Sulla fusione successiva ad una riduzione del capitale per perdite: Situazione patrimoniale aggiornata e controllo del tribunale in sede di omologazione
Sulla fusione successiva ad una riduzione del capitale per perdite: Situazione patrimoniale aggiornata e controllo del tribunale in sede di omologazione
di Marco Avagliano
Consiglio Nazionale del Notariato - Studio n. 1265
Pubblicato nella rivista Studi e Materiali CNN, Milano, 1998, 5.1., p. 214 ss.
Il Tribunale di Napoli, con decisione del 20 dicembre 1995, ha disposto l’illegittimità della delibera mediante la quale veniva approvato un progetto di fusione.
I profili di illegittimità, si legge nel decreto, riguarderebbero essenzialmente due aspetti. Il primo investe l’idoneità della situazione patrimoniale della società incorporante. Mentre il secondo riguarda il fatto che nel progetto di fusione presentato alla società che veniva incorporata si prevedeva la sola incorporazione di questa nell’altra, nulla dicendo circa il fatto che ben altre quattro ss.rr.ll. dovevano essere incorporate nella società che incorporava la precedente.
Tralasciando quest’ultimo punto, è opportuno invece soffermarsi sul primo e approfondire le ragioni che ne sono a fondamento, ponendo attenzione, in via preliminare alla situazione quale viene a configurarsi alla luce dei dati normativi contenuti nel codice; ed esaminando quanto poi concluso e confrontandolo con riguardo alla natura ed ai limiti del procedimento di omologazione.
In altri termini, si intende qui compiere una ricerca che si snodi essenzialmente in una duplice direzione. Che sia pertanto da un lato rivolta alla delineazione degli eventuali vizi che in qualche modo inficino la suddetta delibera; dall’altro invece che, una volta riscontrate tali irregolarità, tenda ad accertare su quali di queste il Tribunale, in sede di omologa, possa esercitare il proprio controllo e muovere le proprie censure.
1. Sull’obbligo degli amministratori di presentare una situazione patrimoniale aggiornata.
La vicenda presa in considerazione dal Tribunale riguarda una fattispecie che trova il suo svolgimento in diversi momenti temporali.
La situazione patrimoniale da allegare al progetto di fusione, così come prescritta dall’art. 2501 ter, è stata sostituita, dagli amministratori della società incorporante, dal bilancio dell’ultimo esercizio. Ciò in quanto quest’ultimo, come dispone l’ultimo comma dell’art. 2501 ter, rientrava nel termine di sei mesi dal deposito del progetto di fusione nella sede della società.
Questa sostituzione, che come abbiamo visto è considerata ammissibile dal codice, non può d’altronde effettuarsi, a giudizio della Corte, qualora essa non dia una rappresentazione il più aggiornata possibile della realtà patrimoniale della società.
Infatti nell’arco di tempo intercorso tra la chiusura del bilancio d’esercizio e il deposito del progetto di fusione, la società incorporante, che tra l’altro possiede interamente le quote delle società che intende incorporare, ha deliberato una riduzione del capitale per perdite (1), ma non ha, in seguito a tale operazione, presentato una situazione patrimoniale più aggiornata.
Il Tribunale fonda la sua decisione sull’assunto che “l’interesse alla corretta ed adeguata informazione dei soci e dei creditori, in funzione delle valutazioni rispettivamente da compiersi, è generale”.
Il problema di eventuali mutamenti patrimoniali che incidano sulla situazione economica della società, una volta che sia intervenuta la stesura del bilancio straordinario di cui al primo comma dell’art. 2501 ter, è già stato affrontato in dottrina.
L’art. 2501 ter dispone che “gli amministratori delle società partecipanti alla fusione devono redigere la situazione patrimoniale delle società stesse, riferita ad una data non anteriore di oltre quattro mesi dal giorno in cui il progetto di fusione è depositato nella sede della società.
La situazione patrimoniale è redatta con l’osservanza delle norme sul bilancio d’esercizio.
La situazione patrimoniale può essere sostituita dal bilancio dell’ultimo esercizio, se questo è stato chiuso non oltre sei mesi prima del giorno del deposito indicato nel primo comma”.
Ad una prima lettura delle norme in tema di fusione, la situazione che il Tribunale invece obietta, appare in via di principio possibile. Ossia potrebbe sembrare ammissibile l’utilizzo di una situazione patrimoniale che non tenga conto dei mutamenti verificatisi nel frattempo, in quanto il codice si limita a prescrivere che essa non debba essere anteriore ai quattro mesi (o ai sei mesi, per il caso previsto dal terzo comma) dal deposito del progetto di fusione.
Una interpretazione di questo tipo potrebbe peraltro correre il rischio di apparire superficiale, dal momento che non tiene conto del sistema nel quale dette norme sono immesse, nonché della funzione che la situazione patrimoniale assume all’interno di questo sistema.
La previsione del terzo comma dell’art 2501 ter esclude la configurabilità in capo agli amministratori dell’obbligo di redigere una situazione patrimoniale integrativa dell’ultimo bilancio. Tale constatazione non può non comportare però che, “in alcune circostanze, debba configurarsi, in applicazione del criterio di diligenza, l’obbligo degli amministratori di esporre le variazioni intervenute nella relazione di cui all’art. 2501 quater” (2).
Il Tribunale di Milano, nelle Direttive espresse in ordine al nuovo procedimento di fusione (3), ha disposto che gli amministratori hanno facoltà “di aggiornare la situazione patrimoniale già depositata per una più esauriente informazione in sede assembleare”, ma tale comportamento “può anche considerarsi doveroso se ed in quanto siano nel frattempo intervenute mutazioni tali nella situazione patrimoniale della società da incidere sulla legittimità (e se si vuole sulla convenienza) del progetto di fusione (è forse anzi opportuno che gli amministratori, in sede assembleare attestino che in realtà non si sono verificate salienti variazioni rispetto alla situazione patrimoniale depositata)”. Ciò in quanto la situazione patrimoniale è strumento per l’informazione dei terzi e dei soci (4).
Proprio la funzione che essa svolge importa l’esigenza che essa sia il più possibile aggiornata, in quanto non potrebbe altrimenti esplicare i compiti di pubblicità che le sono propri. Non va dimenticato infatti che il legislatore pone tali obblighi di informazione all’interno del codice essenzialmente al fine di tutelare quei soggetti che potrebbero conseguire un pregiudizio dalle operazioni che la società intenda intraprendere. Nel caso in questione questa esigenza si manifesta nei confronti dei soci e dei terzi, e fra quest’ultimi, in particolare dei creditori (5).
Alla luce di quanto osservato può adesso darsi un’interpretazione dell’art. 2501 ter che non si basi solo sul dato letterale, ma tenga conto anche del sistema normativo in cui tale norme sono inserite.
La disposizione del primo comma, e in particolare l’inciso “non anteriore di oltre quattro mesi”, indicano l’esigenza che comunque la situazione patrimoniale non sia precedente a quella data, perché in tal caso andrebbe senza ombra di dubbio considerata, visto il volume di affari che generalmente ha una società, come non più rispecchiante la reale situazione economica della società.
Per le situazioni con data posteriore la legge pone invece una sorta di presunzione di attendibilità della situazione ivi riferita come appunto riflettente lo stato patrimoniale della società al momento del deposito del progetto di fusione. Tale presunzione non va però considerata assoluta, ma relativa, ossia cade nel momento in cui le modificazioni patrimoniali intervenute nel frattempo siano state tali da incidere sulla reale situazione della società.
Il presentare ai soci ed ai terzi una situazione patrimoniale non aggiornata, precluderebbe loro di poter decidere con completezza di dati ed elementi in ordine alla convenienza o meno dell’importante operazione che la società si appresta a svolgere (6).
La Corte di Cassazione si è trovata a statuire di recente su un caso che presenta notevoli punti di contatto con quello affrontato dal Tribunale di Napoli (7).
Secondo l’opinione del Supremo Collegio, “i criteri di verità e chiarezza, cui devono conformarsi le comunicazioni sociali anche in previsione di un progetto di fusione, non sono suscettibili di eccezioni o deroghe”, e, nel caso di specie, “non erano stati rispettati, perché le notizie che avevano preceduto l’assemblea convocata per discutere di quel progetto erano risultate false o comunque inadeguate”, in quanto incomplete. La libertà della scelta dei soci in sede di delibera di fusione richiede la piena consapevolezza dello stato patrimoniale in corso, mentre prescinde, qualora tale stato non sia conforme alle aspettative, dalle circostanze che lo abbiano menomato.
