L'art. 223-bis comma 3, 2ª parte: l'introduzione di clausole che escludono l'applicazione di nuove disposizioni di legge derogabili
L'art. 223-bis comma 3, 2ª parte: l'introduzione di clausole che escludono l'applicazione di nuove disposizioni di legge derogabili
di Antonio Ruotolo
Consiglio Nazionale del Notariato - Studio n. 5278/I
Pubblicato nella rivista Studi e Materiali CNN, Milano, 2/2004, p. 803 ss.
1. Il comma 3, 2ª parte, dell’art. 223-bis - 2. La “tesi liberale” 3. L’interpretazione teleologica - 4. segue: Argomenti a supporto della interpretazione teleologica - 5. Applicazione concreta della tesi teleologica: la convocazione dell’assemblea e l’assemblea totalitaria
1. Il comma 3, 2ª parte, dell’art. 223-bis
Nell’ambito della disciplina degli adeguamenti/adattamenti dello statuto alle nuove disposizioni introdotte dalla riforma del diritto societario, è particolarmente discussa la portata della norma contenuta nel secondo periodo del comma 3 dell’art. 223-bis, come modificato dall’art. 5, D.Lgs. 6 febbraio 2004, n. 37, il quale dispone che, con delibera di assemblea straordinaria adottata a maggioranza semplice, qualunque sia la parte di capitale rappresentata, ed entro termine del 30 settembre 2004, possono essere assunte le deliberazioni dell'assemblea straordinaria aventi ad oggetto l'introduzione nello statuto di clausole che escludono l'applicazione di nuove disposizioni di legge, derogabili con specifica clausola statutaria; fino alla avvenuta adozione della modifica statutaria e comunque non oltre il 30 settembre 2004, per tali società resta in vigore la relativa disciplina statutaria e di legge vigente alla data del 31 dicembre 2003.
La disciplina dell’obbligo di adeguamento alle nuove disposizioni inderogabili è rimasta identica nella prima parte, ove si impone alle società di uniformare l'atto costitutivo e lo statuto alle nuove disposizioni inderogabili entro il 30 settembre 2004 (comma 1); mentre ha subito alcuni riadattamenti per ciò che concerne la seconda parte, e cioè le modalità attraverso le quali la società può uniformarsi (attuale comma 3, prima parte).
Si è infatti modificata l’originaria formulazione della norma (comma 2 nel testo ante modifica) con il riferimento alle «deliberazioni dell'assemblea straordinaria di mero adattamento dell'atto costitutivo e dello statuto a nuove disposizioni inderogabili», in luogo di quello alle «deliberazioni necessarie all'adeguamento dell'atto costitutivo e dello statuto alle nuove disposizioni, anche non inderogabili», così, da un lato, adottando una diversa definizione dell’intervento, e dall’altro lato mutandone per così dire l’ambito, eliminando la possibilità di procedere con i quorum semplificati anche per gli adeguamenti alle nuove disposizioni non inderogabili, salvo quanto si dirà nel prosieguo.
Riguardo a quest’ultimo punto, come noto, erano sorte difficoltà interpretative in ordine all’effettivo ambito applicativo della norma, se cioè fosse o meno necessario un collegamento dell’adeguamento a disposizioni non inderogabili con quello a disposizioni inderogabili, data la possibilità di procedervi attraverso il ricorso ai quorum semplificati, sino a palesarsi, da parte di Alcuni, anche un vizio di illegittimità costituzionale(1). Ed era prevalsa l’interpretazione per la quale tale collegamento doveva sussistere proprio per giustificare la deroga alle maggioranze qualificate(2).
Sulla effettiva portata dell’art. 223-bis comma 3, seconda parte, si sono già registrate diverse posizioni, frutto di una infelice formulazione, nata verosimilmente con l’intento di chiarire alcuni punti oscuri propri della precedente (la finalità espressa dalla Relazione di accompagnamento al D.Lgs. 37/2004, era, infatti, quella di «eliminare il rischio che, nel caso gli statuti non prevedano rinvii espressi al codice o non dispongano alcunché in merito, confidando sull’esistenza del vecchio assetto codicistico, si possa pensare ad una immediata precettività delle nuove disposizioni di legge alla data di entrata in vigore della riforma»). Ma, proprio per le ulteriori incertezze che essa ha generato, non si può dire che lo scopo sia stato pienamente raggiunto.
Proprio la sussistenza di tali dubbi induce comunque a una lettura della disposizione che tenga conto dei possibili riflessi negativi sul piano operativo.
È un dato pressoché pacifico che la nuova formulazione della norma nasca con l’intento primario di risolvere il problema del controllo contabile nelle s.p.a., in specie per quelle società azionarie che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e che non sono tenute alla redazione del bilancio consolidato (e che dunque hanno la possibilità di attribuire tale funzione al collegio sindacale), laddove per le s.r.l. si è preferito ricorrere ad una modifica della norma a regime (art. 2477, ultimo comma, come modificato dal decreto correttivo).
In sostanza, il legislatore si è trovato innanzi al problema di quegli statuti già esistenti contenenti previsioni generiche sulla nomina e sulla composizione del collegio sindacale, senza entrare nel merito delle funzioni a tale organo spettanti. Sebbene, come si vedrà, la norma appare funzionale a risolvere altri problemi applicativi.
2. L’interpretazione liberale
Secondo una prima lettura, nella nuova formulazione dell’art. 223 bis si ha un mutamento di prospettiva rispetto alla precedente(3), che tuttavia non comporterebbe una restrizione dell’ambito di operatività della disposizione che prevede il ricorso a maggioranze semplificate, bensì, forse, un suo ampliamento.
