Non coincidenza soggettiva tra acquirente e finanziatore. Il contratto a favore di terzo
Non coincidenza soggettiva tra acquirente e finanziatore. Il contratto a favore di terzo
di Antonio Marrese
Consiglio Nazionale del Notariato - Studio n. 383-2008/C
Pubblicato nella rivista Studi e materiali CNN, 1/2009, p. 122
ABSTRACT
- 1. Gli artt. 1411 e segg. c.c. consentono ai contraenti - definiti “promittente” e “stipulante” – l’introduzione nel contratto di una clausola che permetta l’attribuzione di un diritto ad un soggetto (“terzo”) che non partecipa alla formazione del contratto. La ricostruzione della clausola a favore di terzo in termini di patto accessorio non confligge con la necessità che l’introduzione della detta clausola nel meccanismo contrattuale sia sorretta da una giustificazione causale idonea a determinare lo spostamento patrimoniale dallo stipulante al terzo.
- 2. Evidenziata l’essenzialità dell’interesse dello stipulante alla deviazione degli effetti contrattuali a favore del terzo, si pone l’interrogativo circa la necessità o meno della formalizzazione dello stesso interesse dello stipulante. Ci si chiede cioè se, ove il contratto richieda una forma ad substantiam, dall’atto medesimo debba risultare esplicitato anche l’interesse che giustifica la stipulazione a favore di terzo. In ordine al tema più generale della formalizzazione della causa contrattuale, si afferma che la validità del contratto presuppone l’esistenza di una causa lecita, rilevabile o dal contratto medesimo o aliunde (secondo le regole interpretative generali), non potendo certo essere sufficiente a conferire validità al contratto la mera indicazione di una giustificazione economico - sociale di fatto inesistente. Alla stessa stregua deve essere risolto il problema della esplicitazione dell’interesse dello stipulante nel contratto a favore di terzo. Ciò che dunque rileva è che il detto interesse esista concretamente, non che sia espressamente manifestato nel documento negoziale.
- 3. Le ragioni che la dottrina ha individuato per giustificare la deviazione degli effetti contrattuali verso un soggetto estraneo al contratto sono riconducibili o ad un intento liberale dello stipulante nei confronti del terzo ovvero ad una vicenda solutoria di una preesistente obbligazione. In ordine alla prima ipotesi, peraltro più ricorrente nella pratica, il tema del rapporto fra contratto a favore di terzo, donazione indiretta e assoggettabilità dell’attribuzione al terzo donandi causa costituisce per l’operatore giuridico forse il tema di maggior interesse e quello che concretamente limita il ricorso a questo versatile strumento. Che il contratto a favore di terzo possa essere mezzo idoneo alla realizzazione di un intento liberale non può essere dubbio; né può esservi dubbio sul fatto che in tal caso - ricorrendo cioè una causa di liberalità nell’attribuzione al terzo - si realizzi una vera e propria donazione indiretta. Se così è, il problema maggiore che si pone all’attenzione dell’operatore che deve verificare la “stabilità” del titolo nel quadro dei successivi trasferimenti di proprietà è quello di cogliere nell’atto “diverso” gli “indici rivelatori” della liberalità.
- 4. E’ di tutta evidenza allora che in materia di contratto a favore di terzo, in assenza della formalizzazione dell’intento liberale nel contratto stesso, l’avente causa del terzo non ha alcun efficace strumento di verifica della stabilità del titolo di acquisto del suo dante causa e non possiede alcun mezzo per rendersi conto se in futuro potrà essere legittimato passivo di una azione di restituzione. In altre parole, l’applicazione integrale dei rimedi predisposti dal Codice a tutela delle ragioni dei legittimari, sovrasterebbe qualsiasi protezione dell’affidamento del terzo. Nell’ambito di questa complessa tematica, quello che è importante rilevare è che esiste una corrente di pensiero che, da un lato, evidenzia le diversità operative di tale tutela quando oggetto di riduzione sia una liberalità indiretta e, dall’altro, esclude l’applicabilità alla donazione indiretta dell’azione di restituzione nei confronti dell’avente causa del donatario ex art. 563 c.c.. Ciò sul presupposto che nelle donazioni indirette non esiste in realtà alcuna relazione tra il bene di cui si arricchisce il donatario e ciò di cui si è impoverito il patrimonio del donante.
- 5. In ultimo, occorre domandarci quale trattamento fiscale riserva il sistema al contratto a favore di terzo in genere e, in particolare, al contratto a favore di terzo “donandi causa”, nelle due diverse ipotesi in cui la causa “in concreto” sia stata esplicitata nel contratto o al contrario sia rimasta nascosta. In ordine alla imposta di registro, poiché con il contratto a favore del terzo con effetti reali si attua l'immediato trasferimento del diritto al terzo e non già un doppio passaggio della proprietà, la tassazione dell'atto non può che essere unica e quindi si dovrà pagare una sola aliquota di trasferimento. Anche in ordine alla imposta sulle successioni e donazioni sembra inevitabile preferire la soluzione che esclude il contratto a favore di terzo dalla eventualità di una doppia tassazione. Ciò essenzialmente per la natura del contratto medesimo, atteso che non siamo in presenza di due negozi fra loro sì collegati, ma dotati di una propria autonomia e suscettibili quindi di separata considerazione da parte del fisco. La deviazione degli effetti a favore del terzo avviene sulla base di una clausola apposta al contratto intervenuto fra stipulante e promittente per consentire al primo di conseguire un proprio interesse meritevole di tutela; essa perciò non può di per sé costituire autonomo presupposto imponibile.
1. Il contratto a favore di terzo(1)
Il meccanismo contrattuale regolato dagli artt. 1411 e segg. c.c. consente ai contraenti - definiti “promittente” e “stipulante” - l’attribuzione di un diritto ad un soggetto (“terzo”) che non partecipa alla formazione del contratto.
Tale attribuzione deve costituire l’effetto diretto della stipulazione, non essendo sufficiente, per la stessa configurabilità della fattispecie come contratto a favore di terzo, un mero vantaggio economico indirettamente derivante al terzo dal rapporto contrattuale(2).
Occorre peraltro subito precisare che questa apparente libertà per le parti di convenire la deviazione degli effetti contrattuali verso il terzo incontra un limite essenziale nella necessità che l’attribuzione medesima sia sorretta da un interesse - di qualsiasi natura - in capo allo stipulante. E ciò certamente in omaggio al principio causalistico, e dunque alla necessità che ogni attribuzione sia sorretta da una giustificazione causale, attesa l’inammissibilità, nel sistema italiano, in linea di principio e diversamente da altri ordinamenti, di un negozio astratto.
Così pure, in ossequio al tradizionale dogma della intangibilità della sfera giuridica altrui, il codice consente espressamente al terzo di rifiutare in qualsiasi momento l’attribuzione ed allo stipulante di revocare l’attribuzione a favore del terzo stesso.(3)
L’introduzione nel Codice del 1942 della disciplina autonoma del contratto a favore di terzo e la sua collocazione nell’ambito del Titolo II del Libro delle Obbligazioni (Dei contratti in generale) ha determinato negli interpreti l’interrogativo in ordine alla possibile totale autonomia del tipo negoziale in esame. Così si è affermato che il contratto a favore di terzi costituisce una “figura del tutto normale e autonoma. Ciò, se significa che la stipulazione a favore di terzo può stare da sé, in quanto costituisca l’oggetto principale del contratto, non significa però (…) che non sia ammessa la stipulazione a favore di terzo ove la stessa o formi condizione di una stipulazione che il contraente fa per sé stesso o di una donazione che fa ad altri” (App. Milano, 8.06.53, MT, 1954, 60).