L’annullabilità della delibera di fusione adottata dall'assemblea di una società di capitali, fondata sul presupposto che la volontà espressa dai soci sarebbe viziata da errore sulla consistenza del patrimonio della società medesima, “postula una divergenza tra l'entità effettiva e l'entità supposta del valore di quel patrimonio, e, pertanto, non è prospettabile, nemmeno astrattamente, rispetto a pregressi atti di disposizione di beni sociali, quando i soci abbiano in precedenza avuto contezza del loro verificarsi e dei loro effetti sulle sostanze della società. In questo caso l’evenienza che tali atti siano svantaggiosi ed ascrivibili a decisioni avventate o fraudolente degli amministratori resta rilevante ad altri fini, quale, ad esempio, l'azione di responsabilità contro gli amministratori stessi”.
In questa sentenza pertanto si ribadisce il concetto che la situazione patrimoniale debba essere la più completa e adeguata possibile, ai fini di una corretta valutazione da parte di chi ne abbia interesse, in quanto devono essere comunicati “tutti i dati potenzialmente idonei a consigliare tempestive opposizioni od impugnazioni”.
Con tale decisione si afferma peraltro, e tale considerazione è di non poco rilievo per il discorso che si sta cercando di svolgere, che l’inadeguatezza delle comunicazioni riguardanti lo stato patrimoniale attuale della società, possa essere superata qualora i soci ne abbiano un’effettiva conoscenza. Queste considerazioni valgono anche per quanto riguarda i terzi interessati dalle operazioni dell’ente (8).
2. Alcuni temperamenti all’obbligo della situazione patrimoniale aggiornata nel caso di perdite risultanti dal bilancio.
Il caso preso in esame dal Tribunale di Napoli concerne l’ipotesi di una riduzione di capitale per perdite successiva al bilancio presentato per la fusione, ma comunque anteriore alla delibera di fusione. Si rientra, nella questione considerata, nell’ipotesi di riduzione del capitale per perdite superiori ai due terzi del capitale stesso, ma che comunque non abbiano intaccato il minimo previsto dalla legge.
L’assemblea, come si desume da quanto disposto dall’art. 2446 del codice civile (9), una volta convocata senza indugio dagli amministratori, ha facoltà di scelta tra due possibili soluzioni.
Può deliberare l’immediata riduzione del capitale sociale, ovvero, ed è questa la seconda possibilità, può rinviare tale decisione nella speranza che con gli utili successivi possano colmarsi le perdite. Se però entro l’esercizio successivo la perdita non risulti diminuita a meno di un terzo, l’assemblea che approva il bilancio di tale esercizio (quindi eccezionalmente l’assemblea ordinaria) deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate.
Pertanto è chiaro che qualora le perdite risultino dal bilancio di esercizio, in quanto si sia rinviato all’anno successivo la deliberazione di riduzione, si rientri nell’ambito dell’effettiva conoscenza della situazione patrimoniale della società (10), per cui non potrebbe essere opposta da alcuno l’ignoranza del reale assetto patrimoniale della società. Il bilancio della società sostitutivo della situazione patrimoniale, in quanto di data non anteriore di sei mesi al progetto di fusione, in questo caso conterrebbe tutti i dati necessari e sufficienti a fornire una configurazione abbastanza esatta ed adeguata della consistenza del patrimonio dell’ente. Per cui, incorrerebbero in un grave errore di negligenza, tutti coloro che interessati alla fusione, non accertino in maniera più specifica la sorte delle perdite in questione, ossia se esse siano rientrate, ovvero, non siano sfociate in una delibera di riduzione, come prevede la stessa legge, qualora non si verifichi la prima eventualità.
Il seguire una simile impostazione permette inoltre, ed è conseguenza di non lieve rilievo, di evitare di soffocare il procedimento di fusione, già di per sé complesso nonché gravoso, con ulteriori limitazioni, le quali ne irrigidirebbero ancor più tutta la struttura (11).
Peraltro tali considerazioni non possono valere qualora l’assemblea opti per la prima delle soluzioni prospettate, ossia deliberi immediatamente una riduzione di capitale. Le perdite in tal caso non sarebbero subito riportate nel bilancio presentato per il progetto di fusione, in quanto questo era antecedente alla situazione deficitaria. Il bilancio precedente non includendo tali modificazioni patrimoniali, non fornirebbe più una visione esatta o comunque aggiornata ed adeguata, per cui varrebbero in tale ipotesi le considerazioni prima svolte sulla necessità che esso presenti invece tali requisiti.
In altri termini va distinto il caso in cui il bilancio sostitutivo non riporti alcuna menzione delle perdite avvenute, da quello in cui queste siano in esso inscritte. Nella prima ipotesi il bilancio, in quanto non più utilizzabile quale strumento di informazione e documentazione ai fini della fusione, va sostituito dalla formazione di una situazione patrimoniale redatta ad hoc. Nella seconda, invece, si potrebbe ritenere possibile l’utilizzo di tale bilancio, in quanto conterrebbe gli elementi necessari ad illustrare l’attuale stato economico, finanziario e patrimoniale della società (12).
Effettuati tali rilievi, vanno adesso svolte alcune considerazioni con riferimento alla natura e al contenuto del procedimento di omologazione. Tali osservazioni sono necessarie, in quanto occorre accertare quali poteri abbia il Tribunale in sede del controllo da esso esercitato in ordine alle delibere di modifica dell’atto costitutivo.
3. Sul contenuto ed i limiti del controllo svolto dal Tribunale in sede di omologazione.
Con riguardo alla natura ed oggetto del giudizio di omologazione della delibera di fusione occorre subito premettere che da dottrina e giurisprudenza dominanti è escluso un controllo di merito (13). Vi viene pertanto configurato un controllo di sola legalità, anche se poi, come si vedrà più innanzi nel discorso, si è cercato, specie da parte della giurisprudenza, di allargarne l’ambito. Invero le opinioni in ordine al contenuto di tale controllo sono varie.
Tra le principali, ve n’è una più restrittiva che afferma che il controllo deve essere limitato all’accertamento dell’esistenza dell’atto, senza che ne possa essere sindacata la validità. Questa opinione trova il suo fondamento nella considerazione che il Tribunale in sede di omologazione possieda sostanzialmente gli stessi poteri che l’art. 2189 c.c. conferisce all’Ufficio del Registro delle Imprese (14). I dubbi riguardanti tale tesi poggiano essenzialmente sulla difficoltà nel configurare una sostanziale analogia tra i controlli dei due diversi organi (15). Ciò ha comportato che questa impostazione sia rimasta pressoché isolata, mentre ben più ampi consensi ha ricevuto la configurazione opposta che estende il controllo anche all’accertamento dei requisiti di validità dell’atto (16).
All’interno di questa ricostruzione si possono peraltro delineare due correnti di pensiero, le quali, pur partendo da premesse comuni -l’estensione dell’esame anche ai presupposti di validità- considerano il problema dei limiti del controllo in sede di omologazione in termini nettamente divergenti.
Da una parte infatti ritroviamo la tesi secondo la quale il controllo del Tribunale venga a configurarsi come attinente ai soli vizi comportanti una nullità della delibera, più in generale, dell’atto (17). Dall’altra le si contrappone quella secondo la quale qualsiasi vizio in grado di incrinare la validità dell’atto possa essere rilevato dal giudice in sede di omologa (18). In altri termini, mentre alla luce della prima opinione il controllo dell’autorità giudiziaria, pur se estensibile ai requisiti di validità dell’atto, non può comunque giungere a sindacarne i motivi di annullabilità, per la critica opposta tali vizi possono essere ricompresi nell’ambito del giudizio del Tribunale.
Gli argomenti a sostegno del primo assunto sono essenzialmente fondati sul fatto che, da un lato -si osserva- la tutela approntata dall’ordinamento in presenza di cause di annullabilità, non é posta a salvaguardia di un interesse generale, ma investe quello esclusivo delle persone danneggiate dalla delibera o dall’atto, e quindi non può essere attuata d’ufficio dall’organo giudiziario senza che vi sia prima stato un impulso a ciò da parte dei suddetti soggetti lesi, “ai quali soltanto la legge attribuisce uno specifico potere di impugnativa volto ad ottenere la caducazione dell’atto” (19). Dall’altro sulla osservazione della non agevole rilevabilità del motivo di annullabilità da parte del Tribunale mediante un’indagine che sia limitata ai soli documenti ivi presentati, dal momento che necessiterebbe altrimenti di mezzi istruttori e probatori estranei ai procedimenti di volontaria giurisdizione e più confacenti a quelli contenziosi. E comunque, che l’accertamento sulla validità dell’atto riguardi le cause di nullità soltanto, in quanto risulti la carenza di quei requisiti ai quali la legge ricolleghi l’efficacia dell’atto. Situazione che non si verifica nell’ipotesi che si sia in presenza di una causa di annullabilità (20).
Tali considerazioni non sono peraltro condivise dai fautori dell’opposto convincimento, i quali attribuiscono al giudice un controllo estensibile anche ai motivi di annullabilità della delibera, senza porre pertanto alcun limite alla rilevabilità dei vizi riguardanti la validità dell’atto sottoposto ad omologazione.
