Assegnazione dei beni ai soci nella fase di liquidazione della società: profili civilistici
Assegnazione dei beni ai soci nella fase di liquidazione della società: profili civilistici
di Antonio Ruotolo
Consiglio Nazionale del Notariato - Studio n. 18-2007/I
Pubblicato nella rivista Studi e materiali CNN, 2/2007, p. 1056

1. Premessa

Il tema della assegnazione dei beni ai soci in sede di liquidazione della società torna di attualità a seguito delle disposizioni – di carattere fiscale – concernenti le società non operative contenute nella legge Finanziaria per il 2007 (legge 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi 109 e ss.) e nel decreto legge Bersani 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge 4 agosto 2006, n. 248, che hanno modificato la disciplina delle società di comodo contenuta nell’art. 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724.

Rinviando alle sedi opportune la trattazione dei profili tributari di tale disciplina(1), si cercherà di dare alcuni spunti orientativi sul tema della assegnazione anticipata in sede di liquidazione, tenendo conto, soprattutto, dei riflessi della nuova formulazione della norma codicistica sulle società di capitali.

Deve peraltro rilevarsi che nella recente disciplina fiscale non è di per sé consentita indiscriminatamente e senza limiti – come peraltro sostenuto autorevolmente anche riguardo a precedenti disposizioni di analogo tenore ma non così esplicite - l’attribuzione di valori dalla società ai soci (si veda, in proposito, il riferimento contenuto del comma 113 dell’art. 1 della legge finanziaria – che ha dato lo spunto a queste riflessioni - a “le cessioni a titolo oneroso e gli atti di assegnazione ai soci, anche di singoli beni, anche se di diversa natura, posti in essere dalle società … successivamente alla delibera di scioglimento”), nell’alveo, quindi, delle ipotesi tipiche di legittimo trasferimento di valori da una società ai suoi soci(2).

È opportuno, inoltre, ricordare che la disciplina fiscale trova applicazione alle società considerate non operative che, entro il 31 maggio 2007, deliberano lo scioglimento ovvero la trasformazione in società semplice e richiedono la cancellazione dal registro delle imprese a norma degli articoli 2312 e 2495 del codice civile entro un anno dalla delibera di scioglimento o trasformazione (art. unico, comma 111, della legge finanziaria).

2. Assegnazione “anticipata” dei beni ai soci in sede di liquidazione: il minor rigore nella disciplina delle società di capitali

Sino alla riforma del diritto societario, vigeva, anche per le società di capitali, il divieto di ripartizione dei beni sociali sino a che non fossero stati pagati i creditori della società o non fossero state accantonate le somme necessarie per pagarli.

Il divieto discendeva dall’espresso richiamo all’art. 2280 c.c., in tema di pagamento dei debiti sociali, dettato nella disciplina dello scioglimento delle società personali, richiamo che era contenuto nell’art. 2452 c.c. ante riforma.

Anteriormente del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 per le società di capitali, e ancor oggi per le società personali, non poteva, quindi, darsi luogo a ripartizioni di beni tra i soci prima che tutti i debiti fossero stati pagati, o nel caso di crediti contestati o creditori irreperibili, non fossero state accantonate le somme per pagarli(3).

La norma risponde al principio secondo il quale il patrimonio di una società in liquidazione è gravato dal vincolo di destinazione volto al soddisfacimento dei creditori sociali: una assegnazione dei beni, prima che i creditori sociali siano soddisfatti (o comunque siano accantonate le somme per pagarli) implica la confusione del patrimonio sociale nei patrimoni personali dei singoli soci, con conseguente manomissione del diritto dei creditori sociali al soddisfacimento preferenziale sui beni sociali(4).

Sulle conseguenze della violazione di tale divieto non v’è, tuttavia, unanimità di vedute.

Parte della dottrina, infatti, sostiene la nullità delle ripartizioni effettuate in spregio al divieto di cui all’art. 2280, primo comma, c.c.(5).

Altri considera inefficaci verso i creditori sociali, ma non verso i soci, quelle modalità di liquidazione del passivo sociale che sono elusive del divieto (come ad esempio, nell’ipotesi dell’accordo fra i soci con cui si stabilisca che la definizione dei rapporti con i terzi creditori sociali avvenga, dividendosi essi soci, subito, le attività sociali e accollandosi pro quota le passività o attribuendo le attività sociali ad uno o più soci o anche a un terzo, con accollo agli assegnatari dei debiti sociali e con esonero per gli altri soci da ogni responsabilità), salvo il loro consenso(6).

Altri ancora ritengono esperibile l'azione revocatoria se sussiste concorso fraudolento tra i liquidatori ed i soci, e la consapevolezza del danno, restando altresì ferma la responsabilità per dolo o colpa dei liquidatori stessi(7).

Altri, infine, hanno sostenuto che a riparti parziali si possa procedere solo in presenza del consenso di tutti i creditori ancora esistenti(8).

La giurisprudenza ha generalmente interpretato tale divieto in senso rigoroso.

