Contratto di mantenimento a favore del terzo "post mortem"
Contratto di mantenimento a favore del terzo "post mortem"
di Mauro Leo
Consiglio Nazionale del Notariato - Studio n. 4089-2003/C
Pubblicato nella rivista Studi e Materiali CNN, Milano, 2/2003, p. 439.

Sommario: Premessa; 1. Brevi cenni sul contratto di mantenimento e vitalizio alimentare; 2. Contratto di mantenimento a favore del terzo e divieto dei patti successori; 3. Il contratto di mantenimento e la sua esecuzione post mortem. Conclusioni

Premessa.

Si chiede se sia possibile stipulare un contratto di mantenimento a favore del terzo (art. 1411 ss. cod. civ.) con l’espressa previsione che la prestazione dovrà eseguirsi a favore del terzo solo dopo la morte dello stipulante (art. 1412 co. 1 cod. civ.). Ove tale contratto sia ammissibile, si chiede inoltre di conoscere a) in caso di premorienza del terzo beneficiario allo stipulante, a favore di chi debba eseguirsi quella prestazione: se verso lo stipulante ovvero a favore degli eredi del terzo; b) in caso di premorienza dei promittenti, se obbligati ad eseguire la prestazione di mantenimento siano i loro eredi, rispetto ai quali andrebbe pertanto accertata la trasmissibilità in capo ad essi dell’obbligo di eseguire la prestazione convenuta.

Premessi brevi cenni sul contratto di mantenimento, occorre principalmente verificare se tale contratto tolleri l’apposizione della pattuizione che consente la deviazione degli effetti favorevoli verso il terzo estraneo all’accordo; ed inoltre se sia ammesso dall’ordinamento il contratto di mantenimento quale contratto a favore del terzo da eseguirsi dopo la morte dello stipulante.

1. Brevi cenni sul contratto di mantenimento e vitalizio alimentare.

Il contratto di mantenimento è quello con il quale una parte si obbliga, quale corrispettivo del trasferimento di un bene o della cessione di un capitale, a fornire all’altra prestazioni alimentari o assistenziali vita natural durante. Con tale contratto un soggetto, incapace di provvedere autonomamente ai propri bisogni ed esigenze di vita, ottiene in cambio della cessione di un bene o di un capitale non la semplice dazione periodica di denaro o di cose fungibili, bensì il diretto soddisfacimento - mediante l'attività personale della controparte - di esigenze di varia natura concernenti vitto, alloggio, pulizia, cure mediche e finanche assistenza morale.

Tale schema, che si inquadra tra i negozi aventi ad oggetto l’erogazione di una prestazione non pecuniaria, secondo un orientamento prevalente in dottrina(1) e in giurisprudenza - anche se le pronunce rinvenute sul punto hanno evidenziato mutamenti di indirizzo(2) - è un negozio atipico che è solo affine alla rendita vitalizia di cui all’art. 1872 ss. cod. civ. e non ne costituisce species, presentando infatti uno schema causale autonomo rispetto a quest'ultimo contratto.

Proprio argomentando dalla diversa natura della prestazione eseguita, la dottrina distingue tra vitalizio alimentare, con il quale un soggetto si obbliga a corrispondere ad un altro gli alimenti – vitto alloggio, vestiario, cure mediche ecc. – e contratto (o rapporto) di mantenimento, in cui la prestazione del vitaliziante è determinata attraverso un generico riferimento al mantenimento del vitaliziato(3). Benché in entrambe le figure sia rinvenibile l’obbligo di prestazioni in natura in favore del vitaliziato, nel contratto di mantenimento l’esecuzione di tali prestazioni prescinde dal bisogno di quest’ultimo(4).

In relazione a tale ultima distinzione si è precisato che con le espressioni “vitalizio alimentare” e “contratto di mantenimento” si indicano fattispecie contrattuali non omogenee tra loro. Esse vanno dalle figure appena descritte – che si presentano a loro volta con una grande varietà di contenuti, specie in relazione ai diversi tipi di prestazioni in natura a carico del vitaliziante (vitto, alloggio, vestiario, cure mediche, assistenza materiale, assistenza spirituale, trasporto, ecc.) e alla differente influenza delle condizioni economiche del vitaliziato ai fini della prestazione di mantenimento – alle fattispecie negoziali in cui la prestazione di rendita, ancorché espressa in una somma di denaro, è indirizzata a soddisfare il bisogno alimentare del vitaliziato e risulta perciò variabile in relazione ai parametri (stato di bisogno, posizione sociale e composizione del nucleo familiare dell’alimentando) fissati nell’atto di costituzione della rendita, alle ipotesi, infine, in cui la prestazione dovuta consiste nel fornire lavoro domestico e assistenza in un regime di subordinazione(5).

