Profili applicativi dell'art. 223 duodecies
Profili applicativi dell'art. 223 duodecies
di Marco Maltoni
Consiglio Nazionale del Notariato - Studio n. 5485/I
Pubblicato nella rivista Studi e Materiali CNN, Milano, 1/2005, p. 283 ss.

1. Le regole dell’art.223 duodecies in tema di quorum deliberativi

Dopo aver fissato un dovere di adeguamento delle società cooperative alle “nuove disposizione inderogabili” entro il 31 dicembre 2004, l’art.223 duodecies pone due regole organizzative:

  1. - le deliberazioni necessarie per l’adeguamento dell’atto costitutivo e dello statuto alle nuove disposizioni inderogabili possono essere adottate, in terza convocazione, a maggioranza semplice dei presenti (secondo comma);
  2. - le deliberazioni necessarie per l’adeguamento dello statuto alle disposizioni che disciplinano le società cooperative a mutualità prevalente devono essere adottate con le modalità e le maggioranze previste per le deliberazioni assembleari dall’art.2538 (ultimo comma).

La presente indagine mira ad analizzare, in maniera sintetica e schematica, i rapporti fra le norme in esame e la loro ricaduta sui procedimenti formativi della volontà assembleare delle società cooperative in questo particolare momento storico.

2. La terza convocazione. Limiti di applicabilità e significato interpretativo.

Come già previsto nell’art. 223 bis terzo comma, anche il secondo comma dell’art. 223 duodecies consente di procedere all’adeguamento dello statuto entro il termine fissato dalla legge (31 dicembre 2004) a maggioranza semplice dei presenti, nella circostanza calcolata ovviamente per capi.

Tale facoltà è soggetta tuttavia a due condizioni:

  1. - la deliberazione deve avere ad oggetto l’adeguamento alle nuove norme inderogabili;
  2. - l’assemblea deve essersi riunita in terza convocazione.

Rispetto alla previsione della norma in materia di adeguamento delle società capitali, il dato eccentrico è rappresentato dal riferimento alla terza convocazione.

Dal punto di vista organizzativo ne deriva che:

  1. 1) nelle prime due convocazioni anche l’adeguamento a nuove disposizioni inderogabili deve essere deciso con le maggioranze ordinarie previste dalla legge o dallo statuto per le modifiche di quest’ultimo;
  2. 2) la disciplina legale di riferimento è quella delle s.p.a. a prescindere dal numero dei soci, dal momento che devono ritenersi vigenti per le cooperative non adeguate le norme anteriori alla riforma;
  3. 3) sulla disciplina legale prevale quella risultante dalle clausole contenute nello statuto vigente e non adeguato(1);
  4. 4) la previsione della possibilità di una terza convocazione risulta essere una norma speciale, tenuto conto che: a) nel previgente sistema era inizialmente ammessa nell’art.2369 bis solo per le s.p.a. quotate; b) con l’entrata in vigore del D.Lgs 58/1998 (1° luglio 1998) l’art.2369 bis era stata abrogato; c) l’attuale norma dell’art.2369, al sesto comma, consente convocazioni successive alla seconda solo se espressamente previste nello statuto;
  5. 5) stante la specialità della norma, la possibilità di decidere in terza convocazione è quindi circoscritta alle deliberazioni che hanno per oggetto l’adeguamento a norme inderogabili di legge;
  6. 6) la possibilità di riunire l’assemblea in terza convocazione vale per ogni società cooperativa.

Dal punto di vista sistematico è necessario chiedersi quale sia il significato della scelta legislativa e se la stessa possa influire sull’interpretazione della norma in esame.

Certamente la norma mira a favorire un atteggiamento democratico della compagine sociale, evitando di offrire pretesti per sottrarsi al diritto/dovere di partecipare all’assemblea e confinando alla terza convocazione la possibilità di avvalersi del quorum agevolato.

Tale constatazione non aggiunge nulla dal punto di vista dei motivi che fondano la norma e che distinguono la disciplina delle società cooperative da quella delle società di capitali, tenuto conto che a prima vista l’oggetto della decisione è il medesimo.

In entrambe le norme il quorum deliberativo agevolato è concesso per procedere all’adeguamento/adattamento a nuove disposizioni inderogabili.