Ciò in quanto le società, in base al nuovo testo dell’art. 223 bis, possono adottare deliberazioni a maggioranza semplice non solo per escludere la disciplina prevista dalle nuove norme derogabili statutariamente, ma altresì per regolare liberamente con la nuova clausola statutaria la materia oggetto di tali norme, ivi incluse quelle che comportano scelte di mera opportunità.
La norma, comunque, non si applicherebbe: né per l’ipotesi di norme di legge che sono derogabili non attraverso l’esclusione “dell’applicazione delle nuove disposizioni” in esse contenute e l’applicazione di un diverso regolamento statutario, ma solo attraverso un’integrazione del regolamento di legge medesimo, fattispecie che non rientra nel campo di applicabilità dell’art. 223 bis, poiché non vi è una disposizione di legge da escludere ed a cui sostituire un regolamento statutario, ma è data esclusivamente la facoltà di integrare il regolamento di legge (e ciò è ammissibile solo con le maggioranze statutarie o di legge); né per l’ipotesi in cui nello statuto esistano clausole che già regolano la materia trattata dalle nuove norme derogabili in modo difforme rispetto al regolamento della nuova disciplina di legge, ma allo stesso tempo in modo compatibile con quest’ultimo, perché la volontà dei soci di derogare escludendo l’applicazione delle nuove disposizioni di legge è già pienamente realizzata.
Secondo tale tesi, se si ammettesse che la procedura agevolata serve esclusivamente a precludere l’applicazione delle nuove norme derogabili senza alcuna possibilità di regolare statutariamente la materia in esse disciplinata, si avrebbe un ingiustificato vuoto normativo su detta materia, considerato che alla stessa non sarebbe applicabile né la disciplina di legge né una diversa disciplina statutaria.
Ad esempio, la vecchia disciplina prevedeva all’art. 2370 c.c. che legittimato all’intervento era solo il socio, iscritto nel libro soci almeno cinque giorni prima di quello fissato per l’assemblea, che avesse depositato nello stesso termine i certificati azionari presso la società o l’istituto di credito designato. Il nuovo art. 2370 c.c. non richiede più il deposito delle azioni, salvo che lo statuto stabilisca diversamente. In tale fattispecie, aderendo ad una diversa tesi restrittiva, si potrebbe introdurre nello statuto esclusivamente una clausola che richieda il deposito delle azioni nel termine di cinque giorni indicato dalla vecchia disciplina, quando invece non vi è ragione per escludere che la nuova clausola statutaria preveda un termine diverso (ad esempio di 4 ovvero 6 giorni per le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio).
Ed altrettanto criticabile, sempre a parere della citata dottrina, sarebbe la tesi che ammette l’introduzione a maggioranza semplice, qualunque sia il capitale rappresentato in assemblea, di clausole statutarie che, in deroga alla disciplina prevista dalle nuove norme derogabili, regolino la materia societaria esclusivamente attraverso un rinvio alla disciplina vigente ante riforma alla stessa applicabile.
Quanto al significato da attribuirsi all’ultimo periodo del terzo comma dell’art. 223 bis, il quale prevede che «fino alla avvenuta adozione della modifica statutaria e comunque non oltre il 30 settembre 2004, per tali società resta in vigore la relativa disciplina statutaria e di legge vigente alla data del 31 dicembre 2003», secondo tale opinione va anzitutto rilevato come questo debba esser ricondotto ad entrambi i periodi precedenti (quindi tanto agli adeguamenti alle norme inderogabili quanto all'introduzione nello statuto di clausole che escludono l'applicazione di nuove disposizioni di legge, derogabili con specifica clausola statutaria).
Di conseguenza, l’ultimo periodo del terzo comma sarebbe in realtà ripetitivo di quanto già previsto nel quinto comma.
Inoltre, le materie regolate da clausole dello statuto vigente al 31 dicembre 2003 e non modificate troverebbero la propria fonte anche nella legge vigente a detta data, fino al 30 settembre 2004. Ciò, si ritiene, per armonizzare fino al 30 settembre 2004 il regolamento previsto dalle clausole statutarie non modificate entro il predetto termine con la relativa disciplina di legge che regolava la medesima materia fino al 31 dicembre 2003 e sulla base della quale erano state redatte quelle clausole.
L’intenzione del legislatore sarebbe stata quindi quella di applicare direttamente anche alle società costituite anteriormente al 1° gennaio 2004 la disciplina prevista dalla riforma immediatamente dalla sua entrata in vigore, fatta eccezione, fino al 30 settembre 2004 per:
a) le clausole statutarie, vigenti anteriormente alla riforma, conformi o meno alle nuove norme (derogabili ed inderogabili) della riforma (ex art 223 bis comma 5 – vecchio comma 4);
b) le norme di legge vigenti anteriormente alla riforma che regolano materie disciplinate da clausole statutarie (ex terzo comma art 223 bis nuova versione) (4).
3. L’interpretazione teleologica qui condivisa
Un diverso orientamento muove dalle finalità perseguite dal legislatore per ricostruire il significato della norma(5). Anche la ricostruzione teleologica parte dal dato letterale ma giunge ad una interpretazione restrittiva dell’ambito applicativo della norma, risultato che appare di per sé condivisibile.