Si è ad esempio recentemente affermato che le cautele formali contenute nell’art. 2280, 1º comma, c.c. sono poste a tutela dei creditori sociali e pertanto sono indisponibili da parte dei soci della società in liquidazione; il divieto, per i liquidatori, di ripartire tra i soci, anche solo parzialmente, i beni sociali, finché non siano pagati i creditori sociali o non siano accantonate le somme necessarie per pagarli, è posto a tutela dai creditori: la legge vuole che, in sede di liquidazione, essi siano prioritariamente soddisfatti, e non già meramente garantiti dal patrimonio della società, ed ammette, quale unica alternativa al pagamento, l'accantonamento formale delle somme liquide nella contabilità della società.

A nulla vale, per eludere il dettato di legge penalmente sanzionato, richiamarsi alla garanzia generica offerta dal capitale iscritto, o alla successiva liquidazione con piena soddisfazione dei creditori, dovendosi ribadire che la legge consente l'operazione in questione solo sul presupposto del formale accantonamento dalle somme per il pagamento dei debiti insoddisfatti(9).

Alle medesime conclusioni si è in passato pervenuti anche con riguardo alle società di capitali, cui, come si è detto, l’art. 2280, comma 1, c.c., era applicabile in forza del rinvio contenuto nell’art. 2452 c.c.: si è quindi affermata la nullità della convenzione tra i soci di una società per azioni la quale disponga il trasferimento dei beni sociali in favore dei soci stessi o di terzi, senza il preventivo soddisfacimento dei creditori della società(10).

In tale contesto, si evidenzia che se è vero che i soci possono, quando vogliono, sciogliere la società ed è previsto che a seguito dello scioglimento si possa avere anche assegnazione ai soci (senza corrispettivo alcuno); è tuttavia anche vero che resta fermo il principio che prima di far propri i beni sociali (gli immobili o il denaro ricavato dalla vendita degli immobili) debbono essere stati pagati tutti i creditori sociali.

«Né l’obbligo assunto personalmente di provvedere in seguito, ove necessario, al pagamento in proprio può ritenersi equivalente all’accantonamento delle «somme necessarie» per pagarli (i creditori della società art. 2280) o alla prestazione di idonea garanzia (art. 2445 c.c.). Ciò che esige la legge, a protezione degli interessi della società come ente giuridico con proprio patrimonio, ma essenzialmente a protezione degli interessi dei creditori è che questi ultimi possano integralmente contare (art. 2740 c.c.) su tutti i beni presenti e futuri del loro unico debitore che è appunto la società persona giuridica. A tal fine, oltre che le norme finora richiamate, è prevista l’obbligatoria procedura della liquidazione a norma degli art. 2449 ss. c.c.: non è ammissibile che tutta questa rigorosa protezione sia aggirata mettendo i creditori nella necessità di dovere rincorrere i soci della s.p.a., individuare i loro patrimoni individuali e aggredirli con procedure singolari.

L’intera operazione dunque avrebbe condotto a risultati in aperta violazione di una serie di norme positive (art. 2280, 1° comma, 2433, 2445 c.c.) tanto imperative da giustificare una sanzione penale (art. 2621, n. 2, 2623, n. 2), tutte volte ad impedire che, in un modo o nell’altro, somme sotto forma di utili sociali o addirittura il patrimonio sociale possano essere attribuiti ai soci senza che siano state adempiute formalità essenziali e soprattutto senza che risultino pagati i creditori sociali»(11).

In tale prospettiva, si evidenzia come proprio il regime di responsabilità limitata dei soci di s.p.a. costituisce il limite insormontabile al riconoscimento della derogabilità della disciplina della liquidazione delle società di capitali, regime che non offre garanzie sussidiarie e supplementari ai creditori sociali rispetto alla garanzia del patrimonio sociale(12).

L’orientamento sopra riportato, ispirato, come detto, ad una rigida interpretazione del disposto dell’art. 2280, 1° comma, c.c., non appare tuttavia univoco.

Specie nella giurisprudenza più risalente, non è raro rinvenire pronunce che ritengono il divieto non inderogabile.

Così, ad, esempio, si afferma che nella società di persone, poiché le ragioni dei creditori della società sono garantite dal regime di responsabilità illimitata dei soci, il divieto (art. 2280 c.c.), fatto ai liquidatori, di ripartire tra i soci, anche solo parzialmente, i beni sociali, finché non siano stati pagati i creditori sociali o non siano state accantonate, per il pagamento dei debiti non ancora scaduti, le somme necessarie, non è inderogabile. Può, pertanto, essere del tutto omesso il procedimento di liquidazione, nel caso in cui lo statuto sociale stabilisca quale destinazione debba avere il patrimonio sociale, o, in mancanza di apposito patto, i soci siano d'accordo sul modo in cui procedere alla definizione integrale dei rapporti preesistenti. In tali ipotesi, i terzi, ove non si ritengano sufficientemente garantiti dalla responsabilità personale ed illimitata dei soci, possono servirsi delle normali misure cautelari e, qualora provino che in concreto dalla omessa liquidazione sia derivato un pregiudizio ai loro diritti, chiedere il risarcimento dei danni per responsabilità aquiliana a carico di coloro che hanno eluso il procedimento formale di liquidazione”(13).