In dottrina si è pure sostenuto essere “fuori di dubbio che il contratto a favore di terzo costituisce una figura a sé di contratto, con propria autonoma disciplina”(4), pur mitigando tale decisa affermazione con argomentazioni più sensibili alle peculiarità dell’istituto.
Tali conclusioni si basano sulla esigenza di confermare l’esistenza di una autonoma giustificazione causale del rapporto stipulante - terzo (peraltro inidonea a fare della stipulazione a favore di terzo una autonoma figura negoziale) ovvero sono dettate, forse, dall’eccessiva enfatizzazione della applicabilità generale dell’istituto, con la conseguenza di confondere tale caratteristica con una presunta autosufficienza dell’istituto stesso, dimenticando che è proprio il suo illimitato ambito di applicazione a rendere insostenibile l’affermazione che la stipulazione a favore di terzo possa “stare da sé”(5).
La caratterizzazione della fattispecie come pattuizione inserita in un contratto al fine esclusivo di deviarne i normali effetti da una delle parti ad un terzo estraneo, appare dunque del tutto incompatibile con una ricostruzione che attribuisca alla figura in esame una sua assoluta autonomia. Infatti, l’applicabilità generale dell’istituto non è di per sé sufficiente a far ritenere che, nel nostro ordinamento, esista una tipizzazione del contratto a favore di terzo, che si aggiungerebbe al tipo contrattuale a cui accede, determinando fra il contratto e la pattuizione a favore del terzo un rapporto di collegamento negoziale in luogo di quello che è un mero rapporto di accessorietà(6).
2. L’interesse dello stipulante
La ricostruzione della clausola a favore di terzo in termini di patto accessorio anziché di autonomo negozio non confligge evidentemente con la necessità che l’introduzione della detta clausola nel meccanismo contrattuale sia sorretta da una giustificazione causale idonea a determinare lo spostamento patrimoniale dallo stipulante al terzo.
Il legislatore del Codice, pur consapevole della necessità del superamento del principio della relatività del contratto, ha inteso comunque confermare il ruolo della causa, quale elemento essenziale del contratto stesso, individuando nell’interesse dello stipulante il requisito per la riconducibilità della pattuizione al paradigma causale.
Così, è stato affermato che l’esigenza di rinvenire una causa dell’attribuzione al terzo era salvata elevando l’interesse dello stipulante a “causa” dell’intero schema negoziale, o quantomeno riconoscendo in tale interesse un elemento idoneo a integrare uno schema causale altrimenti incompleto.
Così facendo, d’altro canto, si veniva in sostanza a riconoscere che la favorevole considerazione manifestata dal legislatore circa la stipulazione per altri, alla luce delle sue concrete potenzialità applicative e dell’ampliamento dei margini di operatività dell’autonomia privata che essa comportava, aveva consentito a quella stessa autonomia (espressa nell’interesse dello stipulante, assunto quale fulcro logico dell’istituto) di porsi in prima persona quale ragione giustificatrice dell’intero schema negoziale(7)
L’art. 1411 c.c. legittima dunque l’esistenza nel nostro ordinamento di un meccanismo di deviazione nell’attribuzione dei diritti, che consente l’acquisto da parte del terzo e che non troverebbe altrimenti alcuna giustificazione giuridica, in conseguenza del principio della relatività dei contratti. Tale scelta risiede nella opportunità di tutela della parte contrattuale che ha interesse a deviare gli effetti - che normalmente si produrrebbero a suo favore - verso la sfera giuridica di un soggetto estraneo al rapporto contrattuale, tutela che si fonda su un interesse che, pur presentando un contenuto assai ampio (se non illimitato), non può mai mancare, pena la consolidazione di tutti gli effetti fra i contraenti.
L’attribuzione del diritto al terzo si produce dunque – si ribadisce - in conseguenza di una clausola accessoria apposta al contratto, che non interferisce sulla dinamica causale di quest’ultimo. In altri termini, altro è la causa del contratto, altro è l’interesse dello stipulante, che è esclusivamente la ragione giustificativa della deviazione degli effetti.
Tanto poi è ampio oggettivamente l’ambito dell’interesse a cui si riferisce l’art. 1411 c.c., così esso risulta soggettivamente delimitato in quanto riferibile esclusivamente allo stipulante. Il promittente infatti è interessato non già alla deviazione degli effetti verso il terzo, bensì esclusivamente agli effetti propri del contratto cui accede la clausola a favore di terzo. Nell’ambito, poi, della validità del contratto, l’esistenza o meno di un interesse del terzo è del tutto irrilevante.(8)
Quanto alla natura dell’interesse e al suo inquadramento sistematico, secondo una parte della dottrina(10)
L’insoddisfazione verso tale ricostruzione che, in conclusione, riduce la previsione dell’art. 1411 c.c. ad espressione di una mera esigenza del legislatore di completezza formale (ritenendosi comunque sufficiente la prescrizione espressa in termini del tutto generali dall’art. 1174 c.c.), ha indotto parte della dottrina(12) a porre in evidenza il particolare atteggiarsi dell’interesse nel contratto a favore di terzo ed a rilevare che, mentre il contenuto della prestazione deve essere suscettibile di valutazione economica, l’interesse alla prestazione può essere anche di carattere non patrimoniale; con la conseguenza che l’interesse del creditore è soddisfatto dalla prestazione del debitore e non dal risultato economico di quest’ultima, che può andare anche a vantaggio di un terzo o dello stesso debitore.
Si è anche sottolineato(13) che, mentre l’art. 1174 c.c. ha riguardo all’interesse del creditore, l’art. 1411 c.c. fa riferimento all’interesse dello stipulante, che è contraente ma non creditore.
Si attribuisce in tal modo adeguato rilievo alla circostanza che, nel contratto a favore di terzo, l’interesse rilevante è quello dello stipulante che, per effetto della stipulazione, non acquista normalmente alcun credito nei confronti del promittente.
Solo allorché lo stipulante - a seguito della revoca della stipulazione a favore di terzo o del rifiuto del terzo - acquista il diritto alla prestazione, ritorna applicabile il riferimento all’art. 1174 c.c., emergendo quindi un interesse diretto dello stipulante alla prestazione.
Ove invece tale interesse manchi, il contratto che non ha prodotto effetti nei confronti del terzo, non ne produrrà neanche nei confronti dello stipulante, in applicazione del principio generale espresso dall’art. 1174 c.c. e della prescrizione contenuta nell’ultimo comma dell’art. 1411 c.c., il quale espressamente dispone che “la prestazione rimane a beneficio dello stipulante, salvo che diversamente risulti dalla volontà delle parti o dalla natura del contratto”(14).