Secondo tale ricostruzione, pertanto, la facoltà di adottare - con il quoziente semplificato - una deliberazione modificativa dello statuto per finalità diverse dall’ipotesi del «mero adattamento dell'atto costitutivo e dello statuto a nuove disposizioni inderogabili», è subordinata alla contemporanea presenza di tre requisiti, e cioè che:
a) la deliberazione introduca nello statuto una clausola che prima non esisteva, con l’avvertenza che il termine “introduzione” deve riferirsi non ad un elemento formale (ché ogni modificazione statutaria che non si limiti ad abrogare precedenti clausole, da un punto di vista formale, vale ad introdurre una nuova clausola), bensì ad un elemento sostanziale, ovvero deve riguardare un argomento che non trovava in precedenza alcuna disciplina nello statuto stesso;
b) la clausola introdotta ex novo abbia come effetto di escludere che la società sia disciplinata, a seguito dell’introduzione stessa della clausola, da una nuova disposizione di legge dettata dalla riforma (anche qui da valutarsi come nuova per ragioni attinenti al proprio contenuto), in quanto il precetto posto dalla clausola è sostanzialmente differente da quello della nuova norma di legge;
c) la nuova norma di legge della riforma, la cui applicazione viene esclusa mediante l’introduzione in statuto della clausola difforme, sia “derogabile con specifica clausola statutaria”, ove l’inciso che segue l’attributo “derogabile” può assumere un significato autonomo, ed evitare di essere considerato alla stregua di un puro pleonasmo, solo laddove si intenda fare riferimento, tramite esso, alla circostanza che la norma in questione sia ritenuta derogabile non in via interpretativa, ma testualmente, o, se si preferisce, espressamente, da parte dello stesso legislatore.
Il risultato cui si perviene, in piena conformità con le ragioni che hanno mosso l’intervento del legislatore, è quello di ricondurre a tale previsione l’ipotesi delle clausole concernenti il controllo contabile nella s.p.a., e in particolare l’introduzione nello statuto di una clausola che stabilisca che al collegio sindacale spetti sia il controllo di gestione, sia il controllo contabile, in piena continuità con le funzioni che venivano riconosciute a tale organo dalla normativa in vigore fino al 1° gennaio 2004.
Ciò, in quanto nella fattispecie ricorrono simultaneamente i tre requisiti anzidetti. Infatti: a) si tratta (normalmente) dell’ “introduzione” di una nuova clausola statutaria, poiché il tema delle funzioni del collegio sindacale, prima della riforma, non era (normalmente) oggetto di alcuna previsione statutaria; b) si tratta di una “introduzione” che vale ad “escludere” l’applicazione di una norma della riforma da valutarsi come “nuova” in ragione del proprio contenuto, ovvero di escludere, tramite l’introduzione della clausola in oggetto, l’applicazione del disposto dell’art. 2409-bis comma 1 c.c.; c) si tratta di una “introduzione” che vale ad escludere l’applicazione di una nuova norma di legge dichiarata espressamente derogabile dallo stesso legislatore nell’art. 2409-bis comma 3 c.c.(6).
Nell’ambito dell’interpretazione teleologica della norma, altri ha considerato possibile il ricorso alla maggioranza semplificata per l’inserimento di clausole miranti a disapplicare norme derogabili introdotte dalla nuova normativa in modifica della precedente, se (e solo se) l’inserimento sia finalizzato a continuare ad applicare – in quanto consentito dalla nuova legge – la vecchia disciplina, sinora applicabile nel silenzio dell’atto costitutivo/statuto ovvero in forza del generico rinvio alla legge, in esso contenuto(7).
Secondo tale tesi, lo scopo della disposizione – che come detto è riconducibile al problema del controllo contabile delle società per azioni – consiste nel dare l’opportunità di mantenere, ove possibile, gli equilibri esistenti nel rapporto sociale, senza dover dar principio a rinegoziazioni tra soci controllanti di fatto (i quali si giovano della regola della maggioranza semplice) e soci di minoranza per il mantenimento dello status quo. La disposizione, per contro, certamente non intende permettere, ai soci controllanti di fatto, di modificare a piacere le “regole del gioco”, sfruttando i più ampi spazi concessi dalla nuova normativa e prescindendo dai consensi necessari per integrare i quorum normalmente richiesti per le modifiche statutarie.
Di qui, pertanto, una interpretazione restrittiva della norma, il cui ambito applicativo tuttavia si estende ad ipotesi ulteriori rispetto al controllo contabile, e tale da involgere l’introduzione, con maggioranza semplificata, di clausole che, ad esempio:
a) prevedano il deposito delle azioni almeno cinque giorni prima dell’assemblea ai fini della legittimazione ad intervenire alla riunione(8);
b) attribuiscano la competenza per l’emissione delle obbligazioni non convertibili all’assemblea straordinaria. Quest’ultima fattispecie merita particolare attenzione, in quanto, almeno a prima vista, potrebbe risultare come una apparente deroga ai principi individuati, giacché non è escluso che lo statuto disciplini tale ipotesi. In questo caso a ben vedere, la applicabilità o meno dell’art. 223 bis dipende dalla presenza o meno di una clausola statutaria che regoli la competenza all’emissione. Infatti, seguendo la tesi qui accolta, il primo (norma nuova) e il terzo (espressamente derogabile) dei requisiti sussistono certamente: può o meno mancare una precedente regolamentazione statutaria. Se questa esistesse, peraltro, si tratterebbe di una riproduzione nello statuto della precedente norma che stabiliva la competenza assemblare. Dunque, in questo caso, un’eventuale modifica potrà esser intesa solo come attributiva della competenza agli amministratori e, pertanto, si tratterà non di adeguamento ma di modifica statutaria volta a sfruttare una delle nuove opzioni offerte dalla riforma. In tal modo si evidenzia come sia perfettamente rispettata la ratio della norma transitoria in esame, che è quella di mantenere il precedente regime organizzativo;
c) stabiliscano quorum per le decisioni dei soci nella s.r.l. secondo quanto previsto dal vecchio art. 2486 c.c. (maggioranza del capitale sociale per decisioni che in passato sarebbero state di competenza dell’assemblea ordinaria; due terzi del capitale sociale per decisioni che in passato sarebbero state di competenza dell’assemblea straordinaria);
d) escludano l’applicazione delle nuove ipotesi di recesso “disponibili (art. 2437 comma 2: la clausola statutaria di deroga può essere introdotta con la maggioranza semplice prevista dall’art. 223-bis e senza che i soci dissenzienti possano recedere, purché la delibera sia assunta entro il 30 giugno 2004 in base all’art. 223-vicies ter, disp. attuaz.)(9).