A sostegno dell’interpretazione più rigorosa viene anche addotta la disciplina dei reati societari ed in particolare l’art. 2633 c.c. (Indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori)(14), a tenore del quale “i liquidatori che, ripartendo i beni sociali tra i soci prima del pagamento dei creditori sociali o dell'accantonamento delle somme necessario a soddisfarli, cagionano danno ai creditori, sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato”(15).

A fronte di tali orientamenti, occorre ora chiedersi in quale misura possa incidere la diversa disciplina, introdotta dalla riforma del diritto societario, per la liquidazione delle società di capitali.

Il comma 2 dell’art. 2491, c.c., dispone infatti che “i liquidatori non possono ripartire tra i soci acconti sul risultato della liquidazione, salvo che dai bilanci risulti che la ripartizione non incide sulla disponibilità di somme idonee alla integrale e tempestiva soddisfazione dei creditori sociali; i liquidatori possono condizionare la ripartizione alla prestazione da parte del socio di idonee garanzie”.

Quindi, a differenza di quanto avveniva anteriormente alla riforma, la ripartizione di acconti sul risultato della liquidazione è ammessa a condizione che dai bilanci risulti che tale ripartizione non incida sulla disponibilità di danaro sufficiente a soddisfare i creditori sociali.

La vecchia norma, subordinava, invece, la possibilità di ripartire acconti all'accantonamento delle somme necessarie per pagare i creditori.

A ben vedere il tenore delle due norme è simile anche se la disposizione previgente, da una parte, non faceva riferimento ai documenti contabili (che peraltro anche se non esplicitamente richiesti dal diritto positivo - almeno in relazione ai bilanci annuali di liquidazione - erano comunque necessariamente redatti: cfr. art. 2490) e, dall'altra, richiedeva un vero e proprio accantonamento, mentre ora è sufficiente una verifica contabile(16).

È chiaro che un accantonamento e una disponibilità in cassa o in banca sono cose diverse dalla dimostrazione contabile della solvibilità, sulla base del bilancio approvato, come dimostra l’eventualità che il socio debba rimborsare l’acconto e l’opportunità che, nel dubbio, il socio debba prestare idonee garanzie(17).

Si è, peraltro, evidenziato come la nuova formulazione della norma dettata per le società di capitali non tarderà a riflettersi anche sulle società di persone, nel senso che è probabile che per queste ultime, specialmente ove si consideri la responsabilità illimitata dei soci che rende meno pressante l’esigenza di dilazionare i riparti, si affermi una prassi più indulgente(18).

V’è da chiedersi peraltro quale sia la conseguenza della attribuzione anticipata da parte dei liquidatori di acconti sul risultato della liquidazione in mancanza dei presupposti.

In altre parole, occorre precisare quale sia il significato dell’espressione “i liquidatori non possono ripartire tra i soci acconti sul risultato della liquidazione”.

Tenuto conto delle varie posizioni della dottrina antecedente alla riforma del diritto societario appare più convincente, se non altro per la sussistenza di rimedi risarcitori tanto per i creditori, quanto per gli stessi soci eventualmente pregiudicati, la tesi che, escludendo l’invalidità della ripartizione, perviene alla conclusione per cui la violazione della norma ingenera esclusivamente una responsabilità per dolo o colpa dei liquidatori stessi e la esperibilità dell'azione revocatoria ove sussista concorso fraudolento tra i liquidatori ed i soci.

Se, infatti, in generale, una norma di divieto comporta di regola la nullità dell’atto posto in essere in spregio al divieto stesso, occorre tuttavia considerare il sistema nel suo complesso.

E se in tale ambito si riscontrano dei rimedi diversi da quello della nullità che contemperino anche le istanze dei terzi che dalla nullità stessa verrebbero pregiudicati, ecco allora che sembra plausibile riconsiderare la fattispecie per concludere nel senso della applicabilità di quei rimedi e non della sanzione invalidante più grave.

Occorre, peraltro, considerare che la responsabilità per l’assegnazione anticipata ai soci si può accertare, in definitiva, solo a posteriori, allorché si dimostri l’erroneità della valutazione dei liquidatori in ordine alla capienza del patrimonio residuo.

È ipotizzabile, quindi, a carico del liquidatore una responsabilità risarcitoria, e, nei confronti dei soci, l’applicabilità dell’art. 2033 c.c., con conseguente ripetizione dell’indebito.

Della ripetizione dell’indebito sembrano, infatti, ricorrere tutti i presupposti: la prestazione (l’assegnazione anticipata) e il suo carattere non dovuto (desumibile dall’incapienza del patrimonio residuo, che si accerta a posteriori).

La nuova formulazione dell’art. 2491 c.c., implica peraltro alcuni riflessi anche sulla disciplina del reato previsto dall’art. 2633, c.c., quanto meno sul piano della descrizione della condotta ivi contemplata.