In realtà, nella regolamentazione del contratto a favore di terzo, il legislatore non ha avuto riguardo esplicito né all’interesse del terzo né a quello dello stipulante allorché quest’ultimo assuma la posizione di normale contraente - a seguito del rifiuto del terzo di volerne profittare ovvero della revoca della stipulazione in suo favore - in quanto in entrambi i casi la tutela deriva direttamente dal più volte citato art. 1174 c.c..
L’unico interesse rilevante, nel contratto in esame, è quello dello stipulante diretto alla attribuzione del diritto al terzo e fondato sulla esigenza di giustificare la deviazione degli effetti contrattuali a favore del terzo, con ciò inserendosi in una moderna ricostruzione del concetto di relatività del contratto, che da un lato legittima l’efficacia diretta del contratto nei confronti del terzo e dall’altro impone che tale attribuzione si fondi su una propria giustificazione causale.
Muovendo da tali considerazioni e dalla sempre più diffusa applicazione del contratto a favore di terzo anche al di fuori dell’ambito dei contratti ad effetti soltanto obbligatori, si è ritenuto (Majello 1962, 5) che l’interesse a cui fa riferimento l’art. 1411 c.c. non è finalizzato a giustificare la pretesa creditoria, ma può essere identificato con l’interesse meritevole di tutela, che l’art. 1322 C.C. indica come limite generale della autonomia privata(15).
Secondo tale opinione, dunque, il requisito in esame attiene non tanto al profilo del rapporto obbligatorio quanto a quello della struttura contrattuale, non costituendo, peraltro, la mera duplicazione del principio sancito nell’art. 1322 c.c..
L’art. 1411 c.c., considera, infatti, oltre il generico interesse meritevole di tutela che riguarda i contraenti (promittente e stipulante) previsto dall’art. 1322 c.c., l’ulteriore interesse del solo stipulante alla deviazione a favore del terzo degli effetti contrattuali.
La specificità dell’interesse dello stipulante è la ragione giustificativa di un meccanismo che consente di attuare con un unico strumento giuridico un doppio spostamento economico, cosicché l’acquisto del diritto del terzo ha un duplice titolo: l’uno costituito dal contratto tra stipulante e promittente, l’altro dalla clausola a favore del terzo, in quanto il primo realizza l’interesse dei contraenti e il secondo l’interesse del solo stipulante(16)
La giurisprudenza non sembra riservare una particolare attenzione al tema della qualificazione giuridica dell’interesse.
Si può anzi notare come l’approfondimento giurisprudenziale non si sia mai spinto oltre la ovvia affermazione della necessaria esistenza dell’interesse medesimo.(17)
Meno problematica è l’individuazione concreta del tipo di interesse idoneo a determinare la deviazione degli effetti a favore del terzo.
La giurisprudenza si è sempre espressa nel senso di una totale disponibilità ad estendere l’ambito di riferimento dell’interesse anche al di fuori della mera considerazione patrimoniale, ribadendo più’ volte che l’interesse dello stipulante deve intendersi riferito a qualsivoglia interesse a vedere eseguita la prestazione a favore del terzo.(18)
E’ poi ius receptum che l’interesse di cui all’art. 1411 c.c. possa essere anche di natura soltanto morale(19)
La pressoché unanime dottrina perviene ad analoghe conclusioni.
Si è peraltro posto in evidenza il limite concernente l’interesse di natura morale, onde distinguerlo dalla mera volontà.
E’ stata così ribadito che “l’interesse dello stipulante può essere morale, e non si distingue bene dalla volontà. Poiché la legge parla di interesse e non distingue fra interesse patrimoniale e morale, gli interpreti stessi non fanno distinzione e considerano l’interesse di chi vuol fare un dono al terzo come capace di soddisfare l’art. 1411. Ma a questo punto il contratto concluso senza interesse sarebbe solo il contratto privo di ogni motivazione, ossia il contratto del demente, o di chi sia in errore o stipuli perché minacciato. Il vizio del volere si trasformerebbe nell’inesistenza del requisito dell’interesse.
Per evitare queste conseguenze, gli interpreti distinguono l’interesse morale di chi vuole procurare un dono al terzo e l’interesse di chi, volendo sollevare il terzo da un’incombenza, ne gestisce (a mezzo di stipulazione a favore di terzo) un affare.
La distinzione, più o meno razionale, proibisce di adottare la stipulazione a favore di terzo a scopo gestorio, come alternativa alla rappresentanza e al mandato”(20).
3. La formalizzazione dell’interesse dello stipulante.
Evidenziata l’essenzialità dell’interesse dello stipulante alla deviazione degli effetti contrattuali a favore del terzo, si è posto l’interrogativo circa la necessità o meno della formalizzazione dello stesso interesse dello stipulante. Ci si è chiesti cioè se, ove il contratto richieda una forma ad substantiam, dall’atto medesimo debba risultare esplicitato anche l’interesse che giustifica la stipulazione a favore di terzo.
La risposta non può prescindere dalla soluzione del più ampio problema della individuazione degli elementi contrattuali soggetti alla prescrizione di forma ed in particolare se debba essere formalizzata anche la causa del contratto.(21)
In altre parole, la validità del contratto presuppone l’esistenza di una causa lecita, rilevabile o dal contratto medesimo o aliunde (secondo le regole interpretative generali), non potendo certo essere sufficiente a conferire validità al contratto la mera indicazione di una giustificazione economico - sociale di fatto inesistente.
In giurisprudenza, coerentemente, si è affermato che la causa del negozio “non deve necessariamente risultare da forma solenne, potendo validamente essere individuata mediante interpretazione per via induttiva o deduttiva del negozio stesso”(22)
Alla stessa stregua deve essere risolto il problema della esplicitazione dell’interesse dello stipulante nel contratto a favore di terzo.
Ciò che rileva è che il detto interesse esista concretamente, non che sia espressamente manifestato nel documento negoziale.
Anzi, l’interesse nel contratto a favore di terzo si deve presumere di per sé esistente con l’utilizzo del meccanismo negoziale previsto e regolato dal Codice Civile, così come la causa del contratto del contratto tipico si presume nella adozione del tipo contrattuale predisposto dal legislatore.
In ordine alle conseguenze della insussistenza nello stipulante dell’interesse di cui fa menzione il 1° comma dell’art. 1411 c.c., la dottrina più risalente (Pacchioni 1933, 15 e 180), nell’ambito del diverso contesto normativo, attribuiva all’interesse dello stipulante un ruolo fondamentale anche nella costituzione del rapporto tra stipulante e promittente, con la conseguenza che l’eventuale inesistenza dell’interesse nello stipulante avrebbe prodotto la nullità del contratto e non la mera inefficacia dello stesso nei confronti del terzo.
Oggi l’opinione dominante, al contrario, in considerazione della funzionalità dell’interesse al solo fine della deviazione a favore del terzo degli effetti attributivi e della accessorietà della clausola a favore di terzo rispetto al negozio principale, ritiene che la mancanza dell’interesse medesimo produca la consolidazione degli effetti contrattuali in capo allo stipulante.
Ciò in simmetria a quanto espressamente previsto dal codice in caso di revoca della stipulazione o di rifiuto del terzo di profittarne.
Alla conclusione della nullità della clausola e della conseguente consolidazione degli effetti in capo allo stipulante giunge sia chi ravvisa nell’interesse dello stipulante la causa giustificativa della duplicità dello spostamento patrimoniale realizzato con un unico strumento giuridico (24).
