Controllo individuale del socio e autonomia contrattuale nella società a responsabilità limitata.
Controllo individuale del socio e autonomia contrattuale nella società a responsabilità limitata.
di Niccolò Abriani
Consiglio Nazionale del Notariato - Studio n. 5301/I
Pubblicato nella rivista Studi e Materiali CNN, 1/2005, p. 259

1. Premessa.

Una delle novità di maggior impatto applicativo della riforma della società a responsabilità limitata è rappresentata dagli inediti ed incisivi poteri di controllo riconosciuti a tutti i soci non amministratori, indipendentemente dalla quota di capitale da essi posseduta.

Il presente studio è diretto a precisare ambito e portata di tali diritti in base alle norme novellate del codice civile (par. 3) e ad individuare i possibili spazi d’intervento dell’autonomia contrattuale ai fini di una regolamentazione integrativa ed eventualmente derogatoria della disciplina legale (parr. 4-9). Le due sfere tematiche presuppongono peraltro un preliminare inquadramento sistematico del nuovo dettato normativo, al quale è dedicato il paragrafo seguente.

2. Inquadramento sistematico della nuova disciplina.

Il diritto di informazione e controllo dei soci di società a responsabilità limitata è disciplinato dal secondo comma dell’art. 2476 c.c., ai sensi del quale «i soci che non partecipano all’amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all’amministrazione».

La nuova disciplina dei controlli sull’amministrazione si colloca, sul piano sistematico, nel quadro della connotazione più spiccatamente personalistica che il legislatore della riforma ha inteso assegnare alla società a responsabilità limitata: connotazione che – con riguardo al tema in esame – si riflette nel carattere di regola facoltativo dell’organo di controllo interno, la cui nomina è imposta soltanto al superamento di parametri determinati dal legislatore (art. 2477 c.c.), e nella mancata previsione di forme di intervento giudiziario sulla regolarità della gestione corrispondenti a quelle previste, per la s.p.a., dall’art. 2409 c.c.

Lo scenario normativo che viene così a profilarsi sembra confermare l’esattezza del giudizio di sostanziale «privatizzazione del controllo» sull’amministrazione sociale formulato in sede di primo commento della nuova disciplina della società a responsabilità limitata: un controllo «affidato integralmente al socio (e, ove vi sia, al collegio sindacale), reso più efficiente dall’azione individuale di responsabilità e dalla possibilità di revoca d’urgenza dell’amministratore, sempre a iniziativa individuale, con norma nuovamente di stampo tipicamente personalistico»(1).

La peculiare disciplina dei controlli costituisce del resto il riflesso di una più generale impostazione – sottesa all’intero impianto della riforma – volta ad assegnare ai soci un ruolo chiave nei meccanismi di governance dell’ente, prefigurando un loro diretto coinvolgimento nell’esercizio della funzione gestoria(2). Di tale opzione di fondo sono espressione, oltre alla norma sul controllo individuale, le disposizioni che sanciscono una competenza inderogabile dei soci stessi in ordine all’assunzione di scelte strategiche relative alla gestione dell’impresa sociale (art. 2479, comma 2, n. 5 c.c.) e che attribuiscono a minoranze qualificate il diritto di sollecitare su qualunque materia decisioni dei soci (anche in forma assembleare: art. 2479, commi 1 e 4, c.c.).

La disposizione in esame va infine raccordata con la previsione, anch’essa innovativa, contenuta nel successivo capoverso dello stesso art. 2476 c.c., che riconosce ad ogni socio, indipendentemente dal valore della quota di capitale posseduta, la legittimazione ad agire in giudizio per ottenere la condanna degli amministratori a risarcire alla società il danno da essa subito in conseguenza della loro mala gestio: le informazioni raccolte nell’esercizio dei propri poteri di consultazione potranno dunque costituire il fondamento dell’azione sociale di responsabilità e dell’eventuale richiesta di revoca giudiziale degli amministratori ai quali siano ascrivibili gravi irregolarità(3).

Le regole ora richiamate sembrano dunque rappresentare altrettanti tasselli di un disegno legislativo unitario, che colloca i soci della società a responsabilità limitata in una posizione di naturale «immanenza» sull’amministrazione, suscettibile di trascolorare in diretta «inerenza» in presenza di clausole dell’atto costitutivo attributive di ulteriori competenze e diritti amministrativi di carattere individuale (art. 2468, comma 3, c.c.) o collettivo (art. 2479 c.c.). È questo un profilo cruciale della nuova disciplina, che determina significativi corollari in tema di responsabilità per mala gestio (art. 2476, comma 7, c.c.) e nel quale sembra potersi cogliere un decisivo «spartiacque» tipologico rispetto alle società a base azionaria, sulla cui gestione i soci conservano una sovranità solo «latente»(4).

