Giurisprudenza - Le operazioni sul capitale sociale: casi pratici e tecniche di redazione del verbale notarile
Giurisprudenza
Cassazione, sentenza 19 giugno 2008, n. 16642, sez. III civile
Il diritto di prelazione in favore del coerede, disciplinato dall'art. 732 cod. civ., e prevalente, ove anche il coerede sia coltivatore diretto, sul diritto di prelazione del coltivatore diretto del fondo, mezzadro, colono o compartecipante, conformemente a quanto previsto dall'art. 8, ultimo comma, della legge 26 maggio 1965, n. 590, presuppone una situazione in cui la maggior parte delle varie componenti dell'asse ereditario si trovi ancora nello stato di indivisione quale risultante al momento dell'apertura della successione, sicché, ove siano state compiute operazioni divisionali che abbiano portato ad eliminare l'anzidetto stato, la comunione residuale sugli immobili ereditari si trasforma in comunione ordinaria, senza possibilità di applicazione del menzionato art. 732 cod. civ.
Cassazione, sentenza 16 giugno 2008, n. 16219, sez. II civile
Il principio stabilito dall'art. 727 cod. proc. civ., in virtù del quale nello scioglimento della comunione il giudice deve formare lotti comprensivi di eguali quantità di beni mobili, immobili e crediti, non ha natura assoluta e vincolante, ma costituisce un mero criterio di massima. Ne consegue che resta in facoltà del giudice della divisione formare i lotti anche in maniera diversa, là dove ritenga che l'interesse dei condividenti sia meglio soddisfatto attraverso l'attribuzione di un intero immobile, piuttosto che attraverso il suo frazionamento, ed il relativo giudizio è incensurabile in cassazione, se adeguatamente motivato.
(Nella specie, era caduto in successione un intero immobile, parte del quale era abitata da uno degli eredi sin da epoca anteriore all'apertura della successione. Il giudice aveva pertanto assegnato a quest'ultimo l'intero appartamento dove abitava, e frazionato invece la parte restante dell'immobile. La S.C., formulando il principio che precede, ha confermato la decisione).
Cassazione, sentenza 14 maggio 2008, n. 12119, sez. II civile
Nel giudizio di divisione, la richiesta di attribuzione, proponibile solo in caso d'indivisibilità del bene, ex art. 720 cod. civ., costituisce una modalità attuativa della divisione che ne paralizza la vendita anche se precedentemente disposta dal giudice, trattandosi di una mera specificazione della domanda di scioglimento della comunione, formulabile anche in appello.
(Nella fattispecie, la Corte ha cassato la pronuncia di secondo grado che aveva ritenuto passata in giudicato la sentenza parziale di primo grado contenente l'accertamento dell'indivisibilità del bene anche per la statuizione relativa alla vendita, nonostante nel giudizio relativo alle operazioni divisionali una della parti avesse chiesto ed ottenuto l'attribuzione del bene indivisibile).
Cassazione, sentenza 4 aprile 2008, n. 8827, sez. II civile
In tema di divisione, in presenza di contrapposte richieste di attribuzione, l'immobile comune non comodamente divisibile - salvo ragioni di opportunità, ravvisabili nell'interesse comune dei condividenti - va attribuito al condividente titolare della quota maggiore e non ai condividenti che ne abbiano fatto richiesta congiunta e le cui quote, sommate tra loro, superino la quota maggiore del condividente antagonista e tanto in applicazione del principio del "favor divisionis" di cui all'art. 720 cod. civ.
Cassazione, sentenza 26 marzo 2008, n. 7833, sez. II civile
In tema di divisione ereditaria, la determinazione del conguaglio in denaro, ai sensi dell'articolo 728 cod. civ., a carico di colui cui viene attribuita la porzione in natura di maggior valore ed a favore del condividente al quale è attribuita la porzione di minor valore, prescinde dalle singole domande delle parti. Infatti, essa attiene alle concrete modalità di attuazione del progetto divisionale devolute alla competenza del giudice e la sentenza di scioglimento della comunione persegue il mero effetto di perequare il valore delle rispettive quote.
