Osservazioni sulla disciplina fiscale del trust nell'imposizione diretta (alla luce della finanziaria 2007)
Osservazioni sulla disciplina fiscale del trust nell'imposizione diretta
(alla luce della finanziaria 2007)
di Thomas Tassani
Consiglio Nazionale del Notariato - Studio n. 22/2007/T
Pubblicato nella rivista Studi e materiali CNN, 2/2007, p. 1167
Sommario: 1. Il trust quale soggetto passivo Ires; 2. La commercialità e la non commercialità del trust ; 3. Le presunzioni di residenza del trust; 4. Segue: La prova contraria del contribuente; 5. Imputazione del reddito al trust ed imputazione del reddito ai beneficiari; 5.1. Le ipotesi applicative: il trust “ nudo”; 5.2. Le ipotesi applicative: le erogazioni meramente patrimoniali del trust; 5.3. Le ipotesi applicative: l’individuazione del beneficiario e della quota; 5.4. Le ipotesi applicative: trust con beneficiari e trust di scopo.
1. Il trust quale soggetto passivo Ires
Per molti anni il dibattito intorno alla imputabilità dei redditi derivanti dal patrimonio del trust e dall’attività esercitata dal trustee ha impegnato gli interpreti. Le diverse soluzioni avanzate, che si dividevano, fondamentalmente, nell’attribuire il reddito al trustee oppure al trust stesso quale soggetto passivo, riflettevano le difficoltà di un inquadramento nel sistema normativo degli “atipici” effetti giuridici del negozio di trust.(1)
Se, in termini generali, la titolarità della fonte giuridica, su cui si fonda il concetto fiscale di reddito, sembra dover essere riconosciuta in capo al trustee, al tempo stesso quest’ultimo non può dirsi avere la disponibilità giuridica del reddito, proprio per effetto del vincolo reale, e non meramente obbligatorio, impresso sul patrimonio segregato(2).
D’altra parte, se la soluzione della soggettività passiva del trust poteva garantire la unificazione in capo al medesimo soggetto dei due profili della titolarità e della disponibilità del reddito, la stessa poteva affermarsi solo individuando nel trust una “altra organizzazione”, non appartenente a diversi soggetti passivi, nei confronti della quale il presupposto dell’imposta “si verifica in modo unitario e autonomo” (in base alla definizione contenuta nell’art. 73, secondo comma, Tuir). Sorgevano, in questa prospettiva, ulteriori difficoltà, se si considera che secondo l’interpretazione prevalente la stessa disposizione dell’art. 73, secondo comma, Tuir, presuppone, almeno a livello tendenziale, la soggettività di diritto civile che, indubitabilmente, il trust non presenta.(3)
Nonostante la soluzione della soggettività passiva del trust avesse infine trovato accoglimento anche a livello di prassi amministrativa(4), è da rilevare come la incertezza della identificazione dei concetti, così ampiamente dibattuti, su cui si basa la categoria “residuale” dell’art. 73, secondo comma, Tuir, non poteva dare piena sicurezza alla soluzione giuridica.(5)
E’ dunque in questo quadro che va valutata la modifica apportata dalla legge 296/2006 all’art. 73, primo comma, Tuir che, nella formulazione in vigore dal 1/1/2007, riconosce espressamente i trust come soggetti passivi Ires, accanto agli enti pubblici e privati commerciali (lett.b), agli enti pubblici e privati non commerciali (lett.c), agli enti pubblici e privati non residenti (lett. d). Al tempo stesso, però, l’art. 73, secondo comma (come modificato dalla legge finanziaria) prevede che in taluni casi i redditi conseguiti dal trust siano imputati direttamente in capo ai beneficiari. Sul problematico rapporto tra la soggettività del trust e l’imputazione dei redditi ai beneficiari ci soffermerà in seguito.
2. La commercialità e la non commercialità del trust
La collocazione del trust, già a livello di diritto positivo, nelle diverse categorie di soggetti passivi, evidenzia l’impossibilità di considerare il trust quale fenomeno negoziale unitario. In questo senso, ed una volta appurata la soggettività passiva Ires, risulta necessario, per delineare in termini più precisi il trattamento tributario, individuare la natura commerciale o non commerciale del trust, così come la residenza.(6)
Il trust commerciale risulta quello che, ai sensi dell’art. 73, primo comma, lett. b), ha “per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali”.
Occorre considerare che, per quanto riguarda gli enti residenti, l’art. 73, ai commi quarto e quinto, Tuir, prevede specifiche regole per la individuazione della commercialità, facendo riferimento alla legge, all’atto costitutivo ed allo statuto (se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata) e, secondariamente, all’attività effettivamente esercitata.
Si pone il problema di determinare se le disposizioni citate siano o meno applicabili anche al trust. Problema che nasce non solo per il fatto che le stesse si riferiscono espressamente agli “enti residenti”, mentre i trust letteralmente sono considerati, dal comma primo (lettere b, c e d), soggetti passivi insieme agli altri enti (le norme usano le disposizioni “nonché i trust”, “compresi i trust”) e non sono invece chiaramente definiti quali enti, commerciali o non commerciali, residenti o non residenti.(7)
Tale ostacolo è però superabile considerando che, in termini sistematici, l’inserimento dei trust nel primo comma dell’art. 73 vale la equiparazione degli stessi, ai fini dell’applicazione delle diverse discipline per la determinazione della base imponibile, agli enti commerciali residenti (artt. 81 ss.), agli enti non commerciali residenti (artt. 143 ss.), agli enti commerciali non residenti (artt. 151, 152), agli enti non commerciali non residenti (art. 153 ss.).
Più difficile può invece essere l’applicazione dei commi quarto e quinto dell’art. 73, Tuir, se solo si osserva che tali disposizioni fanno riferimento alla legge, all’atto costitutivo ed allo statuto quali fonti negoziali della disciplina dell’ente e che nessuno di queste fonti risulta presente nella configurazione giuridica del trust.
Si dovrebbe dunque accogliere una nozione ampia di “atto costitutivo” e di “statuto” quale disciplina negoziale dei beni, degli atti e dei rapporti che fanno capo al soggetto. In questo modo potrebbe ricomprendersi anche l’atto istitutivo del trust, nonostante non si possa parlare, in senso stretto, di atto costitutivo oppure di statuto. (8)
Se, allora, l’atto istitutivo del trust deve essere valutato al fine di determinare la commercialità, risulta necessario che dallo stesso emerga sia lo scopo del trust, sia l’attività che appare funzionale al raggiungimento dello scopo principale od esclusivo.(9)
Così, in ipotesi, un trust liberale che preveda l’esercizio dell’attività di impresa da parte del trustee per il conseguimento degli scopi altruistici indicati nell’atto istitutivo, dovrà qualificarsi in termini di ente commerciale. Mentre, al contrario, un trust istituito per finalità egoistiche (per esempio, la gestione di un patto di sindacato), ma senza la previsione dell’esercizio di atti di impresa dovrà essere definito quale ente non commerciale.