Per chi ritiene esaminabili anche i motivi di annullabilità, le affermazioni compiute dagli autori della tesi avversa, che individuano una fonte di pregiudizio per il diritto del socio all’impugnativa della delibera comunque viziata nella sua ammissibilità alla rilevabilità ex officio anche dei suddetti vizi, vengono contraddette con il dare rilevanza a quelle che identificano nell’omologazione il momento in cui la delibera sia efficace, o nel suo diniego quello in cui tale efficacia decada; e con il configurare inoltre come finale il termine ex art. 2377 c.c., per cui diviene rilevante la sua scadenza e non l’inizio della decorrenza.
Inoltre -viene sempre da detti autori sostenuto- in moltissime occasioni il riscontro dei vizi di annullabilità dell’atto emerge anche dalla semplice analisi documentale, senza necessità alcuna di istruzione di mezzi probatori. Infine, viene anche invocato, a sostegno di queste argomentazioni, il principio dell’economia dei giudizi processuali, in quanto “anziché compresso e limitato al fine di evitare inutili duplicazioni di giudizio, il procedimento di omologa sembra avere proprio la specifica funzione di prevenire le liti che possano insorgere una volta che la società sia venuta ad esistenza o che la delibera sociale sia resa esecutiva nei confronti dei terzi” (21).
Peraltro queste teoriche si sono anche confrontate con il fenomeno e il convincimento, diffuso anche nella prassi dei Tribunali, secondo i quali si individua nel procedimento svolto dal giudice un controllo di “legalità sostanziale” (22). Tale indagine si viene a contrapporre al controllo di legalità formale, e ad esso si affianca nell’attività svolta dai giudici. Il seguire questa impostazione comporta che non vi sia quindi alcun limite alla rilevabilità, in sede di giudizio di omologazione, di vizi inerenti all’atto. Tale tesi peraltro conduce alla configurazione della possibilità in capo al giudice di svolgere un controllo che, di fatto, sia, oltre che di legalità, anche di merito. Per cui come da alcuni autori sostenuto, “l’odierno controllo dei Tribunali in sede di omologazione è un vero e proprio controllo di legittimità e di merito” (23).
Siffatta configurazione tende però ad aumentare in misura ancora maggiore, piuttosto che a semplificare, l’incertezza ed il disordine che vigono in materia. Di tale situazione sono peraltro responsabili anche l’ampio numero di decisioni, emanate dai vari Tribunali, le quali nella maggior parte dei casi risultano tra di loro contrastanti, se non proprio confliggenti. Tutto ciò contribuisce quindi a conferire un quadro disorganico dei principi reggenti il giudizio omologatorio, rendendoli ancora più incerti di quanto in realtà essi non siano (24).
Per cui é necessario, al fine di inquadrare con la dovuta precisione i limiti del suddetto giudizio, liberarsi da ogni suggestione che possa aversi alla luce delle teoriche finora esaminate e osservare con attenzione quanto definito e disposto dalle norme di diritto positivo, compiendo in tal modo un’analisi che sia allo stesso tempo sistematica e funzionale.
Va innanzitutto premesso che, da una lettura delle norme contenute agli art. 2330 e 2411 del codice civile, si evince che il controllo del giudice ha ad oggetto soltanto “l’adempimento delle condizioni previste dalla legge”. Pertanto già in virtù di quanto disposto dal codice, non sembra se ne possano dedurre argomentazioni a favore delle tesi precedentemente indicate.
Più aderente al dato normativo sembra quindi essere l’opinione di quegli autori, i quali, senza distinguere tra vizi comportanti nullità o annullabilità dell’atto, e negando comunque che possa aversi in detta fase un accertamento che, di fatto, sia anche di merito -di legalità sostanziale- in quanto questo deve restare nell’ambito della facoltà proprie dei singoli individui e a loro connesse, individuano in questo procedimento, più che un controllo sulla validità dell’atto, un giudizio sulla conformità dello stesso alle disposizioni di legge (25). Per il raffronto degli art. 2330 e 2411 c.c., il controllo svolto dal Tribunale va configurato come una operazione in cui l’atto o la delibera della società vadano confrontati con quanto dalla legge disposto, ossia come un’operazione in cui possa essere verificata la conformità dell’atto sociale con la legge (26).
Si osserva infatti giustamente che “il procedimento, che è inteso a portare dall’atto costitutivo o modificativo alla sua pubblicità, deve essere mediato dalla omologazione giudiziale, quale provvedimento che, ravvisando una positiva corrispondenza della stipulata o deliberata struttura organizzativa rispetto allo schema legale, é appunto destinato ad esprimersi in un ordine d’iscrizione nel registro imprese” (27).
Nel caso inoltre più particolare di modificazioni dell’atto costitutivo o dello statuto intervenute dopo la costituzione della società, si osserva che il controllo omologatorio “fu voluto ed introdotto allo scopo di verificare che, attraverso la delibera, non venisse modificata una struttura societaria che era stata, originariamente, giudicata conforme al corrispondente “modello” tipologico prestabilito in modo cogente dalla legge”. Tutto ciò al fine di evitare l’introduzione “nel corpo dell’ordinamento della società, di previsioni e statuizioni in contrasto con l’originaria struttura (già) omologata” (28).
Il giudizio svolto dal Tribunale in sede di omologazione non va considerato come un controllo sulla nullità o annullabilità dell’atto, bensì, come prima detto, come un controllo di conformità. Pertanto “non interessa la validità dell’atto, ma se la struttura organizzativa predisposta dai privati sia oggettivamente compatibile con il modello legislativo” (29). I vizi in concreto rilevabili pertanto non coincidono necessariamente con quelli generanti invalidità dell’atto, o perlomeno non sempre, potendosi avere dei casi in cui l’ambito sia più ampio, ovvero ridotto rispetto alle ordinarie cause di non validità. “Il giudice dell’omologazione non rileva il vizio per pronunciare un provvedimento di annullamento o per imporre modificazioni alla delibera viziata, ma rifiuta l’omologazione, contestando la non conformità dell’atto presentatogli ad una determinata disposizione legislativa o dell’atto costitutivo (30).
D’altronde, va rilevato, la disciplina propria delle società di capitali mal si accosta a quella che è la disciplina delle invalidità negoziali, propria dei tradizionali schemi privatistici. Ciò in quanto le esigenze tutelate in tale materia sono senz’altro differenti da quelle considerate dai suddetti schemi. Riprova di quanto appena detto sono le norme contenute sia nell’art. 2332 c.c., sui requisiti e sulla relativa nullità dell’atto costitutivo, nonché gli art. 2377 e 2379 c.c. in tema di annullabilità e nullità delle delibere societarie.
Tali considerazioni sono state accolte anche da parte delle giurisprudenza più recente (31). Tra le varie decisioni emesse, va ricordato l’ampio e ben motivato decreto del Tribunale di Potenza, del 21 maggio 1992 (32), il quale, dopo un’attenta disamina delle problematiche e delle diverse correnti di pensiero sorte in tema di omologazione, perviene a delle conclusioni sostanzialmente coincidenti con quelle finora delineate.
In tale sede i giudici colgono infatti l’occasione per rilevare le profonde differenze intercorrenti tra il giudizio contenzioso ordinario, avente ad oggetto la validità delle delibere assembleari e dei relativi atti, e quello di giurisdizione volontaria, come è quello di omologazione (33).
Si legge infatti nella decisione che, “mentre attraverso il procedimento omologativo si tende a garantire che l'atto sottoposto a controllo sia “conforme” alle disposizioni di legge (34), attraverso il giudizio contenzioso si mira invece a tutelare, soltanto ed unicamente, gli interessi, questa volta disponibili, dei singoli soggetti legittimati all'azione” (35).
Ne deriva che ne rimane estranea sia la tematica propria della annullabilità, in quanto “problema generale della corretta formazione della volontà dell'atto”, sia quella inerente alla nullità, in quanto “problema, altrettanto generale, dei limiti alla privata autonomia; più in generale vengono escluse le questioni sulla validità dell’atto, considerate secondo gli schemi propri del diritto civile (36).
I giudici pertanto concludono ritenendo che “il vero oggetto del controllo del Tribunale, in sede di omologazione, non è un controllo di validità sull'atto”, così come intesa in senso civilistico, “bensì un controllo di conformità, nel senso che acquista esclusivo rilievo la corrispondenza su un piano oggettivo tra la struttura sociale adottata (dai soci) e la struttura sociale prevista (dal legislatore). Il controllo del Tribunale, finalizzato al riconoscimento della persona giuridica e delle modificazioni della sua struttura organizzativa, è volto cioè a verificare la compatibilità tra il modello organizzativo prescelto, in sede di atto costitutivo e di modificazioni statutarie, ed il tipo legale della società cui detto modello dovrebbe corrispondere”.
Sono le stesse conclusioni alle quali era pervenuta la dottrina prima citata. Oggetto dell’indagine svolta dal Collegio non è l’atto negoziale portato alla sua attenzione, bensì la struttura organizzativa della società nella sua oggettività, così come viene a conformarsi per effetto della costituzione o dell’eventuale modificazione sopravvenuta (37).