La norma penale, infatti, “sconta negativamente la priorità temporale della riforma delle norme penali societarie rispetto a quella delle norme civili, rimanendo appiattita sulle cadenze di un precetto civile - quello dell'art. 2280, comma 1 - che, valevole in precedenza per tutte le società, non è oggi invece più richiamato nell'ambito della disciplina delle società di capitali e cooperative”(19).

Poiché per queste ultime il nuovo art. 2491, c. 2, consente ai liquidatori di corrispondere ai soci acconti sul risultato della liquidazione, indipendentemente dal previo pagamento dei creditori o dall'accantonamento, ove dai bilanci risulti che la ripartizione non incide sulla disponibilità di somme idonee alla integrale e tempestiva soddisfazione dei creditori sociali, salvo eventualmente a richiedere, per maggior prudenza, la prestazione di idonee garanzie da parte del socio, è evidente il difetto di coordinamento della previsione punitiva, la quale continua a postulare che la ripartizione dei beni sociali tra i soci non possa comunque aver luogo in difetto del pagamento o dell' accantonamento(20).

In ogni caso, appare ipotizzabile anche una responsabilità penale per concorso esterno dei soci assegnatari. Il reato ex art. 2633 c.c. è, infatti, un reato proprio, i cui autori possono essere esclusivamente i liquidatori, ma per quanto concerne la posizione del socio percipiente, è possibile distinguere tra l'ipotesi in cui questi si limiti a ricevere quanto (illegittimamente) assegnatogli dal liquidatore, dalla diversa ipotesi in cui ponga in essere qualcosa di più e di diverso rispetto a siffatta semplice percezione: in ossequio ai fondamentali principi di riserva di legge e legalità solo la seconda delle situazioni prospettate potrebbe infatti assurgere a rilevanza penale in virtù del ricorso alla disciplina di cui agli artt. 110 ss. c.p.

3. Riflessi operativi del nuovo art. 2491 c.c. L’assegnazione “anticipata” consistente in beni in natura.

L’art. 2491 c.c. ammette, dunque, la distribuzione di acconti sul riparto finale di liquidazione purché siano rispettate alcune "opportune cautele" che consistono(21):

a) nella necessità che la distribuzione di acconti sul riparto non incida "sulla disponibilità di somme idonee alla integrale e tempestiva soddisfazione dei creditori sociali".

Discusso è tuttavia attraverso quali modalità tale necessità risulti esser soddisfatta.

Per alcuni, infatti, è necessario che dai bilanci risultino somme liquide in quantità tale da coprire le passività anche dopo il prelievo di quelle da ripartire ai soci, non essendo sufficiente un'eccedenza delle attività da liquidare rispetto alle passività(22).

Per altri, invece, in senso meno rigoroso, la distribuzione di acconti di liquidazione è possibile se la società può contare di disporre di quanto occorre per onorare i debiti nel momento in cui gli stessi dovranno essere pagati: secondo tale impostazione, la distribuzione degli acconti presuppone l’esistenza anche solo potenziale e non già attuale delle liquidità necessarie a pagare i crediti che scadranno(23).

In questo senso si è affermato che l’idoneità delle somme rispetto alla integrale e tempestiva soddisfazione dei creditori non sembra coincidere necessariamente con liquidità delle somme, attenendo ad una qualità ed attitudine funzionale delle stesse, piuttosto che ad uno stato di fatto(24).

Infine, si è anche sostenuta l’opportunità che i liquidatori predispongano un apposito bilancio laddove la distribuzione degli acconti venga effettuata in epoca lontana rispetto alla data di riferimento dell'ultimo bilancio portato all'approvazione dell'assemblea, ovvero laddove si siano verificati fatti di rilevo successivamente a tale data(25).

b) nell'obbligo, per i liquidatori, di richiedere ai soci "idonee garanzie" tutte le volte in cui abbiano il "semplice dubbio" del futuro emergere di sopravvenienze passive.

“La nuova disciplina sembra aver reso più elastiche le condizioni che i liquidatori devono rispettare per poter procedere alla distribuzione di acconti: alla previsione tassativa dell'alternativa tra il pagamento integrale ed anticipato dei creditori sociali e l'accantonamento contabile delle somme necessarie a pagare, si è sostituita la mera previsione della non incidenza della distribuzione di acconti sulla disponibilità delle somme necessarie ad estinguere i debiti esistenti. Da una tutela "reale" dei creditori sociali, nel senso di obbligo di constatazione dell'effettiva esistenza e disponibilità materiale, al momento del riparto anticipato, delle somme liquide necessarie a pagare i creditori sociali, si è passati ad una tutela "previsionale" dei creditori medesimi, nel senso che le loro aspettative creditorie sono garantite ora solo dalla correttezza della previsione fatta dai liquidatori, sulla base dei bilanci, della disponibilità delle somme necessarie (anzi, "idonee" stante la lettera della legge) ad adempiere le obbligazioni contratte”(26).