In questa prospettiva, l’eventuale natura discrezionale del trust appare in grado di spostare sull’attività di fatto svolta dal trustee il giudizio in base al quale definire la commercialità o meno del trust. Si immagini un atto istitutivo di trust che individui i beni ed i beneficiari ma lasci al trustee la possibilità di scegliere le forme attraverso cui produrre reddito con i beni segregati. In questo caso, solo l’attività effettivamente esercitata dal trustee potrà definire la commercialità del trust medesimo.(10)
L’individuazione della qualifica commerciale per il trust comporta poi la unitaria determinazione del reddito in base alla disciplina del reddito di impresa, così come la tenuta delle scritture contabili ai sensi dell’art. 13, primo comma, lett. b), Dpr 600/73; articolo che opportunamente la legge 296/2006 ha modificato inserendo i trust tra i soggetti obbligati.
Il trust non commerciale potrà invece produrre diverse categorie reddituali, tra cui quella (non prevalente) d’impresa con, per quanto attiene quest’ultima attività, l’obbligo di tenuta delle scritture contabili ex art. 13, secondo comma, lett. g), Dpr 600/73.
Rispetto agli obblighi formali e strumentali, l’Agenzia delle Entrate (circ. n. 48/E/2007) ha avuto modo di chiarire come, indipendentemente dalla imputazione del reddito al trust oppure ai beneficiari, il trust è tenuto ad adempiere gli obblighi specificamente previsti per i soggetti IRES, tra cui quello della dichiarazione annuale.(11)
A parere dell’Agenzia delle Entrate, inoltre, il trust sarebbe tenuto ad adempiere gli obblighi formali e sostanziali relativi all’IRAP in quanto “soggetto passivo rientrante, a seconda dell’attività svolta, nelle fattispecie di cui all’art. 3, comma 1, lettere a) ed e) del medesimo decreto”.(12)
Soluzione, quest’ultima, che è stata messa in discussione a livello dottrinale(13), in quanto l’art. 73 Tuir non ha “incluso i trust fra gli enti pubblici e privati diversi dalle società, di cui alle lettere b) e c) dell’art. 73, comma primo, Tuir, ma ha introdotto questa nuova figura soggettiva affiancandola a quella degli enti pubblici e privati”. Conseguentemente, se si accoglie simile impostazione, al trust non sarebbe applicabile la disposizione di cui all’art. 2, primo comma, Dlgs 446/1997, che considera l’attività esercitata dalle “società ed enti”.(14)
Problema analogo si pone con riferimento alla possibile equiparazione del trust agli enti non commerciali, in caso di trust c.d. caritatevoli o benefici, per l’applicazione di discipline di ordine agevolativo previste per gli enti non commerciali, (15) soprattutto con riferimento al regime ONLUS.(16)
3. Le presuzioni di residenza del trust
L’art. 1, comma 74, legge 296/2006, ha introdotto due disposizioni relative alla individuazione della residenza del trust, dalla finalità chiaramente antielusiva.
Il riformato terzo comma dell’art. 73, Tuir, contiene ora due periodi finali che presumono la residenza in Italia dei trust (e di “istituti di analogo contenuto”) istituiti in Paesi con cui non è previsto lo scambio di informazioni (e che, quindi non rientrano del DM 4/9/1996) nei quali:
- 1. almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari siano fiscalmente residenti in Italia;
oppure quando:
- 2. successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente in Italia effetti in favore del trust una attribuzione che importi il trasferimento di proprietà dei beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché vincoli di destinazione.
Solo per la prima presunzione, l’art. 73, terzo comma, prevede espressamente la possibilità della prova contraria.
In termini generali, è da ritenere che la fissazione della residenza in Italia dei trust debba avvenire secondo le regole generali, individuate per le società e gli enti dal terzo comma, primo periodo, dell’art. 73, Tuir, come ha recentemente chiarito anche la Circolare n. 48/E/2007 dell’Agenzia delle Entrate.
Il criterio della sede dell’amministrazione assume, soprattutto con riferimento ai trust, una notevole importanza dal punto di vista applicativo, per la impossibilità di adottare il criterio della sede legale(17) e la notevole difficoltà accertativa connessa alla individuazione dell’oggetto principale dell’attività.(18)
E’ noto come la non residenza in Italia possa comportare vantaggi di tipo tributario, e quindi essere cercata anche in una logica di “ottimizzazione fiscale”, come nel caso di godimento di regimi esteri più favorevoli (per esempio per la tassazione dei dividendi o dei capital gains) o di regimi interni sostitutivi previsti per soggetti non residenti.(19)
Al di fuori delle ipotesi in cui lo stesso trust oppure soggetti controllati o collegati al trust siano collocati in Paesi a fiscalità privilegiata, situazioni per le quali si pone il problema dell’applicazione della disciplina delle Controlled foreign companies,(20) le disposizioni qui in esame sembrano perseguire finalità di contrasto alla fittizia collocazione all’estero della residenza dei trust, in quei casi in cui esistano collegamenti di ordine personale e/o immobiliare con il territorio italiano.
L’Agenzie delle Entrate è recentemente intervenuta sul tema (Circ. n. 48/E/2007), fornendo alcuni chiarimenti.
In primo luogo è stato sottolineato come il riferimento, che la norma fa, ai trust “istituiti” all’estero è da intendere nell’ampio significato di trust che abbiano “formalmente la residenza in un paese non incluso” nella c.d. white list. Non sembra dunque poter limitare l’applicazione della norma ai casi di trust i cui atti istitutivi siano formati all’estero, come era stato inizialmente avanzato in dottrina.(21)
L’Agenzia ha inoltre affermato che il riferimento, oltre ai trust, ad “istituti di analogo contenuto” non intende estendere l’aerea applicativa della presunzione, bensì consentirne l’applicazione anche in quelle ipotesi di ordinamenti stranieri che disciplinino istituti del tutto analoghi al trust ma con nomen differente.
Sulla operatività della presunzione, una importante precisazione riguarda la natura della stessa che, secondo l’Agenzia, è da intendersi come relativa (quindi con possibilità di fornire prova contraria) in entrambe le ipotesi considerate dall’art. 73, terzo comma. Occorre sottolineare come la lettera dell’art. 73, terzo comma, avrebbe potuto far propendere (come in effetti buona parte della dottrina aveva sostenuto) per la natura assoluta della presunzione n. 2. La lettura dell’Agenzia, sicuramente più favorevole al contribuente, deve però essere condivisa, in quanto fondata sulla ratio della norma e su criteri, anche dal rilievo costituzionale, di ragionevolezza e proporzionalità.