4. Rapporti fra stipulante e terzo beneficiario degli effetti. La causa dell’attribuzione al terzo.
Le ragioni che la dottrina ha individuato per giustificare la deviazione degli effetti contrattuali verso un soggetto estraneo al contratto sono riconducibili o ad un intento liberale dello stipulante nei confronti del terzo ovvero ad una vicenda solutoria di una preesistente obbligazione.
Come è stato sinteticamente ma acutamente rilevato dal Messineo, il contratto a favore di terzo
“corrisponde ad una sentita funzione pratica; infatti può darsi che lo stipulante, già tenuto verso il terzo a una qualche prestazione, si serva del promittente (quasi nudus minister) per adempiere a quella prestazione (causa solvendi ) (…). Ma può darsi, anche, che il contratto celi, o anche manifesti un intento di liberalità (causa donandi), a vantaggio del terzo; la quale liberalità, peraltro, si realizzi per il tramite della prestazione, che lo stipulante impegna il promittente ad effettuare nei confronti del terzo medesimo; ma da parte del promittente, in quanto riceve un corrispettivo dallo stipulante, la prestazione è effettuata a titolo oneroso”(25).
Conseguenza di tale affermazione è che dal contratto a favore di terzo non possono derivare, nei rapporti fra stipulante e terzo, diritti o azioni in ordine alla prestazione dedotta in contratto.
Ciò appare particolarmente evidente nel contratto a favore di terzo stipulato solvendi causa, in cui le azioni spettanti al terzo nei confronti dello stipulante hanno il loro fondamento non nel contratto intervenuto fra stipulante e promittente ma esclusivamente nel rapporto obbligatorio preesistente fra stipulante e terzo, che, attraverso il suddetto contratto, trova la sua ragione di estinzione satisfattoria.
Anche le eccezioni - che lo stipulante può opporre al terzo - concernenti l’adempimento della prestazione dovuta, pur in apparenza riferibili al contratto a favore di terzo, non sono ad esso direttamente collegabili in quanto derivanti esclusivamente dal preesistente rapporto obbligatorio.
Così, ad esempio, l’eventuale azione di inesatto adempimento esercitata dal terzo nei confronti dello stipulante a tutela di una posizione creditoria del primo non può trarre origine dal contratto a favore di terzo, ma deriva esclusivamente dal rapporto obbligatorio preesistente, in relazione al quale il contratto a favore di terzo si pone come vicenda solutoria diversa dall’adempimento.
Pertanto, nel contratto a favore di terzo “solvendi causa”, le azioni spettanti al terzo nei confronti dello stipulante hanno il loro fondamento non nel contratto intervenuto fra stipulante e promittente ma esclusivamente nel rapporto obbligatorio preesistente fra stipulante e terzo, che attraverso il suddetto contratto trova la sua ragione di estinzione satisfattoria.
La stessa conclusione non sembra altrettanto immediata nel contratto a favore di terzo in cui nello stipulante ricorra l’intento di liberalità verso il terzo.
Peraltro la difficoltà di assimilare le due possibili funzioni del contratto a favore di terzo è solo apparente ove si aderisca a quell’indirizzo dottrinale il quale rileva che “la nozione di contratto a favore di terzi coglie essenzialmente il profilo strutturale mentre quella della donazione indiretta si appunta agli effetti e individua tutte le ipotesi caratterizzate dalla produzione di un certo tipo di effetti, tra le quali può annoverarsi anche il contratto a favore di terzi donandi causa “(27).
L’aver evidenziato la sovrapponibilità della nozione di contratto a favore di terzo e di donazione indiretta consente di confermare per il contratto a favore di terzo donandi causa le stesse conclusioni a cui si è in precedenza giunti con riguardo al contratto a favore di terzo con funzione solutoria.
Anche nel caso del contratto a favore di terzo donandi causa, infatti, le azioni e le eccezioni proponibili fra stipulante e terzo traggono origine dall’effetto di liberalità che il contratto stesso produce e non dal contratto in quanto tale. Così, ad esempio, le azioni cui fa riferimento la norma di rinvio contenuta nell’art. 809 c.c. si fondano esclusivamente sull’effetto liberale che il contratto produce e non derivano in via immediata dalla stipulazione a favore di terzo.
Una ulteriore conferma di quanto sostenuto si può trarre dalla considerazione che l’attribuzione allo stipulante del potere incondizionato di revocare o modificare la disposizione a favore del terzo (fino al momento della accettazione della stipulazione da parte di quest’ultimo) conferma l’inesistenza di un diritto del terzo alla prestazione nei confronti dello stipulante.
Ciò che occorre ribadire pertanto è che, l’aver rilevato la sovrapponibilità della nozione di contratto a favore di terzo e di donazione indiretta, consente di ritenere che le azioni e le eccezioni proponibili fra terzo e stipulante traggono origine esclusivamente dall’effetto di liberalità che il contratto stesso produce.
La particolarità nel contratto a favore di terzo “donandi causa” rispetto al negozio solutorio risiede nel fatto che dette azioni e eccezioni, pur nel presupposto appena indicato, traggono comunque origine direttamente dal contratto a favore di terzo, non essendovi altro negozio intercorrente fra terzo e stipulante.
Si è in proposito rilevato che la liberalità, nel contratto a favore di terzo “non permea lo schema causale del contratto posto in essere, il quale continua a trovare la sua funzione nel tipo scelto dalle parti, ma che, invece, è l’effetto riflesso e mediato del contratto a favore del terzo e, peraltro, effetto del quale il promittente può ignorare l’esistenza, dovendo egli tutt’al più confidare nella presenza di un interesse dello stipulante al negozio, ma senza penetrarne l’essenza (...). La liberalità è estranea al contratto a favore del terzo: essa è generata da un patto privo di forma pubblica tra stipulante e terzo, mentre il contratto è il veicolo estraneo alla stessa liberalità attraverso il quale questa viene realizzata”(28).
5. Contratto a favore di terzo ed azione di riduzione.
Il tema del rapporto fra contratto a favore di terzo, donazione indiretta e assoggettabilità dell’attribuzione al terzo donandi causa costituisce per l’operatore giuridico forse il tema di maggior interesse e quello che concretamente limita il ricorso a questo versatile strumento.
Che il contratto a favore di terzo possa essere mezzo idoneo alla realizzazione di un intento liberale non può essere dubbio; né può esservi dubbio sul fatto che in tal caso - ricorrendo cioè una causa di liberalità nell’attribuzione al terzo - si realizzi una vera e propria donazione indiretta.
L’art. 809 c.c. sotto la rubrica “Norme sulle donazioni applicabili ad altri atti di liberalità”, dispone che le liberalità risultanti da atti diversi da quelli previsti dall’art. 769 siano soggette “alle stesse norme che regolano la revocazione delle donazioni per causa di ingratitudine e per sopravvenienza di figli, nonché a quelle sulla riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari”.
Dunque – si nota in dottrina(29) - l’art. 809 sembra istituire una perfetta identità fra l’azione di riduzione proposta contro una donazione contrattuale e l’azione di riduzione proposta contro una donazione indiretta, entrambe assoggettate alle stesse norme della riduzione.