4. Osservazioni conclusive
Occorre adesso, per non dilungarsi troppo in un discorso che, sebbene foriero di spunti interessanti, corra il rischio di frammentarsi in misura eccessiva, riprendere le linee essenziali di quanto finora considerato, per poter così pervenire a delle conclusioni che risultino coerenti con quanto finora rilevato, oltre che, naturalmente, con quanto disposto dal dettato normativo.
A tal fine si é osservato come in qualche modo sia in contrasto con il sistema delineato dal legislatore in materia di fusione il presentare un bilancio che, benché sostitutivo, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 2501 ter, non fornisca peraltro una visione sufficientemente aggiornata della situazione patrimoniale in cui versi la società. In tal modo i soci ed i terzi vengono privati della possibilità di poter valutare opportunamente la convenienza o meno dell’operazione loro proposta.
Si é anche rilevato d’altronde che occorre distinguere il momento in cui le perdite siano state accertate da quello in cui le stesse siano state ripianate, o comunque abbiano condotto ad una riduzione del capitale, e pertanto ad una loro formalizzazione. Da siffatta impostazione discende che, ove le perdite siano già state iscritte in bilancio, la presentazione di quest’ultimo per la deliberazione di fusione non possa essere considerata di ostacolo ad una ponderata valutazione da parte dei soci - o dei terzi in sede di opposizione - in ordine all’operazione (di fusione) che la società debba effettuare.
Pertanto alcuni problemi possono permanere solo con riguardo all’ipotesi in cui neanche il bilancio evidenzi le perdite di esercizio, in quanto in tal caso si avrebbe senz’altro un’informazione inadeguata, in quanto non aggiornata, o perlomeno incompleta, quasi certamente difettando inoltre dai soci e dai terzi l’effettiva conoscenza della stato finanziario della società.
Tali rilievi vanno adesso raffrontati e coordinati con le considerazioni in precedenza svolte sulle tematiche proprie dei procedimenti di omologazione. Il dubbio concerneva infatti la possibilità che il Tribunale potesse giungere ad esaminare tali vizi nell’ambito dei poteri ad esso concessi per lo svolgimento di una funzione che può dirsi omologatoria, e pertanto assolutamente non contenziosa.
Alla luce di quanto finora considerato, e prescindendo dalla qualificazione che possa essere concessa al vizio in questione, non sembra che l’Autorità giudiziaria possa, in sede di omologazione, denegare l’ordine di iscrizione, adducendo come ostativo alla prosecuzione del procedimento il non puntuale aggiornamento della situazione patrimoniale, ove d’altro canto sia stato osservato il disposto dell’art. 2501 ter, che si limita a prevedere la possibilità dell’utilizzo dell’ultimo bilancio entro un ambito determinato. I limiti disposti da quest’articolo peraltro sono essenzialmente temporali, e non riguardano la sua congruità.
Il giudizio di omologazione, si é rilevato, si sostanzia in una valutazione di conformità. Per ciò che concerne in particolare le modificazioni statutarie, ne discende che vadano senz’altro omologate quelle delibere, e i relativi atti in cui esse si sostanzino, che non incidano sugli elementi strutturali e funzionali richiesti dalla legge, ovvero li mantengano. E sempre per il caso che i suddetti elementi non vengano comunque vietati dalla legge nei confronti di quel determinato tipo societario, e non comportino una incompatibilità con quell’assetto della società che era stato posto in essere al momento della costituzione.
Nel caso in esame, il mancato aggiornamento della situazione patrimoniale, non comporta un’incidenza nei confronti dello schema sociale, tale da renderlo incompatibile con il modello tipologico previsto dal legislatore (38).
Per cui, in conclusione, si osserva che gli eventuali elementi che comportino un’invalidità della deliberazione, non siano di per sé sufficienti a motivare il rifiuto dell’omologazione, ma lo saranno proprio in quanto il vizio sia anche causa di un vero e proprio “difetto tipologico del nuovo assetto societario” (39).
Ciò non toglie peraltro che il vizio in questione, qualora non influenzi la struttura societaria come delineata dalla legge, non possa trovare una sua tutela. Ma tale salvaguardia sarà frutto non di un accertamento ex officio svolto dal giudice dell’omologazione, ma troverà il suo giusto soddisfacimento nelle opportune sedi contenziose, in virtù dell’istanza dei soggetti a ciò legittimati, in quanto in qualche misura lesi dai comportamenti posti in essere dagli amministratori e quindi, più in generale, dalla società (40).
Il seguire una simile impostazione, lungi quindi dal voler negare alcuna forma di protezione a soci e terzi da operazioni “non trasparenti” della società, comporta l’indiscutibile pregio di evitare di irrigidire ulteriormente i procedimenti in materia di fusione i quali, a scapito della celerità che normalmente sarebbe necessaria nell’ambito delle operazioni commerciali e finanziarie, già risentono di notevoli appesantimenti, peraltro giustificati da ineludibili finalità di controllo e di tutela.
(1) Peraltro rilevante, essendo il suo capitale sceso, da L. 3.600.000.000 a L. 600.000.000.
(2) Si veda A. PICCIAU: Osservazioni alle istruzioni del Tribunale di Milano per le omologazioni in materia di fusione, in nota alle Direttive del Tribunale di Milano in materia di fusioni e di scissioni in applicazione del D.L. 16 gennaio 1991, n. 22, in Giur. it., 1991, II, 496, o in Soc., 1991, 7, pag. 1005.
Di diverso avviso sembra essere invece A. MIGLIETTA, in Le valutazioni nelle operazioni di fusione, Milano, 1991, pag. 35 ss.
Sul valore da dare alle massime e agli orientamenti dei Tribunali, si veda L’omologazione degli atti societari, gli “opinamenti” e le cosiddette “massime” elaborate dai Tribunali, di A. JEMMA, in Vita not., 1984, I, pag. 516 ss.
(3) Vedi Tribunale di Milano, nelle Direttive, sopra cit., all. 1, 6. Si veda inoltre sul tema: A. SERRA-M. S. SPOLIDORO: Fusioni e scissioni di società (commento al d.lg. 16 gennaio 1991, n. 22), Torino, 1994, pag. 48. E inoltre la voce Situazione patrimoniale, nel Commentario al codice civile, diretto da P. CENDON, 1995, Torino, Appendice di aggiornamento, I, pag. 265 ss.
Sul valore da dare alle massime e agli orientamenti dei Tribunali, si veda L’omologazione degli atti societari, gli “opinamenti” e le cosiddette “massime” elaborate dai Tribunali, di A. JEMMA, in Vita not., 1984, I, pag. 516 ss.
(4) Essa va considerata la base informativa di partenza, per le valutazioni da effettuare riguardo il progetto, come sostiene P. MARCHETTI, in: Appunti sulla nuova disciplina delle fusioni, in Riv. not., 1991, pag. 33.
Anche per N. GASPERONI: Trasformazione e fusione delle società, in Enc. dir., Milano, 1992, pag. 1056, essa ha una funzione essenzialmente informativa. Vanno peraltro conciliate l’esigenza di una tempestività della situazione patrimoniale con i tempi peraltro necessari per la sua redazione. Le eventuali irregolarità che si manifestino nell’adozione del bilancio di fusione, continua questo autore, sono in grado di influire sulla validità della delibera in considerazione, traducendosi in uno di quei vizi procedimentali per i quali viene fatta applicazione dell’art. 2377 c.c.
Secondo un altro autore, essa, invece, non è strumento unico ed esclusivo di tutela dei creditori, in quanto, essendo riferita ad un’epoca ragionevolmente prossima alla deliberazione di fusione, ma di certo non al suo atto finale, non riporta, né potrebbe farlo, gli eventi che potrebbero modificare le rispettive situazioni nel lasso di tempo, talora anche abbastanza lungo, che intercorre tra l’epoca della prima rilevazione e quella della rilevazione d’apertura del nuovo organismo; si veda S. FORTUNATO: Capitale e bilanci nella s.p.a., in Riv. delle soc., 1991, I, pag. 180, per il quale la situazione patrimoniale dovrebbe offrire solo “il criterio guida per la futura rilevazione dell’organismo produttivo integrato”.
