Appunto sull’art. 2504-quinquies c.c.
Appunto sull’art. 2504-quinquies c.c.
di Mario Stella Richter
Consiglio Nazionale del Notariato - Studio n. 1179
Pubblicato nella rivista Studi e Materiali CNN, Milano, 1998, 5.1., p. 96 ss.
1. Tra le questioni interpretative che solleva l’art. 2504-quinquies c.c., le più notevoli sembrano, almeno a stare alle istanze della pratica, quelle relative alla eventuale portata ulteriore da riconoscere a tale norma.
Ci si è infatti chiesto se essa potesse trovare applicazione anche: in caso di fusione propria (o in senso stretto, che dire si voglia) (1); in caso di fusione “inversa” (e cioè quando sia la società incorporata a possedere tutte le azioni o quote della incorporante) (2); in caso di fusione di più di due società tutte tra loro integralmente partecipate ma non tutte (direttamente) dalla incorporante (ad esempio incorporazione in A di B e C, con A che detiene il cento per cento del capitale di B, che a sua volta partecipa al cento per cento in C) (3); in caso di incorporante che detiene tutte le azioni della incorporanda eccezion fatta per le azioni (proprie) da questa stessa detenute (4); in caso di incorporante che detiene “quasi” tutte le azioni o quote dell’altra società (5); in caso di fusione di due società con compagini sociali identiche (cioè stessi socî, che partecipano alle due società nelle stesse proporzioni) (6).
In particolare, è quest’ultimo problema che rileva nella operazione sottoposta alla nostra attenzione, operazione che così può riassumersi: la società A il cui capitale è posseduto da cinque socî vuole fondersi per incorporazione con B, al cui capitale partecipano gli stessi cinque socî in modo proporzionalmente identico alle loro partecipazioni in A, e la stessa società A.
2. Per tentare di capire se in tutti o in alcuni casi menzionati, e in particolare nell’ultimo, sia possibile non procedere alla fissazione di un rapporto di cambio ed ai relativi controlli di congruità, è pregiudiziale stabilire se l’art. 2504-quinquies c.c. sia o meno una disposizione di carattere eccezionale, come tale non interpretabile estensivamente né integrabile analogicamente.
Superando le impressioni derivanti da una prima lettura, riterrei di negare la natura “eccezionale” della norma in questione (7).
Se la ragione della previsione contenuta nell’art. 2504-quinquies c.c. è quella - come credo indubitabile ritenere che sia (8)- di evitare la determinazione del rapporto di cambio ed i relativi controlli di congruità quando ad un cambio di azioni vero e proprio non possa neanche pensarsi, non sembra che una situazione di questo tipo si realizzi solo nel caso di società incorporante che detenga tutte le azioni o quote della incorporata. Lo dimostrano a sufficienza (almeno) alcune delle fattispecie ricordate in principio.
Interpretato teleologicamente, allora, l’art. 2504-quinquies c.c. si presta ad essere applicato per analogia tutte le volte in cui la fusione avvenga senza un cambio di azioni (o quote) della o delle vecchie società in azioni (o quote) della società risultante dalla operazione di fusione. D’altronde, non sembra giustificato imporre una serie di adempimenti onerosi (:valutazione dei patrimoni delle società, fissazione del rapporto di cambio, controllo della sua congruità, ecc.) quando manchi l’interesse alla cui tutela quegli adempimenti erano preordinati.
Si delinea così una prima risposta ai casi di dubbia applicabilità dell’art. 2504-quinquies c.c.
Detenere “quasi” tutte le azioni o quote della società da incorporarsi non è lo stesso che possedere tutte le partecipazioni; nel primo caso infatti ci sarà pur sempre bisogno di fissare un rapporto di cambio al fine di far partecipare alla società risultante della fusione il socio “minimo” della società incorporata.
Più probabile che l’art. 2504-quinquies c.c. possa applicarsi nel caso in cui si proceda bensì ad un cambio di azioni, ma senza che ciò comporti una effettiva ponderazione dei pratrimonî delle società involte nella fusione. Casi di cambio di azioni meramente formali sono quelli di incorporazione “inversa” di società integralmente posseduta o di fusione propria di società interamente possedute.
Certamente, si applica l’art. 2504-quinquies c.c. quando un cambio non esiste proprio, e cioè in tutti i casi in cui le azioni della società da incorporarsi si annulleranno senza in cambio emettere nuove azioni della società incorporante.
A quest’ultimo proposito si potrebbero distinguere:
- a) fusioni in cui l’annullamento delle azioni sia necessario, e che quindi non comportino di per loro emissione di nuove azioni: ad esempio incorporazione di società al cui capitale partecipi solo la incorporante e la incorporata stessa;
- b) fusioni in cui l’annullamento sia eventuale, e cioè dipenda da una precisa opzione voluta in sede di redazione dei progetti: ad esempio incorporazione di società partecipata dagli stessi socî (e nelle stesse proporzioni) che partecipano alla società incorporante.
A tale distinzione, tuttavia, non darei che una portata descrittiva e non ricollegherei differenze di disciplina in punto di applicazione della norma di cui all’art. 2504-quinquies c.c.
