Giurisprudenza - Le operazioni sul capitale sociale: casi pratici e tecniche di redazione del verbale notarile
Giurisprudenza
Cass., sez. I, 19-10-2007, n. 22016.
In materia di aumento di capitale di una società a responsabilità limitata, l’obbligo di versamento per il socio deriva non dalla deliberazione, ma dalla distinta manifestazione di volontà negoziale, consistente nella sottoscrizione della quota del nuovo capitale offertagli in opzione, ciò indipendentemente dall’avere egli concorso o meno con il proprio voto alla deliberazione di aumento; conseguentemente, per fondare la relativa pretesa, la società ha l’onere di provare non soltanto l’esistenza della deliberazione assembleare, ma anche la successiva sottoscrizione della quota di spettanza dell’aumento ad opera del socio.
Sez. 1, Sentenza n. 15614 del 12/07/2007
È valida la delibera, che a seguito di riduzione integrale del capitale sociale per perdite, decida l'azzeramento ed il contemporaneo aumento, anche ad una cifra superiore al minimo, del capitale sociale, mediante la sottoscrizione immediata e per intero del socio presente, purchè sia consentito, ai soci assenti o impossibilitati alla sottoscrizione immediata, l'esercizio del diritto di opzione nel termine di trenta giorni stabilito nell'art. 2441 secondo comma cod. civ. previgente per l'acquisto delle partecipazioni sottoscritte in misura eccedente la quota di spettanza dell'originario sottoscrittore, dal momento che l'esercizio postumo del diritto di opzione opera come condizione risolutiva e rimuove "pro quota" e retroattivamente gli effetti dell'originaria sottoscrizione
Sez. 1, Sentenza n. 13503 del 08/06/2007
In tema di riduzione del capitale sociale per perdite, la mera deliberazione di aumento del capitale non è idonea a modificare la situazione contabile della società - e dunque il verificarsi della causa di scioglimento di cui all'art. 2448, n. 4, cod. civ. e la conseguente responsabilità degli amministratori ai sensi dell'art. 2449 - sin quando le nuove azioni non siano sottoscritte (e pagate almeno nella misura percentuale minima prescritta dalla legge).
Cass., sez. I, 30-03-2007, n. 7980.
In tema di società a responsabilità limitata, i versamenti effettuati dai soci in conto capitale, ovvero indicati con dizione analoga, sebbene non diano luogo ad un immediato incremento del patrimonio sociale e non attribuiscano alle relative somme la condizione giuridica propria del capitale, hanno tuttavia una causa che, di regola, è diversa da quella del mutuo ed è assimilabile a quella del capitale di rischio: siffatti versamenti non danno luogo a crediti esigibili nel corso della vita della società e possono essere chiesti dai soci in restituzione soltanto per effetto dello scioglimento della società, nei limiti dell’eventuale attivo del bilancio di liquidazione; tuttavia, tra la società ed i soci può anche essere convenuta l’erogazione di capitale di credito, potendo i soci effettuare versamenti in favore della società a titolo di mutuo (con o senza interessi), riservandosi il diritto alla restituzione anche durante la vita della società; fermo restando che è a carico dell’attore l’onere di fornire la prova del titolo posto a fondamento della domanda, stabilire se un determinato versamento tragga origine da un mutuo o se invece sia stato effettuato quale apporto del socio al patrimonio della società è questione di interpretazione, riservata al giudice del merito, il cui apprezzamento non è censurabile in cassazione, se non per violazione delle regole giuridiche da applicare nell’interpretazione della volontà delle parti o per eventuali carenze o vizi logici della motivazione che quell’accertamento sorregge (enunciando il principio di cui in massima, la corte ha precisato che l’indagine sul punto deve tenere conto sia della eventuale esistenza di una clausola statutaria che detti versamenti preveda, sia della riconducibilità alla stessa dell’erogazione e soprattutto, al di là della denominazione con la quale il versamento è stato registrato nelle scritture contabili della società, del modo in cui concretamente è stato attuato il rapporto, tenendo conto delle finalità pratiche perseguite, degli interessi implicati e della reale intenzione dei soggetti - socio e società - tra i quali il rapporto si è instaurato).