La prima delle due presunzioni si basa, come visto, sulla residenza in Italia di almeno un beneficiario ed almeno uno dei disponesti i quali, però, non dovranno necessariamente, secondo quando affermato dalla Circ. n. 48/E, essere residenti in Italia nel medesimo periodo di imposta. Per il disponente, conta infatti la residenza nel momento in cui è effettuato l’atto di disposizione a favore del trust, con l’irrilevanza a questi fini di successivi cambiamenti di residenza. Per quanto attiene il beneficiario, l’Agenzia ha chiarito che la presunzione è applicabile solo nelle ipotesi di trust con beneficiari individuati e che la residenza fiscale del beneficiario attrae in Italia la residenza fiscale del trust anche se “si verifica in un periodo d’imposta successivo a quello in cui il disponente ha posto in essere il suo atto di disposizione” ed anche indipendentemente dall’”avvenuta erogazione del reddito a favore del beneficiario nel periodo di imposta”.
Nella seconda delle due presunzioni introdotte, invece, non si pongono analoghe problematiche, visto che è l’ubicazione degli immobili a creare il collegamento territoriale con il nostro Paese, che sorregge l’inversione dell’onere della prova.
4. Segue: La prova contraria del contribuente
Un profilo di notevole interesse riguarda la prova contraria che può essere data per vincere la presunzione. Sarà infatti necessario provare l’assenza degli elementi caratterizzanti la residenza in Italia, ai sensi dell’art. 73, Tuir, e, quindi, che né l’amministrazione né l’oggetto principale siano collocati nel territorio italiano.
E’ peraltro da notare come la difficoltà a ricondurre i trust nella categoria degli enti e delle società disciplinati dall’art. 73, Tuir, si riflette anche in una difficile riconducibilità agli stessi dei criteri normativamente fissati dallo stesso art. 73 per determinare la residenza.
Se, come già accennato, la sede legale risulta del tutto inutilizzabile nelle fattispecie in esame, i criteri dell’oggetto principale e della sede dell’amministrazione non risultano indici certi in una simile prospettiva.
Sul punto, le indicazioni fornite dalla Circ. n. 48/E non appaiono del tutto condivisibili. L’Agenzia ha infatti affermato che si potrà individuare la sede dell’amministrazione nei casi di trust che si avvalgono, “nel perseguire il loro scopo, di un’apposita struttura organizzativa (dipendenti, locali, ecc.)” .(22)
Tale lettura giunge, a ben vedere, a far coincidere il luogo di gestione dell’attività del trust con la sede dell’amministrazione. In modo non solo incompatibile con la lettura prevalente del criterio della sede dell’amministrazione ma che, soprattutto, non coincide con la definizione fornita a livello di diritto internazionale tributario, nella interpretazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni.(23)
La sede amministrativa si identifica, come noto, nel luogo in cui l’ente svolge la “preminente attività direttiva ed amministrativa”, da cui provengono “gli impulsi volitivi inerenti all’attività amministrativa”. Non coincide, dunque, con il luogo in cui l’attività è esercitata o le decisioni operative sono prese, ma con quello in cui si determinano le scelte di “gestione sociale” dell’ente.
E’ però da sottolineare come, in buona parte dei casi, simili scelte vengano prese a livello di “atto istitutivo”, soprattutto nelle ipotesi di trust non discrezionali, con, sembrerebbe, una impossibilità ad utilizzare il criterio della sede dell’amministrazione e, conseguentemente, una ulteriore limitazione alla prova contraria esperibile dal contribuente.
L’oggetto principale è poi, di per sé, un criterio estremamente incerto e di difficile applicabilità, già con riferimento alle società commerciali. Almeno se si ritiene, come fa l’interpretazione prevalente, che l’oggetto principale debba individuarsi nel luogo in cui l’attività dell’ente viene esercitata in modo quantitativamente prevalente rispetto ad altri Paesi.
Come giudicare simile “prevalenza quantitativa” nei casi in cui il trust si limiti alla gestione di immobili, magari localizzati in diversi Paesi; oppure alla gestione di partecipazioni in diverse società europee? In termini generali, e soprattutto quando il trust non eserciti una attività imprenditoriale(24), risulta estremamente difficile, in concreto, individuare elementi certi su cui il contribuente possa basarsi per fornire la prova contraria della residenza, con riferimento all’oggetto principale.(25)
Queste osservazioni non solo possono condurre a rilevare la scarsa attenzione del legislatore che, nel momento stesso in cui ha riconosciuto la soggettività passiva del trust, non ha contestualmente “adattato” le specifiche regole per determinare la residenza, così come la commercialità, proprio alla particolare configurazione negoziale del trust.
Infatti, la difficoltà interpretativa, la difficile sussunzione del caso concreto nelle fattispecie legali, è in grado di tradursi, per l’operare della prova contraria, in una limitazione al diritto della prova contraria da parte del contribuente, fino al punto da poter qualificare quest’ultima quale probatio diabolica.
Per questo motivo, dovrebbe quantomeno essere accolta una nozione di sede dell’amministrazione che, adattata a livello interpretativo alla particolare configurazione del trust, si identifichi con il luogo in cui il trustee prende le decisioni relative al patrimonio ed all’attività del trust e, quindi, il luogo in cui lo stesso trustee opera. E’ infatti quest’ultimo, indubitabilmente, il soggetto “gestore” del patrimonio segregato, con una posizione analoga a quella rivestita dall’organo amministrativo nei soggetti societari.(26)
5. Imputazione del reddito al trust ed imputazione del reddito ai beneficiari
La legge 296/2006 ha inserito un periodo al secondo comma dell’art. 73, Tuir, che così recita: “nei casi in cui i beneficiari del trust siano individuati, i redditi conseguiti dal trust sono imputati in ogni caso ai beneficiari in proporzionale alla quota di partecipazione individuata nell’atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi ovvero, in mancanza, in parti uguali”.
La previsione normativa disciplina la particolare ipotesi in cui l’atto istitutivo di trust contenga la individuazione dei soggetti beneficiari per fare discendere, da tale configurazione negoziale del trust, la conseguenza della imputabilità dei redditi creati con il patrimonio segregato direttamente in capo ai beneficiari stessi.