In ogni caso, la decisione di procedere alla distribuzione degli acconti compete solo ai liquidatori, circostanza che, benché la norma non lo dica espressamente, si evince dalla sua stessa collocazione (nell’ambito cioè dell’articolo dedicato ai poteri e doveri particolari dei liquidatori); dal fatto che sono i liquidatori a poter condizionare la ripartizione alla prestazione da parte del socio di idonee garanzie(27); nonché dal fatto che sono i liquidatori a rispondere personalmente e solidalmente (e penalmente, ex art. 2633 c.c.) per i danni cagionati ai creditori sociali con la violazione delle prescrizioni di cui al comma 1 dell’art. 2491 c.c.(28).

Un ulteriore profilo sul quale la riforma sembra avere inciso, sia pur marginalmente, concerne l’oggetto della anticipata distribuzione, se cioè sia possibile effettuare il riparto dell'attivo "in natura", ossia mediante assegnazione ai soci (sempre a seguito dell'integrale soddisfacimento dei creditori) - non di denaro ma - di beni sociali.

Al riguardo, prima del d.lgs. n. 6 del 2003, la giurisprudenza era prevalentemente orientata in senso favorevole a condizione che tale modalità di distribuzione dell'attivo residuo fosse prevista nello statuto sociale, oppure fosse accettata da tutti i soci(29).

L'effettuazione di un riparto in natura non doveva, ovviamente, ledere il principio di parità di trattamento dei soci, e pertanto i liquidatori erano tenuti ad “operare valutazioni dei beni sociali secondo parametri perfettamente aderenti al valore di mercato e, comunque, uniformi per tutti i beni sociali”(30) mentre eventuali disparità di trattamento dovute all'inscindibilità di determinati beni (e del loro valore) dovevano essere compensate mediante conguagli in danaro(31).

Pur non essendovi stata una espressa presa di posizione del legislatore della riforma nel disciplinare la liquidazione, un qualche ruolo sembra potersi riconoscere al disposto dell’art. 2487, lett. c), c.c., nella parte in cui prevede che l'assemblea straordinaria convocata per la nomina dei liquidatori debba altresì individuare i criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione.

Ruolo che è stato variamente interpretato: vuoi nel senso di ritenere sufficiente una semplice delibera maggioritaria dell'assemblea per autorizzare i liquidatori a ripartire in natura l'attivo residuo; vuoi nel senso, opposto, di consentire all'assemblea (non di autorizzare, ma) di escludere il riparto in natura, dal momento che “in assenza di disposizioni vincolanti, impartite dallo statuto o dalla deliberazione con la quale è stata decisa la liquidazione della società, rientra nella discrezione del liquidatore il potere di conservare in natura i beni residuati, dopo il pagamento dei creditori, per ripartirli tra i soci”(32).

Quest’ultima, che appare la ricostruzione più convincente, consente di concludere nel senso che come v’è discrezionalità (dietro le “opportune cautele”) dei liquidatori in ordine alla anticipata distribuzione, così deve riconoscersi discrezionalità dei liquidatori a procedervi non già attraverso la attribuzione di somme di denaro, bensì con l’assegnazione di beni in natura.

Ma anche in tal caso sembra imprescindibile il ricorso a particolari cautele.

Cautele alle quali induce la considerazione che - se pure in generale, come si è autorevolmente sostenuto, nella liquidazione della società il problema relativo alla valutazione del bene, a differenza delle altre ipotesi di assegnazione prese in considerazione dal legislatore (riduzione del capitale, recesso ecc.) tende a sfumare, perché non è in grado appunto di riflettersi sulla consistenza del capitale(33) – nel caso di assegnazione anticipata (anticipata cioè rispetto al soddisfacimento dei creditori) il tema della tutela dell’integrità del capitale continua a porsi.

Di qui, appunto, la necessità di precisare i criteri in base al quale valutare il bene la cui “assegnazione” si intende effettuare e il problema concernente l’alternativa far il far riferimento ai valori iscritti a bilancio oppure a quelli di mercato del bene in questione.

«Un’alternativa rispetto alla quale pare prudenziale optare per la seconda soluzione, quella certamente che meglio appare in grado di garantire la tutela del capitale sociale ed evitare diminuzioni della consistenza del patrimonio sociale che l’operazione non appare in grado di giustificare.

In effetti, sembra certo che, salvo il caso della liquidazione della società in cui come notato neppure si pone tecnicamente un problema di tutela del capitale sociale (ma esclusivamente di salvaguardia del diritto dei creditori sociali ad essere soddisfatti con precedenza rispetto ai soci), la regola debba essere quella che esclude la possibilità di attribuzioni a favore dei soci, siano esse in danaro oppure in natura, per valori superiori alla misura in cui il capitale viene corrispondentemente ridotto, per valori allora da verificare nella loro effettività»(34).

Con il che anche si esclude, può incidentalmente osservarsi, la possibilità di accorgimenti quale quello a volte proposto (ed è proprio il caso della disposizione della legge finanziaria per il 2007 di utilizzare come termine di riferimento il valore catastale del bene, un valore il quale, come ovvio, assume un valore soltanto a fini fiscali e non corrisponde di per sé all’esigenza di effettività qui evidenziata): e, difatti, il comma 114 dell’art. 1 della legge finanziaria per il 2007 precisa che “Ai fini delle imposte sui redditi … per gli immobili, su richiesta del contribuente e nel rispetto delle condizioni prescritte, il valore normale è quello risultante dall'applicazione dei moltiplicatori stabiliti dalle singole leggi di imposta alle rendite catastali ovvero a quella stabilita ai sensi dell'articolo 12 del decreto-legge 14 marzo 1988, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 1988, n. 154, riguardante la procedura per l'attribuzione della rendita catastale”.