Sez. 1, Sentenza n. 8876 del 14/04/2006
Nelle società per azioni, il socio può validamente obbligarsi nei confronti della società a sottoscrivere un determinato aumento di capitale prima che lo stesso sia formalmente deliberato dall'assemblea, dovendosi ritenere siffatto obbligo, in assenza di diverse pattuizioni, subordinato alla condizione sospensiva che la deliberazione di aumento del capitale intervenga nel termine stabilito o in quello desumibile dalle circostanze, e - per la parte in cui l'impegno investa anche le azioni di nuova emissione sulle quali il socio non vanta il diritto di opzione - alla ulteriore condizione che tali azioni non vengano sottoscritte dai soci titolari del predetto diritto nel termine assegnato ai fini dell'esercizio del medesimo.
Cass., sez. I, 14-04-2006, n. 8876.
Deve ritenersi pienamente valido il patto con il quale un socio, che pure non disponga di una partecipazione totalitaria, si vincoli, nell’esercizio della propria autonomia negoziale, a sottoscrivere per intero un aumento di capitale programmato dalla società, influendo la previsione del diritto di opzione non sulla validità del negozio in questione ma (eventualmente) solo sulla sua efficacia, quale evento condizionante (sub specie di mancato esercizio del diritto nel termine da parte dei suoi titolari).
Nell’ordinamento societario è ammissibile l’effettuazione (da parte dei soci) di c.d. versamenti societatis causa - ossia di veri e propri conferimenti «a rischio», che confluiscono nel patrimonio sociale come componenti del netto - non imputati, o non imputati nell’immediato, a capitale, non essendo desumibile dalla disciplina positiva alcun generale principio che imponga l’imputazione a capitale di tutti i conferimenti.
Sez. 1, Sentenza n. 7692 del 31/03/2006
I versamenti operati dai soci in conto capitale (o con altra analoga dizione indicati), pur non incrementando immediatamente il capitale sociale, e pur non attribuendo alle relative somme la condizione giuridica propria del capitale (onde non occorre che siano conseguenti ad una specifica deliberazione assembleare di aumento dello stesso), hanno tuttavia una causa che, di norma, è diversa da quella del mutuo ed è assimilabile a quella del capitale di rischio. Essi, pertanto, non danno luogo a crediti esigibili nel corso della vita della società, e possono essere chiesti dai soci in restituzione solo per effetto dello scioglimento della società, e nei limiti dell'eventuale residuo attivo del bilancio di liquidazione. Ciò non esclude, tuttavia, che tra la società ed i soci possa viceversa essere convenuta l'erogazione di capitale di credito, anziché di rischio, e che i soci possano effettuare versamenti in favore della società a titolo di mutuo (con o senza interessi), riservandosi in tal modo il diritto alla restituzione anche durante la vita della società. Fermo restando che è a carico dell'attore l'onere di fornire la prova del titolo posto a fondamento della domanda, stabilire se, in concreto, un determinato versamento tragga origine da un mutuo, o se invece sia stato effettuato quale apporto del socio al patrimonio dell'impresa collettiva, è questione di interpretazione della volontà delle parti, riservata al giudice di merito, il cui apprezzamento non è censurabile in Cassazione, se non per violazione delle norme giuridiche che disciplinano l'interpretazione della volontà negoziale o per eventuali carenze o vizi logici della motivazione che quell'accertamento sorregge.
Cass., sez. I, 17-11-2005, n. 23262.
Non è invalida per lesione del diritto di opzione di cui all’art. 2441 c.c. la delibera che, a seguito di riduzione integrale del capitale sociale per perdite, decida l’aumento del capitale sociale, consentendone la sottoscrizione per intero, contestualmente, ad uno solo dei soci, sotto la condizione risolutiva dell’esercizio da parte degli altri soci dei rispettivi diritti di opzione, entro il termine fissato; non è invalida per violazione dell’art. 2462 c.c. la delibera assunta a maggioranza che preveda a carico dei soci l’obbligo di ripianare le perdite oltre il capitale sociale al fine di ricostituirlo mediante apporti personali.