Al di là della differenza terminologica, i termini adeguamento e adattamento risultano concettualmente omogenei.

Con riferimento alle società di capitali si è detto che l’uso del termine “adattamento” evoca un’operazione di mera pulizia dello statuto da quelle clausole che sono destinate a perdere (e che ormai hanno perso) efficacia allo spirare del periodo transitorio, e quindi autorizza a decidere con le maggioranze agevolate solo la sostituzione di una precedente clausola che si limiti a recepire il contenuto delle norme inderogabili senza alcun margine di discrezionalità da parte dell’assemblea.

Si era ammesso, tuttavia, che l’agevolazione potesse coinvolgere anche l’introduzione di clausole assenti ma necessarie rispetto alle quali si doveva operare con un margine di discrezionalità (per es.: regole in tema di modalità di recesso da una s.r.l.).

Tale ultima considerazione risulta sicuramente avvalorata dai dati normativi qualora l’adeguamento riguardi le società cooperative.

Più di una norma inderogabile cui è necessario adeguarsi sembra proporre margini di discrezionalità rilevanti.

Si pensi a titolo esemplificativo alle seguenti disposizioni:

  1. art.2545 sexies in tema di ristorni: ferma la necessità di prevederli, occorre definire i criteri in conformità al principio di proporzionalità rispetto alla quantità ed alla qualità degli scambi mutualistici;
  2. art.2527 in tema di requisiti dei soci, che devono essere indicati nello statuto;
  3. art.2542 terzo comma, laddove impone di stabilire il limite di rieleggibilità degli amministratori entro il limite massimo di tre mandati;
  4. art.2542 terzo comma per il quale l’atto costitutivo deve stabilire il limite al cumulo delle cariche.

La concessione di quorum deliberativi agevolati solo in terza convocazione si spiega e supporta ulteriormente la tesi per la quale nelle società cooperative l’adeguamento necessario può certamente coinvolgere profili di discrezionalità rilevante per la definizione degli assetti organizzativi dell’ente.

Per tale motivo il legislatore preferisce che la partecipazione sia ampia e solo laddove l’assenteismo risulta cronico concede una terza convocazione in via speciale.

3. Le fonti delle norme inderogabili. La scelta del modello organizzativo di riferimento.

Occorre precisare che le scelte discrezionali possono essere ricondotte nel concetto di adeguamento necessario solo laddove si iscrivano all’interno di regole considerate inderogabili agli effetti dell’organizzazione societaria, regole che devono essere tuttavia riempite di contenuto ad opera dell’autonomia privata.

Non ricorrendo tale ipotesi, ogni decisione di adozione di nuove regole organizzative deve essere assunta con i quorum ordinari.

La conferma giunge, dal punto di vista sistematico, dall’ultimo comma dell’art.223 duodecies, laddove si precisa che, malgrado la gravità delle conseguenze fiscali, l’adeguamento alle norme in materia di mutualità prevalente deve essere assunto con i quorum ordinari, come si desume dal rinvio all’art.2538.

Tale norma suggella letteralmente il principio per cui l’adeguamento con quorum semplificati vale solo con riferimento alle norme considerate inderogabili per l’organizzazione della società cooperativa in quanto tale, a prescindere dalle scelte operate in funzione fiscale o tributaria.

Tale assunto merita un precisazione con riferimento alle fonti dalle quali cogliere le norme inderogabili. A tal fine si devono osservare:

  1. le norme del codice civile relative alla società cooperativa tout court;
  2. le norme sulla s.p.a. previo vaglio di compatibilità, condotto sia con riferimento alle norme del codice civile relative alla società cooperativa, sia con riferimento alle leggi speciali.

Per le cooperative con più di nove soci non può mai venir in rilievo, agli effetti dell’adeguamento agevolato, il sistema normativo della s.r.l., dal momento che lo schema di riferimento di default, a norma dell’art.2519 primo comma, è quello proprio della s.p.a..

Pur nella ricorrenza dei parametri di cui al secondo comma dell’art.2519 l’opzione per il modello normativo della società a responsabilità limitata fuoriesce dal concetto di adeguamento a nuove disposizioni inderogabili e pertanto la relativa decisione deve essere assunta con le maggioranze ordinarie richieste dalla legge o dallo statuto.