Le conclusioni cui pervengono le tesi restrittive qui da ultimo esaminate si riverberano poi sul significato da attribuirsi all’ultimo periodo del terzo comma dell’art. 223 bis, il quale prevede che «fino alla avvenuta adozione della modifica statutaria e comunque non oltre il 30 settembre 2004, per tali società resta in vigore la relativa disciplina statutaria e di legge vigente alla data del 31 dicembre 2003»(10).
Per alcuni, infatti, l’ultimo periodo del terzo comma, per la presenza del punto e virgola, non può riferirsi all’intero comma, ma va collegato al sottoperiodo immediatamente precedente, e cioè alle sole società che abbiano provveduto all'introduzione nello statuto di clausole che escludono l'applicazione di nuove disposizioni di legge, derogabili con specifica clausola statutaria, per le quali, quindi, sino la 30 settembre 2004, resta in vigore la relativa disciplina statutaria e di legge vigente alla data del 31 dicembre 2003(11).
Con la conseguenza che la riforma, anche dopo l’approvazione del d.lgs. 37/2004, deve considerarsi in vigore, per tutte le società, a partire dal 1° gennaio 2004, secondo la regola generale di cui all’art. 10 d.lgs. 6/2003, che subisce, ad opera dell’art. 223-bis commi 3 e 5 (già commi 2 e 4 prima del d.lgs. 37/2004) deroghe eccezionali e dalla portata circoscritta al tenore letterale delle rispettive norme(12).
Il che confermerebbe come l’unica preoccupazione del legislatore fosse stata quella di stabilire a chi spetti il controllo contabile nelle società azionarie a partire dal 1° gennaio 2004 ed in attesa che le società stesse assumano specifiche deliberazioni al riguardo, dando continuità alla disciplina vigente prima dell’entrata in vigore della riforma(13).
Sulla stessa linea si muove anche chi ritiene che la disposizione di cui all’ultimo periodo del terzo comma dell’art. 223-bis sia stata introdotta a complemento di quella contenuta nel periodo precedente (disapplicazione di nuove norme derogabili per mantenere invariato il rapporto sociale), onde garantire la continuazione invariata del rapporto sociale nel mutato quadro normativo sino al momento in cui si adegui l’atto costitutivo/statuto o, alternativamente, sino al 30 settembre 2004.
Il legislatore, in questo modo, intende innanzi tutto risolvere il problema del controllo contabile nelle società i cui statuti manchino di indicazioni specifiche (inutili per la vecchia normativa) sulla relativa attribuzione al collegio sindacale: con il dubbio se e quando, in tali casi, occorresse nominare un revisore e chi, nel frattempo, esercitasse il controllo contabile.
Per tale ipotesi, sino a che l’atto costitutivo/statuto non viene adeguato, il controllo contabile continua ad essere esercitato dal collegio sindacale in conformità alla vecchia normativa (né si potrà, senza previamente adeguare lo statuto, nominare un revisore, salvo che ciò sia imposto dalla nuova legge con norma inderogabile, come avviene per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio o che siano tenute alla redazione del bilancio consolidato: art. 2409-bis, ult. comma); mentre, ad adeguamento effettuato o, in difetto, dal 1° ottobre 2004, il controllo contabile spetterà al revisore, a meno che in fase di adeguamento non lo si sia attribuito al collegio sindacale(14).
4. segue: Argomenti a supporto della interpretazione teleologica
Fra le diverse soluzioni prospettate dai primi interpreti, sembra da preferirsi quella che tende ad una interpretazione restrittiva della norma(15).
E non è solo la finalità perseguita dal legislatore (soluzione del problema del controllo contabile) che induce a tale conclusione.
È soprattutto la necessità di evitare che nella compagine sociale si realizzi uno squilibrio fra maggioranza e minoranza che spinge in questo senso.
L’autonomia statutaria, nel solco della quale si è mosso il legislatore della riforma, permette, infatti, tanto nella s.p.a. quanto nella s.r.l. di sfruttare gli ampi spazi la nuova disciplina vi ha riconosciuto. Vuoi, come accade nella s.p.a., scegliendo fra le varie opzioni che sono date in materie come l’amministrazione e i controlli o gli strumenti azionari; vuoi, come invece accade nelle s.r.l., concedendo alla volontà dei privati il potere di creare strutture e organizzazioni dotate di un elevatissimo grado di flessibilità.
Ebbene, rispetto a tali ampie facoltà, la cui scelta deve essere adeguatamente ponderata dai soci, risulterebbe certamente contrastante con lo spirito della riforma una lettura della norma transitoria che consentisse indiscriminatamente l’utilizzo della norma «anti-stallo», finalizzata ad impedire il meccanismo di sostituzione automatica (se non l’inefficacia delle clausole), per scelte che devono esser adottate in diverso contesto – per le quali è previsto il ricorso alle maggioranze qualificate - e che diversamente darebbe luogo a quei “colpi di mano” della maggioranza in danno della minoranza cui sovente si fa richiamo nell’esame di questa materia.
Ed è anzi proprio la materia delle disposizioni derogabili quella in cui gli equilibri fra maggioranza e minoranze trovano la loro massima esplicazione; a differenza di quel che accade per le disposizioni inderogabili, per le quali, come è noto, grazie al meccanismo della sostituzione automatica, l’autonomia privata avrebbe comunque margini più limitati.
Ecco perché la soluzione che tiene in dovuta considerazione gli aspetti qualificanti della norma, soprattutto nel loro significato tecnico, sembra meglio assecondare lo spirito della riforma.