3. La disciplina legale: ambito e portata del diritto di controllo.

È in questo mutato contesto sistematico che si iscrive la regola dettata del secondo comma dell’art. 2476 c.c.. Un confronto tra la nuova disposizione e la disciplina previgente, contenuta negli originari artt. 2489 e 2490 c.c., rivela una sensibile estensione del diritto di controllo individuale, in relazione tanto ai presupposti quanto alla portata dello stesso.

Sotto il primo profilo, va segnalato come il diritto in esame assuma oggi un carattere generale e tendenzialmente incondizionato: esso è infatti riconosciuto in tutte le società a responsabilità limitata, indipendentemente dalla presenza o meno di un organo istituzionalmente preposto al controllo, sia esso facoltativo od obbligatorio(5); e appartiene, anche in quest’ultima ipotesi, a ogni singolo socio che non partecipi all’amministrazione, e non al detentore di una partecipazione qualificata, come avveniva in passato per il diritto di fare eseguire annualmente la revisione della gestione, che il vecchio art. 2489 attribuiva, in assenza del collegio sindacale, ai soli soci che raggiungessero almeno un terzo del capitale. Analogo diritto è altresì attribuito, in assenza di diversa previsione, all’usufruttuario e al creditore pignoratizio della quota (artt. 2352, comma 6 e 2471-bis c.c.)

La distanza della nuova disciplina dal sistema previgente è ancora più marcata con riferimento all’oggetto del diritto di controllo, e di consultazione in particolare, che trascende l’originario ambito dei «libri sociali» – ai quali soltanto alludeva il periodo iniziale dell’art. 2489, primo comma, c.c., e che l’interpretazione dottrinale e giurisprudenziale riferiva selettivamente ai libri sociali obbligatori(6) – per estendersi a tutti «i documenti relativi all’amministrazione».

I soci che non partecipano all’amministrazione, pertanto, si vedono a) confermato il diritto di consultare i libri sociali obbligatori(7), b) attribuito un più penetrante diritto di richiedere agli amministratori informazioni relative al contenuto e all’andamento degli affari sociali(8) e soprattutto c) riconosciuto il potere di prendere visione di tutta la documentazione che contenga dati utili in ordine all’amministrazione sociale. A quest’ultimo riguardo, la formulazione normativa pare sufficientemente ampia e generica da fondare la pretesa dei soci di esaminare tanto i documenti sulla base dei quali vengono assunte le scelte gestionali (ivi inclusi contratti e accordi, corrispondenza, atti giudiziari e amministrativi che riguardino la società, memorie e pareri di professionisti), quanto i libri e le scritture contabili, nonché i registri tenuti ai fini dell’i.v.a. o in osservanza di altre disposizioni di legge (ad es. registro infortuni o della produzione di energia elettrica), le fatture, gli eventuali stati di avanzamento dei lavori, gli estratti conto e le evidenze dei rapporti bancari(9).

A favore di tale interpretazione del dettato normativo milita, oltre al dato testuale, anche una lettura della disposizione in prospettiva teleologica – alla luce della funzione del diritto in esame, che verrebbe frustrata ove il socio non potesse conoscere i libri e le scritture contabili – e in chiave sistematica, in connessione alla lettura offerta sino ad oggi dalla dottrina in ordine alla parallela regola in tema di società di persone, che sembra aver costituito il modello al quale il legislatore si è ispirato nel formulare la disposizione in esame(10).

Va peraltro soggiunto che la norma, come puntualmente rilevato con riguardo alla corrispondente disposizione dettata in tema di società di persone (art. 2261 c.c.), legittima i soci non amministratori «a richiedere notizie e a consultare documenti, non già a compiere di atti di ispezione analoghi a quelli consentiti, rectius imposti, ai sindaci»(11): essi non potranno pertanto pretendere di visitare gli impianti e i magazzini o di accertare le consistenze di cassa.

La consonanza tra il capoverso dell’art. 2476 c.c. e il primo comma dell’art. 2261 c.c. – resa evidente da un raffronto tra le due norme e già posta in rilievo sin dai primi commenti(12) – sembra in effetti consentire all’interprete di attingere ad alcuni degli approdi ermeneutici conseguiti da giurisprudenza e dottrina con riguardo a quest’ultima disposizione, al fine di precisare la portata del diritto di informazione e consultazione e l’ambito dei soggetti legittimati al suo esercizio.