Il confronto fra il contratto di mantenimento con l’ipotesi tipica della rendita vitalizia - al fine di decidere sull’applicabilità o meno al contratto di mantenimento del generale rimedio risolutorio ex art 1453 cod. civ., ovvero della speciale azione dettata per la rendita vitalizia ex art. 1878 cod. civ. – ha evidenziato una serie di elementi distintivi tipici del contratto di mantenimento, tra i quali per quanto interessa giova richiamare innanzitutto l’aleatorietà del rapporto. Sebbene il carattere ricorra anche nella rendita vitalizia, è stato evidenziato che nel caso del mantenimento l’aleatorietà è doppia poiché incerta è non solo la vita del beneficiario, ma anche l’entità delle prestazioni a suo favore, che non sono predeterminate nel loro ammontare in una misura certa, ma variano giorno per giorno a seconda dei bisogni.

Con riferimento alla prestazione del soggetto obbligato, questa è caratterizzata da una prevalenza di obbligazioni di fare infungibili, cosicché l’interesse del creditore può realizzarsi unicamente in virtù dell’opera di quel determinato debitore: da ciò si evince che la persona obbligata assume una speciale rilevanza cosicché il rapporto si colora di un elemento di fiduciarietà (intuitus personae). Si è quindi precisato che dette obbligazioni hanno come contenuto prestazioni di carattere accentuatamente spirituale e, in ragione di ciò, eseguibili unicamente da un vitaliziante specificamente individuato alla luce delle sue proprie qualità personali(6).

2. Contratto di mantenimento a favore del terzo e divieto dei patti successori

In relazione al primo dei quesiti posti in evidenza, non sembrano esservi dubbi sulla possibilità di stipulare un contratto di mantenimento a favore di un terzo. E ciò non solo perché con riferimento alla figura affine della rendita vitalizia è testualmente prevista tale possibilità (art. 1875 cod. civ.), ma anche perché l’apposizione della clausola diretta a deviare gli effetti negoziali a favore di un terzo non è idonea ad incidere sulla funzione del negozio di mantenimento. Si è quindi sottolineato che tale pattuizione incide sul rapporto e non sul negozio, ed è stato osservato che l’inserimento di detta clausola nel contenuto del contratto ha la funzione di individuare il beneficiario a cui spetterà la prestazione, chiarendosi altresì che si tratta di clausola assolutamente inidonea ad alterare la causa tipica del contratto nel quale è inserita(7).

Difficoltà maggiori pone invece la risposta all’altra questione che involge la delicata problematica del contratto a favore di terzo con prestazione post mortem, disciplinata in via generale dall’art. 1412 cod. civ. Se ne rinviene specifica applicazione agli artt. 1920 e 1921 cod. civ. in materia di assicurazione sulla vita, con la differenza rappresentata dalla designazione del beneficiario che, in quest’ultima ipotesi, può avvenire anche per testamento.

Partendo da tale premessa si è osservato che la tipizzazione della figura esclude che occorra indugiare a lungo sulla eventualità che questo schema possa configurarsi contra legem, ed in particolare in violazione o in frode al divieto dei patti successori(8). Tuttavia, poiché la fattispecie in esame è caratterizzata da un significativo allontanamento dalla figura generale del contratto a favore del terzo, una riflessione si impone dal momento che il contratto di mantenimento da eseguirsi dopo la morte dello stipulante tende a collocarsi tra gli strumenti negoziali “alternativi al testamento”, che impongono di verificare la loro validità alla luce del divieto dei patti successori ex art. 458 cod. civ.(9).

In relazione a tale aspetto è stato autorevolmente osservato che il contratto a favore di terzi con prestazione post mortem è un’ipotesi eccezionalmente ammessa dall’ordinamento di patto successorio lecito e cioè un negozio mortis causa a struttura contrattuale in cui l’inquadramento discenderebbe, con sicurezza, dalla previsione della revocabilità di cui al primo comma dell’art. 1412 cod. civ., revocabilità che “non sarebbe consentita se si trattasse di un’attribuzione inter vivos”(10). Di contrario avviso la dottrina prevalente(11) che configura l’ipotesi in esame come un atto inter vivos in cui la stipulazione è da ritenersi immediatamente operativa a favore del terzo; questi, per effetto della designazione, acquista un diritto proprio al beneficio, nonostante lo stipulante lo possa revocare pur in presenza della dichiarazione di volerne profittare; inoltre, dalla previsione secondo cui “la prestazione deve essere eseguita a favore degli eredi del terzo se questi premuore dallo stipulante”, si ricava che ciò non potrebbe avvenire se il terzo acquistasse per successione allo stipulante il diritto alla prestazione, dal momento che solo chi ha già acquistato può trasmettere agli eredi. Si comprende che la differenza tra le due ricostruzioni è netta: mentre nella prima l’evento morte opera come requisito di efficacia, nell’altra lo stesso evento si atteggia quale termine di esecuzione.