Con maggioranza semplice, qualunque sia la parte di capitale rappresentata in assemblea, ed entro il 30 settembre 2004, possono essere assunte le deliberazioni dell'assemblea straordinaria con le quali vengano introdotte nello statuto clausole che escludono l'applicazione di nuove disposizioni di legge, derogabili con specifica clausola statutaria.
Si introduce nello statuto una clausola nuova, che prima non esisteva, non si modifica una clausola già esistente.
La clausola “nuova” vale ad escludere l’applicazione di una “nuova” (nel contenuto) disposizione di legge, a patto che tale disposizione sia derogabile con specifica clausola statutaria.
La modifica di una clausola già esistente, benché relativa a una nuova disposizione di legge derogabile, è invece soggetta alla ordinaria disciplina delle modifiche statutarie e dei relativi quorum.
Così come è parimenti soggetta alla ordinaria disciplina delle modifiche statutarie la introduzione di una clausola nuova ma relativa a materia che, riguardo al contenuto, era già disciplinata dal codice del 1942 allo stesso modo di quel che avviene con la riforma.
Quanto alla individuazione delle fattispecie cui la norma può trovare applicazione, sembra che effettivamente il suo ambito si estenda alle ipotesi ulteriori rispetto al controllo contabile, delineate dalla citata dottrina.
5. Applicazione concreta della tesi teleologica: convocazione dell’assemblea e assemblea totalitaria
Fra gli argomenti che più spesso involgono il dibattito sulla portata delle norme transitorie, vi è quello della nuova formulazione dell’art. 2366, e se cioè questo trovi applicazione per le società già costituite le cui norme di funzionamento riproducano sostanzialmente quanto previsto dal vecchio testo della norma.
E ciò sia per quel che concerne le formalità di convocazione per le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (per le quali è prevista la possibilità che nello statuto sia consentita la convocazione mediante mezzi diversi, purché idonei a garantire la prova dell’avvenuto ricevimento dell’avviso da parte dei soci almeno 8 giorni prima dell’adunanza, come riconosciuto dal comma 3 dell’art. 2366 novellato); sia per ciò che riguarda l’assemblea totalitaria, per la quale, ferma restando la necessaria presenza dell’intero capitale, non si richiede più la presenza dell’intero consiglio di amministrazione e dell’intero collegio sindacale, essendo sufficiente la maggioranza dei componenti di entrambi gli organi (art. 2366, comma 4, ma fermo l’obbligo di cui al comma 5 di informare tempestivamente gli organi amministrativi e di controllo assenti sulle deliberazioni assunte senza la loro presenza).
Ora, non sembra che la disposizione contenuta nella nuova formulazione dell’art. 2366 comma 3 abbia carattere inderogabile: infatti, “lo statuto … può, in deroga …, consentire” quindi i soci potrebbero anche non optare (quanto alle modalità di convocazione), per il ricorso a “mezzi diversi di convocazione”.
Con la conseguenza che se nello statuto tale opzione non è già prevista, tale facoltà sarà possibile solo a seguito dell’integrazione dello statuto. Integrazione che, per quanto sopra detto, dovrebbe avvenire con i quorum ordinari.
Riguardo al disposto di cui al comma 4, vi è a monte il problema, al quale in questa sede si farà un breve cenno, della valenza della norma: se cioè il legislatore - nel prevedere che, in mancanza delle formalità di convocazione, “l'assemblea si reputa regolarmente costituita, quando è rappresentato l'intero capitale sociale e partecipa all'assemblea la maggioranza dei componenti degli organi amministrativi e di controllo” - abbia voluto stabilire un principio di validità che prescinde da qualsiasi diversa determinazione statutaria. In definitiva, secondo questa impostazione, il “fatto” che sia presente l’intero capitale sociale e la maggioranza degli organi di amministrazione e di controllo sarebbe di per sé decisivo per la valida costituzione dell’assemblea(16).
O se, viceversa, il legislatore stabilisca sì i requisiti “minimi” grazie ai quali l’assemblea si possa reputare validamente costituita prescindendo dalle formalità di convocazione, ma non precluda all’autonomia statutaria di prevedere dei requisiti “ulteriori” (che potrebbero anche coincidere con quelli previsti dall’art. 2366 ante riforma: e cioè che sia rappresentato l’intero capitale sociale e siano intervenuti tutti gli amministratori e i componenti del collegio sindacale)(17). Secondo questa ricostruzione, quindi, i soci potrebbero certamente prevedere, mediante regolamentazione pattizia, presupposti più severi per l’assemblea totalitaria, conformi alla precedente disciplina, richiedendo la presenza sia dell’intero organo amministrativo che dell’intero organo di controllo. E si è detto che se ciò è possibile per le società di nuova costituzione, altrettanto dovrebbe esserlo per le società già costituite alla data del 1° gennaio 2004(18).
Se si dovesse aderire alla prima delle ricostruzioni qui profilate, saremmo nell’ambito di applicazione della disposizione transitoria relativa alle “nuove norme inderogabili” (art. 223 bis, comma 2, prima parte), per cui sarebbe possibile l’adeguamento ricorrendo ai quorum semplificati.
Se invece si dovesse optare per la ammissibilità di una previsione pattizia che imponga requisiti ulteriori oltre a quelli previsti dal comma 4 dell’art. 2366, e quindi in sostanza si ritenesse la norma derogabile, è da valutarsi se l’art. 223 bis, 3° comma, seconda parte, torni applicabile.
Ora, applicando i criteri dettati dalla tesi restrittiva cui si aderisce sembra che, dei tre requisiti indicati per l’applicazione della norma (1. inesistenza di una precedente previsione statutaria che disciplini la materia; 2. contenuto della norma introdotto ex novo dalla riforma; 3. norma dichiarata dalla legge espressamente come derogabile), mentre il secondo è certamente ricorrente, il primo potrebbe o meno sussistere (a seconda cioè che lo statuto abbia o meno, espressamente o mediante rinvio alla norma di legge, previamente disciplinato la materia). Il terzo, invece, certamente non sussiste perché non è ammessa una espressa derogabilità della norma, in quanto l’ammissibilità di una disciplina della totalitaria più rigida, come quella prevista dalla vecchia formulazione dell’art. 2366 può desumersi dal sistema ma non ha un espresso riconoscimento normativo.