(5) Secondo C. RUPERTO - V. SGROI, in Nuova rassegna di giurisprudenza sul codice civile, Milano, 1994, V, pag. 1871, “ la prevalente giurisprudenza appare propensa a ritenere che, anche quando il vizio denunciato attenga ad una volontaria alterazione dei dati informativi, la delibera di fusione non cessa di avere oggetto lecito e possibile, mentre illecito è un elemento del procedimento idoneo ad influire sulla formazione della volontà assembleare. Perciò il vizio denunciato, attinente al difetto di informazione, configurerebbe un vizio della delibera integrante ragioni di annullamento e non di nullità per illiceità dell’oggetto”. Importanti sul punto: Corte di Appello di Genova, del 23 ottobre 1990, in Giur. comm., 1992, II, pag. 270, la quale, dispone che “il controllo di legittimità attribuito al giudice può condurre a dichiarare l’invalidità della delibera, che risulti assunta sulla base di elementi informativi non veri o del tutto inadeguati ad offrire una veridica ricostruzione delle condizioni patrimoniali della società”; e Tribunale di Genova del 3 novembre 1988, in Soc., 1989, pag. 481, per il quale “all’assemblea deve essere data una congrua informazione che, in mancanza di una indicazione della legge, deve essere volta per volta elaborata in modo da rendere possibile e consapevole la decisione dei soci, i quali devono essere posti in grado, in assemblea o prima della riunione, di conoscerne le ragioni ispiratrici, la situazione reale del patrimonio sociale e il nuovo assetto delle quote di capitale”. Per C. SANTAGATA, che commenta la sopraccitata decisione, l’informazione deve peraltro essere preventiva ed adeguata, e non occasionata soltanto da eventuali ed estemporanee sollecitazioni del socio in sede assembleare.
Favorevole invece all’affermazione che il suddetto vizio della situazione patrimoniale determinerebbe la nullità della deliberazione di fusione, ai sensi dell’art. 2379 c.c., è la decisione del Tribunale di Milano, del 18 ottobre 1970, in Giur. it. 1971, I, 2, 399, in quanto la suddetta situazione deve essere adeguata alla funzione particolare che è chiamata, come il bilancio, a soddisfare, ossia “la conoscenza dell’effettivo rapporto esistente fra i patrimoni della società partecipanti alla fusione e dell’attitudine dei beni originari a produrre reddito una volta inseriti nel contesto della nuova impresa”.
(6) Vedi Cassazione 13 febbraio 1978, n. 660, in Giur. comm., 1978, II, pag. 665, con nota di G. GRIPPO, Incorporazione di una società per azioni esercente il credito in un istituto di diritto pubblico, pregiudizio dello status socii e situazione patrimoniale.
Si vedano anche gli Orientamenti interpretativi del Tribunale di Napoli, trasmessi al Consiglio notarile di Napoli il 12 luglio 1991, in Riv. not., 1991, 3, pag. 1112, dove si sostiene peraltro, anche in parziale disaccordo con le Direttive del Tribunale di Milano, prima cit., che “certo l’aggiornamento della situazione patrimoniale, imposto dal limite di retrodatazione della stessa, in tanto ha senso in quanto l’approvazione del progetto segua a breve distanza di tempo”.
(7) La sentenza è la 22 luglio 1994, n. 6828, pubblicata in Soc., 1994, 11, pag 1493.
(8) Le motivazioni riportate in questa sentenza permettono inoltre di superare quelle, eccessivamente rigorose, addotte da Appello di Venezia, del 20 luglio 1990, in Soc., 1990, II, pag. 1641, con nota di G: CABRAS, la quale espressamente dispone che ai fini di una delibera di fusione fosse comunque necessaria una situazione patrimoniale che avesse tenuto conto di tutti i mutamenti intervenuti sino a quel momento.
(9) Per l’art. 2446 del codice civile “quando risulta che il capitale è diminuito di oltre un terzo in conseguenza di perdite gli amministratori devono senza indugio convocare l’assemblea per gli opportuni provvedimenti.
All’assemblea deve essere sottoposta una relazione sulla situazione patrimoniale della società, con le osservazioni del collegio sindacale.
La relazione degli amministratori con le osservazioni del collegio sindacale deve restare depositata in copia nella sede della società durante gli otto giorni che precedono l’assemblea, perché i soci possano prenderne visione.
Se entro l’esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo, l’assemblea che approva il bilancio di tale esercizio deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate. [...]”. Si vedano sul punto: G. FRE’, Società per azioni, in Comm. del cod. civ., a cura di A Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1982, pag. 820 ss. U. BELVISO, voce Le modificazioni dell’atto costitutivo, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, vol. 17, Torino, 1985, pag. 131 ss. G. F: CAMPOBASSO, Diritto commerciale, II. Diritto delle società, Torino, 1992, pag. 454 ss. F. FERRARA jr. - F. CORSI, Gli imprenditori e le società, Milano, 1995, pag. 632 ss. R. NOBILI- M. S. SPOLIDORO, voce Riduzione del capitale, in Trattato delle società per azioni, diretto da G. E. Colombo e G. B. Portale, Torino, 1993, pag. 336 ss.
(10) Principio che, si è visto, era stato ribadito anche dalla sentenza della Cassazione, 22 luglio 1994, n. 6828, prima cit.
(11) D’altronde vari autori ritengono che non occorra apprestare una nuova situazione patrimoniale se, fra l’inizio del procedimento di fusione e l’assemblea convocata per approvare il progetto, maturi la chiusura di un altro esercizio. Sul punto si vedano SERRA- SPOLIDORO: Fusioni e scissioni di società, cit., pag. 48; e C. SANTAGATA, per il quale la necessità di una nuova situazione patrimoniale deriverebbe dal verificarsi di mutamenti sostanziali, capaci di influire sulla valutazione circa l’opportunità dell’operazione; vedi: La fusione tra società, Napoli, 1964, pag. 287 ss. Può essere utile, per fini comparatistici, esaminare quanto dallo stesso autore scritto in: Fusione tra società, in I grandi problemi della società per azioni nelle legislazioni vigenti, a cura di M. Rotondi, Padova, 1976.
(12) Quest’ultima soluzione però, va rilevato, potrebbe essere da qualcuno accolta con qualche riserva. Non va dimenticato infatti che comunque un bilancio siffatto fornirebbe una configurazione dello stato finanziario della società sufficientemente adeguata, è vero, ma comunque non del tutto aggiornata, né completa, in quanto difetterebbe comunque della menzione, non di poco rilievo, dell’avvenuta riduzione del capitale, e quindi, in sostanza, dell’impossibilità per la società di aver potuto ripianare le perdite, nonché della definitività di tale situazione. Da ciò discenderebbe la possibilità comunque di una lesione degli interessi dei creditori sociali, oltre che dei soci stessi, anche se, è bene ribadirlo, l’accoglimento dell’impostazione prospettata impedirebbe l’eccessivo irrigidimento, almeno in questo ambito, del procedimento di fusione. Non va dimenticato inoltre che nel caso portato all’attenzione della Tribunale di Napoli, le quote della società incorporanda erano interamente possedute dall’ente incorporante, per cui almeno sotto il profilo della garanzia dei soci, non si dovrebbero porre eccessivi problemi di tutela.
(13) Si veda U. MORERA, in L’omologazione degli statuti di società, Milano, 1988, pag. 152, che riporta una serie di autori e di decisioni giurisprudenziali sul tema. Tra questi possono essere ricordati: G. FERRI, Le società, in Commentario del codice civile, a cura di G. Scialoja - A. Branca, pag. 607; G. SANTINI, Società a responsabilità limitata, dal Commentario Scialoja-Branca, Bologna, 1964, pag. 64; F. FERRARA jr - F. CORSI, Gli imprenditori e le società, cit., pag. 530 ss.; A. PAVONE LA ROSA, Il registro delle imprese, contributo alla teoria della pubblicità, Milano, 1954, pag. 627; F. GALGANO, La società per azioni, in Trattato di diritto commerciale, diretto da F. Galgano, VII, Padova, 1988, pag. 91; D. CORAPI, Gli statuti delle società per azioni, Milano, 1971, pag. 273; V. SALANDRA, Manuale di diritto commerciale, I, Bologna, 1949, pag. 256; G. ROMANO PAVONI, Teoria delle società. Tipi - Costituzione, Milano, 1953, pag. 331; R. MICCIO, La Giurisdizione volontaria in materia di società. Il limite del controllo del giudice, in Giust. civ., 1951, pag. 221 ss.; F. Di SABATO, Manuale delle società, Torino, 1992, pag. 265; M. CASANOVA, Impresa e azienda, in Tratt. di dir. civ., X, diretto da F. Vassalli, Torino, 1974, pag. 231; G. COTTINO, voce Società per azioni, in Noviss. Digesto ital., diretto da A. Azara ed E. Eula, XVII, Torino, 1970, pag. 587.
Si vedano inoltre: G. MINERVINI, in L'attuale stato della pubblicità legale delle imprese commerciali, in Riv. notar., 1980, p. 629 ss.; S. BANDIERAMONTE - G. DE STEFANO, Contenuto e limiti dell'omologazione degli atti societari, in Vita not. 1984, pag. 1726; F. SCARDULLA, La trasformazione e la fusione della società, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu e F. Messineo, continuato da L. Mengoni, vol XXX, t. 2, Milano, 1989, pag. 377. E di recente G. LAURINI - L. SALVATO - F. FIMMANO’, Statuti e atti societari nella giurisprudenza onoraria., 1996, Milano, pag. 3 ss.