Gli “atti diversi” cui fa cenno la norma citata possono infatti essere in astratto tutti gli atti che pur avendo un proprio nomen juris, una propria causa o una propria struttura, vengono ad essere connotati dall’intento liberale che, integrando la causa di questo atto diverso, lo piega e lo orienta al risultato liberale(30).
Se così è, il problema maggiore che si pone all’attenzione dell’operatore che deve verificare la “stabilità” del titolo nel quadro dei successivi trasferimenti di proprietà è quello di cogliere nell’atto “diverso” gli “indici rivelatori” della liberalità.
Essi certamente non coincidono con la forma dell’atto, atteso che è pacifico in dottrina e giurisprudenza che la forma solenne è applicabile solo alle donazioni cd. dirette.
Inoltre, la liberalità indiretta può essere realizzata anche attraverso atti materiali, quali, ad esempio il comportamento di chi edifichi sul suolo altrui con materiali propri, determinando l’acquisto del fabbricato a favore del proprietario del suolo in virtù dell’accessione.
Per rimanere nell’ambito del contratto a favore di terzo, abbiamo notato come la validità del contratto stesso non sia subordinata alla formalizzazione della causa dell’attribuzione al terzo. Pertanto nulla esclude che l’intento donativo proprio dello stipulante non sia esplicitato nel contratto, ma resti inespresso.
In questo, come in altri casi in cui l’intento donativo non emerge, l’unica indagine utile non può che essere quella relativa all’interesse e alle ragioni delle parti, ovvero sulla “specificità dell’intento che presiede all’atto”.(31) La dottrina più attenta ha peraltro messo in evidenza come nella ricerca essenziale della causa in concreto, il confine fra causa e motivi finisca per divenire assai labile. E tale incertezza non è di poco conto, considerando che le ragioni che inducono il soggetto al contratto, se non esteriorizzate, oggettivate e dunque inconoscibili ai terzi, sono di per sé irrilevanti.
E’ di tutta evidenza allora che in materia di contratto a favore di terzo, in assenza della formalizzazione dell’intento liberale nel contratto stesso, l’avente causa del terzo non ha alcun efficace strumento di verifica della stabilità del titolo di acquisto del suo dante causa e non possiede alcun mezzo per rendersi conto se in futuro potrà essere legittimato passivo di una azione di restituzione. In altre parole, l’applicazione integrale dei rimedi predisposti dal Codice a tutela delle ragioni dei legittimari, sovrasterebbe qualsiasi protezione dell’affidamento del terzo.
Evidentemente non è questa la sede per affrontare il tema, assai complesso, dei limiti applicativi della disciplina della tutela del legittimario alle liberalità indirette(32).
Quello che in questa sede è importante rilevare è che esiste una corrente di pensiero che, da un lato, evidenzia le diversità operative di tale tutela quando oggetto di riduzione sia una liberalità indiretta e, dall’altro, esclude l’applicabilità alla donazione indiretta dell’azione di restituzione nei confronti dell’avente causa del donatario ex art. 563 c.c..(33).
Ciò sul presupposto che nelle donazioni indirette non esiste in realtà alcuna relazione tra il bene di cui si arricchisce il donatario e ciò di cui si è impoverito il patrimonio del donante.
Perciò, la retrocessione del bene derivante dalle azioni di riduzione e di restituzione non potrebbe allora operare - secondo questa dottrina - nel caso delle donazioni indirette poiché lo stesso bene non è mai stato oggetto del patrimonio del donante, ma acquistato direttamente dal donatario nella sua sfera giuridico-patrimoniale, o direttamente o per la deviazione a suo favore degli effetti negoziali operata dal “donante-indiretto”(34).
Occorre peraltro ricordare che altra autorevole dottrina esclude che tali conclusioni possano trovare applicazioni proprio in relazione al contratto a favore di terzo, atteso che in tal caso, la inopponibilità al legittimario che abbia agito in riduzione della c.d. “clausola di deviazione al terzo” degli effetti contrattuali, determinerebbe la riacquisizione del bene al patrimonio dello stipulante consentendo, in tal modo, al legittimario vittorioso, l’esercizio della pretesa restitutoria in natura.(35)
6. Implicazione di carattere tributario dell’adozione del contratto a favore di terzo per l’intestazione di beni in nome altrui.
Occorre a questo punto domandarci quale trattamento fiscale riserva il sistema al contratto a favore di terzo in genere e, in particolare, al contratto a favore di terzo “donandi causa”, nelle due diverse ipotesi in cui la causa “in concreto” sia stata esplicitata nel contratto o al contrario sia rimasta nascosta.
Sul versante di quella che è considerata la principale imposta indiretta, e cioè la imposta di registro (D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131), possiamo subito notare come manchi, nel complesso sistema normativo di riferimento, una norma specifica.
Occorre allora fare riferimento all'art. 20 del DPR 131 del 1986, il quale prescrive che le imposte siano applicate secondo l'intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo e la forma apparente.
Conseguentemente poiché con il contratto a favore del terzo con effetti reali si attua l'immediato trasferimento del diritto al terzo e non già un doppio passaggio della proprietà, la tassazione dell'atto non può che essere unica e quindi si dovrà pagare una sola aliquota di trasferimento.
Se poi spostiamo l’osservazione sul versante dell’imposta sulle successioni e donazioni, notiamo che il quadro normativo è piuttosto complesso. In particolare:
- a) Il D.P.R. 637/72 , all’art. 1, in tema di oggetto dell’imposta sulle successioni e donazioni, si limitava a disporre, in termini del tutto generali, che l’imposta stessa trovava applicazione “ai trasferimenti di beni e diritti dipendenti da successione per causa di morte ed ai trasferimenti a titolo gratuito di beni e diritti per atto tra vivi […]”.Il D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, riformulando lo stesso art. 1, precisava poi che “L’imposta sulle successioni e donazioni si applica ai trasferimenti di beni e diritti per successione a causa di morte ed ai trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalità tra vivi”.
- b) L’art. 69, comma 1, lettera p), della legge 21 novembre 2000, n. 342, introduce nel D.Lgs. 346/90 due norme riferite in maniera esplicita alla tassazione delle donazioni indirette:
- – all’art. 1 venne aggiunto il comma 4-bis: “Ferma restando l’applicazione dell’imposta anche alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione, l’imposta non si applica nei casi di donazioni o di altre liberalità collegate ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende, qualora per l’atto sia prevista l’applicazione dell’imposta di registro, in misura proporzionale, o dell’imposta sul valore aggiunto”;
- – L’art. 56-bis che prevede che “l’accertamento delle liberalità diverse dalle donazioni […] può essere effettuato esclusivamente in presenza di entrambe le seguenti condizioni:
a) quando l’esistenza delle stesse risulti da dichiarazioni rese dall’interessato nell’àmbito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi;
b) quando le liberalità abbiano determinato, da sole o unitamente a quelle già effettuate nei confronti del medesimo beneficiario,un incremento patrimoniale superiore all’importo di 350 milioni di lire;[…]
- c) Interviene quindi la legge 18 ottobre 2001 n. 383, che, come è noto, sancisce la soppressione della imposta sulle successioni e donazioni (art. 13).