Da questo angolo prospettico, pare riferibile anche alla società a responsabilità limitata la tesi che ricomprende nel diritto di consultazione anche il diritto di estrarre copia, nella sede della società e a proprie spese, della documentazione esaminata(13), al pari dell’interpretazione che riconosce tali prerogative anche al socio receduto, al fine di acquisire gli elementi necessari per individuare il valore della quota che deve essergli liquidata(14).

Suscettibile di trasposizione alla s.r.l. parrebbe anche l’interpretazione che ravvisa come unico limite all’esercizio dei poteri in esame quello consistente nel non intralciare l’attività sociale, rimanendo per contro più incerta la configurabilità di una sfera di informazioni riservate non divulgabili dagli amministratori neppure ai soci. Con riferimento a tale ulteriore limitazione dei poteri di controllo, talora affermata in tema di società di persone dalla dottrina e riconosciuta, in termini peraltro molto vaghi e generici, dalla stessa giurisprudenza(15), sembra in effetti da escludersi che gli amministratori possano invocare il segreto sociale – almeno nell’ipotesi in cui manchi un organo di controllo – per negare ai soci non amministratori l’accesso a notizie che, se divulgate, potrebbero arrecare danno alla società, gravando semmai su questi ultimi il divieto di divulgare le informazioni così apprese e la relativa responsabilità(16).

Un profilo differenziale rispetto alle società personali è invece rappresentato dall’espresso riconoscimento in capo ai soci non amministratori della possibilità non soltanto di ricorrere all’ausilio di «professionisti di loro fiducia», ma di delegare loro la consultazione della documentazione sociale(17).

4. La derogabilità del diritto di controllo: impostazione del problema.

Delineata nei suoi tratti essenziali la disciplina legale del controllo individuale del socio, si tratta ora di verificarne il grado di imperatività e, specularmente, di derogabilità da parte dell’atto costitutivo.

Al riguardo si impongono due considerazioni di carattere preliminare. Innanzi tutto, va sottolineato come il problema della derogabilità statutaria del diritto di controllo riguardi non soltanto le società di nuova costituzione ma anche quelle costituite anteriormente all’entrata in vigore della riforma, alle quali la nuova disciplina è destinata a trovare applicazione. Dalle soluzioni interpretative accolte al riguardo dipende pertanto sia la sopravvivenza di eventuali clausole statutarie modellate sulla disciplina previgente – che dovrebbero considerarsi inefficaci dal 1° ottobre 2004, ove ritenute incompatibili con profili inderogabili della nuova disciplina, ai sensi dell’art. 223-bis disp. att. c.c. – sia la possibilità di intervenire con modificazioni statutarie o patti parasociali volti ad attenuare l’impatto della novella.

In secondo luogo, va rilevato che la nuova disciplina offre all’interprete un’indicazione testuale soltanto indiretta, costituita dalla mancata riproposizione dell’esplicito divieto dettato sul punto dall’originario capoverso dell’art. 2489, il quale, riferendosi genericamente a «ogni patto contrario», fulminava di nullità qualsiasi convenzione, sociale o parasociale, volta a limitare l’esercizio individuale del potere di controllo(18). Questo dato testuale, per quanto labile e in sé non dirimente, sembra comunque segnalare all’interprete l’esigenza di operare graduazioni in relazione alla circostanza che il patto derogatorio si collochi all’interno del contratto sociale o in un negozio parasociale e, con riguardo alla prima ipotesi (che costituisce l’oggetto centrale del presente studio), al concreto contenuto della clausola statutaria.

Sotto il primo profilo, va sin d’ora anticipato che, come si avrà modo di rilevare, l’orientamento che ravvisa nel potere di controllo un aspetto indefettibile della partecipazione sociale postula un limite che, proprio per il suo carattere tipologico, sembra destinato ad operare nei confronti delle clausole contenute nell’atto costitutivo, rimanendo per contro insuscettibile di essere trasposto a patti che, per la loro diversa fonte (esterna al contratto sociale) ed efficacia (meramente obbligatoria), non pretendono di assurgere a disciplina del tipo. La distinzione tra i due piani – magistralmente scolpita dalla nostra più autorevole dottrina(19) – così come induce a ribadire la legittimità dell’impegno parasociale ad effettuare versamenti a favore della società ulteriori rispetto al conferimento (pur in presenza dell’esplicito limite posto al riguardo dall’art. 2462 c.c.), sembra parimenti schiudere spazi all’intervento di pattuizioni parasociali dirette a regolamentare in termini restrittivi l’esercizio del diritto di controllo (nonostante gli eventuali vincoli che si ritenesse di poter implicitamente desumere dall’art. 2476 c.c.).