La questione si pone forse in termini diversi con riferimento:

  1. alle “piccole società cooperative”,
  2. a quelle società cooperative che si trovino ad oggi con meno di nove soci tutte persone fisiche.

4. L’art.223 duodecies e “le piccole società cooperative”

A norma dell’inciso finale dell’art.111 septies disp.att.cod.civ. “le piccole società cooperative costituite ai sensi della legge 7 agosto 1997, n.266, nel termine previsto dall’art.223 duodecies del codice devono trasformarsi nella società cooperativa disciplinata dall’art.2522 del codice.”

La norma esprime due precetti:

  1. l’obbligo di adeguamento alle regole organizzative previste nell’art.2522, segnatamente nel secondo comma;
  2. il rispetto del termine di cui all’art.223 duodecies per adempiere all’obbligo.

Ipotizziamo che lo statuto di una piccola società cooperativa preveda che l’assemblea straordinaria, sia in prima sia in seconda convocazione, delibera validamente con il voto favorevole dei soci che rappresentano i due terzi degli aventi diritto di voto (o anche solo con il voto favorevole dei soci che rappresentano la maggioranza degli aventi diritto di voto).

Immaginiamo ancora che la società in questione sia composta da otto soci, di cui quattro totalmente assenteisti perché disinteressati (motivo di fatto) o perché receduti nell’anno ma in presenza di una clausola statutaria che replicava letteralmente il disposto del secondo comma dell’art.2526 previgente, ai sensi del quale la comunicazione di recesso ha effetto con la chiusura dell’esercizio in corso, se comunicata tre mesi prima e, in caso contrario, con la chiusura dell’esercizio successivo (motivo di diritto).

Ne consegue l’impossibilità di raggiungere il quorum deliberativo richiesto dallo statuto per le modifiche del medesimo.

L’unica via di uscita è rappresentata dall’applicabilità dell’art.223 duodecies, e in particolare dalla possibilità di assumere le deliberazioni necessarie per procedere all’adeguamento con il quorum semplificato in terza convocazione.

La via è perseguibile in virtù delle seguenti argomentazioni:

- la piccola cooperativa non rappresenta un tipo a sé stante ma solo una variante quantitativa e qualitativa della cooperativa, una mera struttura semplificata senza dignità tipologica. Si è rilevato in dottrina infatti che la piccola società cooperativa non presenta peculiarità organizzative tali da farla assurgere a tipo autonomo, dal momento che mutuava la struttura organizzativa dalla “grande cooperativa”, distinguendosi solo per il numero massimo dei soci e per le caratteristiche soggettive di questi, che dovevano essere persone fisiche(2). L’adozione di schemi organizzativi semplificati, quali l’assemblea gerente, rappresentava una soluzione rimessa alla scelta discrezionale dell’autonomia privata e non imposta dal legislatore, come tale non idonea a far assurgere la società in esame a tipo, in quanto mancante di elementi necessariamente identificativi(3).

- sulla base di tali considerazioni si è giunti a negare che il passaggio in o da società cooperativa potesse essere qualificato in termini di trasformazione, al di là della definizione espressa dai testi normativi;

- per gli stessi motivi si nega oggi che la “trasformazione” cui si riferisce l’art.111 septies disp. att. Cod. civ. possa essere intesa come tale in senso tecnico, e si ritiene di contro che vada letta come “adeguamento” agli schemi organizzativi imposti dall’art.2522 secondo comma (Vedi Marano).

Ne consegue che il rinvio all’art.223 duodecies contenuto nell’art.111 septies può assumere un valore amplificato rispetto a quello che la lettera della legge lascia intuire, al punto da consentire di ammettere per ragioni sistematiche l’applicabilità integrale dello stesso art.223 duodecies anche alla trasformazione/adeguamento delle piccole società cooperative.

La conclusione prospettata consente la definizione di alcuni corollari applicativi:

  1. anche alla piccola società cooperativa è applicabile il quorum agevolato, ma solo in terza convocazione e limitatamente all’adeguamento dello statuto a norme inderogabili di legge;
  2. la fonte di tali norme inderogabili è rappresentata dalla disciplina codicistica in tema di società cooperativa e dalla disciplina della società a responsabilità limitata, in quanto compatibile con le norme generali sulla società cooperativa e con le leggi speciali;
  3. la “trasformazione” agevolata della piccola società cooperativa è circoscritta all’adeguamento dello statuto alle sole norme inderogabili desunte dai sistemi normativi sopra evidenziati.