- d) Infine, l’art 2, comma 47, della legge 24 novembre 2006, n. 286 di conversione del D.L. 3.10.2006 n. 262, sancisce la “riviviscenza” dell’imposta di donazione introducendo la prescrizione che le donazioni siano assoggettate alla disciplina fiscale recata dal D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, e dunque con le modifiche introdotte dalla legge 342/00.
Gli autori che si sono occupati dell’argomento(36) ricordano come in generale, in ordine alla tassazione delle liberalità indirette, la dottrina, nella vigenza del DPR 637/72, prima, e del D.Lgs. 346/90, poi, sia stata lungamente divisa fra coloro che giungevano a conclusioni estremamente penalizzanti che comportavano una doppia tassazione, sia del negozio diretto, sia della liberalità non donativa ed altri che ritenevano che le donazioni indirette dovessero essere tassate con l’imposta proporzionale di registro, da applicare al negozio giuridico di base che aveva prodotto gli effetti indiretti.
Sembra inevitabile preferire la soluzione che esclude il contratto a favore di terzo dalla eventualità di una doppia tassazione.
Ciò essenzialmente per la natura del contratto medesimo.
Nel contratto a favore di terzi la deviazione di tutti o parte degli effetti contrattuali dallo stipulante al terzo comporta un’unica attribuzione patrimoniale a carico del promittente ed a favore del terzo, che può essere a titolo oneroso o a titolo di liberalità(37). Come si è avuto infatti modo di precisare, non siamo in presenza di due negozi fra loro sì collegati, ma dotati di una propria autonomia e suscettibili quindi di separata considerazione da parte del fisco. La deviazione degli effetti a favore del terzo avviene sulla base di una clausola apposta al contratto intervenuto fra stipulante e promittente per consentire al primo di conseguire un proprio interesse meritevole di tutela; essa perciò non può di per sé costituire autonomo presupposto imponibile.
L’inammissibilità di una “doppia tassazione” trova conferma nella interpretazione giurisprudenziale dell’art. 20 del DPR 131 del 1986(39).
Alla luce della vigente normativa, si può dunque ragionevolmente affermare(40) che la reviviscenza dell’art 1, comma 4-bis, del D.L. 346/90 agevola il regime delle donazioni indirette le quali normalmente si concretizzano attraverso atti notarili che, in quanto tali, vengono già tassati indipendentemente dall’ulteriore risultato indiretto perseguito dalle parti. In altre parole, il comma 4-bis in esame sancisce il principio dell’assorbimento della tassazione del negozio indiretto in quella del negozio principale già di per sé soggetto a tassazione con l’applicazione dell’imposta di registro in misura proporzionale o con l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto.
Tale conclusione impone di ritenere che l’unicità della tassazione sia assicurata sia nel caso in cui la causa dell’attribuzione al terzo sia esplicitata sia nel caso in cui la stessa non sia espressa. Tale circostanza non incide infatti sulla unicità del negozio e non consente comunque di creare una artificiosa separazione - ai soli fini della tassazione - fra contratto principale e deviazione degli effetti a favore del terzo.
7. Conclusioni operative
A questo punto dell’indagine, è possibile trarre qualche indicazione operativa.
- 1. Il contratto a favore di terzo si presta a regolamentare con chiarezza e precisione molti dei casi nei quali non sussiste coincidenza soggettiva fra colui che corrisponde il prezzo e colui che acquista il diritto. Tale strumento consente, con un unico atto, di deviare gli effetti reali a favore di un soggetto terzo, pur avvenendo il pagamento del corrispettivo ad opera dallo stipulante;
- 2. La non coincidenza fra destinatario degli effetti (terzo) e contraente (stipulante) non impone di esplicitare la causa dell’attribuzione al terzo, ben potendo la ragione della deviazione degli effetti rimanere inconoscibile, senza che ciò incida sulla validità del contratto o della clausola a favore di terzo;
- 3. L’esplicitazione della causa della attribuzione al terzo non incide sulla tassazione dell’atto, non essendo comunque il contratto a favore di terzo ricostruibile come una pluralità di negozi fra loro connessi o collegati ma trattandosi di un unico atto al quale è apposta una clausola che consente la deviazione degli effetti al terzo in via diretta.
- 4. La formalizzazione della causa dell’attribuzione al terzo, oltre che non necessaria, non appare opportuna ove le parti considerino prevalente lì interesse alla stabilità del titolo nel quadro dei successivi trasferimenti del bene.
(1) Sulla trattazione in generale del contratto a favore di terzo, si segnalano: Moscarini, Il contratto a favore di terzo, Milano, 1997, Caliceti, Contratto e negozio nella stipulazione a favore di terzi, Cedam, Padova, 1994, 18; Scozzafava Contratto a favore di terzi, in Enc. giur., IX, 1988, Treccani, Roma, 1-8); Majello, L’interesse dello stipulante nel contratto a favore di terzo, Napoli, Jovene, 1962, 5; Majello, Contratto a favore del terzo, in Digesto civ., IV, 1989, 240; De Nova, Il contratto a favore di terzo, in Tratt. dir. civ. diretto da Rescigno, X, Torino, Utet, 1982, 416; Trimarchi, Il contratto a favore del terzo, in Notariato, n. 6, 2000, p. 585; Lo Schiavo – Marrese, Il contratto a favore di terzo, Milano, Giuffrè, 2000.
(2) In tal senso, si è affermato che “per la configurabilità di un contratto a favore di terzi non è sufficiente che il terzo riceva un vantaggio economico indiretto dal contratto intervenuto fra altri soggetti, ma è necessario che questi ultimi abbiano inteso direttamente attribuirglielo nel senso che i soggetti stessi, nella qualità di contraenti, abbiano previsto e voluto una prestazione a favore di un terzo estraneo al contratto come elemento del sinallagma” (Cass. 4.10.94 , n. 8075, MGI, 1994)
(3) Si è acutamente sottolineato in tal senso che “la soluzione innovativa introdotta dal legislatore del 1942 è quindi molteplice: innanzitutto, essa conclude un processo evolutivo iniziato nel codice napoleonico, generalizzando la possibilità, per l’autonomia privata, di produrre, con lo strumento contrattuale, effetti favorevoli diretti nella sfera giuridica di soggetti diversi dalle parti. Nello stesso tempo la stessa norma innovativa ribadisce e conferma l’immanenza su tutto il sistema del diritto dei contratti, e quindi anche sulla nuova figura generale del contratto a favore di terzi, del cd. principio causalistico. In terzo luogo essa ridimensiona la portata, rispetto al nuova figura, di tale principio, espressamente consentendo che la giustificazione causale della attribuzione patrimoniale a favore del terzo possa risiedere anche in una posizione individuale di interesse di una sola delle parti del contratto - lo stipulante - restando in tal guisa estranea alla struttura della fattispecie e di conseguente al rapporto fra stipulante e promittente”
(Moscarini, Il contratto a favore di terzo, Milano, 1997, 7).