Occorre, inoltre, osservare che l’art. 1, comma 75, della legge 296/2006, ha inserito all’art. 44, primo comma, Tuir, la nuova lettera g-sexies), secondo cui si qualificano quali redditi di capitale “i redditi imputati al beneficiario di trust ai sensi dell’art. 73, comma 2, anche se non residenti”.
Nelle ipotesi di imputazione dei redditi direttamente ai beneficiari, dunque, il legislatore sembrerebbe richiedere una specifica qualificazione dei redditi creati con il patrimonio segregato che potrà anche apprezzarsi quale ri-qualificazione, qualora il reddito sia prodotto con modalità tipiche di una categoria reddituale diversa dai redditi di capitale (esempio: reddito fondiario) ed imputato direttamente al beneficiario (in quanto, appunto, reddito di capitale). (27)
Le problematiche, in termini applicativi, che possono nascere dalla “doppia natura” che assumerebbe in questo caso il reddito creato (rispetto ai criteri di determinazione dell’imponibile, ai criteri di imputazione temporale, ai criteri di territorialità) possono risolversi accogliendo la “ragionevole” soluzione indicata a livello dottrinale secondo cui il legislatore avrebbe introdotto “una deroga agli ordinari sistemi di qualificazione del reddito imputato, prevedendo un percorso in due fasi: nella prima il reddito viene quantificato come se esso dovesse essere tassato in capo al trust, anche, anzi essenzialmente, con riguardo alle regole di determinazione connesse alle e dipendenti dalle qualificazioni soggettive del trust medesimo; nella seconda fase, il reddito così quantificato viene quindi imputato al soggetto passivo vero e proprio, come reddito di capitale (ossia senza ulteriori deduzioni).”(28)
Sembrerebbero avvalorare una simile soluzione anche le affermazioni della citata Circolare n. 48/E/2007 secondo cui il trust sarebbe sempre soggetto passivo, per gli obblighi di tipo formale e strumentale, anche nelle ipotesi in cui i redditi debbono imputarsi direttamente ai beneficiari. Tale soggettività di ordine formale si giustifica, infatti, alla luce della distinzione, che la scelta normativa imporrebbe, tra momento della produzione e momento della imputazione del reddito. Nel senso che la produzione deve comunque sempre riferirsi al trust, e quindi in questa logica debbono essere mantenuti gli obblighi di ordine formale (si pensi alla contabilità, in caso di esercizio di attività commerciale), anche se la imputazione del reddito riguarda un diverso soggetto (il beneficiario) ed, eventualmente, una diversa tipologia reddituale.
Ciò chiarito, non si pone nessun problema interpretativo nelle ipotesi di assoggettamento dei redditi creati dal trust ad imposizione sostitutiva o a ritenuta di imposta. In questi casi, come ha chiarito l’Agenzia delle Entrate,(29) non si dà luogo a tassazione né in capo al trust né in capo ai beneficiari.(30)
5.1. Le ipotesi applicative: il trust “ nudo”
Se la scelta legislativa della diretta imputazione ai beneficiari, quando individuati nell’atto istitutivo o in atti successivi, sembra apprezzare la poliedricità del fenomeno trust e muoversi nel solco di soluzioni interpretative raggiunte nel sistema previgente,(31) occorre anche sottolineare le difficoltà applicative connesse ad una certa imprecisione della formulazione normativa.(32)
La disposizione, infatti, fa riferimento ai trust in cui i beneficiari “siano individuati”, non considerando rilevanti altri aspetti, quali la discrezionalità o meno del trust, oppure la specifica configurazione negoziale del diritto dei beneficiari.
La norma sembra potersi sicuramente applicare con riferimento al trust cosiddetto “nudo”, in cui la regolamentazione negoziale del trust prevede, in capo al beneficiario, la diretta attribuzione del reddito nel momento stesso in cui è creato.
Si pensi al trust che abbia come oggetto la gestione di partecipazioni societarie che costituiscono il patrimonio segregato e che preveda la diretta attribuzione ai beneficiari dei dividendi relativi alle partecipazioni societarie man mano che matura il diritto alla relativa percezione.
In queste ipotesi sia la titolarità sia la disponibilità giuridica dei redditi creati sono ricostruibili in capo ai soggetti beneficiari ed appare dunque coerente con i principi la tassazione dei redditi in capo a questi ultimi. Conclusione cui già, lo si noti, la prassi amministrativa era giunta nel sistema previgente. (33)
5.2. Le ipotesi applicative: le erogazioni meramente patrimoniali del trust
Alla sicura applicazione della regola della “trasparenza” alle ipotesi di trust nudi si accompagna la sicura esclusione della stessa a quelle ipotesi in cui ai beneficiari sia riconosciuto il diritto ad ottenere una quota del patrimonio del trust; quando il trust sia semplicemente il “gestore statistico di un patrimonio non fruttifero” ed il diritto del beneficiario si configuri in termini di mera distribuzione patrimoniale. In questa circostanza, infatti, neppure si potrebbe ritenere di essere in presenza di un “reddito”.(34)
5.3. Le ipotesi applicative: l’individuazione del beneficiario e della quota
In tutti gli altri casi, in base al tenore letterale della norma, risulterebbe solo necessario, per realizzare l’imputazione diretta ai beneficiari, che questi ultimi siano “individuati” e che si possa configurare una “quota di partecipazione” che, qualora non sia individuata nell’atto o in documenti successivi, è presunta in parti uguali tra i diversi beneficiari.
Parte della dottrina ha rilevato che, in questo modo, la regola generale che il sistema afferma è “proprio quella dell’imputazione ai beneficiari del vincolo dei redditi derivanti dal patrimonio vincolato (…), mentre la soggettivazione costituisce una regola residuale, applicabile solo nelle ipotesi in cui non sia in alcun modo identificabile un beneficiario”.(35)
Occorre però notare come tale scelta impositiva possa evidenziare non trascurabili problemi in tutti quei casi in cui all’imputazione del reddito (che risulta dissociata dalla titolarità della fonte produttiva, come in diversi casi già conosciuti dalla legislazione fiscale) non corrisponde la disponibilità giuridica e, quindi, una effettiva capacità economica sottostante.
In questa prospettiva, l’Agenzia delle Entrate (con la più volte citata Circ. n. 48/E) è intervenuta fornendo una soluzione interpretativa sicuramente condivisibile.