5. Altre questioni particolari. Adeguamento e clausole compromissorie.

Le considerazioni sopra svolte in tema di piccola società cooperativa non possono ovviamente estendersi al caso di società cooperativa che, nata con nove soci, si presenti oggi con una compagine sociale formata da un numero inferiore di componenti tutti persone fisiche.

L’adesione iniziale al modello “grande società cooperativa” esclude che possa procedersi ad un’applicazione estensiva delle regole di cui all’art. 111 septies.

La volontà di sopravvivere adattando lo statuto allo schema organizzativo della s.r.l. a mente dell’art. 2522, secondo comma, potrà essere attuata solo con i quorum ordinari e non con quelli semplificati, dal momento che l’unico adeguamento nella fattispecie concepibile è quello alle nuove disposizioni inderogabili della disciplina generale della cooperativa e della disciplina di default della s.p.a., appartenendo la società al genus “grande società cooperativa” seppur già sciolta o nel limbo di “color che sono sospesi” in attesa dello spirare dell’anno indicato dalla L.Basevi e dal nuovo art.2522 per reintegrare la compagine sociale fino al numero legale minimo di nove soci.

L’ultima questione proposta attiene all’adeguamento delle clausole compromissorie contenute negli statuti alla luce della nota sanzione di invalidità espressa dall’art. 34 del D.Lgs. 5/2003.

Non è necessario ripercorrere i termini del problema, dal momento che ci si è molto affaticati sul medesimo al tempo dell’adeguamento delle società di capitali(4).

E’ sufficiente rammentare che a norma dell’ultimo comma del citato art. 34 le modifiche dell’atto costitutivo introduttive di clausole compromissorie devono essere approvate dai soci che rappresentano i due terzi del capitale sociale, norma da intendersi, nella fattispecie, come riferita al voto capitario.

Tuttavia, ai sensi dell’art.41 del medesimo D.lgs.5/2003, “alle modifiche deliberate a norma degli articoli 223 bis e 223 duodecies delle disposizioni di attuazione del codice civile, per adeguare le clausole compromissorie preesistenti alle disposizioni inderogabili del presente decreto legislativo non si applica l’art.34 comma 6.”

Per le società cooperative il quorum deliberativo per introdurre una clausola arbitrale valida ai sensi dell’art. 34 in luogo di quella invalida è dunque fissato per legge in due terzi degli aventi diritto di voto.

Vi è da chiedersi come debba essere letto il rinvio all’art.223 duodecies contenuto nell’art.41 citato.

Esso risulta così generico da consentire l’estensione di tutte le disposizioni comprese nella norma richiamata anche all’adeguamento delle clausole arbitrali, per concludere che in prima e seconda convocazione si può decidere con i quorum previsti dalla legge o dallo statuto per le modifiche statutarie latamente intese(5) e in terza convocazione con il quorum agevolato.

La norma dell’art.41 secondo comma ha la funzione evidente di favorire l’adeguamento degli statuti anche alla nuova disciplina della clausola arbitrale.

Peraltro, anche a voler ammettere un’applicabilità dell’art.223 duodecies circoscritta al quorum agevolato ivi previsto, ne conseguirebbe una soluzione non armonica e addirittura contraddittoria dal punto di vista degli effetti.

Tale lettura, infatti, condurrebbe alla conclusione per la quale in prima e in seconda convocazione l’assemblea della società cooperativa potrebbe decidere l’adeguamento della clausola compromissoria alle disposizioni inderogabili del D.lgs. 5/2003 solo con il voto favorevole dei soci che rappresentano i due terzi degli aventi diritto di voto, per effetto dell’art. 34 comma 6, norma speciale prevalente sui quorum statutari o legali ordinari.

La disposizione da ultimo citata contiene tuttavia anche il riconoscimento del diritto di recesso per il socio non consenziente.

Ammettendo l’applicazione dell’art. 34 ultimo comma alla prima e seconda convocazione ne sortirebbe l’effetto incoerente per cui se l’assemblea decide l’adeguamento in tali circostanze il socio non consenziente ha diritto di recesso, mentre se la stessa decisione è assunta in terza convocazione con il quorum agevolato ai sensi dell’art. 223 duodecies il socio non consenziente è privato del diritto di recesso per effetto dell’art. 41 secondo comma.