La questione si pone in termini diversi sul versante statutario. Al riguardo sembra opportuno distinguere tra a) clausole integrative rispetto alla disciplina legale, volte a regolare le modalità di esercizio del diritto di controllo e b) clausole statutarie propriamente derogatorie rispetto alla disciplina legale, dirette ad incidere sul contenuto del diritto di controllo o sulla legittimazione al suo esercizio.

5. Clausole statutarie integrative della disciplina legale.

Nella prima categoria rientrano le clausole inserite nell’atto costitutivo al fine di integrare la previsione normativa con una più dettagliata e articolata disciplina delle modalità attraverso le quali i soci dovranno esercitare i poteri di ispezione e controllo.

In questa prospettiva, l’atto costitutivo può, tra l’altro:

a) indicare le formalità attraverso le quali i soci devono richiedere l’accesso ai libri sociali e agli altri documenti relativi all’amministrazione;

b) prevedere un termine minimo di preavviso ai soci istanti o, in alternativa, un termine massimo entro il quale gli amministratori devono comunicare loro la data (a sua volta, ragionevolmente breve) entro la quale essi potranno procedere alla consultazione dei documenti;

c) predeterminare il numero dei consulenti esterni ai quali i soci non amministratori possono fare ricorso, precisando gli eventuali requisiti di cui questi ultimi devono essere in possesso (ad es., l’iscrizione ad un albo professionale che imponga obblighi di riservatezza) e facendo eventualmente salva l’ipotesi in cui particolari e comprovate esigenze rendano necessaria l’assistenza di ulteriori professionisti;

d) richiedere la preventiva indicazione dei nominativi dei consulenti che assisteranno il socio, anche al fine di verificare i requisiti di cui sopra;

e) imporre ai soci l’obbligo di sottoscrivere e di far sottoscrivere ai consulenti di cui intendano avvalersi un impegno di riservatezza;

f) vietare ai soci ogni forma di divulgazione o di utilizzo a fini concorrenziali delle informazioni acquisite;

g) imporre agli amministratori di procedere per tempo alla predisposizione della documentazione consultabile in una apposita data room e di segnalare ai soci che abbiano richiesto l’ispezione il responsabile al quale fare riferimento per eventuali chiarimenti o richieste di integrazioni documentali;

h) vietare ai soci e ai loro consulenti di rivolgersi direttamente al personale (con l’eccezione del soggetto di cui alla lettera precedente);

i) precisare le modalità con le quali i soci potranno estrarre, a proprie spese, copia della documentazione consultata;

l) prevedere l’obbligo di verbalizzazione delle sedute di indagine;

m) esplicitare il divieto in capo ai soci di intralciare l’attività sociale, già desumibile dai principi generali (supra, par. 3), precisando che il diritto di ispezione non può comunque essere esercitato in modo tale da pregiudicare il fisiologico esercizio delle funzioni gestorie e di controllo assegnate dalla legge, rispettivamente, agli amministratori e al collegio sindacale;

n) sospendere la facoltà di ispezione nelle settimane immediatamente precedenti alla data entro la quale gli amministratori devono provvedere alla predisposizione del bilancio di esercizio e alla sua comunicazione al collegio sindacale o, in mancanza dell’organo di controllo, al deposito dei prospetti contabili presso la sede sociale;

o) escludere l’attribuzione disgiuntiva del diritto in esame al creditore pignoratizio e all’usufruttuario della quota(20).

Queste previsioni paiono in effetti non solo legittime, ma sotto più profili opportune al fine di prevenire utilizzi emulativi del diritto di controllo: abusi il cui rischio è accentuato dalla ricordata impossibilità per gli amministratori di opporre esigenze di riservatezza degli affari sociali ai soci non amministratori. Identiche finalità potrebbero consigliare l’inserimento nello statuto di una specifica causa di esclusione, volta a sanzionare le più gravi tra le violazioni delle prescrizioni sopra ricordate o comunque utilizzi abusivi dei poteri di ispezione e controllo: tale clausola sembra in effetti soddisfare i requisiti indicati dal nuovo art. 2473-bis in ordine alla specificità dei fatti che giustificano l’estromissione dalla compagine sociale e alla configurabilità degli stessi quale giusta causa di applicazione del rimedio(21).