L’Agenzia sembra partire dal presupposto che la soggettività passiva del trust rivesta una portata generale, in grado di essere derogata nei soli casi in cui i beneficiari (o il beneficiario), oltre ad essere individuati, siano anche titolari di un diritto certo alla percezione del reddito.(36)
Per l’Agenzia, infatti, il possesso del reddito che giustifica l’imputazione ai beneficiari è da intendersi quale “capacità contributiva attuale”, essendo necessario che il beneficiario “risulti titolare del diritto di pretendere dal trustee l’assegnazione di quella parte di reddito che gli viene imputata per trasparenza”.(37)
Simile affermazione risulta estremamente importante, in quanto evita una generalizzata imposizione in capo ai beneficiari, che avrebbe anche potuto desumersi dal dato normativo, il quale richiede solamente, ai fini della tassazione per trasparenza, che i beneficiari siano “individuati”.
Se l’Agenzia riesce in questo modo a conciliare il dato positivo con il rispetto del principio di capacità contributiva(38), non appaiono però del tutto risolti i problemi interpretativi, come si vedrà tra breve.
Nessuna difficoltà pare riscontrarsi in quelle ipotesi in cui il reddito creato dal trust viene attribuito ai beneficiari integralmente, nello stesso periodo di imposta, in base alle previsioni contenute nell’atto di trust (in grado di configurare la posizione del beneficiario come un diritto alla percezione). In queste fattispecie, infatti, il reddito sarà tassato, in base alle quote previste o in parti uguali, in capo ai singoli beneficiari, quale reddito di capitale.(39)
In questo senso, risulta irrilevante l’eventuale iato tra momento della produzione/imputazione del reddito e quello della effettiva percezione.
Si pensi al caso del trust che preveda il diritto dei beneficiari a ricevere, a scadenze periodiche (per esempio, ogni cinque anni), la metà dei redditi in quell’arco di tempo creati. Nel periodo di imposta in cui il reddito è prodotto questo dovrà imputarsi in capo ai beneficiari per la metà (mentre per la metà accantonata vi sarà la tassazione in capo al trust quale soggetto passivo). Il momento successivo della percezione da parte dei beneficiari non assume invece rilevanza ai fini fiscali, risolvendosi, utilizzando le parole della Circolare, in una “mera movimentazione finanziaria, ininfluente ai fini della determinazione del reddito”.
Secondo l’Agenzia, infatti, rileva il momento della competenza e non quello di cassa, nonostante i redditi dei beneficiari siano considerati quali redditi di capitale, come si desume dall’art. 73, Tuir, secondo cui i redditi sono imputati “in ogni caso” ai beneficiari, cioè, secondo la lettura dell’Agenzia, “indipendentemente dall’effettiva percezione”. (40)
I problemi maggiori, sul piano applicativo, si pongono invece quando, nel momento in cui il reddito è creato non sia ancora configurabile il diritto certo alla percezione da parte dei beneficiari. Il che accade sicuramente in quei casi in cui il trust rimetta al trustee la determinazione dell’an della erogazione ai beneficiari.
In queste ipotesi, infatti, il diritto dei beneficari alla percezione sorge nel momento in cui il trustee individua la quota di spettanza del singolo beneficiario, attraverso atti, quali le singole letter of wishes, che possono integrare, come osservato in dottrina(41), quegli “altri documenti” che il legislatore considera nel determinare le quote di partecipazione dei singoli.
Sul punto la circolare n. 48/E/2007 riserva poche considerazioni, affermando che “i redditi conseguiti e correttamente tassati in capo al trust prima della individuazione dei beneficiari (quando il trust era “opaco”) non possono scontare una nuova imposizione in capo a questi ultimi a seguito della loro distribuzione”.
Anche sulla base delle osservazioni dell’Agenzia, pare però possibile distinguere due ipotesi:
- quella in cui il reddito è creato nel periodo di imposta e nello stesso periodo il trustee individua il diritto del beneficiario alla percezione (percezione che può avvenire anche in un diverso periodo di imposta);
- quella in cui il reddito è creato nel periodo di imposta ma l’individuazione da parte del trustee avviene in un periodo di imposta successivo.
Nel secondo caso non pare potersi realizzare la tassazione del reddito direttamente in capo al beneficiario perché sullo stesso reddito, nel momento in cui è creato e tenendo in considerazione l’elemento temporale fissato dal periodo di imposta, non vi è un diritto del beneficiario alla percezione. Vi sarà, allora, tassazione in capo al trust.
Nel primo caso, invece, il reddito pare poter essere imputato direttamente in capo al beneficiario visto che, nel periodo di imposta, vi è stata la individuazione e determinazione del diritto alla percezione.
Sembra quindi potersi configurare, pur con la necessaria cautela che deve accompagnare l’interprete, una soluzione interpretativa che abbia come riferimento esclusivamente il momento della produzione del reddito. Se, in questo momento, il beneficiario è individuato ed è titolare di un diritto certo (anche se futuro) alla percezione, vi sarà tassazione per trasparenza, altrimenti il solo soggetto tassato sarà il trust.(42)
Con esclusione, è bene sottolinearlo, di una successiva imposizione in capo ai beneficiari. Il trust, infatti, non può in nessun modo realizzare fattispecie di doppia imposizione, come chiarito dall’Amministrazione che richiama in modo condivisibile il principio contenuto nell’art. 163 Tuir. (43)
5.4. Trust con beneficiari e Trust di scopo
Una ultima considerazione si rende necessaria, rispetta alla stessa configurabilità di trust “con beneficiari individuati” che, come si è notato, rappresenta la condizione necessaria per poter procedere alla tassazione dei redditi tramite il sistema della trasparenza e non, invece, in capo al trust.
In diverse ipotesi, infatti, il trust individua uno o più soggetto come beneficiari non già direttamente di quote di reddito oppure di patrimonio ma, più genericamente, dell’attività di assistenza che il trustee deve svolgere nei suoi confronti.
Si pensi ai trust istituiti a favore di soggetti che si trovino in condizioni di disagio, come nella fattispecie oggetto dalla Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 278/E del 4/10/2007.
In queste ipotesi può non essere agevole determinare se il soggetto rivesta o meno la qualifica di “beneficario determinato” al fine dell’applicazione del regime di trasparenza. Perché, se indubitabilmente il soggetto appare colui che è beneficiato dal trust istituito, occorre sottolineare come non sia sempre possibile configurare in capo a tale soggetto il diritto certo ad una quota del reddito, a quella quota di reddito che gli verrebbe tassata per trasparenza.
Anzi, il più delle volte il diritto non è ad una quota del reddito creato dal trust, bensì, come anticipato, allo svolgimento di una attività di assistenza che il trustee è obbligato a prestare.