(4) Torrente, La donazione, 1956, 55
(5) In questo senso si è rilevato che “il contratto a favore di terzo deve essere anzitutto un contratto valido fra le parti, cioè un contratto che risponda ai requisiti generali di validità dei contratti e a quelli speciali di quel dato tipo di contratto posto in essere dalle parti. Esso deve avere un valore autonomo, indipendente dal fatto che la prestazione sia stipulata a favore del terzo: il contratto a favore di terzo non è una figura a sé, un tipo di contratto che si giustifichi di per sé agli occhi della legge; ma non è altro che un contratto, uno dei soliti contratti, in cui la prestazione, in tutto o in parte, è stipulata a favore del terzo” (Gorla, Contratto a favore di terzo e nudo patto, in RDC, I, 587).
(6) In proposito è stata ribadita la non configurabilità del contratto a favore di terzo quale contratto tipico e, utilizzando la distinzione tra fattispecie e contratto tipico, si è affermato che “il contratto a favore di terzo è una fattispecie tipica, proprio in quanto esso è esplicitamente regolato dal diritto; altrettanto sicuro è però che la figura in esame non può essere considerata un contratto autonomo e diverso rispetto a quello cui accede il patto tendente a deviare gli effetti contrattuali a favore del terzo. Quest’ultimo patto è, infatti, inidoneo ad alterare la funzione tipica del negozio in cui è inserito, essendo la sua finalità quella di individuare il soggetto che dovrà beneficiare della prestazione. Il contratto a favore di terzo si caratterizza quindi, in quanto nel contenuto del negozio viene dalle parti inserita una clausola accessoria, diretta a deviare gli effetti negoziali a favore di un soggetto che non è parte”(Scozzafava Contratto a favore di terzi, in Enc. giur., IX, 1988, Treccani, Roma, 1-8).
(7) Caliceti, Contratto e negozio nella stipulazione a favore di terzi, Cedam, Padova, 1994, 18.
(8) L’esigenza di un interesse idoneo a giustificare la vicenda attributiva a favore del terzo non rappresenta altro, come si è detto, che una conferma di un principio espresso in termini generali dall’art. 1174 c.c. e che si manifesta in relazione anche ad altre figure.
A tal riguardo basti pensare al divieto pattizio di alienazione, la cui validità, nella prescrizione dell’art. 1379 c.c., è condizionata alla presenza di un “apprezzabile interesse” di una delle parti, il cui rilievo è stato ampiamente sottolineato da chi ha rilevato che “per conferire validità al divieto di alienare non siano sufficienti la rilevanza giuridica e la liceità dell’interesse; ma occorra che quest’ultimo, anche se di natura morale, sia di tale portata, individuale o comunitaria, da prevalere sul principio generale per cui i privati non possono interdirsi in anticipo l’esercizio di un diritto o di un potere normalmente a quest’ultimo collegato; per la qual cosa non basterebbe dimostrare, al fine di conferire validità al divieto, che a muovere una o entrambe le parti non è né il capriccio né il dispetto” (Loiacono Inalienabilità (Clausole di), in Enc. Diritto, XX, 1970, 898)
(9) Betti, Teoria generale del negozio giuridico,Torino, Utet,, 1943, 563; Giovene, Del contratto a favore di terzi, in Comm. Cod. Civ. diretto da D’Amelio e Finzi, Libro delle Obbligazioni, 1, Firenze, Barbera, 1948, 599; Mirabelli, Dei contratti in generale, in Comm. Cod. Civ., Torino, Utet, 1980, 440; Scognamiglio , Contratti in generale, in Tratt. Dir. Civ., diretto da Grosso e Santoro Passarelli, Milano, Vallardi, 1966,344.
(10) E’ stato infatti affermato che apparentemente il primo comma dell’art. 1411 pone una limitazione al riconoscimento del contratto, richiedendo che “lo stipulante vi abbia interesse”; ma si tratta di una mera applicazione del principio generale per il quale la prestazione contrattuale deve corrispondere ad un interesse del soggetto, nei confronti del quale viene stipulato (art. 1174 c.c.) (Mirabelli , Dei contratti in generale, in Comm. cod. civ.,1980, Utet, Torino , 440)
(11) Giorgianni, L’obbligazione (La parte generale delle obbligazioni), Milano, Giuffrè, 1951, 63
(12) Cass. 29. 9. 1955, n. 2677.
(13) Majello, L’interesse dello stipulante nel contratto a favore di terzo, Napoli, Jovene, 1962, 5
(14) Appare dunque evidente l’equivoco di fondo di quella ricerca dottrinale intesa a rafforzare il concetto di interesse di cui all’art. 1411, 1° comma, con quello di cui all’art. 1174, allo scopo di vedere se quell’interesse dello stipulante, posto dalla prima norma come requisito di validità della stipulazione per altri, fosse alcunchè di diverso dall’interesse cui si riferisce la norma in tema di obbligazioni: proprio perché lo stipulante, perlomeno nelle ipotesi normali, non si qualifica come creditore della prestazione, è evidente che l’art. 1411, quando pone i requisiti di validità del contratto, si riferisce ad un concetto diverso da quello in cui può risolversi l’interesse menzionato dall’art. 1174. Quest’ultimo ben potrà essere riferito anche allo stesso stipulante, nell’ipotesi in cui egli concentri in sé medesimo la titolarità del rapporto contrattuale e del lato attivo di quello obbligatorio; ma anche allora esso costituirà il metro idoneo a giudicare solo di quest’ultima posizione soggettiva e non potrà mai toccare, se non indirettamente, la valutazione della validità del rapporto contrattuale nel suo complesso
(Caliceti 1994, 15)
(15) Majello, Contratto a favore del terzo, in Digesto civ., IV, 1989, 240.
(16) (Majello. Op. cit., 1989, 240). A conclusioni parzialmente difformi perviene chi non individua una sostanziale diversità fra l’interesse cui fa cenno l’art. 1322 c.c. e quello a cui si riferisce l’art. 1411 c.c..
Viene rilevata in particolare
l’esigenza di non sottrarre il fenomeno dell’incidenza immediata dell’attività negoziale nella sfera giuridica altrui al principio generale per cui ogni effetto giuridico presuppone la ricorrenza di un interesse socialmente apprezzabile: riaffiora cioè l’esigenza di individuazione della causa dell’attribuzione, realizzata con lo strumento del negozio a favore di terzi, alla quale esigenza va appunto riferita, direttamente e semplicemente, la norma che prevede come requisito necessario della stipulazione a favore di terzi l’interesse dello stipulante
(Moscarini, Op. cit., 1997, 103).
(17) Così, a proposito dell’assicurazione per conto altrui o per conto di chi spetta (art. 1891 c.c.), si è precisato che tale convenzione “integra un contratto a favore del terzo, e pertanto, a norma dell'art. 1411 c.c., richiede, a pena di invalidità, un interesse del contraente alla stipulazione (Cass. 20.8.97, n. 7769)” aggiungendo altresì che l’apprezzamento della ricorrenza dell’interesse “rientra nelle valutazioni istituzionalmente affidate al giudice del merito, censurabili solo per vizi motivazionali” (Cass. 20.8.97, n. 7769).