In una prospettiva opposta l’atto costitutivo potrebbe accordare ai soci il diritto di recedere o prevedere un meccanismo di riscatto obbligatorio delle loro quote, a fronte di condotte omissive od ostruzionistiche degli amministratori che impediscano l’esercizio dei diritti di ispezione e controllo. Tale clausola varrebbe ad offrire un rimedio di carattere interno particolarmente incisivo per i soci non amministratori che, di fronte a violazioni del diritto all’informazione, si vedono normalmente precluso l’esperimento delle azioni di responsabilità, risultando quanto mai ardua la prova sia di un danno diretto nella loro sfera patrimoniale, sia di un danno attuale al patrimonio sociale eziologicamente riferibile all’illecito gestorio. I soci non potrebbero pertanto, di regola, esercitare né l’azione individuale, né l’azione sociale di responsabilità di cui al capoverso dell’art. 2476 c.c., nel cui ambito soltanto può richiedersi la revoca giudiziale degli amministratori, e dovrebbero pertanto ricorrere alla tutela urgente atipica e di carattere residuale predisposta dall’art. 700 c.p.c. (22).

L’introduzione delle clausole sin qui considerate soggiace alle normali regole in tema di modificazioni statutarie; esse potranno pertanto essere introdotte con i quozienti richiesti a tal fine dal contratto sociale e, in difetto, dalla legge (art. 2479-bis, comma 3, c.c.).

6. Clausole statutarie derogatorie rispetto alla disciplina legale: la normogenesi dell’art. 2476, comma 2.

Su un piano distinto si pone il problema relativo alle clausole statutarie che possono definirsi come propriamente derogatorie rispetto alla disciplina legale, in quanto dirette a restringere la legittimazione all’esercizio delle prerogative previste dalla legge (ad es., riservandola ai soci titolari di una percentuale qualificata del capitale sociale), a delimitarne l’ambito (ad es., contemplando unicamente un controllo sulla gestione o permettendo l’accesso ai soli libri sociali obbligatori o consentendo soltanto una revisione annuale della contabilità) o ancora a circoscriverne i presupposti (ad es., subordinandolo all’assenza del collegio sindacale).

Al riguardo i primi commenti alla nuova disciplina sembrano convergere verso l’affermazione di un’assoluta indisponibilità del diritto di controllo sotto i profili ora indicati, che si ritiene pertanto insuscettibile di una regolamentazione contrattuale più restrittiva, indipendentemente dall’assetto statutario assunto dalla società e dalla istituzione, obbligatoria o meno, del collegio sindacale(23).

La questione si iscrive nel più generale problema dei residui limiti posti all’autonomia contrattuale nella nuova società a responsabilità limitata: un tema cruciale per le implicazioni di ordine sistematico che riveste e per i corollari applicativi che è destinato a produrre, al quale occorre dunque accostarsi – per riprendere la felice immagine evocata da Paolo Spada – con lo spirito di chi si accinga ad attraversare un territorio non ancora descritto dalla cartografia ufficiale.

Un inquadramento del problema è reso peraltro particolarmente disagevole dalla laconica formulazione delle norme novellate e dalle difficoltà di raccordo tra queste e l’altrettanto avara relazione illustrativa, da un lato, e le più generose ma non sempre convergenti indicazioni offerte dalla legge delega e dai lavori preparatori e dalla legge delega, dall’altro. Ed è da quest’ultima che pare opportuno prendere le mosse, nella consapevolezza dei vincoli di ordine costituzionale che impongono di privilegiare, nella scelta tra più possibili interpretazioni dei decreti delegati, l’opzione ermeneutica più conforme ai princìpi e ai criteri direttivi contenuti nella legge delega(24).

Con riferimento agli strumenti di autotutela accordati ai soci della nuova s.r.l. la legge 3 ottobre 2001, n. 366 - «Delega al Governo per la riforma del diritto societario» - sembrava in effetti prefigurare una disciplina eminentemente suppletiva e un esteso riconoscimento dell’autonomia contrattuale dei soci: l’art. 3, comma 2, lettera e) vincolava infatti l’esecutivo a dettare norme che consentissero una «ampia autonomia statutaria riguardo alle strutture organizzative, ai procedimenti decisionali della società e agli strumenti di tutela degli interessi dei soci, con particolare riferimento alle azioni di responsabilità».