Sembrerebbe allora necessario ricostruire la volontà del disponente, in base alle clausole negoziali dell’atto istitutivo del trust. In questo senso, peraltro, si è mossa la stessa Agenzia delle Entrate, nella Risoluzione da ultimo citata che, in un caso di trust a favore di un disabile (incapace di intendere e di volere), ha affermato che quest’ultimo non può qualificarsi in senso giuridico come “beneficiario dei beni del trust in questione, quanto piuttosto dell’assistenza in cui risiede lo scopo della costituzione del trust”. L’Agenzia è giunta a tale conclusione svalutando l’espressa qualifica, compiuta nell’atto istitutivo, del soggetto disabile quale “beneficiario dei beni in trust”, ma attribuendo valore all’oggetto del trust (quello di assicurare l’assistenza necessaria vita natural durante) ed alla previsione della destinazione dei beni, una volta esaurito lo scopo del trust, secondo le disposizioni del disponente oppure a favore dei parenti e del coniuge di quest’ultimo.
Ecco, dunque, che il trust di scopo, in questi casi, rivela caratteri tali da non poter essere qualificato come trust con beneficiario individuato. Con conseguente tassazione dei redditi prodotti in capo al trust quale soggetto passivo ed inapplicabilità del sistema della trasparenza.
(1) Sul tema, MICCINESI, Il reddito del trust nelle varie tipologie, in Trust ed attività fiduciarie, n. 3/2000, 309 ss; NUZZO, E luce fu sul regime fiscale del trust, in Banca e borsa, 2002, 244 ss.; SALVATI, Profili fiscali del trust, Milano, 2004, 223 ss.; PAPARELLA, Brevi riflessioni aggiornate in tema di trusts, elusione ed interposizione di persona, in Boll.trib., 2002, 485 ss.; ID., Considerazioni in tema di disciplina dei trusts nel sistema delle imposte sui redditi delineato dalla legge delega di riforma dell’ordinamento tributario n. 80 del 7 aprile 2003 e le prospettive di riforma, in Boll.trib, 2003, 1683 ss.; FICARI, Il Trust nelle imposte dirette (Irpeg ed Irap): un articolato modulo contrattuale oppure un autonomo soggetto passivo?, in Boll.trib., 2000, 1529 ss.; LUPI-CONTRINO, Riforma IRES e trust; la maggiore realità e la patrimonializzazione come ulteriori argomenti per la soggettività definitva del trust, in Dialoghi di diritto tributario, n. 4 del 2004, pp. 579 ss ZIZZO, Note minime in tema di trust e soggettività tributaria, in "il fisco" n. 30/2003, 4658 ss.; TUNDO, Implicazioni di diritto tributario connesse al riconoscimento del trust, in Dir. e prat. trib., 1999, 1285 ss.
(2) In particolare, si veda FEDELE, Visione di insieme della problematica interna, in I Trusts in Italia oggi, Milano, 1996, 273 ss.
(3) GALLO, La soggettività ai fini I.r.p.e.g., in AA.VV., Il reddito d’impresa nel nuovo testo unico, Roma-Milano, 1990, 662 ss.; FEDELE, Il regime fiscale delle associazioni, cit., 328; ID., Destinazione patrimoniale: criteri interpretativi e prospettive di evoluzione del sistema tributario, in AA.VV., Destinazione di beni allo scopo, Milano, 2003, 293 ss.; ANTONINI, La soggettività tributaria, Napoli, 1965, 106; CASTALDI, Gli enti non commerciali, cit., 62; FICARI, Soggettività tributaria e possesso del reddito nella disciplina della cartolarizzazione dei crediti e dei patrimoni destinati, in Giur.imp., 2003, 1358 ss.; NUZZO, Questioni in tema di tassazione di enti non economici, in Rass.trib., 1985, I, 136 ss
(4) AGENZIA ENTRATE, Nota n. 30900 del 4/3/2003; Nota del 28/9/2004; Ris. N. 8/E del 17/1/2003, in Fisconline.; Delibera SECIT n. 37/98 del 11/5/1998; CIRC. n. 55 del 17/1/2003. Sul punto anche CANTILLO, Il regime fiscale del trust dopo la Finanziaria 2007, in Rass.trib. 2007, 1047 ss.
(5) SCHIAVOLIN, I soggetti passivi, in AA.VV., L’imposta sul reddito delle persone giuridiche, Giur.sist.dir.trib., diretta da Tesauro, Torino, 1996, 35 ss.; ZIZZO, L’imposta sul reddito delle società, in FALSITTA, Manuale di diritto tributario, Parte speciale, Padova, 2005, 216 ss.
(6) Occorre notare come la recente CIRC. n. 48/E del 6/8/2007 avente ad oggetto la disciplina fiscale del trust non si soffermi sul problema della commercialità o non commercialità del trust, mentre diverse sono le considerazioni relative al tema della residenza, come si vedrà in seguito.
(7) FRANSONI, La disciplina del trust nelle imposte dirette, in Riv.dir.trib., 2007, 231.
(8) Soluzione condivisa anche da FRANSONI, La disciplina del trust, cit., 245, il quale tende ad attribuire rilievo, a determinate condizioni, anche ai successivi atti di disposizione, posti in essere dal trustee, ed alla cosiddetta letter of wishes.
(9) Si noti infatti che, ai sensi dell’art. 73, quarto comma, per “oggetto principale si intende l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari” dell’ente, risultando dunque necessaria una relazione in termini qualitativi tra natura commerciale dell’attività esercitata e scopo principale dell’ente. Su questi temi, ampiamente, MICCINESI, I tributi diretti erariali, in RUSSO, Manuale di diritto tributario, 1999, 664; FRANSONI, La rilevanza degli oggetti e degli scopi degli enti diversi dalle società ai fini dell’individuazione del regime fiscale, in Riv.giur.trib., 1997, 485; PERRONE, Associazioni temporanee di imprese e consorzi con attività esterna: problemi di diritto tributario, in Riv.dir.fin.sc.fin., 1984, I, 130; FICARI, Strumentalità dell’attività commerciale e fine non lucrativo nella tassazione delle associazioni, in, Il regime fiscale delle associazioni, a cura di Fedele, Padova, 1998, 3 ss.
(10) Occorre peraltro sottolineare che, anche qualora la natura non commerciale fosse individuata sulla base delle risultanze dell’atto istitutivo di trust, l’attività di impresa effettivamente esercitata sarebbe in grado di determinare la perdita della qualifica di ente non commerciale nei limiti ed agli effetti dell’art. 149, Tuir. Come è noto, l’articolo in esame considera rilevante la prevalenza dell’attività commerciale per un intero periodo d’imposta, attribuendo rilievo ad una serie, non tassativa, di parametri quali le immobilizzazioni, i ricavi, i componenti negativi, i redditi conseguiti.