(Nella specie la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, pur rilevando il diritto al conguaglio di uno dei condividenti, non aveva quantificato il conguaglio stesso in difetto di apposita domanda).
Cassazione, sentenza 11 marzo 2008, n. 6449, sez. II civile
In caso di divisione fatta dal testatore, l'azione di rescissione è ammissibile solo nel caso in cui il testatore abbia stabilito la quota di ciascun erede, in modo che sia possibile il raffronto tra il valore dei beni concretamente attribuiti agli eredi e l'entità delle quote ad essi astrattamente attribuite dal testatore.
Cassazione, sentenza 28 novembre 2007, n. 24657, sez. Unite civili
I crediti del "de cuius", a differenza dei debiti, non si ripartiscono tra i coeredi in modo automatico in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria, essendo la regola della ripartizione automatica dell'art. 752 cod. civ. prevista solo per i debiti, mentre la diversa disciplina per i crediti risulta dal precedente art. 727, il quale, stabilendo che le porzioni debbano essere formate comprendendo anche i crediti, presuppone che gli stessi facciano parte della comunione, nonché dal successivo art. 757, il quale, prevedendo che il coerede al quale siano stati assegnati tutti o l'unico credito succede nel credito al momento dell'apertura della successione, rivela che i crediti ricadono nella comunione, ed è, inoltre, confermata dall'art. 760, che escludendo la garanzia per insolvenza del debitore di un credito assegnato a un coerede, necessariamente presuppone che i crediti siano inclusi nella comunione; né, in contrario, può argomentarsi dagli artt. 1295 e 1314 dello stesso codice, concernendo il primo la diversa ipotesi del credito solidale tra il "de cuius" ed altri soggetti e il secondo la divisibilità del credito in generale. Conseguentemente, ciascuno dei partecipanti alla comunione ereditaria può agire singolarmente per far valere l'intero credito comune, o la sola parte proporzionale alla quota ereditaria, senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri coeredi, ferma la possibilità che il convenuto debitore chieda l'intervento di questi ultimi in presenza dell'interesse all'accertamento nei confronti di tutti della sussistenza o meno del credito.
Cassazione, sentenza 12 ottobre 2007, n. 21491, sez. II civile
In tema di retratto successorio, lo stato di comunione ereditaria cessa soltanto con la divisione tramite la trasformazione dei diritti dei singoli partecipanti su quote ideali dell'eredità in diritti di proprietà individuali su singoli beni. Pertanto, lo scioglimento della comunione ereditaria nei confronti di uno solo dei coeredi - perché abbia ceduto, come nella fattispecie, la propria quota - non ne modifica la natura e non fa venir meno il diritto di prelazione a favore dei coeredi giacché, nell'anzidetta ipotesi, la comunione residuale sui beni ereditari si trasforma in comunione ordinaria, con la conseguente inapplicabilità dell'art. 732 cod. civ., soltanto quando siano state compiute le operazioni divisionali dirette ad eliminare la maggior parte delle varie componenti dell'asse ereditario indiviso al momento dell'apertura della successione.
In tema di retratto successorio, l'esistenza tra gli eredi di una comunione avente natura diversa da quella ereditaria - al fine di escludere l'applicazione dell'articolo 732 cod. civ. -, conseguente all'assegnazione da parte del "de cuius" ad un gruppo di discendenti di un bene in comunione, postula un atto dispositivo/attributivo con effetti reali posto in essere dal testatore stesso, spettando al giudice del merito accertare l'esistenza e la portata di una siffatta volontà. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza della corte territoriale per cui era infondata la tesi del retrattato che per negare i presupposti del retratto - sussistenza della comunione ereditaria - sosteneva ricorrere l'ipotesi della divisione fatta dal testatore, laddove costui aveva attribuito parte dei beni ad uno dei figli, disponendo altresì che "la restante mia proprietà dovrà essere divisa in parti uguali tra i miei altri figli").