Per G. MARASA’, in Modificazioni statutarie- Recesso- Riduzione del capitale, in Trattato delle società per azioni, diretto da G. E. Colombo e G. B. Portale, Torino, 1993, pag. 54-55, non è oggetto di sindacato il merito della deliberazione, ma la sua legittimità; sono controversi i limiti del controllo, ma sembra da condividere l’opinione che ritiene che possa essere sindacato qualsiasi vizio di legittimità della delibera.
Le decisioni sono numerose. Si possono in questa sede ricordare: Appello di Torino, del 9 marzo 1984, in Vita not., 1984, II pag. 1609; e per il concetto di legittimità formale, (contrapposto a quello di legalità sostanziale, che si vedrà più avanti): Tribunale di Messina, del 13 ottobre 1993, in Dir. fall., 1994, II, pag. 1001, con nota di F. CINTIOLI; e Tribunale di Genova, del 23 agosto 1951, in Temi gen., 1951, 586, ed in Monit. trib., 1952, pag, 57. Nonché la casistica riportata da MORERA, cit., alla nota 20 di pag. 152.
(14) Questa tesi è stata sostenuta da diversi autori, riportati peraltro da U. MORERA, in L’omologazione degli statuti di società, cit., a pag, 156, note 23, 24. Ritroviamo fra i principali sostenitori di questa opinione: F. MESSINEO: Opposizione di merito a iscrizione di delibera d'assemblea nel registro delle imprese?, in Studi di diritto delle società, Milano, 1958, pag.120 ss.; e G. MINERVINI, Società per azioni (Rassegna di diritto comparato italosvizzero), in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1950, a pag. 239; e anche M. GHIDINI, Il registro delle imprese, Milano, 1943, pag. 28, secondo il quale, anche se con specifico riferimento al controllo ex secondo comma dell’art. 2189, “d'altra parte, nel campo delle società, l'iscrizione di un atto costitutivo nullo non determina alcuna conseguenza pericolosa, potendosi tutt'al più provocare la liquidazione della società, come vedremo commentando l'art. 2332; a che pro quindi indagare in ordine alla validità o meno dell'atto costituivo, al momento dell'iscrizione?”. Quest’ultimo autore è stato peraltro criticato da A. PAVONE LA ROSA, in: Il controllo giudiziario degli atti sociali annullabili, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1952, pag. 346 ss.
(15) Vedi U. MORERA, in L’omologazione degli statuti di società, cit., pag. 164, per il quale, “se è indubbio che esistano punti di contatto tra i due controlli, la differenza tra i due sindacati ci pare profonda e qui va sottolineata dovutamente”. Sempre a sostegno di tali opinioni viene compiuta alla nota 32 di pag. 163, dell’opera cit., un’accurata rassegna di tutti quegli autori -che per lo stesso Morera costituiscono dottrina unanime e consolidatissima- i quali ritengono l’indagine svolta dall’ufficio del registro delle imprese non possa giungere a sindacare i requisiti di validità dell’atto portato alla registrazione. Fra i principali possono ricordarsi: G. FERRI, Poteri e arbitri dei giudici del registro delle imprese, in nota a: Tribunale di Milano, 17 novembre 1969; Tribunale di Viterbo, 10 dicembre 1969; Appello di Milano, 17 novembre 1969, in Riv. dir. comm., 1970, 11, pag. 140 ss.; F. GALGANO, Le società in genere. Le società di persone in Tratt. di dir. civ. e comm., fondato da A. Cicu e F. Messineo, XXVIII, Milano, 1982, pag. 376; E. BOCCHINI, La pubblicità delle società commerciali, il procedimento, Napoli, 1971, pag. 44 ss.; G. MINERVINI, Gli amministratori di società per azioni, Milano, 1956, pag. 249; A. NIGRO, Le imprese commerciali e le altre imprese soggette a registrazione, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, 15, 2, Torino, 1986, pag. 1302 ss.; G. RAGUSA MAGGIORE, L'iscrizione nel registro delle imprese, il procedimento e le impugnazioni, in Dir. fallim. 1987, I, pag. 31 ss.; G. DE GENNARO, L'iscrizione degli atti societari, in Riv. soc., 1956, pag. 230 ss.; A. FUSARO, La durata delle società di persone e i diritti del creditore particolare del socio, in Contratto e impresa, 1987, pag. 521 ss.
Di opinione contraria è invece PAVONE LA ROSA: Il registro delle imprese, contributo alla teoria della pubblicità, cit., pag. 596 ss.
Ma sono a favore della tesi sopra esposta, ossia che sia sottratto al conservatore dei registri immobiliari qualsiasi controllo sulla validità degli atti soggetti a trascrizione: D. RUBINO, L'ipoteca immobiliare e mobiliare, in Tratt. di dir. civ. e comm., XIX, diretto da A. Cicu e F. Messineo, Milano, 1956, pag. 319 ss.; e F. S. GENTILE, La trascrizione immobiliare, Napoli, 1959, pag. 607 ss.; M. D'ORAZI FLAVONI, voce Conservatore dei pubblici registri, in Enc. del dir., IX, Milano, 1961, pag. 162 ss. Cassazione, 5 ottobre 1960, n. 2564, in Foro it., 1960, 1, c. 1684, secondo la quale il controllo deve rimanere circoscritto all'esame della “forma” dei titoli. Discorso analogo può essere effettuato per gli altri registri immobiliari (aeronautico, automobilistico, ...).
(16) Vedi U. MORERA, cit., pag. 170; nonché L. GIACCARDI MARMO: I poteri del Tribunale in sede di omologazione degli atti delle società commerciali, in Riv. dir. comm. 1974, pag. 154.
(17) Sempre MORERA, cit., alla nota 25 a pag. 156, dà un’elencazione precisa dei sostenitori della teoria della limitazione dell’esame alle sole cause di nullità. Tra gli autori riportati vanno ricordati: A. PAVONE LA ROSA, Il registro delle imprese, contributo alla teoria della pubblicità, cit., pag. 628 ss.; e, Il controllo giudiziario, cit., p. 343 ss.; e A. GRAZIANI, Diritto delle società, Napoli, 1963, pag. 209; e A. GRAZIANI - G. MINERVINI, Manuale di diritto commerciale, Napoli, 1974, pag. 105; inoltre T. ASCARELLI, Vizi delle deliberazioni assembleari e tutela dei terzi, in Banca borsa, tit. cred. 1954, I, pag. 133 ss.; sempre dello stesso autore: L'interesse sociale dell'art. 2441 cod. civile. La teoria dei diritti individuali e il sistema dei vizi delle deliberazioni assembleari, in Riv. soc., 1956, alla nota 5 di pag. 107; dello stesso autore: Nullità di clausole statutarie, vizi delle adesioni e art. 2332 c.c., in Banca, borsa, tit. cred. 1955, 1, pag. 47; G. COTTINO: Sulla disciplina dell'invalidità del contratto di società di persone, in Riv. dir. civ., 1963, I, alla nota 74 di pag. 298; G. OPPO, Forma e pubblicità nelle società di capitali, in Studi in onore di A. Segni, III, Milano, 1967, pag. 537 ss.; D. CORAPI, Gli statuti delle società, cit., alla nota 30 di pag. 274; V. SALAFIA, Aspetti generali dei procedimenti di omologazione, in Soc., 1982, pag. 116 ss.; e inoltre, Limiti del controllo giudiziario sugli atti societari, in Soc. 1984, II, pag. 1213 ss.; A. PATRONI GRIFFI, Il controllo giudiziario sulle società per azioni, Napoli, 1971, pag. 161, nota 29; U. BELVISO, Le modificazioni dell'atto costitutivo nella società per azioni, cit., pag. 72; S. BANDIERAMONTE-G. DE STEFANO, Contenuto e limiti dell'omologazione degli atti societari, cit.; C. SANTAGATA, La fusione tra società, cit., pag. 310, nota n. 380; R. RORDORF, in Il procedimento di omologazione degli atti societari, in Soc., 1984, II, pag. 1114 ss.; D. DI GRAVIO, Gli effetti di una preposizione semplice (in o di) nelle trasformazioni societarie, in nota a Tribunale di Sulmona, 19 luglio 1984 e Appello dell’Aquila, 8 agosto 1984, in Temi romana, 1984, pag. 604; E. DI LORENZO, Validità e limiti della clausola di stile con cui si delega agli amministratori il potere di apportare all'atto costitutivo ed allo statuto le eventuali modifiche “richieste” dal tribunale in sede di omologazione, in Riv. soc., 1968, pag. 164; L. RAGAZZINI, L'omologazione delle società di capitali nella legge e nella pratica, Roma, 1984, pag. 15.
