle donazioni, ma quella della legge di registro certamente applicabile ad atti a titolo gratuito, esattamente riferita alla categoria residuale di cui all’art. 9 della Tariffa, Parte prima, della legge sull’imposta di registro, che tassa con il 3 per cento gli atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”.
(49) In senso conforme, tra gli altri, FEDELE, Visione di insieme della problematica interna, cit., p. 269 ss.; Comm. trib. reg. Venezia, sex. XIX, 24 ottobre 2001, n. 104.
(50) Giustamente si osserva che “l’elemento strutturalmente più significativo è senza dubbio rappresentato dal fatto che i beni del trust costituiscono … un patrimonio separato rispetto a quelli del trustee e come tali non possono essere aggrediti dai suoi creditori neppure in caso di fallimento, sono esclusi dalla sua successione e dal regime patrimoniale proprio del matrimonio” (art. 11 Convenzione dell’Aja). In tal senso Trib. Bologna 18 aprile 2000, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, p. 373.
(51) In tal senso GAFFURI – ALBERTINI, Costituzione del trust e trasferimento dei beni, cit., p. 312 ss., i quali deducono, dalle sopra esposte considerazioni, l’irrilevanza fiscale del trasferimento.
Sottolinea il fatto che il trustee non manifesta alcuna capacità contributiva anche MONTANARI, Aspetti civilistici e fiscali dei trusts disposti inter vivos: un contrasto giurisprudenziale, in Dir. e Prat. trib., 2002, II, p. 276 ss.
(52) Comm. trib. reg. Venezia, sex. XIX, 24 ottobre 2001, n. 104, ove si legge che “non potrebbe mai esservi arricchimento del trustee … perché come tale questi non è destinatario di un atto di liberalità, ma bensì tenuto ad adempiere il programma del trust;… costituisce solo il mezzo per la realizzazione del programma voluto, che è quello di attribuire un vantaggio patrimoniale ai beneficiari finali”. Ed ancora: “La causa dell’atto è … il programma di segregazione dei beni conferiti, ai fini della loro successiva destinazione, alla scadenza del trust, ai beneficiari ivi identificati, rispetto ai quali soli si verifica l’intento di liberalità”.
(53) Si ricorda tuttavia che, se il settlor destina al trust beni della propria impresa, l’operazione sarà soggetta ad Iva e, quindi, in virtù del principio di alternatività di cui all’art. 40 d.p.r. n. 131/86, ad imposta di registro in misura fissa.
In tal senso, tra gli altri, SCREPANTI, Trust e imposizione indiretta cit.; APRILE, Gli aspetti fiscali del trust, cit.
Cfr. tuttavia anche LUPOI, Trusts, cit., p. 610 ss., che esamina fattispecie diverse, non tutte rientranti nel campo di applicazione dell’Iva.
(54) Aliquota proporzionale del 3% sugli atti diversi da quelli altrove indicati, aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale. In senso conforme SCREPANTI, Trust e imposizione indiretta cit.; APRILE, Gli aspetti fiscali del trust, cit.: FEDELE, Visione di insieme della problematica interna, cit., p. 287, il quale precisa, tuttavia, di propendere per un’”assimilazione al regime degli atti di conferimento a società od enti, che costituiscono l’unica categoria di atti “di destinazione” specificamente individuata dalla legge di registro ai fini della determinazione dell’aliquota, ma la tecnica formulare adottata dal legislatore, fondata sulla definizione di categorie “chiuse” e sulla previsione di una figura “residuale” all’art. 9, sembra escludere l’estensibilità dell’aliquota di cui all’art. 4 della Tariffa”.
PETRELLI, Formulario notarile commentato, III, 1, Milano, 2003, p. 1054, ritiene preferibile tale soluzione, considerando l’atto di trasferimento tra vivi di beni al trustee un atto a titolo gratuito, ma non connotato da spirito di liberalità.
(55) Cfr. anche LA PORTA, Causa del negozio di destinazione e neutralità dell’effetto traslativo, in Quaderni romani di diritto commerciale, Destinazione di beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative, Milano, 2003, p. 259 ss.
(56) CESARO, Il trust: quale disciplina? cit., p. 626 - 627.
(57) Peraltro, a questa ricostruzione, che appare convincente, si affianca anche l’opinione di chi assimila l’atto istitutivo del trust al mandato senza rappresentanza, ritenendo così applicabile allo stesso l’art. 33, primo comma, del d.p.r. n. 131/90, che assoggetta il mandato irrevocabile, con dispensa dall’obbligo di rendiconto, all’imposta stabilita per l’atto per il quale è stato conferito. Il successivo atto di trasferimento dal trustee al beneficiario potrebbe invece essere assimilato ad una donazione sottoposta a condizione sospensiva, riconducibile al trattamento tributario delle donazioni condizionate. Cfr. GIOVANNINI, Trust e imposte sui trasferimenti, in Rass. trib., 2000, 4, p. 1111 ss., che ritiene conseguentemente applicabile l’art. 9, tariffa parte I, allegata al d.p.r. n. 131/90 (imposta proporzionale di registro nella misura del 3%).