Si può a questo punto ipotizzare quale debba essere il comportamento del notaio chiamato a ricevere un atto di assegnazione anticipata.

In queste ipotesi, le cautele che devono assistere lo svolgimento della attività notarile sembrano rispondere più ad una logica di generica diligenza professionale che non ad obblighi professionali codificati.

Occorre infatti considerare – almeno per ciò che concerne le società di capitali – che il legislatore della riforma riconosce un’ampia discrezionalità del liquidatore nella scelta della assegnazione anticipata da cui fa discendere, peraltro, precise responsabilità e sul piano risarcitorio e sul piano penale.

Il tutto è però connotato da un minor rigore formale (rispetto alla previsione dell’art. 2280 c.c., cui si era abituati a far esclusivo riferimento prima della riforma), posto che non si precisa – e si è visto sono discussi - i criteri sui quali deve poggiare la valutazione “sulla disponibilità di somme idonee alla integrale e tempestiva soddisfazione dei creditori sociali”.

Ne deriva che, se sotto il profilo delle “condizioni” di ricevibilità dell’atto di assegnazione anticipata il notaio non è tenuto a richiedere l’esibizione – come era prassi – di uno stato patrimoniale da allegare nel quale emergesse all'attivo il bene da assegnare ed al passivo solo il capitale, senza altri debiti, tale cautela ritorna oggi comunque opportuna, sul piano della diligenza professionale, onde garantire il soggetto assegnatario in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’assegnazione e ridurre i rischi di eventuali successive restituzioni.