(11) Come ha rilevato l’Agenzia delle Entrate (circ. n. 48/E), “nei casi in cui il periodo di imposta di un trust trasparente non coincida con l’anno solare, il reddito da questi conseguito è imputato ai beneficiari individuati alla data di chiusura del periodo di gestione del trust stesso”. La stessa Agenzia ha precisato che “tutti gli adempimenti tributari del trust sono assolti dal trustee”.
(12) CIRC. n. 48/E, cit.
(13) FRANSONI, La disciplina del trust, cit., 231 ss.
(14) Secondo l’Autore, non sarebbero inoltre applicabili gli obblighi propri dei sostituti di imposta ex artt. 23 ss. Dpr 600/73, anche se non è esclusa una interpretazione estensiva della soggettività ai fini degli obblighi di sostituzione.
(15) Sul tema SORGONA’, Trust senza fini di lucro: profili giuridici e fiscali, in Il fisco, allegato, n. 38/2001.
(16) Si noti come la Circolare N.48/E sia intervenuta anche relativamente ad aspetti del trattamento fiscale del trust non strettamente inerenti alle novità legislative recate dalla finanziaria 2007. L’occasione è infatti stata utile, per l’Agenzia, per chiarire, con una ricognizione dei principi e delle norme già esistenti, il regime tributario dei trasferimenti dei beni “nel” trust e “in” trust. Per quanto attiene i beni che vengono trasferiti in un trust, il trattamento è differenziato a seconda che si tratti o meno di soggetto imprenditore, visto che, in caso positivo, si realizzerà la fattispecie di destinazione a finalità estranee di impresa. Fattispecie in grado di generare operazioni imponibili Iva (art. 2, comma 2 n. 5, Dpr 633/72, così come, in quanto pienamente “realizzativi”, ricavi oppure plus/minsuvalenze di impresa, in base al valore normale dei beni trasferiti. Se il trasferimento ha invece ad oggetto una azienda, l’art. 58, primo comma, Tuir, garantisce la neutralità del passaggio, nella continuità dei valori fiscali. Importante è poi il chiarimento (pure se desumibile dai principi) da parte dell’Agenzia, che anche se il trustee è soggetto imprenditore, il trasferimento dei beni in trust non realizza una sopravvenienza attiva ex art. 88, terzo comma, lett. b., Tuir. Per quanto riguarda, invece, la cessione dei beni in trust, si chiarisce che le stesse possono assumere rilevanza, nelle imposte sui redditi, se effettuate nell’esercizio dell’impresa (del trust), con una disciplina che “varia in funzione della categoria di appartenenza del bene ceduto” oppure al di fuori dell’impresa, con possibile applicazione dell’art. 67, Tuir.
(17) Così anche la CIRC. 48/E, cit.
(18) Sul tema, PERRONE, La residenza del trust, in Rass.trib., 1999, 1601 ss.; GREGO, Note sulla determinazione della residenza fiscale del trust, in Il fisco, 1998, 11535 ss.; MARINO, Profili di diritto internazionale tributario del trust: lo stato dell’art, in Riv.dir.trib., III, 3 ss.; GARBARINO, Trust “trasparenti” ed “opachi” nell’ambito dei Tax treaties, in Trusts e att.fid., 2001, 515 ss.
(19) BERTOLASO-BRESSAN, Le “esterovestizioni” alla prova della presunzione di residenza. Alcune considerazioni con particolare riguardo alle holding “statiche”, in Il fisco, 2006, 5617 ss.; GAETA, Trust e regimi d’esonero dalle imposte sui redditi finanziari per i soggetti non residenti, in Trusts e att.fid., 2004, 42 ss.
(20) LUPOI A., Spunti su trust e art. 127bis del Testo unico delle imposte sui redditi, in Trusts e att.fid., 2002, 221 ss. In generale, sui profili di elusività, si rinvia a GALLO, Trust, interposizione ed elusione fiscale, in Rass.trib., 1996, 1043 ss.
(21) LUPOI, Imposte dirette e trust, cit., 267
(22) In mancanza, sottolinea l’Agenzia, “la sede dell’amministrazione tenderà a coincidere con il domicilio fiscale del trustee”.
(23) Per tutti, MARINO, La residenza nel diritto tributario, Padova, 1999, 118.
(24) E, peraltro, anche nel caso di esercizio dell’impresa in diversi Paesi non appare facile individuare quali criteri di ordine quantitativo debbano essere presi in considerazione per fissare l’oggetto principale: fatturato, ricavi, valore delle immobilizzazioni, ecc.?
(25) L’Agenzia delle Entrate conferma le perplessità avanzate quando (nella circolare n. 48/E), afferma che il criterio dell’oggetto principale è “strettamente legato alla tipologia di trust. Se l’oggetto del trust (…) è dato da un patrimonio immobiliare situato interamente in Italia, l’individuazione della residenza è agevola; se invece i beni immobili sono situati in Stati diversi occorre fare riferimento al criterio della prevalenza. Nel caso di patrimoni mobiliari o misti l’oggetto dovrà essere identificato con l’effettiva e concreta attività esercitata”. Si noti l’estrema difficoltà ed incertezza per il contribuente nel fornire una prova di questo tipo, che si traduce inevitabilmente in una restrizione della possibilità concreta della prova contraria alla presunzione legale.
(26) In questo senso potrebbe leggersi anche l’affermazione, già riportata, dell’Agenzia delle entrate contenuta nella circolare n. 48/E rispetto alla normale coincidenza tra sede dell’amministrazione del trust e “domicilio fiscale del trustee”.
(27) Non sembra invece che il reddito imputato a società ed enti commerciali possa essere “riqualificato” quale reddito di capitale, in applicazione dei principi dell’ordinamento (espressi, in particolare, dagli articoli 6, terzo comma e 81, Tuir) in base ai quali i redditi di tali soggetti sono sempre considerati d’impresa. Così anche FRANSONI, op.ult.cit., 261; ARQUILLA, Natura finanziaria dei redditi imputati al beneficiario del trust, in Corr.trib., 2007, 535 ss. Sul punto non si è invece espressa la Circolare n. 48/E, cit.
(28) FRANSONI, op.ult.cit., 265.
(29) Circ. n. 48/E, cit.
(30) L’Agenzia fa riferimento alle seguenti ipotesi: interessi, premi e frutti dei titoli di cui al Dlgs 239 del 1/4/1996 in caso di trust che non esercita attività commerciale; redditi di obbligazioni e titoli similari di cui all’art. 26, primo comma, Dpr 600/73 in caso di trust che non esercita attività commerciale; redditi diversi di natura finanziaria ex art. 67, primo comma, lett. da c-bis) a c-quinquies), Tuir, se percepiti da trust non commerciali residenti.