Maggiore approfondimento dimostra una recente sentenza, in cui si rileva che il contratto a favore di terzo “è costituito da due rapporti paralleli: quello fra stipulante e promittente, che costituisce il sinallagma contrattuale fondamentale e quello fra promittente e terzo, il quale si fonda sull’interesse dello stipulante, costituente la causa giuridica non del contratto a favore di terzo, ma della sola attribuzione al terzo della prestazione. In altre parole: la causa giuridica del contratto fra stipulante e promittente è quella propria del contratto posto in essere; la causa giuridica dell’attribuzione al terzo della prestazione consiste nell’interesse perseguito dallo stipulante. La prima causa giuridica attiene al rapporto stipulante-promittente; la seconda al rapporto stipulante-terzo, ed è essenziale, perché diversamente la causa giuridica attributiva della prestazione al terzo sarebbe sempre quella di liberalità. Altrimenti detto: se non vi fosse tale interesse, quale causa giuridica della attribuzione, lo stipulante converrebbe con il promittente sempre e solo una donazione in favore di terzo. Mentre così non è, poiché la legge considera rilevante un qualsiasi interesse, anche a titolo oneroso, anche non a fine di liberalità, anche solo morale.” Da ciò consegue che l’eventuale assenza o illiceità dell’interesse, cioè della causa giuridica del rapporto stipulante-terzo, vale bensì a far venir meno l’attribuzione al terzo della prestazione del promittente, ma non vale a far venire meno il contratto stipulante-promittente. “Ciò per la chiara ragione che il promittente è estraneo a quel rapporto, essendo solamente il debitore della prestazione verso il terzo, con effetti liberatori verso la sua vera ed unica controparte contrattuale, e cioè lo stipulante. (…). Donde la conclusione: nel caso in cui - prima della prestazione verso il terzo - si manifesti l’inesistenza o l’illiceità dell’interesse dello stipulante, e cioè sussista l’inesistenza o l’illiceità della causa giuridica della attribuzione, il promittente non è affatto liberato dalla prestazione: egli dovrà adempierla verso la sua controparte contrattuale, e cioè verso lo stipulante. Solo così avrà adempiuto (App. Torino 24. 2. 96, FI, 1997, I, 281).
(18) Così si è affermato che “una servitù prediale può essere costituita anche mediante contratto a favore dei terzi, in base al combinato disposto degli art. 1058 e 1411 c. c., atteso che non sussistono limiti qualitativi o (quantitativi per la prestazione da rendersi al soggetto estraneo alla stipulazione, che ben può essere il beneficiario del trasferimento o della costituzione di un diritto reale; occorre però, anche in questo caso, come in ogni altra ipotesi di negozio a favore del terzo, non solo che lo stipulante vi abbia un interesse (non necessariamente patrimoniale), ma anche che la costituzione del vincolo ed il correlativo vantaggio per il terzo siano previsti e voluti dai contraenti e che il peso sia imposto a carico del fondo del promittente ed a favore di quello del terzo, determinato od almeno determinabile” (Cass., 28.11. 86, n. 7026 in MGI 1986).
(19) (Cass. 25. 7. 50, n. 2078, FI, 1951, I, 812; Cass. 5. 7. 52, n. 2020, GI, 1953, I, 1, 437; Cass. 23. 1. 61, n. 102, FI, 1962, I, 145; Cass. 28. 11. 86, n. 7026, MGI, 1986).
(20) De Nova, Il contratto a favore di terzo, in Tratt. dir. civ. diretto da Rescigno, X, Torino, Utet, 1982, 416.
(21) Sul punto è stato esattamente osservato che “poiché si tratta di valutare un determinato comportamento e di inserirlo nell’ordinamento giuridico, l’incontro dei due termini di raffronto - l’atto di privata autonomia e l’ordinamento - avviene sul terreno della concretezza, alla stregua di tutti gli elementi del fatto concreto, dell’integrale fatto concreto: il raffronto fra l’intento specifico e lo schema predisposto dalla norma non può esaurire quel controllo vigile e penetrante (…) diretto ad accertare se la singola concreta espressione di privata autonomia si adegui alla sua fonte di validità, alla norma dell’ordinamento giuridico, espressione della coscienza collettiva in un dato momento storico” (Distaso, La simulazione nei negozi giuridici, Utet, Torino, 1960, 184).
(22) (Cass. 2. 8. 77, n. 3401, MGC, 1977, 1354)
(23) Majello , Op. cit.,1962, 16.
(24) Moscarini, Op. cit., 1997, 167
(25) Messineo , Contratto nei rapporti col terzo, in Enc. Diritto, X, 1962, 200.
(26) (Moscarini, Op. cit., 1997, 108)
(27) ( Moscarini, Op. cit., 1997, 109).
(28) Palazzo , Atti gratuiti e donazioni, Tratt. Dir. Civ. diretto da Sacco, Utet, Torino, 2000, 360.
(29) Carnevali, Sull’azione di riduzione delle donazioni indirette che hanno leso la quota di legittima, in Studi in onore di L. Mengoni, I, Milano, 1995, p. 131 ss.
(30) Alcaro, Le donazioni indirette, in Vita Not., 2001, n. 3, 1060
(31) Alcaro, op.cit., 1061.
(32) Il tema sarà infatti oggetto dello studio elaborato dal prof. Giuseppe Amadio di prossima pubblicazione.
(33) Sull’argomento, Carnevali, op. cit., 145 e Mengoni, Successioni per causa di morte, Successione necessaria, 4a ed., Milano 2000,, p. 251 e segg. Perplessità sono pure espresse da Alcaro, op.cit., 1069, “dovendosi contemperare l’esigenza di tutela del legittimario leso con quella dei terzi che, derivando il loro diritto da un dante causa il cui titolo di provenienza non sia un formale contratto di donazione - e salva l’ipotesi della esplicitazione in atto dell’intento liberale - ragionevolmente hanno confidato nella inattaccabilità del loro acquisto, almeno sotto quel profilo.”
(34) Iaccarino, Donazioni indirette. Profili tributari e disciplina dell’imputazione, della collazione e della riduzione, in Notariato, 2007, 269
(35) Mengoni, Successioni per causa di morte, Successione necessaria, cit., p. 252.
(36) IACCARINO, Donazioni indirette. Profili tributari e disciplina dell’imputazione, della collazione e della riduzione, in Notariato, 2007, 269.
Vedi anche: Lanzillotti-Magurno, Il notaio e le imposte indirette, Roma, 1985, pp. 281 ss.
(37) Petrelli, Formulario notarile commentato, Vol. II, Milano, 2000, 331
(38) Cass. 25.02.02 n. 2713, in MGI 2002: “in tema di imposta di registro, la prevalenza, che l'art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, attribuisce, ai fini dell'interpretazione degli atti registrati, alla natura intrinseca ed agli effetti giuridici degli stessi sul loro titolo e sulla loro forma apparente, vincola l'interprete a privilegiare il dato giuridico reale rispetto ai dati formalmente enunciati - anche frazionatamente - in uno o più atti, e perciò il risultato di un comportamento sostanzialmente unitario rispetto ai risultati parziali e strumentali di una molteplicità di comportamenti formali. Ne consegue che una pluralità di negozi, strutturalmente e funzionalmente collegati al fine di produrre un unico effetto giuridico finale, vanno considerati, ai fini dell'imposta di registro, come un fenomeno unitario, anche in conformità al principio costituzionale di capacità contributiva”
(39) Trimarchi, Il contratto a favore del terzo, in Notariato, n. 6, 2000, p. 585;
(40) Iaccarino, Op. cit., 274
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