Più precisamente l’inquadramento del contratto di mantenimento tra i negozi post mortem(12), da eseguirsi dopo la morte dello stipulante, esclude il pericolo di eventuali violazioni all’art. 458 cod. civ. sul divieto dei patti successori, dal momento che nella fattispecie prospettata ricorrono le seguenti peculiarità evidenziate in dottrina(13):

  1. il bene (mobile, immobile o capitale) esce dal patrimonio del beneficiante-stipulante prima della morte, cioè al momento in cui si perfeziona il contratto;
  2. l’attribuzione al beneficiario diviene definitiva solo dopo la morte del disponente essendo differito il termine iniziale della prestazione periodica a tale momento;
  3. il disponente è libero di revocare il beneficio fino alla sua morte rendendo così inoperante il congegno negoziale posto in essere.

La mancata violazione del divieto dei patti successori non esclude comunque che debba prestarsi una particolare attenzione in sede di stipulazione, in particolare in ordine all’eventuale partecipazione alla pattuizione del terzo beneficiario. Ciò per escludere alla radice che un’eventuale partecipazione del beneficiario alla pattuizione, possa interpretarsi come finalizzata a creare un vincolo tra questo ed il disponente.

3. Il contratto di mantenimento e la sua esecuzione post mortem. Conclusioni

Si è sopra verificato che il contratto di mantenimento può legittimamente essere stipulato favore del terzo, ed inoltre, se contenuto entro certi limiti, non urta contro il divieto dei patti successori

E’ ora possibile esaminare come lo stesso debba atteggiarsi nella configurazione che le parti intendono adottare, e l’incidenza in fase di esecuzione del contratto, degli effetti legati alla (eventuale) premorienza – rispetto allo stipulante - del terzo beneficiario o dei promittenti. In particolare, nel silenzio del contratto sul punto(14), se la prestazione di mantenimento debba eseguirsi a favore dello stipulante ovvero a vantaggio degli eredi del terzo; inoltre se obbligati ad eseguire la prestazione di mantenimento siano gli eredi dei promittenti, rispetto ai quali andrebbe pertanto accertata la trasmissibilità in capo ad essi dell’obbligo di eseguire la prestazione convenuta.

In relazione alla prima domanda si ritiene che la prestazione debba eseguirsi in favore degli eredi del terzo. A sostegno di tale soluzione si pone l’ultimo comma dell’art. 1412 co. 2 cod. civ. che prevede testualmente l’esecuzione della prestazione a favore degli eredi del terzo.

In senso contrario non varrebbe invocare l’aspetto squisitamente fiduciario del contratto di mantenimento, poiché il terzo beneficiario potrebbe non essere conosciuto dal promittente qualora non intervenga all’accordo, mentre elemento senz’altro prevalente del negozio appare il carattere tipicamente aleatorio, che fin dall’inizio lo caratterizza. Non sembra possa rilevare inoltre l’eventuale (eccessiva) onerosità sopravvenuta della prestazione a carico del promittente, individuata nell’ampliamento del numero dei beneficiari della prestazione di mantenimento nell’ipotesi in cui più siano gli eredi del beneficiario: tale circostanza infatti pare bilanciata dalla possibilità che si verifichi la premorienza dello stipulante (così come previsto fin dall’inizio), la morte dello stesso promittente ovvero la revoca del beneficio da parte dello stipulante appena avuto notizia della premorienza del terzo.

Ovviamente l’esecuzione della prestazione di mantenimento a favore degli eredi del terzo beneficiario, come detto verificandosi ex lege, potrebbe dalle parti essere disattivata mediante espressa previsione nel contratto, così come testualmente previsto dall’art. 1412 co. 2 ultima parte cod. civ., dal quale sembra ricavarsi agevolmente tale possibilità.