(1) Sulla quale Tassani, Legge finanziaria 2007: le novità per le società non operative, in CNN Notizie del 28 dicembre 2006; Tassani, Le principali disposizioni ai fini IRES dopo il decreto legge sulle liberalizzazioni , in CNN Notizie del 10 luglio 2006; Forte, Ulteriori osservazioni sulla "manovra finanziaria" 1997 , Studio n. 574 bis della Commissione Studi Tributari del CNN, approvato il 21 febbraio 1997; Colucci, Società non operative - assegnazione dei beni ai soci - imposte indirette , Studio n. 710 bis della Commissione Studi Tributari del CNN, approvato il 7 novembre 1997. Sul regime agevolato dell'art. 29, legge 449/97, si vedano Colucci, Assegnazione agevolata dei beni ai soci e trasformazione in società semplice ai sensi dell'art. 29 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 , Studio n. 743bis della Commissione Studi Tributari del CNN, approvato il 18 febbraio 1998; Colucci, Assegnazione e cessione onerosa agevolate di beni ai soci e trasformazione in società semplice , Studio n. 20/99/T della Commissione Studi Tributari del CNN, approvato il 18 marzo 1999.
(2) Sul punto, in particolare, Angelici, Art. 29 della legge finanziaria ed assegnazione di beni in natura, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e materiali, 6.1, Milano, 2001, 108 ss.
(3) Cottino, Diritto commerciale, I, 2, Padova, 1999, 257.
(4) Ghidini, Società personali, Padova, 1972, 827.
(5) Minervini, La fattispecie estintiva delle società per azioni e il problema delle cosiddette sopravvenienze passive, in Riv. Trim. dir. proc. Civ., 1952, 1009.
(6) Ghidini, op. cit., 827
(7) Ferri, Le società, in Tratt. Vassalli, Torino, 1987, 334
(8) Costi - Di Chio, Società in generale. Società di persone. Associazione in partecipazione, in Giur. sist. Bigiavi, Torino, 1991, 866
(9) Cass. 31 agosto 2005, n. 17585, in Società, 2006, 854, con nota di Sporta Caputi. In tale pronuncia si afferma che “conseguentemente, la convenzione in base alla quale i soci di una società per azioni in liquidazione si impegnino a votare a favore della ricapitalizzazione di altra società per azioni partecipata dalla prima, al fine di evitarne la liquidazione, ottenendone in cambio un corrispettivo economico acquisito direttamente al patrimonio personale e non a quello della società in liquidazione, è affetta da nullità in quanto stipulata in violazione della norma indisponibile di cui all’art. 2280, 1º comma, c.c.”. Nello stesso senso Cass. 5 aprile 1990, n. 2851, in Riv. dir. comm., 1990, II, 339, secondo cui anche dopo la cancellazione i creditori sociali hanno azione diretta contro la società allo scopo di fare valere i crediti insoddisfatti e di fare dichiarare nulla ex art. 1418 (1° comma) la ripartizione tra i soci operata in violazione dell'art. 2280, 1° comma c.c., richiamato dall'art. 2452; App. Perugia 5 aprile 1971, in Rass. giur. umbra, 1971, 102; nonché Trib. Milano, 2 settembre 2003, in Giur. it., 2004, 105, con nota di bertolotti, per il quale “È nulla una convenzione cui abbiano preso parte tutti i soci di una società in nome collettivo - e come tale alla stessa riferibili - la quale presupponga in capo ai singoli e nella loro disponibilità un bene immobile invece di pertinenza della società, e risulti volta a liquidare tale bene durante la vita della società: infatti è vietato ai soci (oltre che ai liquidatori, ed anzi a maggior ragione) addivenire alla assegnazione e ripartizione di beni prima che siano soddisfatti i creditori sociali, procedendo alla loro divisione anteriormente allo scioglimento della società o facendo comunque a meno della liquidazione”.
(10) Cass. 18 gennaio 1988, n. 326, Foro it., 1989, I, 513
(11) Cass., 18 gennaio 1988, n. 326, cit.. Conforme Trib. Roma, 12 luglio 1983, in Giur. comm., 1984, II, 636, secondo cui “non è omologabile la deliberazione dell’assemblea straordinaria di una società di capitali che disponga, contestualmente allo scioglimento e messa in liquidazione dell’ente, la riduzione del capitale per esuberanza e la sua conseguente ripartizione tra i soci”. Secondo Cass. 23 novembre 1978, n. 5489, “Dopo lo scioglimento di una società per azioni e la sua cancellazione dal registro delle imprese, avvenuta malgrado la preesistenza di crediti rimasti insoddisfatti, i creditori sociali oltre l'azione prevista nei confronti di soci e del liquidatore dall'art 2456 secondo comma cod. civ., hanno anche l'autonoma e compatibile azione diretta contro la società, in persona del liquidatore, allo scopo di far valere nei confronti della medesima i loro crediti rimasti insoddisfatti, e di far dichiarare la nullità della ripartizione fra i soci dei beni sociali, operata dal liquidatore in violazione della norma imperativa dettata dall'art 2280 primo comma cod civ e sanzionata dall'art 1418 primo comma cod civ.”.
(12) Sporta Caputi, Acconti di liquidazione e liceità della c.d. "vendita del voto", in Società, 2006, 855.
(13) Cass. 9 ottobre 1969, n. 3239, in Giur. It., 1971, I, 1, 152, con nota di Grippo. In tempi più recenti, Cass. 27 gennaio 1992, n. 860, in Foro it., Rep., 1992, v. Società, n. 752, secondo cui “nelle società di persone (così come nelle società di fatto e nelle società irregolari), per cui le ragioni dei creditori sociali sono garantite dal regime di responsabilità illimitata dei soci, il divieto fatto ai liquidatori di ripartire fra i soci, anche solo parzialmente, i beni sociali (art. 2280 c.c.) finché non siano stati pagati i creditori sociali o non siano state accantonate per il pagamento dei debiti non ancora scaduti le somme necessarie non è imposto dalla legge in modo assoluto; il procedimento di liquidazione, infatti, può essere omesso nel caso in cui lo statuto stabilisca quale destinazione debba avere il patrimonio sociale, ovvero quando, in mancanza di apposito patto, i soci siano d’accordo nel procedere alla definizione integrale dei loro rapporti preesistenti”. Analogamente Trib. Terni, 26 agosto 2002, secondo cui “nella società in accomandita semplice, poiché vi è la responsabilità illimitata dei soci accomandatari, il divieto dei liquidatori di ripartire fra i soci stessi, anche solo parzialmente, i beni sociali, finché non siano stati pagati i creditori, è derogabile”; nonché Trib. Lodi 17 luglio 2005, in Società, 2006, 1140, con nota di Fumagalli, per cui “nelle società personali i soci possono liberamente determinare, prescindendo da formalismi particolari, oltre allo scioglimento, anche le modalità di liquidazione, ove necessaria, per addivenire, attraverso la definizione dei rapporti pendenti, all’estinzione della società, essendo la liquidazione stabilita nell’interesse dei soci e non dei creditori sociali”.