Il principio indicato dal Parlamento all’esecutivo si poneva in piena euritmia con l’originaria impostazione contemplata nello Schema di disegno di legge delega per la riforma del diritto societario, elaborato nella scorsa legislatura dalla Commissione presieduta dall’onorevole Mirone (e perciò detto «Progetto Mirone»), fatto proprio dal precedente Governo come disegno di legge e ripresentato immutato nell’attuale legislatura dal Ministero della giustizia alla Camera dei deputati. In tale progetto l’intento di demandare all’atto costitutivo la disciplina del controllo individuale sulla gestione era invero perseguito in termini più radicali, non prevedendosi alcuna disciplina, neppure dispositiva, dell’istituto. Era questo il riflesso di una più generale opzione concettuale, sottesa all’intero impianto del progetto e resa esplicita dalla Relazione illustrativa, secondo la quale nelle società a responsabilità limitata, in considerazione del carattere «imprenditoriale» dei soci e della tendenziale ristrettezza della compagine sociale, la predisposizione dei mezzi di protezione ritenuti più opportuni «non può che competere agli stessi soci»; premessa dalla quale discendeva coerentemente l’opzione normativa di «affida[re] all’autonomia statutaria pure l’individuazione di strumenti di tutela degli interessi dei soci».

Al principio della libertà di autorganizzazione era pertanto riconosciuta una portata generalissima e una potenziale estrinsecazione con riguardo a tutti gli istituti giuridici posti a presidio dei soci, tra i quali venivano espressamente incluse finanche le azioni di responsabilità e la disciplina del recesso; unici limiti imperativi erano ravvisati nel «principio di certezza nei rapporti con i terzi» – a presidio del quale si pone la disciplina sovraordinata della Prima Direttiva – e nell’esigenza di tutela dell’integrità del capitale e degli interessi dei creditori della società (così ancora la Relazione illustrativa al «Progetto Mirone»). Un’impostazione non dissimile traspariva del resto dal parallelo Progetto di riforma presentato dai Democratici di sinistra (c.d. «Progetto Veltroni»), che, pur proponendo una regolamentazione dei poteri di controllo dei soci nell’art. 3, lett. m) e o), lasciava comunque ampi spazi di intervento all’autonomia statutaria, nel condiviso obiettivo di «valorizza[re] la volontà dei soci nel determinare le regole del rapporto sociale».

La discussione veniva dunque concentrarsi non tanto sui limiti al principio di autorganizzazione, quanto sulla tecnica legislativa più congeniale alla sua piena valorizzazione: il meccanismo del c.d. «opt in», proposta dal «Progetto Mirone»(25), che demandava agli statuti il compito di «introdurre forme di controlli specifici sulla gestione», scegliendo in un ventaglio di soluzioni «di crescente impegno che vanno dai diritti individuali di informazione e controllo a una soluzione modellata sullo schema del collegio sindacale o dell’organo di sorveglianza proprio della società per azioni»(26); ovvero la tecnica alternativa del c.d. «opt out» che, mimando l’ipotetica volontà dei soci di minoranza e degli stessi soci forti che non intendessero partecipare in prima persona alla gestione della società, contemplava diritti di ispezione e controllo quali regole comunque suscettibili di diversa regolamentazione a opera dello statuto.

È sullo sfondo concettuale sin qui richiamato che si collocano i princìpi dettati dalla legge delega e dalle disposizioni del decreto delegato che, in attuazione degli stessi, hanno dotato i soci della nuova s.r.l. di un ricco armamentario di strumenti di autotutela. Rispetto alle proposte contenute nei progetti sopra richiamati è dato constatare un indubbio irrigidimento delle norme dirette a favorire il disinvestimento del socio: com’è confermato dall’innovativa disciplina del diritto di recesso (art. 2473) e dall’altrettanto inedita attribuzione ex lege di tale diritto in presenza di clausole di intrasferibilità o di mero gradimento (art. 2469, comma 2).

Se le disposizioni a tutela dell’exit risultano connotate da un accentuato grado di imperatività, un giudizio più articolato sembrano invece richiedere le norme che offrono strumenti di voice diretti a prevenire e contrastare comportamenti abusivi degli amministratori o della maggioranza che li esprime. Sul punto la legge delega non pare in effetti discostarsi dal progetto Mirone, confermando senza soluzione di continuità l’intenzione della riforma di deferire all’autonomia statutaria la disciplina della materia (e continuando a sussumere espressamente in tale ambito anche le «azioni di responsabilità»: così il già ricordato art. 3, comma 2, lett. e), la cui formulazione coincide con la corrispondente disposizione del progetto Mirone).