E’ ivi previsto infatti che la prestazione da eseguirsi in favore degli eredi del terzo - se questo premuore allo stipulante – può ricevere una diversa destinazione: direttamente a favore dello stipulante, se questi abbia revocato il beneficio, ovvero sempre a suo favore (o a favore di soggetti diversi dagli eredi del terzo beneficiato) se egli “abbia disposto diversamente”. Sotto un diverso profilo inoltre, occorre valutare il generale potere di revoca di cui dispone lo stipulante in base al secondo comma dell'art. 1411 cod. civ.: in base a tale norma in caso di revoca dello stipulante la prestazione rimane a beneficio di se stesso (e non sembra dubbio che la previsione abbracci anche l’ipotesi di revoca di cui all’art. 1412). Infine si è ritenuto, in via interpretativa, di estendere la facoltà di designazione del terzo beneficiario con atto successivo alla stipulazione, anche alla figura generale di cui all’art. 1412 cod. civ., facoltà questa sinora circoscritta alla sola ipotesi dell’assicurazione sulla vita (art. 1920 co. 2 cod. civ.): viene così riconosciuto anche al contratto a favore del terzo da eseguirsi post mortem, la facoltà di designazione successiva che dovrà però costituire oggetto di apposita pattuizione(15).

Infine, con riferimento all’ultima delle questioni inizialmente poste, volta a conoscere se in caso di premorienza dei (rectius: di tutti i) promittenti, sia o meno trasmissibile ai loro eredi l’obbligo di eseguire la prestazione di mantenimento, la risposta tendenzialmente negativa si impone alla luce del sopra evidenziato carattere di infungibilità(16) e non predeterminabilità(17) della prestazione, che porta lo stipulante a scegliere il soggetto tenuto alla prestazione sulla base di un rapporto di fiducia che si instaura tra le parti e che rende insostituibile per il beneficiario la persona dell’obbligato. Da ciò deriva che la prestazione assistenziale non è trasmissibile agli eredi del debitore e che non ne è possibile un’esecuzione forzata in forma specifica(18).