Sez. 2, Sentenza n. 22833 del 24/10/2006
La sentenza che, nel disporre la divisione della comunione, pone a carico di uno dei condividenti l'obbligo di pagamento di un somma di denaro a titolo di conguaglio, persegue il mero effetto di perequazione del valore delle rispettive quote, nell'ambito dell'attuazione del diritto potestativo delle parti allo scioglimento della comunione. Ne consegue che l'adempimento di tale obbligo - al contrario di quanto avviene nella sentenza costitutiva emessa ex art. 2932 cod. civ. per l'adempimento in forma specifica dell'obbligo di concludere il contratto, ove il pagamento del prezzo ad opera della parte acquirente costituisce adempimento della controprestazione e se non avviene determina l'inefficacia della sentenza (pur da accertarsi in un separato giudizio) - non costituisce condizione di efficacia della sentenza di divisione e può essere soltanto perseguito dagli altri condividenti con i normali mezzi di soddisfazione del credito, restando comunque ferma la statuizione di divisione dei beni. (Sulla base di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, che aveva subordinato l'efficacia di una divisione al pagamento, entro tre mesi dal suo passaggio in giudicato, di un conguaglio imposto ad uno dei conviventi).
Sez. 3, Sentenza n. 7231 del 29/03/2006
L'effetto dichiarativo-retroattivo della divisione - che poggia in via esclusiva sull'art. 757 cod. civ. e che l'art. 1116 cod. civ. estende al rapporto fra comproprietari che non sono coeredi - comporta che ciascun condividente sia considerato titolare "ex tunc", e cioè all'apertura della successione, dei beni assegnatigli, saldando l'intervallo di tempo che separa la delazione (e la conseguente accettazione dell'eredità) dalla divisione. Tale natura dichiarativa esclude che la divisione abbia anche efficacia traslativa, poiché l'atto che la dispone (consista in una sentenza o in un contratto) non comporta un effetto di trasferimento fra i condividenti nei rapporti reciproci, né fra la comunione che si scioglie ed i singoli condividenti, dal momento che il titolo di acquisto del singolo condividente è da farsi risalire non all'atto divisionale, ma all'originario titolo che ha costituito la situazione di comproprietà, sciolta poi con la divisione, senza che possa ritenersi che gli effetti dell'atto che ha dato origine alla comunione si incrementino a seguito della divisione, poiché essi si modificano soltanto sotto l'aspetto qualitativo (ovvero passando dalla quota indivisa al bene attribuito con l'"apporzionamento"), essendosi l'acquisto del coerede o del comproprietario di cose comuni già realizzato. (Nella specie, la S.C., ha confermato la sentenza impugnata con la quale, in un caso di riscatto agrario esercitato dai ricorrenti con riferimento ad un contratto di vendita del 1990 avente ad oggetto solo una quota indivisa pari alla metà del fondo dedotto in controversia, era stato correttamente ritenuto che l'oggetto dell'azione di riscatto non poteva essere più ampio di quella metà indivisa, non potendosi estendere, in particolare, alla seconda metà indivisa non oggetto della vendita stessa, poiché l'acquisto di quest'ultima era conseguita soltanto alla divisione intervenuta nel 1991, che non essendo qualificabile come atto di trasferimento a titolo oneroso, non poteva essere suscettibile di prelazione e riscatto).
Sez. 2, Sentenza n. 15583 del 26/07/2005
Un progetto di divisione di comunione, redatto da un terzo, cui sia stato affidato tale compito, ove si presenti di contenuto tale da integrare gli elementi della proposta e dell'accettazione della divisione e venga sottoscritto per adesione da tutti i condividenti, è idoneo a determinare l'incontro di volontà dei medesimi e quindi la conclusione del contratto di divisione.