Si tratta di princìpi che, pur nella loro generalità, sembrano destinati inevitabilmente a riverberarsi sull’interpretazione delle norme che delineano l’assetto organizzativo della nuova società a responsabilità limitata e i rapporti interni alla compagine sociale, determinando una tendenziale inversione dell’«onere di derivazione testuale» delle soluzioni ermeneutiche. In assenza di un’esplicita indicazione normativa, la disposizione di carattere organizzativo deve considerarsi in linea di principio suscettibile di una diversa regolamentazione da parte dell’autonomia contrattuale: una generale «presunzione di derogabilità», dunque, che potrà essere superata soltanto ove si ravvisino nel sistema indicazioni che inducano ad assegnare alla norma una valenza metaindividuale tale da farla eccezionalmente assurgere a limite invalicabile dalla libertà statutaria (27).

Al di fuori di queste ultime ipotesi, di natura eccezionale, l’«autonomo e organico complesso di norme» che compongono la disciplina legale della nuova s.r.l. viene ad assolvere al ruolo assegnato nei moderni ordinamenti allo jus dispositivum (28): una funzione ad un tempo anticipatrice della presumibile volontà delle parti, con conseguente risparmio dei c.d. «costi di negoziazione», e di indirizzo dell’azione dei privati, condotta alla stregua di valori propri dell’ordinamento giuridico la cui pretermissione, pur essendo consentita alle parti, richiede la manifestazione di una loro precisa volontà derogatoria. Istanze perfettamente colte, proprio con riferimento alla disciplina dei controlli sull’amministrazione, da un autorevole componente della Commissione Mirone, che, nell’auspicare una disciplina non imperativa dell’istituto, osservava che «il mero interrogativo sul perché di deroghe a siffatto tipo di norme dispositive può già di per sé costituire un antidoto contro lo scostamento dalla norma di default, agevolando così un circolo virtuoso – a ben vedere fondato sull’autonomia statutaria stessa – del controllo» (29).

7. Valenza metaindividuale del diritto di controllo ?

Delineata la normogenesi della disposizione in esame, occorre ora verificare se l’assetto normativo definitivamente delineato dal decreto delegato contenga elementi, di ordine testuale e sistematico, che inducano a superare la presunzione di derogabilità che informa in linea di principio il tessuto normativo della nuova s.r.l. e ad affermare il carattere inderogabile del diritto di controllo e della relativa disciplina.

Sul piano letterale, mentre si è già osservato come il confronto tra vecchia e nuova disciplina offra all’interprete un’indicazione di segno opposto alla imperatività dell’istituto, rappresentata dalla mancata riproduzione della norma che sanciva la nullità di ogni patto contrario all’esercizio del controllo individuale(30), va soggiunto che non sembra potersi attribuire alcun rilievo, ai fini del problema in esame, all’art. 2625 c.c., che ascrive la fattispecie sanzionatoria amministrativa (e, se aggravata, incriminatrice) dell’impedito controllo agli «amministratori che, occultando documenti o con altri idonei artifici» impediscono o comunque ostacolano lo svolgimento delle attività di controllo o di revisione legalmente attribuite ai soci, ad altri organi sociali o alle società di revisione»(31). Il riferimento alle attribuzioni legali dei poteri di controllo di sindaci, revisori e soci individua un elemento normativo di fattispecie, al fine di garantire il requisito di tassatività al quale le sanzioni depenalizzate amministrative, al pari dei reati, devono costituzionalmente rispondere (25, comma 2 Cost.). L’avverbio «legalmente», cui la nuova disposizione – a differenza dell’originario art. 2623, n. 3 – fa ora riferimento, riflette pertanto una logica squisitamente punitiva, che presuppone l’imperatività delle prescrizioni civilistica di cui sanziona l’inottemperanza, ma non la determina: com’è reso evidente dal riferimento in essa contenuto anche alle funzioni attribuite dalla legge ai sindaci, che lo stesso codice civile considera derogabili nella s.r.l. in senso restrittivo (art. 2477, ultimo comma c.c.) e ai poteri dei soci di società personale, che la prevalente dottrina ritiene suscettibili di elisione ad opera del contratto sociale(32).

In assenza di indicazioni di ordine letterale, occorre dunque soffermare l’attenzione sulle argomentazioni di ordine sistematico addotte a sostegno della perdurante indisponibilità della disciplina del controllo nel nuovo ordinamento. Al riguardo paiono ravvisabili due distinti filoni interpretativi, volti entrambi a valorizzare la strumentalità del diritto di controllo rispetto ad istanze metaindividuali ravvisate, rispettivamente, nell’esigenza di offrire una tutela indiretta dei creditori sociali rispetto alla mala gestio degli amministratori e nel necessario rispetto di prerogative contrattuali essenziali indefettibilmente connesse alla partecipazione sociale.