(1) L. CARIOTA FERRARA, In tema di contratto di mantenimento, in Giur. comp. Cass., 1951, II, vol. XXX, 55; E. CALO’, Contratto di mantenimento e proprietà temporanea, in Foro it., 1989, I, 1165; A. LENER, voce “Vitalizio”, in Nov. dig. It., Torino, 1957, 1022, per il quale la distinzione con la rendita vitalizia deve ricercarsi nel tipo di prestazione erogata (vitto, vestiario, alloggio, cure mediche ecc) che rileva “sotto il profilo preminente del facere ed ha carattere continuativo, non periodico, anche se in alcune manifestazioni sia caratterizzata dalla saltuarietà o addirittura da una certa periodicità”; E. VALSECCHI, La rendita perpetua e la rendita vitalizia, in Trattato Cicu Messineo, Milano, 1961, 192, che in aggiunta all’argomento di Lener afferma che l’atipicità discende dall’erogazione della prestazione di mantenimento che la rende infungibile, a differenza della prestazione della rendita perpetua che, sostanziandosi in un’obbligazione di fare, è cedibile; A TORRENTE, Della rendita vitalizia, sub. art. 1872, in Commentario Scialoja Branca, Bologna - Roma, 1966, 77 ss. che analogamente ritiene che il contenuto della prestazione di mantenimento sia un facere e nello stesso senso A. MARINI, La rendita perpetua e la rendita vitalizia, in Trattato Rescigno, Milano, 1985, vol. 13, 35 ss. secondo il quale quando la prestazione sia indirizzata a soddisfare il bisogno alimentare del vitaliziato e risulti quindi determinabile in relazione a determinati parametri preventivamente fissati all’atto della costituzione del vitalizio (stato di bisogno, posizione sociale ecc.), il negozio deve essere inquadrato nel vitalio tipico, anche se la prestazione si risolva in un’attività del vitaliziante diretta a procurarsi i beni fungibili; al contrario se la prestazione del vitaliziante sia determinata attraverso un generico riferimento al mantenimento del vitaliziato deve escludersi l’inquadramento della figura nella rendita vitalizia.
(2) La Cassazione ha di recente consolidato il proprio orientamento attorno all’opinione che il contratto de quo integri una fattispecie negoziale atipica. In tal senso Cass. 29 maggio 2000 n. 7033, CED Cass.; Cass. 8 settembre 1998 n. 8854 in Giur. it., 1999, 725; Cass. 13 giugno 1997 n. 5342 CED Cass; Cass. 9 ottobre 1996 n. 8825 in Giust. civ., 1996, I, 3143; Cass. 11 dicembre 1995 n. 12650 in Riv. not., 1996, 235; Cass. 30 gennaio 1992 n. 1019 in Giust. civ., 1993, I, 1053; Cass. SS. UU. 18 agosto 1990 n. 8432 in Riv. not., 1991, 174; Cass. 14 giugno 1982 n. 3625, CED Cass; Cass. 30 ottobre 1980 n. 5855 in Giust. civ., 1981, I, 519; Cass. 5 gennaio 1980 n. 50 in Giur. it., 1980, I, 1, 1052; a favore dell’opposta opinione Cass. SS. UU. 11 luglio 1994 n. 6532 in Foro it., 1995, I, 183; Cass. 15 marzo 1982 n. 1683, CED Cass; Cass. 16 giugno 1981 n. 3902, in Foro it., 1992, I, 477; Cass. 24 ottobre 1978 n. 4801, in Giust. civ. 1979, I, 492.
(3) A. MARINI, op. cit., 36. Per un’approfondita disamina U. PERFETTI, Contratto innominato di mantenimento e divieto di risoluzione ex art. 1878 cod. civ., in Dir, e giur., 1978, 514 ss.
(4) T. AULETTA, Alimenti e solidarietà familiare, Milano, 1984, 200 ss., A. LUMINOSO, I contratti tipici e atipici, Milano, 1995, 350 ss.
(5) A. LUMINOSO, op. cit., 351.
(6) Cass. 8 settembre 1998 n. 8854, cit.
(7) T. O. SCOZZAFAVA, voce “Contratto a favore di terzi” in Enc. giur., IX, 1991, 2.
(8) M. FRANZONI, in Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno, Torino 1999, tomo II, 1103.
(9) Per una approfondita disamina del problema, si rinvia a M. IEVA, I fenomeni c.d. parasuccessori, in Riv. not. 1988, 1139 ss. e in Successioni e donazioni, a cura di P. Rescigno, Padova, 1994, I, 53 ss.
(10) E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1952, 311.
(11) F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1989, 9° ed., 223 ss., CARIOTA FERRARA, Le successioni per causa di morte, Parte generale, Napoli, 1977, 56.
(12) Per la distinzione tra atti mortis causa e negozi post mortem si veda M. IEVA, I fenomeni c.d. parasuccessori, in Successioni e donazioni, op. cit., 55 ss. che – richiamata l’opinione di G. Giampiccolo – inquadra i primi negli atti destinati a regolare rapporti e situazioni che si formano in via originaria con la morte del de cuius, cosicché la loro funzione è quella di regolare tali rapporti per il tempo e in dipendenza della morte del soggetto ed inoltre che nessun effetto, nemmeno prodromico o preliminare, sono perciò destinati a produrre prima di tale evento; al contrario gli atti post mortem, le cui caratteristiche essenziali sono quelle riportate nel testo, sono atti inter vivos destinati a regolare una situazione preesistente nei quali l’evento morte si inserisce come condizione o termine di efficacia.
(13) M. IEVA, op. cit., 65 e, quanto alla rendita vitalizia a favore del terzo, 74.
(14) T. FORMICHELLI, L’efficacia “post mortem” dell’obbligazione alimentare, in Riv. not. 1987, 729, in relazione all’ipotesi del contratto alimentare post mortem a favore di terzi, ritiene che tale convenzione debba essere accompagnata, per rendere stabile definitivamente il vincolo a favore del terzo, da due dichiarazioni che si saldano in una fattispecie complessa. Queste sono 1) la dichiarazione unilaterale recettizia (per il solo promittente o per stipulante e promittente) di adesione del terzo o di rinuncia al potere di rifiuto; 2) la rinunzia al potere di revoca dello stipulante sottoposta al vincolo della forma scritta ab substantiam data la gravità della disposizione.
(15) L. V. MOSCARINI, Commentario al codice civile Schlesinger, Milano, 1997, sub art. 1412, 148 ss.
(16) Cass. 15 febbraio 1983 n. 1166 in Foro it. 1983, I, 933 che ha posto in evidenza il carattere “spirituale” della prestazione in esame.
(17) Non può escludersi, evidentemente, la possibilità di prevedere nel contratto un rinvio a criteri di determinazione (rectius: quantificazione) della prestazione di mantenimento. Si veda a tal proposito quanto deciso da Cass. 14 luglio 1986 n. 4539 secondo cui “in tema di contratto di mantenimento, qualora non sia possibile per qualsiasi motivo la prestazione in natura, è applicabile l’art. 443 cod. civ. che prevede in materia di alimenti la somministrazione della prestazione dell’obbligato e, quindi, anche la convertibilità in denaro della prestazione, indipendentemente dalla scelta dell’interessato e dalla domanda di parte”.
(18) MARINI, op. cit., 37, nota 42; M. SALA, Contratti atipici vitalizi a titolo oneroso e risoluzione per inadempimento, in Giust. Civ., 1993, I, 1057.

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