L’armonia del sistema induce pertanto a ritenere che il rinvio contenuto nell’art. 41 secondo comma abbia portata generale, ragion per cui l’adeguamento delle clausole compromissorie in prima e seconda convocazione potrà essere deciso con le maggioranze legali o statutarie ordinariamente richieste per le modifiche dello statuto e in terza convocazione con le maggioranze agevolate, sempre senza il diritto di recesso per i soci non consenzienti(6)(7) .

Un’ultima riflessione coinvolge l’ambito applicativo della deroga ammessa dall’art. 41.

Letteralmente sono sottratte al sesto comma dell’art. 34 solo le deliberazioni modificative dello statuto diretta ad adeguare clausole compromissorie preesistenti alle norme inderogabili del decreto legislativo n.5/2003.

A sua volta l’art. 34 impone quorum deliberativi rafforzati e riconosce il diritto di recesso solo in caso di “modifiche dell’atto costitutivo introduttive o soppressive di clausole compromissorie”.

Dal confronto letterale delle disposizioni citate emerge il senso della deroga concessa dall’art. 41.

L’adeguamento delle clausole compromissorie preesistenti alle nuove norme inderogabili, e segnatamente a quelle in tema di competenza per la nomina degli arbitri, determina l’ingresso nell’ordinamento della società di una disciplina di risoluzione delle controversie diversa da quella precedente, e quindi nuova, in quanto trascina con sé anche le disposizioni (a sua volta definite inderogabili, anche se non ai fini statutari) contenute negli articoli successivi.

Dal punto di vista effettuale l’adeguamento è quindi assimilabile all’introduzione nello statuto della clausola compromissoria prevista nell’art. 34.

Occorreva pertanto una deroga espressa per consentire la disapplicazione del sesto comma dell’art. 34, almeno nella pendenza della fase transitoria.

Non risulta invece necessaria un’eguale concessione per sopprimere le clausole compromissorie preesistenti con i quorum richiesti, dalla legge o dallo statuto, per le modifiche dell’atto costitutivo e per negare il diritto di recesso dei soci non consenzienti.

Senza voler prendere posizione sulla controversa questione della validità o meno di tali clausole, e pur nella consapevolezza dell’esistenza di un orientamento attualmente dominante nel senso della loro invalidità assoluta (e in questo si tratterebbe di mera “ripulitura” dello statuto da una clausola giuridicamente inefficace, senza necessità di quorum particolari), è sufficiente notare che in ogni caso si tratta di clausola arbitrale diversa da quella prevista nell’art. 34 del D.Lgs. 5/2003, e come tale sottratta alle norme del comma sesto del medesimo articolo.


(1) La prassi statutaria normalmente prevede che in seconda convocazione le modifiche dello statuto possano essere decise qualunque sia il numero dei presenti a maggioranza semplice dei presenti. Ne consegue che la portata agevolativi dell’art.223 duodecies risulta alquanto ridotta sotto il profilo dell’impatto applicativo.
(2) M. De Mari – S. Giulianelli, La trasformazione della piccola società cooperativa, in Riv.Not. 1999, I, pp .97 – 98.
(3) M. De Mari – S. Giulianelli, op.cit., p.97 – 98.
(4) E’ sufficiente ricordare che l’unica norma del Dlgs 5/2003 che pretende un adeguamento delle clausole arbitrali vigenti è quella contenuta nel secondo comma dell’art.34 che pretende l’attribuzione del potere di nomina degli arbitri ad un terzo estraneo a pena di nullità della clausola.
(6) Si veda in proposito il testo della Relazione al decreto, nel quale si legge in proposito che “si è creduto di dover espressamente esentare dalle conseguenze destinate a prodursi a regime (in particolare, la recedibilità del socio dissenziente) l’adeguamento della eventuale clausola già presente nello statuto al nuovo profilo dell’arbitrato societario”.
(7) In tal senso anche S. Sanzo in commento sub artt. 42-43 d.lgs. 5/2003, in il Nuovo diritto societario, commentario diretto da G. Cottino e G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti, ***, Bologna, 2004, p.3024.

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