(31) Si vedano LUPI-CONTRINO, Riforma IRES e trust; la maggiore realità e la patrimonializzazione come ulteriori argomenti per la soggettività definitva del trust, in cit., 579 ss.; LUSCHI- STEVANATO, Il trust tra imposte indirette e sistemi di imputazione dei redditi, in Dialoghi di diritto tributario, n.5 del 2004, 751 ss, ; STEVANATO- LUPI, Il regime di trasparenza per i trust interni “non discrezionali”, in Dialoghi di diritto tributario, n. 10 del 2004, 1391 ss.; SEMINA, Trust “nudo” e trasparenza fiscale, in Il fisco, 2005, 1924 ss.; LUPOI, Osservazioni sui primi interpelli riguardanti trust, in Il fisco, 2003, 4342 ss.
(32) Come notano anche SEPIO, in SEPIO-COVINO, La regolamentazione del trust ai fini delle imposte sui redditi: luci e ombre, in Dialoghi dir.trib., 2007, 79.
(33) Circolari dell’Agenzia delle Entrate della Liguria del 24/7/2003 e del 13/9/2004, in Fisconline.
(34) Tele conclusione è accolta da SEPIO, op.ult.cit., 88; FRANSONI, op.ult.cit., 258. L’ipotesi è assimilata, da CANTILLO, Il regime fiscale del trust, cit., a quella del trust di accumulazione, “per cui il trustee è tenuto ad accantonare il reddito per la durata del trust o per determinati periodi, sicché i soggetti non beneficiano del reddito, ma del capitale risultante alla scadenza stabilita.”
(35) FRANSONI, op.ult.cit., 236.
(36) L’Agenzia distingue tra trust “opachi” e “trasparenti”, precisando peraltro che possono esserci ipotesi di trust ibridi, in parte opachi ed in parte trasparenti. “Ciò avviene, ad esempio, quando l’atto istitutivo preveda che parte del reddito di un trust sia accantonata a capitale e parte sia invece attribuita ai beneficiari. In questo caso, il reddito accantonato sarà tassato in capo al trust mentre il reddito attribuito ai beneficiari, qualora ne ricorrano i presupposti, vale a dire quando i beneficiari abbiano diritto di percepire il reddito, sarà imputato a questi ultimi”.
(37) In questo senso anche le considerazioni di CANTILLO, Il regime fiscale del trust, cit., secondo cui la regola della trasparenza non è applicabile nelle “numerose fattispecie nelle quali i beneficiari, ancorché individuati, non vantano un diritto certo ed attuale ad una quota di reddito, che perciò non è ad essi direttamente imputabile”
(38) Correttamente, sottolinea l’Agenzia, la posizione dei beneficiari di un trust è notevolmente differente dai soci delle società trasparenti, altri soggetti cui l’ordinamento imputa redditi che sono stati creati da un differente soggetto (la società, appunto). I soci, infatti, “possono autonomamente stabilire i criteri di distribuzione degli utili societari”, mentre “i beneficiari di un trust non hanno alcun potere in ordine all’imputazione del reddito del trust, cui provvede unicamente il trustee sulla base dei criteri stabiliti dal disponente”. Si noti che nelle società di persone la scelta normativa si poggia sul diritto soggettivo pieno del socio alla percezione dell’utile, una volta che quest’ultimo sia stato accertato; nelle società di capitali, occorre valorizzare la natura opzionale ed agevolativa del regime, da una parte, e la “condivisione” della scelta, che deve essere effettuata da tutti i soci della società partecipata. E’ dunque possibile configurare se non un diritto soggettivo pieno (che si ha nel caso dei soci delle società personali) quantomeno una facoltà di controllo e partecipazione dei soci di società di capitali rispetto alle deliberazioni dell’assemblea (nella distribuzione degli utili), oltre che una possibilità di decidere direttamente con riferimento ad una modificazione del regime impositivo (la scelta per la trasparenza), in gradi di incidere sulla sfera soggettiva del singolo. Un simile rapporto tra socio-società non è riproducibile, come correttamente ha sottolineato l’Agenzia, in relazione al trust, in cui il beneficiario non ha, nella normale configurazione negoziale, alcun potere di incidere sull’attività e sui risultati dell’attività svolta dal trustee, in base alle, vincolanti o meno, direttive previste dall’atto istitutivo. L’impossibilità di assimilare il fenomeno del trust, per quanto attiene alla tassazione diretta dei redditi in capo ai beneficiari, a quello della trasparenza nelle compagini societarie, è sottolineato anche da FRANSONI, op.ult.cit, 234. Sul punto anche SEPIO, op.ult.cit., 82.
(39) SEPIO, op.cit., 84, giunge alle medesime conclusioni.
(40) Come nota l’Agenzia, “contrariamente, infatti, al principio di cassa che in via ordinaria informa la determinazione del reddito di capitale, nella tassazione per trasparenza il medesimo reddito viene imputato al beneficiario indipendentemente dalla effettiva percezione, secondo il principio della competenza economica”.
(41) SEPIO, op.cit., 83.
(42) La soluzione è simile a quella proposta in dottrina da SEPIO-COVINO, op.cit., i quali danno però rilievo alla “distribuzione” del reddito ai beneficiari piuttosto che al momento in cui sorge il loro diritto alla percezione. Come afferma COVINO, op.cit., 91, “anche le attribuzioni disposte discrezionalmente dal trustee possono dar luogo a tassazione per trasparenza, purchè tali somme non siano state in precedenza già sottoposte a tassazione Ires in capo allo stesso trust. Si dovrà trattare (…) di una distribuzione ai beneficiari avvenuta entro l’anno solare in cui tali redditi sono stati realizzati”. Come puntualmente nota FRANSONI, op.ult.cit., 258, la “notevole distanza di tempo” tra il momento della distribuzione e quello della imputazione e tassazione del reddito fa sì che “il soggetto passivo si trova ad assolvere l’imposta in ragione di redditi che confluiranno nel suo patrimonio a distanza di molto tempo”, soluzione che “si presenta sospetta di illegittimità costituzionale”.
(43) L’Agenzia delle Entrate nella circ. n. 48/E chiarisce che il credito di imposta per le imposte pagate all’estero, ex art. 165 Tuir, spetta al trust in caso di trust “opaco”. Qualora, invece, il trust sia “trasparente”, il credito di imposta spetta ai singoli beneficiari in proporzione al reddito imputato, analogamente a quanto disposto dall’art. 165, comma 9, Tuir. In ipotesi di trust che attribuisca solo parte del reddito ai beneficiari, la detrazione spetta al trust e ai beneficiari in proporzione al reddito imputato.
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