Quindi il comma 3 dell’art. 223 bis, in questi casi, non sembra operare.
Quanto alla disciplina concretamente applicabile per le società già costituite, se si concorda con la prima impostazione (il “fatto” che sussistano i requisiti di cui al comma 4 dell’art. 2366 è di per sé sufficiente a reputare validamente costituita l’assemblea anche a prescindere da una diversa determinazione statutaria) la nuova norma dovrebbe essere immediatamente applicabile.
Se invece si ritiene che l’art. 2366, comma 4, sia norma derogabile, occorre verificare come le clausole degli statuti delle società già costituite siano state formulate, anche in considerazione del rilievo che, come insegna la dottrina prevalente, deve escludersi un’automatica traslazione agli statuti delle regole dettate dal codice civile in tema di contratti, privilegiando criteri di interpretazione di carattere oggettivo(19).
Possono darsi diverse ipotesi, rispetto alle quali si può pervenire a delle conclusioni che valgono tuttavia in linea di massima, dovendosi valutare caso per caso, con speciale riferimento al complessivo contenuto dello statuto, se ci si trovi di fronte ad una regolamentazione pattizia dell’assemblea totalitaria o se invece si tratti di un mero rinvio formale alle norme di legge.
In via di approssimazione può darsi il caso che lo statuto non faccia riferimento alcuno all’assemblea totalitaria o contenga un generale rinvio alla legge: in tal caso si applicheranno chiaramente le nuove disposizioni, giacché nello statuto è implicito il richiamo alla legge (o, se si vuol dire diversamente nel silenzio trovano applicazione le norme di legge) dovendosi far riferimento alla normativa che di volta in volta si succede nel tempo.
Può ancora darsi il caso che vi sia il riferimento alla legge, con menzione dell’articolo che disciplinava la fattispecie, o che, con formule meramente ripetitive di quanto disponeva il vecchio testo art. 2366 c.c., l’assemblea totalitaria sia stata disciplinata nello statuto. In tal caso la norma transitoria sopra richiamata non è utilizzabile e si dovrebbe procedere ad una sostituzione della clausola con le maggioranze previste per le modifiche statutarie ove si voglia ricorrere alla minore rigidità prevista dalla nuova disciplina e cioè si voglia consentire che per la totalitaria sia sufficiente la maggioranza dei componenti di entrambi gli organi.
Va infine considerato come - anche aderendo alla tesi che ammette la presenza di clausola statutaria che aggiunga ulteriori presupposti - il rispetto dei presupposti minimali stabiliti dagli artt. 2366, comma 4, e 2479-bis, comma 5, rispettivamente per l’assemblea totalitaria nelle s.p.a. e nelle s.r.l., escluda la nullità delle deliberazioni per mancata convocazione ex art. art. 2379 o per assenza assoluta di informazione ex art. 2479-ter, comma 3, ma determini una semplice non conformità della deliberazione assembleare allo statuto/atto costitutivo, con le conseguenze di cui agli artt. 2377 e 2479-ter, comma 1, c.c.(20)
(1) Weigmann, Luci e ombre del nuovo diritto azionario, in Società, 2003, 2bis, 3 e ss.
(2) Caccavale – Tassinari, Il nuovo diritto societario:regime transitorio previsto dall’art. 223-bis disp. att., in Consiglio Nazionale del Notariato, Il nuovo diritto societario – Prime riflessioni, Milano, 2003, 492; Miserocchi, in Consiglio Notarile di Milano - Scuola del Notariato della Lombardia - FederNotizie, Il nuovo ordinamento delle società, Milano, 2003, 415 ss.; Montagnani, Appunti su alcune disposizioni transitorie, in Giur. Comm., 2003, I, 620 ss.; Rescigno, Il passaggio al nuovo diritto delle società di capitali: considerazioni sparse sull’art. 223-bis e non solo, in Corr. Giur., 2004, 112 s.; Mascheroni – Ruotolo, Gli adeguamenti statutari obbligatori e facoltativi (a seguito del decreto legislativo n. 6 del 2003), in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi sulla riforma del diritto societario, Milano, 2004, 780. Per il ricorso, senza limiti, alle maggioranze semplificate, Morera, Gli adeguamenti dell’atto costitutivo e dello statuto alle nuove disposizioni in materia di s.p.a. (art. 223 bis, disp. att. c.c.), in Riv. Not., 2003, 839 s. e Cera, Le modifiche degli statuti delle s.p.a. alla lice della disciplina transitoria del diritto societario, in Società, 2003, 1194. Secondo Salafia, Amministrazione e controllo: le modifiche statutarie conseguenti alla riforma societaria, in Società, 2004, 139, se gli statuti vigenti prevedessero per talune o per tutte le deliberazioni dell’assemblea straordinaria maggioranze deliberative più elevate di quelle legali, l’agevolazione indicata dal citato art. 223 bis non dovrebbe applicarsi alle deliberazioni relative a modifiche dell’organizzazione non obbligatorie, perché la sua utilizzazione avverrebbe contro la volontà dei soci. Laddove può riconoscersi alla legge il potere di derogare con una norma ad un’altra, come ha fatto nella specie in considerazione dell’obbligatorietà di alcune modifiche statutarie per effetto della riforma, non le si può, invece, riconoscere il potere di violare l’efficacia di precedenti regole statutarie, che i soci hanno voluto avvalendosi di facoltà a loro riconosciute, al solo scopo di rendere più agevole la conformazione dello statuto a nuove regole, che i soci sono liberi di adottare o rifiutare. In altri termini, la speciale maggioranza indicata dal citato art. 223 bis, secondo comma, serve per derogare alle maggioranze più qualificate relative al funzionamento dell’assemblea straordinaria, previste dalla riforma, ma non per derogare alle eventuali diverse maggioranze, di norma ancora più rigorose, previste legittimamente negli statuti. Diverse maggioranze, spesso preordinate alla tutela di particolari interessi, che, in una riforma intesa a valorizzare l’autonomia dei soci, sarebbe singolare, e contraddittorio con lo spirito stesso della riforma, violare. Inoltre, che la speciale maggioranza deliberativa, prevista dall’art. 223 bis disp. att., deroga a quella indicata dall’art. 2368 secondo comma e la sostituisce; ma, poiché la maggioranza sostituita dalla norma di attuazione è derogabile dallo statuto, come consente il citato art. 2368, ne consegue che deve stimarsi derogabile anche la speciale maggioranza sostitutiva, con l’effetto che la maggioranza statutaria prevale su quella legale, prevista nella predetta norma di attuazione. In senso contrario, Busani, Deroga a norma di legge, in IlSole24Ore, 18 febbraio 2004, p. 31, che considera impervia ogni interpretazione restrittiva di una norma formulata nei termini di cui all’originario art. 223-bis comma 2, ove si fa altresì riferimento ad un conforme obiter dictum di Trib. Modena, 6 febbraio 2004 (decr.), inedito.