(14) Anteriormente al D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61, l’art. 2625 c.c. (Violazione di obblighi incombenti ai liquidatori) disponeva che “I liquidatori di società che procedono alla ripartizione dell'attivo sociale fra i soci prima che siano pagati i creditori o siano accantonate le somme necessarie per pagarli, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da lire duecentomila a due milioni”.
(15) La norma di cui all'art. 2280, comma 1, c.c. è specificamente sanzionata anche agli effetti civili dall’art. 2312, comma 2, c.c., per il quale “dalla cancellazione della società i creditori sociali che non sono stati soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci e, se il mancato pagamento è dipeso da colpa dei liquidatori, anche nei confronti di questi”.
(16) Afferni, sub art. 2491, in Codice commentato delle nuove società (a cura di Bonfante-Corapi-Marziale-Rordorf-Salafia), Milano, 2004, 1182.
(17) Cottino – Weigmann, in Cottino – Weigmann – Sarale, Società di persone e consorzi, Padova, 2004, 330.
(18) Cottino – Weigmann, op. cit., 330.
(19) Napoleoni, sub art. 2633, in Codice commentato delle nuove società (a cura di Bonfante-Corapi-Marziale-Rordorf-Salafia), Milano, 2004, 1816. Sul punto anche Vaira, sub artt. 2488-2489, in Cottino-bonfante-Cagnasso-Montalenti, Il nuovo diritto societario. Commentario, ***, Bologna, 2004, 2117.
(20) Napoleoni, sub art. 2633, cit. 1816. L’A. evidenzia altresì come “tali elementi negativi - i quali svolgevano un ruolo chiave nella cornice del reato di mera condotta e di pericolo presunto già delineato dall' art. 2625 prev. (era, infatti, proprio la mancata soddisfazione o salvaguardia preventiva del ceto creditorio a rendere potenzialmente pericolosa la distribuzione dei cespiti sociali tra i soci) - perdano di significato a fronte dell'attuale conformazione dell'illecito come reato di danno: da un lato, infatti, l'integrale pagamento di questi ultimi o l'accantonamento di somme sufficienti a soddisfarli escludono in radice (salvo ipotesi patologiche di malfunzionamento della cautela) la possibilità di verificazione dell'evento dannoso; dall'altro, il disvalore dell'illecito rimane incentrato unicamente su quest'ultimo, onde, di fatto, non rileva più che i liquidatori non abbiano previamente pagato i creditori o proceduto all'accantonamento, se l'antecedenza temporale accordata ai soci non si è comunque risolta in pregiudizio dei primi”.
(21) Succi – Pratelli, Questioni in tema di riparto dell'attivo nella liquidazione di società di capitali, in Società, 2004, 1227 s.
(22) Dimundo, sub artt. 2484 - 2496 c.c., in Lo Cascio (a cura di), La riforma del diritto societario, 9, Milano, 2003, 191. In tale prospettiva anche Salafia, Scioglimento e liquidazione delle società di capitali, in Società, 2003, 381, secondo il quale “la situazione favorevole alla distribuzione di acconti deve essere costituita dalla disponibilità non genericamente di beni da convertire in danaro quale mezzo di pagamento delle obbligazioni, ma di somme, cioè di denaro da impiegare direttamente nella soddisfazione dei creditori”.
(23) Niccolini, La disciplina dello scioglimento, della liquidazione e dell'estinzione delle società di capitali, in Ambrosini (a cura di), La riforma delle società. Profili della nuova disciplina, Torino, 2003, 82 s.
(24) Sporta Caputi, op. cit., 855 ss.
(25) Parrella, sub art. 2491 c.c., in Sandulli - Santoro (a cura di), La riforma delle società, Torino, 2003, sub artt. 2487-2496 c.c., 292.
(26) Sporta Caputi, Acconti di liquidazione e liceità della c.d. "vendita del voto", cit., 855 ss.
(27) Invero, secondo parte della dottrina, la garanzia non assurge a condizione per il pagamento di acconti di liquidazione (Sporta Caputi, op. cit., 855 ss.; Parrella, sub art. 2491 c.c, cit., 293 s.). Per altri, invece, la garanzia costituisce un'ulteriore condizione (Dimundo, sub artt. 2484 - 2496 c.c., cit., 181). In ogni caso, il rilascio delle garanzie non è sempre necessario, ma solo eventuale, in quanto collegato ad una esplicita richiesta in tal senso, ampiamente discrezionale, formulata dal liquidatore.
(28) Niccolini, sub art. 2491, in Niccolini-Stagno d’Alcontres, Società di capitali, III, Napoli, 2004, 1806.
(29) In dottrina, per tutti, Niccolini, Scioglimento, liquidazione ed estinzione nelle società per azioni, in Tratt. Colombo - Portale, 7, Torino, 1997, 614. In giurisprudenza, Cass. 1° dicembre 1987, n. 8936, in Giur. comm., 1988, II, 496; Cass. 9 novembre 1960, n. 2981, in Riv. dir. comm., 1961, II, 39; App. Roma 9 luglio 1959, in Dir. fall., 1959, II, 626; Trib. Milano 24 marzo 1969, in Foro pad., 1970, I, 612. Secondo un'opinione minoritaria, invece, il riparto "in natura" dell'attivo residuo era comunque legittimo anche se - non essendo previsto dallo statuto veniva deliberato dall'assemblea straordinaria a maggioranza (Alessi, I liquidatori di società per azioni, Torino, 1994, 159 – 160). Per queste indicazioni, Succi – Pratelli, op. cit., 1227 ss.
(30) Niccolini, Scioglimento, liquidazione ed estinzione nelle società per azioni, cit., 608.
(31) Succi – Pratelli, op. cit., 1227 ss.
(32) Salafia, Clausola di prelazione ed azioni da assegnare in sede di liquidazione, in Società, 2003, 1346 ss.
(33) Angelici, Art. 29 della legge finanziaria ed assegnazione di beni in natura, cit.
(34) Ancora Angelici, Art. 29 della legge finanziaria ed assegnazione di beni in natura, cit.

PUBBLICAZIONE
» Indice
» Approfondimenti