L’autore ricorda anche la tesi di chi qualifica il trasferimento dal trustee al beneficiario una cessione di credito, come tale assoggettabile all’imposta proporzionale di registro con aliquota 0,50% ex art. 6, tariffa parte I allegata al d.p.r. n. 631/90.
APRILE, Gli aspetti fiscali del trust, cit., ricorda l’opinione di chi considera il trust un mandato a donare accompagnato da un’intestazione fiduciaria.
(58) In tal senso anche FEDELE, Destinazione patrimoniale: criteri interpretativi e prospettive di evoluzione del sistema tributario, in Quaderni romani di diritto commerciale, Destinazione di beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative, Milano, 2003, p. 291 ss.
(59) Anche secondo la giurisprudenza, la realizzazione del programma voluto dal settlor “è di attribuire un vantaggio patrimoniale ai beneficiari finali”, rispetto ai quali “potrà ravvisarsi l’intento di liberalità” (Comm. trib. reg. Venezia, sex. XIX, 24 ottobre 2001, n. 104).
(60) CESARO, Il trust: quale disciplina? cit., p. 626 – 627.
(61) In tal senso Comm. Trib. Reg. Venezia 24 ottobre 2001, n. 104, secondo cui “l’istituto che realizza il medesimo effetto del contratto di trust – cioè la segregazione di un patrimonio – è il fondo patrimoniale”; nello stesso senso Comm. Trib. Reg. Venezia 23 gennaio 2003; Trib. Parma 13 ottobre 2003, il quale, pronunciandosi in ordine alla cancellazione della riserva apposta ad un atto di trascrizione di un trust, riconosce l’esistenza, nel nostro ordinamento, di alcuni istituti ad esso affini, quali i patrimoni destinati introdotti dalla riforma del diritto societario ed il fondo patrimoniale.
In dottrina MONTI, Trust unilaterale e trascrizione, in Trusts e attività fiduciarie, luglio 2003, p. 480 ss.
(62) Trib. Milano, 8-29 ottobre 2002, in tema di trascrizione di un atto istitutivo di trust.
(63) Proprio in relazione al trattamento tributario del fondo patrimoniale, la circolare ministeriale 30 novembre 2000, n. 221/E ha posto fine ad un’annosa disputa, dopo un continuo susseguirsi di opinioni contrastanti delle singole Direzioni Regionali, precisando che:
a) il fondo costituito con beni di proprietà di entrambi i coniugi è soggetto ad imposta di registro in misura fissa, ex art. 11 tariffa, parte prima, d.p.r. n. 131/86, considerando che il relativo atto costitutivo “esprime soltanto una volontà vincolante, essendo del tutto esclusa ogni volontà traslativa. Ne consegue l’inapplicabilità dell’imposta sulle successioni e donazioni per assenza del presupposto di imposta” ossia del trasferimento di beni e diritti a titolo gratuito per atto inter vivos o mortis causa. L’atto di costituzione del fondo patrimoniale non può nemmeno considerarsi di natura dichiarativa, in quanto non rafforza, affievolisce, specifica la situazione precedente, né elimina una situazione di incertezza, bensì “crea sui beni che ne fanno parte un vincolo di destinazione, realizzato attraverso particolari regole di amministrazione e responsabilità.
b) il fondo costituito con beni di proprietà di uno solo dei coniugi che se ne riserva la proprietà è parimenti soggetto ad imposta fissa di registro, in quanto non realizza un effetto traslativo, ma “è funzionale ai bisogni della famiglia” (Cass. 7 maggio 1992, n. 5415;
c) il fondo costituito con beni di proprietà di uno solo dei coniugi che non se ne riserva la proprietà è considerato privo di effetto traslativo in caso di assenza di accettazione; è invece considerato un atto traslativo in presenza di accettazione, con applicazione del trattamento tributario previsto per le donazioni;
d) il fondo costituito con beni di un terzo che non se ne riserva la proprietà è considerato con effetti traslativi;
e) il fondo costituito con beni di un terzo che se ne riserva la proprietà, pur essendo ritenuto privo di effetti traslativi, è assoggettato al trattamento tributario proprio degli atti di trasferimento a titolo gratuito, in quanto da esso “deriva per i coniugi il vantaggio, di carattere economico, di utilizzare i frutti prodotti dai beni che vi sono destinati”.
Con riferimento, poi, alle imposte ipotecarie e catastali, la sopra citata circolare ministeriale 30 novembre 2000, n. 221/E, in tema di fondo patrimoniale, al riguardo ha affermato che:
- la costituzione di un fondo patrimoniale che non comporti trasferimento di immobili è soggetta ad imposte ipotecaria e catastale in misura fissa, ex art. 4 tariffa allegata al d. lgs. n. 347/90;
- la costituzione di un fondo patrimoniale che comporti invece trasferimento di immobili è soggetta ad imposte ipotecaria e catastale in misura proporzionale, ex art. 10 tariffa allegata al d. lgs. n. 347/90.