(3) Cera, Le modifche introdotte dal D.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37 alla disciplina transitoria e l’impatto sugli statuti delle s.p.a., in Società, 2004, 415 ss.
(4) Cera, Le modifche introdotte dal D.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37 alla disciplina transitoria e l’impatto sugli statuti delle s.p.a., cit., 415 ss.
(5) In questo senso, per primo, Ferro-Luzzi, Società, minoranze tutelate, ne Il Sole 24ore, 27 febbraio 2004, 25.
(6) Tassinari, in Caccavale, Magliulo, Maltoni, Tassinari, La riforma della società a responsabilità limitata, 2° ed., Milano, 2004, 540 ss..
(7) Consiglio Notarile di Milano, Massime per l’elaborazione di principi uniformi i materia di società, ne Il Sole 24ore, 16 marzo 2004, 27.
(8) Dalla complessiva ricostruzione delle novità concernenti il deposito pre-assembelare delle azioni (art. 2370) possono in sostanza verificarsi i seguenti casi:
a) può accadere che lo statuto di una società «chiusa» già esistente contenga una clausola riproduttiva della norma precedente (deposito almeno cinque giorni prima). Se la società intende mantenere tale clausola non dovrà assumere alcuna deliberazione, mentre, ove intenda sopprimerla, dovrà procedervi secondo i quorum previsti per le modifiche statutarie trattandosi non di «adeguamento» o «adattamento» ma di un’opzione offerta dalla riforma.
b) può accadere che lo statuto di una società «chiusa» già esistente non contenga la suddetta clausola. In tal caso è possibile la sua «introduzione» ex art. 223 bis, comma 3, seconda parte. Mentre, ove non vi si ricorra, opera di diritto la nuova regola codicistica (deposito non richiesto dalla legge).
c) può accadere che lo statuto di una società «aperta» già esistente contenga una clausola riproduttiva della norma precedente (deposito almeno cinque giorni prima). Se la società intende mantenere l’obbligo del deposito pre-assembleare dovrà comunque assumere una deliberazione di «adattamento» «adeguamento» ai sensi dell’art. 223 bis, comma 3, prima parte, volta a ridurre il termine a non più di due giorni (art. 2370 comma 2). In mancanza di siffatta delibera dovrebbe operare il meccanismo di sostituzione automatica che non riguarderebbe tuttavia l’intera clausola, ma solo la parte in cui si prevede un termine superiore a quello massimo previsto dalla nuova disposizione. Se ciò è vero, per l’ipotesi in cui la società intenda sopprimere (integralmente) tale clausola dovrebbe procedervi secondo i quorum previsti per le modifiche statutarie trattandosi non di «adeguamento» o «adattamento» ma di un’opzione offerta dalla riforma.
d) può accadere che lo statuto di una società «aperta» già esistente non contenga la suddetta clausola. In tal caso è possibile anche qui la sua «introduzione» ex art. 223 bis, comma 3, seconda parte, con l’avvertenza che il termine dovrà comunque non superare i due giorni. Mentre, ove non vi si ricorra, opera di diritto la nuova regola codicistica (deposito non richiesto dalla legge).
(9) Aderisce a tale impostazione anche Ibba, Riforma delle società: problemi di diritto transitorio, in Studium iuris, 2004, 852 ss. Sul punto, anche Ferro-Luzzi, op.cit., 25, nonché Circolare Assonime 23 marzo 2004, n. 13.
(10) A dire il vero, la stessa utilizzazione dell’espressione “tali società”, potrebbe indurre ad una ulteriore e certamente più dirompente ricostruzione, che travalicherebbe senz’altro l’intento del legislatore. Il riferimento a “tali società” contenuto nella seconda parte del comma 3 potrebbe esser considerato in relazione alla loro individuazione effettuata nel comma 1 (“le società di cui ai capi V, VI e VII del titolo V del libro V, del codice civile”). Con il che la conseguenza sarebbe, almeno dall’entrata in vigore del decreto correttivo, che per le società già costituite che non abbiano nel frattempo fatto ricorso ad adeguamenti/adattamenti, la disciplina applicabile sia in toto (statutaria e di legge) quella antecedente alla riforma, di fatto creandosi un doppio regime, peraltro astrattamente giustificato proprio dall’esistenza della norma transitoria, fra società costituite ante riforma e società costituite a partire dal 1° gennaio 2004.