Propendono inoltre per la tesi in esame (che esclude la rilevabilità dei motivi di annullabilità) sia V. SALAFIA, in I limiti del giudizio di omologazione, in Attualità e limiti del controllo giudiziario sugli atti societari, Atti del Convegno di Studi di Napoli, del 6-7 aprile 1984, pag. 25 ss., nonché G. MINERVINI, Relazione di sintesi, ivi pag. 133 ss. Contra invece, F. DI SABATO, in Controllo sugli atti e controllo sulla gestione, ivi, pag. 89 ss. In tale convegno venivano poste in luce le evidenti problematiche in ordine al controllo omologatorio, tra le quali anche quelle in ordine all’utilità del doppio controllo, del notaio e del Tribunale. Per tutti vedi L. BAUSI, Intervento conclusivo del rappresentante del Governo, ivi, pag. 145.
Fra le decisioni della giurisprudenza recente, si vedano: Tribunale di Messina, del 13 ottobre 1993, cit.; Appello di Milano, del 20 maggio 1991, in Impresa, 1991, pag. 2875. E Appello di Napoli, del 27 febbraio 1984, in Soc., 1984, II, pag. 1231, che dispone che “il Tribunale non può rilevare ogni difetto dell’atto rispetto alle condizioni per esso previste dalla legge, ma solo quelle consistenti in violazioni di norme poste a tutela di un interesse generale e che producono la nullità dell’atto stesso”. Questo decreto riforma quello recentemente emanato dal Tribunale di Napoli, del 29 dicembre 1983, in Soc., 1984, I, pag. 895, il quale riteneva rilevabile “ogni difetto dell’atto rispetto alle condizioni per esso previste dalla legge, indipendentemente che produca nullità o annullabilità”.
Si vedano inoltre sempre sul tema dell’omologazione: DINI R., Delle omologhe dei verbali di assemblee, Orientamenti dei Tribunali di Milano e d’Italia in tema di giurisprudenza societaria, Fenice 2000, 1994, pag. 49 ss.; in relazione alle fusioni, a pag. 191 ss. E gli interventi di vari magistrati in Il procedimento di omologazione degli atti societari, cit., pag. 1097 ss. E A. DI FRANCIA, La omologazione degli atti delle società per azioni nella giurisprudenza, Milano, 1987, pag. 1 ss. e pag. 441 ss. E inoltre, Quattro anni di rilievi del Tribunale di Roma per l’omologazione degli atti societari, a cura di A: JEMMA, in Vita not., 1985, II, pag. 1368 ss.
(18) Tra i maggiori fautori di questa tesi, vedi: G. ROMANO PAVONI, Le deliberazioni della assemblee delle società, Milano, 1951, pag. 254; FERRARA Jr.-CORSI, Gli imprenditori e le società, cit., alla nota 3 di pag. 516; G. SANTINI, Società a responsabilità limitata ,cit., pag. 65; D. MIGLIORI, La giurisdizione volontaria nella pratica notarile, in Collana di studi notarili, diretta da Galli-Orsi, I, Torino, 1975, alla nota 20 di pag. 95, e alla nota 24 di pag. 98; G. RACUGNO, Società a responsabilità limitata, in Giur, comm. 1981, 1, pag. 604 ss.; A. BORGIOLI, La nullità della società per azioni, Milano, 1977, pag. 228 ss. e 466 ss.; G. MONTEDORO, La “legalità sostanziale” nel controllo giudiziario delle delibere societarie, in Giust. civ., 1986, II, pag. 461 ss. Assumono posizioni analoghe, anche se non del tutto coincidenti: L. GIACCARDI MARMO, I poteri del tribunale, cit., pag. 155 ss.; G. FERRI, Le società, cit., pag. 607 ss.; G. FRE’, Società per azioni, cit., pag. 81 ss.; V. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, IV, Napoli, 1968, pag. 518; nonché A. DE MARTINI, La tutela delle minoranze nel controllo giudiziario sugli atti delle società, in Riv. dir. comm., 1953, 1, alla nota 24 di pag. 38.
Le decisioni giurisprudenziali favorevoli alla rilevabilità anche dei motivi di annullabilità sono numerose. Possono ricordarsi: Tribunale di Napoli dell’8 luglio 1993, in Riv. not., 1992, II, pag. 873, con nota di F. FIMMANO’; sempre lo stesso Collegio, del 18 gennaio 1989, in Soc., 1989, II, pag. 839, con nota di R. DONNINI; Tribunale di Napoli, del 12 gennaio 1989, in Giur. comm., 1989, II, pag. 426, con nota di G. ZANINI; Tribunale di Verona, del 9 luglio 1988, in Soc., 1988, II, pag. 1276; Tribunale di Napoli, del 29 dicembre 1983, cit.; Tribunale di Roma, del 1° febbraio 1980, in Giust. civ., 1980, I, pag. 1411, con nota di M. BUSSOLETTI.
Si veda inoltre la ricca casistica di pronunce, nonché le raccolte richiamate, riportate da MORERA, cit., nota 26 , pag. 159.
(19) Vedi L. GIACCARDI MARMO: I poteri del Tribunale in sede di omologazione degli atti delle società commerciali, cit., pag. 155. Per PAVONE LA ROSA, in: Il registro delle imprese, contributo alla teoria della pubblicità, cit., pag. 632 ss., riportato da U. MORERA, cit., a pag. 171, peraltro l’ammettere la possibilità di negare l’omologazione di una delibera assembleare annullabile condurrebbe, nel caso in cui la pubblicità abbia un carattere dichiarativo, a rendere non più impugnabile un atto sociale comunque efficace, dal momento che i termini dell’azione decorrerebbero dall’iscrizione nel registro, secondo quanto disposto dall’art. 2377 c.c., venendo in tal modo a ledere gravemente il diritto all’impugnativa dei soggetti legittimati.
(20) Così U. BELVISO, in: Le modificazioni dell’atto costitutivo nelle società per azioni, riportato da MORERA, cit., a pag. 172.
(21) Così ROMANO PAVONI, in Le deliberazioni della assemblee delle società, cit., pag. 254, e in Teoria delle società, Tipi, costituzione, Milano, 1953, pag. 335, come riportato da L. GIACCARDI MARMO: I poteri del Tribunale in sede di omologazione degli atti delle società commerciali, cit., a pag. 173.
(22) Si vedano tra le altre: Appello di Catanzaro, del 18 gennaio 1989, in Soc., 1989, I, pag. 300; Tribunale di Napoli, del 12 gennaio 1989, cit.; Tribunale di Salerno, del 28 dicembre 1973, in Giur. comm., 1974, II, pag. 682; Appello di Genova, del 18 gennaio 1962, in Foro it., 1962, I, 775; Appello di Torino, del 27 gennaio 1955, in Giur. it., 1955, I, 2, pag. 735; e in Riv. notar., 1955, pag. 471; e in Vita notar., 1955, pag. 163; Appello di Firenze, del 3 marzo 1952, in Dir. fall., 1952, II, pag. 491; e Appello di Torino, del 6 giugno 1949, in Giur. it., 1949, I, 2, 420, con la nota a col. 583; e in Foro it., 1950, I, 340 (n.). In dottrina possono invece essere ricordati: G. COTTINO, voce Società per azioni, cit., pag. 587; G. ROMANO PAVONI, Teoria delle società, cit., pag. 331; e F. GALGANO, La società per azioni, cit., pag. 91.
(23) Così A. BORTOLUZZI: In tema di omologazione degli atti societari, in Vita notar. 1995, pag. 1606.
Negano peraltro che la legalità sostanziale possa condurre fino a sindacare il merito della deliberazione: Appello di Torino, del 27 gennaio 1955, e Appello di Firenze, del 3 marzo 1952, entrambe cit. alla nota precedente.
Per G. FERRI, in Manuale di diritto commerciale, a cura di C. Angelici-G. B. Ferri, Torino, 1993, a pag. 358-359, l’esame investe anche “la validità sostanziale dell’atto costitutivo e delle sue clausole, per cui l’omologazione può essere negata non soltanto quando risulti l’inosservanza di una norma riguardante la formazione della società, ma anche quando una clausola dell’atto costitutivo sia contraria a norme imperative di legge”.
(24) Questa opinione é condivisa anche da MORERA, cit., a pag. 154, che afferma che tali formule, se pur importanti per meglio inquadrare il fenomeno, erano peraltro assolutamente vaghe, non essendo utili a delineare, con la dovuta esattezza, i limiti e l’estensione del controllo in esame”.
(25) Per V. SALAFIA, in Omologazione e pubblicità in rapporto all’efficacia delle deliberazioni modificative dell’atto costitutivo, in Impresa e tecniche di documentazione giuridica, IV, Atti del convegno di Roma, 27- 28 settembre 1990, Roma, 1991, si tratta di un controllo preordinato in generale esclusivamente all’iscrizione, ma inidoneo, benché svolto dall’Autorità giudiziaria, a conferire all’atto un definitivo riconoscimento di legittimità; questo effetto, nel nostro ordinamento, può derivare solo da pronunce giudiziarie emesse nel contraddittorio delle parti interessate, sui cui diritti esse incidono mentre il controllo di cui qui si parla promana da una giurisdizione di mero diritto oggettivo, volta cioè a confrontare l’atto con le regole che lo governano”.