Sez. 2, Sentenza n. 3155 del 25/03/1998
L'estensione della nullità di una clausola di un contratto ad altra del medesimo contratto si verifica, ai sensi dell'art. 1419 cod. civ. allorché le diverse disposizioni siano state convenute in vista di uno scopo unitario. Pertanto in presenza di una divisione negoziale di asse ereditario, costituente l'unico fine pratico perseguito dai contraenti, la nullità (per difetto di atto pubblico) di clausole aventi ad oggetto donazione di cespiti da un coerede all'altro, comporta la nullità anche delle ulteriori clausole che prevedono trasferimenti onerosi fra gli altri coeredi.
Sez. 2, Sentenza n. 8448 del 03/09/1997
Al fine di escludere la rescindibilità dell'atto di divisione, ai sensi dell'art. 764, secondo comma, cod. civ., non è sufficiente constatare che essa contenga una contestuale transazione, dovendosi, ancora, accertare che l'accordo transattivo, regolando ogni controversia, anche potenziale, in ordine alla determinazione delle porzioni corrispondenti alle quote ereditarie, abbia avuto ad oggetto proprio le questioni costituenti presupposto ed oggetto dell'azione di rescissione, con la conseguenza che, accertato che le parti, con le espressioni usate nel negozio transattivo, non abbiano affatto voluto porre termine ad una disputa sulle stime (correndo, per l'effetto, l'alea reciproca di assegnare cespiti di valore inferiore oltre il quarto alla rispettiva quota), ma soltanto manifestato l'intendimento di procedere alla divisione senza esasperazione delle stime medesime (accontentandosi amichevolmente di valutazione esposte al rischio di qualche marginale approssimazione), dovrà ritenersi del tutto legittima, per l'effetto, la successiva proposizione dell'azione di rescissione oltre il quarto di cui al menzionato art. 764 cod. civ.
Sez. 2, Sentenza n. 7219 del 06/08/1997
Il "discrimen" tra divisione transattiva, rescindibile (art. 764, primo comma, cod. civ.) e transazione divisoria, non rescindibile (art. 764, secondo comma, cod. civ.), ne' annullabile per errore (art. 1969 cod. civ.), è costituito non dalla natura transattiva di una controversia divisionale, ricorrente in entrambi i negozi, bensì dall'esistenza (nella prima) o meno (nella seconda) di proporzionalità tra le attribuzioni patrimoniali e le quote di ciascuno dei partecipanti alla comunione.
Sez. 2, Sentenza n. 1029 del 02/02/1994
Sussiste un contratto divisorio soggetto alla rescissione laddove si riscontra la contemporanea esistenza degli elementi dell'attribuzione di valori proporzionali alle quote e dello scioglimento della comunione. Per contro, si è in presenza di una transazione, che si sottrae alla rescissione, quando con l'atto, che pone fine alla comunione, i condividenti - allo scopo di evitare le liti, che potrebbero insorgere, o di porre termine alle liti già sorte - si accordano sulla attribuzione delle porzioni, senza procedere al calcolo delle proporzioni corrispondenti alle quote.
Sez. 2, Sentenza n. 1029 del 02/02/1994
Sussiste un contratto divisorio soggetto alla rescissione laddove si riscontra la contemporanea esistenza degli elementi dell'attribuzione di valori proporzionali alle quote e dello scioglimento della comunione. Per contro, si è in presenza di una transazione, che si sottrae alla rescissione, quando con l'atto, che pone fine alla comunione, i condividenti - allo scopo di evitare le liti, che potrebbero insorgere, o di porre termine alle liti già sorte - si accordano sulla attribuzione delle porzioni, senza procedere al calcolo delle proporzioni corrispondenti alle quote.
Sez. 1, Sentenza n. 1192 del 30/05/1967
La denominazione di un contratto come -atto di divisione ereditaria con transazione della lite-non vale a fargli perdere la natura di contratto di divisione, in quanto la definizione transattiva di una lite giudiziaria, con il riconoscimento della pretesa dei legittimari lesi nella loro quota di riserva e con l'assegnazione agli stessi della detta quota, va qualificata come atto di divisione.
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