(11) Tassinari, op. cit., 540 ss.
(12) Ferro-Luzzi, op. cit., 25.
(13)Tassinari, op. cit., 540 ss.
(14) Consiglio Notarile di Milano, Massime , cit., secondo il quale, la disposizione in commento, se pur primariamente pensata per il problema del controllo contabile, si presenta generalizzata ad ogni altro aspetto del rapporto sociale non regolato dall’atto costitutivo/statuto (se non con un rinvio esplicito o implicito alla legge) e dalla nuova normativa diversamente regolato – ma consentendo il ritorno al passato - rispetto a quanto faceva la precedente. Ne deriva che in tutti i casi in cui, come sopra ricordato, si può a maggioranza semplice disapplicare la nuova normativa per ritornare al passato (o, meglio, per mantenerlo fermo anche dopo il 30 settembre 2004), il passato sopravvive e costituisce regola presente. Tale sopravvivenza delle norme derogabili vigenti prima del 1° gennaio 2004, tuttavia, è prevista allorché sia possibile “l’introduzione nello statuto di clausole che escludono l’applicazione di nuove disposizioni di legge, derogabili con specifica clausola statutaria”, come dispone il citato art. 223-bis, comma 3, disp.att. c.c., il che avviene allorché la nuova norma derogabile preveda espressamente la “specifica clausola statutaria” che ne esclude l’applicazione o che comunque la deroghi. Continueranno pertanto a trovare applicazione, ad esempio, in presenza di uno statuto che nulla dica o che semplicemente rinvii alla legge, le norme in tema di deposito delle azioni almeno cinque giorni prima dell’assemblea (art. 4 l. 1745/1962, in parziale modifica del vecchio art. 2370 c.c.), di competenza per l’emissione di obbligazioni (vecchio art. 2365 c.c.), nonché di quorum dell’assemblea di s.r.l. (vecchio art. 2486 c.c.). Al contrario, e sempre a titolo esemplificativo, non dovrebbero trovare applicazione, in virtù dell’art. 223-bis, comma 3, disp.att.c.c., le norme in tema di requisiti per l’assemblea totalitaria (vecchio art. 2366, comma 3, c.c.) o di limiti quantitativi all’emissione di obbligazioni (vecchio art. 2410 c.c.).
(15) In questa direzione sembra essere orientato il documento circolare n. 6 del 18 febbraio 2004, della Fondazione Luca Pacioli, Modifiche alla disciplina di adeguamento degli statuti delle società di capitali (art. 5, lett. lll, del D.Lgs. 6 febbraio 2004, n. 37), secondo cui «Il decreto correttivo interviene, adesso, a limitare fortemente l’utilizzo delle procedure semplificate per l’adeguamento alla riforma. Il testo, così come modificato, ammette le procedure semplificate (oltre che, ovviamente, in materia di adeguamento a norme inderogabili) solo in caso di introduzione nello statuto di "clausole che escludono l’applicazione di nuove disposizioni di legge, derogabili con specifica clausola statutaria". Pertanto, a seguito delle modifiche, è possibile utilizzare il quorum ridotto (oltre che per l'adeguamento alle norme inderogabili) esclusivamente per l'introduzione nello statuto di clausole che evitino l'ingresso automatico di nuove disposizioni: ciò, presumibilmente, al fine di evitare che l’applicazione di nuove disposizioni derogabili venga a mutare l'assetto societario precedentemente stabilito. In altre parole, sembra sia possibile ricorrere alla maggioranza semplice dei presenti per introdurre clausole che mantengano l'assetto precedente e non che lo modifichino in virtù di nuove norme derogabili». Nonché la Circolare Assonime 23 marzo 2004, n. 13, secondo cui per l’adeguamento statutario a norme non inderogabili, le modifiche possono usufruire del regime deliberativo agevolato solo se riguardano norme che contengono una nuova regola legale e ne prevedono la disapplicazione per mezzo di una specifica clausola dello statuto. La “novità” deve riguardare la regola legale, ossia quella che si applica alla società in mancanza di deroga statutaria. Lo statuto perciò può disapplicare la nuova regola legale, usufruendo del regime deliberativo agevolato.
(16) Vedi, in proposito, i rilievi di Magliulo, in in Caccavale, Magliulo, Maltoni, Tassinari, La riforma della società a responsabilità limitata, 2° ed., Milano, 2004, op. cit., 308, nt. 100, secondo cui, con riguardo alla disciplina della totalitaria della s.r.l., l’art. 2479-bis ultimo comma dovrebbe essere norma diretta a tutelare l’interesse, di rilevanza pubblica e pertanto sottratto alla disponibilità delle parti, della operatività della società; il che peraltro sarebbe confermato dalla circostanza che il comma 5 del citato articolo dispone che la deliberazione si intende in ogni caso validamente adottata una volta osservate le prescrizioni ivi indicate.
(17) Rescio, in Il sovrano in esilio: riflessioni e problemi in tema di assemblea e decisione dei soci, Consiglio Nazionale del Notariato, Studi sulla riforma del diritto societario, cit., 372. Consiglio Notarile di Milano, Massime pubblicate ne Il Sole 24Ore del 7 marzo 2004.
(18) Rescio, op. cit., 372.
(19) Angelici, Appunti sull’interpretazione degli statuti di società per azioni, in Riv. Dir. Comm., 1993, I, 797; Id., Sulle clausole statutarie di "dubbia interpretazione", in Riv. Not., 1992, 1279 ss.; Ibba, L’interpretazione degli statuti societari fra criteri oggettivi e criteri soggettivi, in Riv. Dir. civ., 1995, I, 525 ss.
(20) Consiglio Notarile di Milano, Massime pubblicate ne Il Sole 24Ore del 7 marzo 2004.
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