(26) Per il terzo comma dell’art. 2330 c.c.: “Il Tribunale verificato l’adempimento delle condizioni stabilite dalla legge [...] ordina l’iscrizione della società nel registro”; per il secondo comma dell’art. 2411 c.c.: “Il Tribunale verificato l’adempimento delle condizioni richieste dalla legge [...] ordina l’iscrizione nel registro delle imprese”; L’art. 2436 c.c., infine, opera un rinvio a quanto disposto dall’art. 2411.
(27) Vedi S. TONDO: Appunti sul ruolo del notaio nella pubblicità del registro delle imprese” in Trasparenza e pubblicità nell’attività d’impresa, Atti del XXXIV Congresso nazionale del notariato, Genova 29 settembre-3 ottobre 1994, Roma, 1994, a pag. 268
(28) Così U. MORERA, in L’omologazione degli statuti di società, cit., pag. 184, il quale continua asserendo che “il vero oggetto del controllo omologatorio non è affatto rappresentato dalla deliberazione modificativa, bensì ed esclusivamente, dall’atto costitutivo e dallo statuto “risultanti” dalla modifica. Accennano anche ad un giudizio di conformità: G. ROMANO PAVONI, Teoria delle società, cit., pag. 331; nonchè D. CORAPI, Gli statuti delle società per azioni,cit., pag. 273.
(29) Vedi C. ANGELICI, La società nulla, Milano, 1975, pag. 219.
(30) “E non pare che rilevi alcunché la circostanza che la mancata osservanza di tale disposizione potrebbe dar luogo, in un eventuale giudizio contenzioso, all’annullamento della deliberazione omologata”. Così V. BUONOCORE, Deliberazione di modifica dell’atto costitutivo e poteri dell’autorità giudiziaria in sede di omologazione, in Studi economico - giuridici, a cura dell’Università di Cagliari, vol. XLIV, II, 1966, Padova, pag. 495.
(31) Per Tribunale di Napoli, del 23 luglio 1993, in Foro it., 1994, I, 235, “il sindacato del Tribunale [...] é finalizzato al riscontro della perdurante conformità dell’atto allo schema di legge”. Per Appello di Genova, del 21 febbraio 1989, in Soc., 1989, pag. 625, “il giudice deve limitarsi a verificare la conformità dell’atto ed allo statuto”. Per Appello di Cagliari, del 5 marzo 1984, in Foro it., 1985, I, pag. 1171, “il giudice deve verificare la conformità dell’atto alla legge od allo statuto indipendentemente dalla natura dei vizi rilevabili non sussistendo coincidenza tra area della “validità” ed area della “omologazione”. Per Appello di Napoli, del 12 ottobre 1978, in Riv. not., 1979, II, pag. 271, il controllo “é circoscritto alla mera verifica dell’adempimento delle condizioni richieste dalla legge”.
(32) Riportato in Soc., 1993, pag. 200.
(33) Sulla natura non contenziosa del giudizio di omologazione, e sulla sua ricomprensione nell’ambito dei procedimenti di volontaria giurisdizione, si vedano: C. ANGELICI: Modificazioni dell’atto costitutivo e omologazione, in Giur. comm,. 1994, I, pag. 631. G. FRE’: Società per azioni, cit., pag. 753. E G. C. CAMPOBASSO,: Diritto commerciale. II. Diritto delle società, cit., pag. 438.
In giurisprudenza si vedano: Cassazione 27 gennaio 1989, n. 37 (ordin.), in Foro. it., massim., 1989, pag. 2-3, secondo la quale il procedimento di omologazione ha “natura sostanzialmente amministrativa”. Cassazione 14 giugno 1988, n. 4823, con nota di S. BRAVO, in Giur. it., 1989, I, col. 865, per la quale detto procedimento “ha natura non contenziosa e deve ricondursi nell’ambito dei provvedimenti di volontaria giurisdizione”, donde “ne discende l’inammissibilità del ricorso per Cassazione anche se proposto in base al disposto dell’art. 111, 2° comma, Cost. Inoltre Tribunale di Genova, del 7 gennaio 1989, in Soc., 1989, pag. 523. E Tribunale di Napoli, del 21 luglio 1986, in Vita not., 1987, pag. 349.
(34) Tutelando in tal modo, “in via principale, l'interesse pubblico, generale ed inderogabile, al legittimo “nascere” - momento costitutivo - e “rimanere in vita” - momento modificativo - di una persona giuridica, e solo in via eventuale ed indiretta gli interessi particolari dei soci e dei terzi”.
(35) Sul punto, ossia sulla profonda diversità intercorrente tra il procedimento contenzioso e quello volntario, in ordine al contenuto, alla funzione, agli interessi protetti ed agli effetti a prodursi, si veda anche BUONOCORE, cit., pag. 495, 496.
(36) Sempre il Tribunale di Potenza, 21 maggio 1992, cit., afferma inoltre che, “detto che neppure appare appagante, ai fini di una corretta impostazione del problema, ricondursi ad un criterio discriminativo tra violazione di norme imperative da un lato e violazione di norme non imperative dall'altro, si osserva come la sottolineata non coincidenza tra l'area della validità e quella della omologabilità non solo può considerarsi in armonia con i principi generali vigenti in materia pubblicitaria (apparendo sicuramente ammissibile il diniego di iscrizione per atti che non possono essere considerati invalidi: come nelle ipotesi di mancato versamento dei decimi, ovvero carenza di autorizzazione alla costituzione), quanto trova conforto altresì nei motivi stessi che indussero il legislatore ad introdurre il controllo omologativo sugli atti comportanti modificazioni dell'assetto societario (opportunità di verificare che, attraverso la delibera, non venisse modificata una struttura societaria che era stata originariamente giudicata conforme al corrispondente modello tipologico in modo cogente dalla legge).
Sempre sulla diversità tra giudizio di omologazione e giudizio di impugnativa delle deliberazioni assembleari, si veda Appello di Roma, 30 ottobre 1980, in Soc., 1982, pag. 14.
(37) Per BUONOCORE, cit., pag. 496, 497, l’oggetto dell’indagine del giudice consisterà nell’esame “del testo della deliberazione, del verbale dell’adunanza e degli eventuali documenti prescritti o volontariamente allegati: nulla esclude, peraltro [...] che il giudice stesso possa chiedere chiarimenti agli organi della società e possa tener conto di eventuali esposti dei soci che, in linea di fatto, abbiano richiamato l’attenzione del Tribunale sugli elementi censurabili della deliberazione presentata”.
Inoltre non va dimenticata la presenza in tale giudizio, del pubblico ministero, il quale esprime il suo parere in ordine alla delibera sottoposta all’attenzione del Collegio.
(38) Qualche problema potrebbe semmai porsi in ordine alla difficoltà, in taluni casi particolari, nello scorgere le caratteristiche distintive, tipologiche, dei diversi modelli societari, anche per la precipua configurazione loro data dal codice civile. Tali casi si possono riscontrare, ad esempio, quelle volte in cui la disciplina delle s.r.l. faccia riferimento a quella delle s.p.a., ponendo il dubbio, qualora tale rinvio non sussista in modo esplicito, se in tali casi la normativa voglia essere divergente, in tal modo configurando nette distinzioni tipologiche. Per uno spunto in ordine alle caratteristiche proprie di alcune società di capitali, in particolare per un raffronto tra s.r.l. e s.p.a., e fra queste e le società di persone, si veda G. ZANARONE: Società a responsabilità limitata, dal Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, a cura di F. Galgano, vol. VIII, Padova, Padova, 1985.
(39) Così il decreto del Tribunale di Potenza, cit., pag. 200.
(40) Per N. GASPERONI: Trasformazione e fusione delle società, cit, come già visto, infra, alla nota 4, “le eventuali irregolarità che si manifestino nell’adozione del bilancio di fusione sono in grado di influire sulla validità della delibera in considerazione di esso adottata, traducendosi quindi in uno di quei vizi procedimentali da cui deriva l’applicazione dell’art. 2377 c.c.”.
Come già riportato, infra, alla nota 5, secondo RUPERTO - SGROI, in Nuova rassegna di giurisprudenza sul codice civile, cit., dal momento che la non adeguata informazione consiste in un vizio procedimentale, essa viene configurata come ragione di annullamento e non di nullità per illiceità dell’oggetto della deliberazione (Corte di Appello di Genova, del 23 ottobre 1990, cit.; Tribunale di Genova del 3 novembre 1988, cit.). Per il Tribunale di Milano, del 18 ottobre 1970, cit., invece, tali vizi della situazione patrimoniale determinerebbero la nullità della deliberazione di fusione, ai sensi dell’art. 2379 c.c.
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