Con riferimento alla trascrizione del fondo patrimoniale, si ricorda che la sua previsione legislativa nell’art. 2647 c.c. Al riguardo, la Suprema Corte, con sentenza 27 novembre 1987, n. 8824, ha precisato che tale trascrizione ha funzione di pubblicità-notizia.
In ordine al regime impositivo, si è espressa ripetutamente anche la Suprema Corte, con giurisprudenza ora costante nel senso di ritenere il fondo patrimoniale una “convenzione costitutiva di un nuovo regime giuridico, diverso da quello precedente, costitutivo di beni in un patrimonio avente un vincolo di destinazione a carattere reale, in quanto vincola l’utilizzazione dei beni e dei frutti solo per assicurare il soddisfacimento dei bisogni della famiglia”, considerandolo pertanto incluso “nella categoria residuale disciplinata dall’art. 11”, tariffa parte prima, allegata al d.p.r. n. 131/86 in tema di imposta di registro (Cass. civ., sez. trib., 7 luglio 2003, n. 10666. Conformi: Cass. civ., sez. trib., 6 giugno 2002, n. 8162; Cass. 29 novembre 2000, n. 15297).
(64) Cfr. FEDELE, Visione di insieme della problematica interna, cit., p. 287.
(65) Si segnala anche l’opinione di chi esclude la causa donativa, nel trasferimento dal trustee ai beneficiaries, “in quanto il trustee è comunque obbligato ad operare il successivo trasferimento in favore del beneficiario”. Ne conseguirebbe l’applicazione, a tale trasferimento, dell’imposta di registro nella misura del 3% ex art. 9 tariffa, parte prima, allegata al d.p.r. n. 631/86. Cfr. SCREPANTI, Trust e imposizione indiretta cit.
(66) Nell’ipotesi di causa donativa, il rapporto di parentela da tenere in considerazione, ai fini dell’applicazione dell’imposizione indiretta, è quello intercorrente tra settlor e beneficiaries.
(67) PETRELLI, Formulario notarile commentato, cit., p. 1068; LUPOI, Trusts, cit. p. 647, il quale argomenta basandosi sul fatto che causa dell’attribuzione ai beneficiari “è null’altro che l’adempimento di una obbligazione”.
(68) Studio realizzato dal Gruppo di lavoro costituito presso la Direzione Regionale dell’Emilia Romagna con la collaborazione dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Bologna, del Collegio dei Ragionieri di Bologna, del Consiglio Notarile di Bologna e dell’Ordine Avvocati di Bologna Il trust riconosciuto in Italia – Profili civilistici e fiscali, consultabile al sito:
http://www.il-trust-in-italia.it/TrustInterni2002/Documentazione/Giurisprudenza/Circolare%20trust.htm
(69) Cfr. Trib. Bologna, sez. IV civile, 16 giugno 2003, in ordine a trascrizione nel registro delle imprese di un atto istitutivo di trust, con il quale venivano trasferite al trustee quote sociali di una società a responsabilità limitata. La decisione afferma che “l’unico controllo da eseguire, da parte del Conservatore, è soltanto quello della presenza delle caratteristiche specifiche” del trust secondo le direttive impartite dalla Convenzione dell’Aja, tra cui anche l’esistenza della legge scelta dal costituente e che non esistano elementi di contrarietà all’ordinamento italiano e all’ordine pubblico.
(70) Se l’ente destinatario dei beni segregati non può “essere qualificato come un vero e proprio trust di common law, il trasferimento stesso è trattato dal diritto italiano come se fosse compiuto in favore di un ente qualsiasi”: DE ANGELIS, Questioni di diritto sostanziale e tributario connesse al riconoscimento del trust, cit.
(71) Oltre a quanto sopra riportato, cfr. anche MONTANARI, Aspetti civilistici e fiscali dei trusts disposti inter vivos, cit., p. 286 ss.
(72) In tal senso LUPOI, Trusts, Milano 2001, p. 759 ss; DE ANGELIS, Trust e fiducia nell’ordinamento italiano, in Riv. Dir. civ., 1999, II, p. 366; CESARO, Il trust: quale disciplina? cit., p. 625-626; FEDELE, Visione di insieme della problematica interna, cit., p. 280, il quale osserva che “poiché, ai fini del registro, l’applicazione delle imposte proporzionali si collega a categorie di “atti” individuati in ragione di tipologie di effetti, tutte definite in termini di rilevanza “traslativa”, gli effetti di mera “destinazione” risultano irrilevanti, con la conseguente applicabilità della sola imposta fissa”.
In giurisprudenza esplicitamente Comm. Trib. Reg. Venezia 24 ottobre 2001, n. 104; Comm. Trib. Reg. Venezia 23 gennaio 2003 ed implicitamente, per l’assimilazione del trust al fondo patrimoniale, Trib. Parma 13 ottobre 2003, n. 1406 e Trib. Milano 29 ottobre 2002.
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