Nell’ipotesi, prevista dall’art. 2447 c.c., di ricostituzione del capitale sociale ridottosi, per la perdita di oltre un terzo dello stesso, al di sotto del minimo legale, non è imposta l’immediata - in considerazione dell’urgenza connessa all’altrimenti automatico scioglimento della società - sottoscrizione del capitale medesimo (almeno nei limiti del minimo legale) contestualmente alla delibera assembleare di ricostituzione, così che il socio non possa in alcun modo dolersi della mancata, prima della sottoscrizione, fissazione di un termine per l’esercizio del diritto di opzione spettantegli; infatti l’automatico scioglimento della società, ai sensi dell’art. 2448, n. 4, c.c., si produce salvo il verificarsi, con efficacia retroattiva, della condizione risolutiva costituita dalla reintegrazione del capitale (o dalla trasformazione della società) ai sensi dell’art. 2447 cit., sicché non la perdita del capitale in quanto tale e la sua riduzione al di sotto del minimo legale costituiscono la causa dello scioglimento, bensì la mancata reintegrazione del capitale stesso al minimo legale (o la mancata trasformazione della società), mentre la legge (che pure vieta agli amministratori di intraprendere nuove operazioni in presenza di un fatto che determina lo scioglimento della società) non impone la predetta contestualità, limitandosi, invece, il richiamato art. 2447 c.c. a richiedere che gli amministratori provvedano a convocare senza indugio l’assemblea per le deliberazioni dallo stesso previste; è tuttavia legittima la delibera assembleare che, avvenuta in assemblea, la sottoscrizione del capitale ricostituito sino alla misura del minimo legale ad opera dei soci presenti, assegni ugualmente ai soci che ne abbiano diritto un termine per l’esercizio del diritto di opzione, quando tale assegnazione del termine sia accompagnata dalla previsione, integrante una condizione risolutiva, che l’esercizio del diritto rimuove l’acquisto da parte dei soci originari sottoscrittori del capitale ricostituito; infatti tale delibera, per quanto non contenga la fissazione di un termine per l’esercizio del diritto di opzione dei soci (art. 2439, 2º comma, e 2441 c.c.), tuttavia non vìola il predetto diritto (nel suo contenuto di diritto di prelazione, quale garanzia del mantenimento della misura della partecipazione del socio alla società), in funzione del quale soltanto è prevista la fissazione preventiva del termine per la sottoscrizione, essendo, invece, tale diritto salvaguardato mediante la previsione dell’esericzio postumo (e retroattivo) rispetto all’avvenuta integrale sottoscrizione del capitale da parte degli altri soci.
T. Nola, 14-02-2005.
Il diritto di opzione ex art. 2441 c.c. per l’acquisto di quote a seguito di aumento del capitale sociale, costituisce un diritto potestativo disciplinato dal combinato disposto degli art. 2495 c.c. e 2441, 1º e 2º comma: esso implica il riconoscimento di una sorta di prelazione legale a favore di quest’ultimo nell’acquisto di quote della società attuato nello schema del contratto di opzione; in effetti il paradigma negoziale de quo si sostanzia nell’offerta di opzione che deve essere depositata presso l’ufficio del registro delle imprese con successivo eventuale diritto dell’opzionario di acquisto di quote.
Il sistema legislativo è informato ad attuare una sorta di offerta al pubblico ex art. 1336 c.c. con le esposte modalità di diffusione (deposito presso il registro delle imprese): pertanto non è da ritenere che tale proposta deve essere portata a conoscenza legale dei singoli soci, visto che per il principio generale ex art. 1336 c.c. questo tipo di proposta a differenza della proposta e dell’accettazione ex art. 1326 che sono atti recettizi, non è subordinata alla recezione dell’atto da parte di un determinato soggetto, ma piuttosto deve essere resa in modo conoscibile, con onere cioè di pubblicità notizia diretta a palesare la manifestazione di volontà negoziale, non come mero onere di comunicazione diretta.
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