3. Se dunque si condividono le premesse, secondo cui l’art. 2504-quinquies c.c. non è norma eccezionale, trovando applicazione ogni qual volta non si proceda alla emissione di nuove azioni e, comunque, ad una traduzione del valore di vecchie partecipazioni in nuove unità di misura delle stesse, resta da chiedersi se nel caso di incorporazione di società con compagini sociali identiche sia legittimo deliberare la fusione senza modificare il capitale nominale della incorporante, e quindi, senza emettere nuove azioni (o quote) e senza cambi di sorta di partecipazioni.
Il problema è stato studiato dal punto di vista generale, ancora di recente e con il consueto scrupolo, dal PORTALE (9). Mi limito qui a riassumerne le condivisibili conclusioni (10): la fusione per incorporazione può realizzarsi lasciando immutato il capitale della incorporante (perché “la fusione non è mera ... somma aritmetica ma è rimaneggiamento di imprese in tutti i loro elementi”: sono parole di SIMONETTO); è pur vero che ricorrendo una incorporazione senza aumento di capitale si verificherebbe “una situazione effettuale analoga a quella conseguente ad una riduzione di capitale per esuberanza”, ma “tale constatazione non deve far dubitare della esattezza della conclusione” perché la tutela dei creditori sociali è, anche in queste circostanze, assicurata dall’art. 2503 c.c. (11).
Tutto ciò in generale; per quanto riguarda l’operazione che più da vicino ci occupa aggiungerei che essa non pone i delicati problemi relativi alla modalità di attribuzione di azioni o quote ai socî della incorporata in mancanza di aumento di capitale della società incorporante: infatti, la particolare circostanza che si abbia a che fare con compagini sociali identiche consente di annullare puramente e semplicemente tutte le partecipazioni nella società incorporata, lasciando inalterata la divisione delle quote della incorporante. In definitiva, un motivo in più per considerare possibile l’operazione e realizzabile con le esenzioni di cui all’art. 2504-quinquies c.c. (12).
(1) V. SANTAGATA, Lineamenti generali dell’istituto della fusione: natura giuridica e procedimento, in AA.VV., Fusioni e scissioni di società, Milano, 1993, p. 11 ss. a p. 32.
(2) V. Massime del Tribunale di Napoli, n. 6.
(3) V. (SERRA-)SPOLIDORO, Fusioni e scissioni di società, Torino, 1994, p. 177, dove ulteriore esemplificazione.
(4) V. (SERRA-)SPOLIDORO, Op. loc. citt.
(5) Questione posta, nell’àmbito dei lavori della Commissione Studi del Consiglio Nazionale del Notariato, dal Notaio Prof. G. Mariconda.
Essa ricorda l’antica discussione sull’art. 2362 c.c., peraltro ormai risolta, almeno dalla giurisprudenza, in senso, come è noto, negativo.
(6) V. Massime del Tribunale di Milano, 30 settembre 1994; Trib. Trieste, 3 febbraio 1995 (decr.), in Società, 1995, p. 960; Trib. Paola, 7 giugno 1994 (decr.), in Riv. notar., 1995, p. 324 ss.
(7) Così in generale (SERRA-)SPOLIDORO, Op. loc. citt.
In un caso in tutto e per tutto simile a quello qui specificamente discusso: Trib. Trieste, 3 febbraio 1995 (decr.), cit.; ma in senso contrario Trib. Paola, 7 giugno 1994 (decr,), cit.
(8) In questo senso è la stessa Relazione della commissione ministeriale allo schema di un decreto legislativo per l’attuazione della III e IV direttiva comunitaria in materia di società, sub art. 16, poi fedelmente recepito nel d.lgs. 16 gennaio 1991, n. 22.
(9) In Giur. comm., 1984, I, p. 1031 ss.
(10) Peraltro proprie della dottrina pressoché unanime; e da ultimo v. DI SABATO, Manuale delle società, Torino, 1992 (IV ed.), p. 712 ss. (dove ulteriori citt.): “in conclusione, non vi è alcun vincolo a determinare il capitale nominale post-fusione in misura pari alla somma dei capitali nominali delle società fuse: esso è determinabile in modo discrezionale in relazione alle esigenze dell’impresa, tal quali sono ritenute dalle deliberazioni rispettive, che non sono sindacabili nel merito a questo proposito” (p. 714).
(11) Cfr. almeno G. FERRI, Questioni in tema di fusione di società, (già in Riv. dir. comm., 1969, II, ora) in Scritti giuridici, vol. III**, Napoli 1990, p. 1137 ss., spec. 1138 s.
(12) Così infatti il Trib. Trieste, 3 febbraio 1995, cit., e, prima, le Massime del Tribunale di Milano del 30 settembre 1994: “Nel caso di fusione fra più società ciascuna posseduta da un unico socio, ovvero dagli stessi soci i quali ne possiedono tutte le azioni o quote nella medesima proporzione, in applicazione analogica della disposizione prevista dall’art. 2504-quinquies c.c., non si richiede la relazione degli esperti sulla congruità del rapporto di cambio”.
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