Il primo orientamento assegna alla disciplina del controllo individuale una funzione di tutela indiretta dei terzi e del capitale sociale, così riconducendola nell’ambito delle disposizioni che la stessa legge delega configurava in termini di assoluta inderogabilità (art. 3, comma 2, lettera i). Più precisamente, questa lettura individua nell’attribuzione al singolo socio del diritto di controllo e del potere di esercitare l’azione sociale di responsabilità un necessario correttivo introdotto dal legislatore delegato, contestualmente alla duplice abrogazione dell’azione dei creditori e della denuncia di gravi irregolarità, «allo scopo di bilanciare, almeno parzialmente, a tutela dei creditori sociali e dei terzi in generale, il principio della limitazione della responsabilità dei soci» (33).

Al riguardo si può tuttavia osservare, in primo luogo, che l’azione dei creditori sociali nei confronti degli amministratori che abbiano violato gli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale, rendendolo insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti, è ancor oggi espressamente prevista per le società a responsabilità limitata in fase di liquidazione (artt. 2485, 2486 e 2491) e per quelle soggette ad attività di direzione e coordinamento (art. 2497); e che, anche al di fuori di tali ipotesi, l’azione sembra comunque esperibile, sia che se ne affermi il carattere surrogatorio rispetto all'azione sociale, sia che la si riconduca piuttosto nell'alveo dell’illecito aquiliano di cui rappresenterebbe la massima estensione, attingendo la lesione dell'aspettativa del credito (34).

Di là da questo rilievo preliminare, la tesi che ravvisa nel diritto di controllo e nella legittimazione parimenti individuale all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità «un residuale riflesso della permanente personalità giuridica della s.r.l.» si espone a una più generale obiezione di carattere apagogico. Le esigenze di tutela indiretta dei terzi, ove effettivamente sottese ai diritti in esame, avrebbero infatti dovuto indurre l’ordinamento a negare cittadinanza – o quanto meno a circoscrivere i corollari conseguenti al riconoscimento della personalità giuridica – alle società a responsabilità limitata unipersonali, nelle quali mancano per definizione soci di minoranza in grado di assolvere alla predicata funzione «sostitutiva»: un’opzione che, indipendentemente dai vincoli posti al riguardo dal diritto europeo, il legislatore della riforma non ha in alcun modo assecondato, estendendo per contro il beneficio della responsabilità limitata anche all’unico quotista persona giuridica (o socio unico di altra società di capitali: art. 2462, comma 2) e attribuendo rilievo pressoché esclusivo all’adempimento di formalità pubblicitarie (art. 2470) alle quali non sembra comunque potersi attribuire la funzione di idoneo avvertimento ai terzi dell’assenza di altri soggetti interni alla compagine sociale in grado di vigilare sull’operato degli amministratori designati dall’unico quotista. Tale funzione potrebbe del resto essere ugualmente assolta, in società pluripersonali, dalla iscrizione nel registro delle imprese della clausola statutaria limitativa dei diritti di controllo dei soci non amministratori.

Da questo angolo visuale si deve piuttosto rilevare come i terzi ben potrebbero apprezzare positivamente l’introduzione di meccanismi statutari diretti ad innalzare il livello di tutela del segreto aziendale di imprese gestite in forma di società a responsabilità limitata in termini corrispondenti – o quanto meno avvicinabili – a quello previsto dallo stesso legislatore a presidio dell’efficienza delle imprese azionarie.

Le considerazioni sin qui svolte sembrano dunque confermare che la disciplina del controllo individuale non riflette ragioni di tutela dei terzi (e in particolare dei creditori sociali) ma esaurisce la sua funzione nel presidiare la posizione assunta all’interno della compagine sociale dai soci non amministratori – siano essi di minoranza, di maggioranza o addirittura totalitari – garantendo la loro «immanenza» sulla gestione sociale.

8. Limiti tipologici e prerogative essenziali dei soci.

Più delicati e concettualmente impegnativi sono i problemi posti dal secondo ordine di argomentazioni, volte, come si è detto, a ravvisare nel potere di controllo un indefettibile profilo tipologico della partecipazione sociale.

Questo orientamento interpretativo sottolinea in particolare la strumentalità del diritto di controllo rispetto all’esercizio di prerogative contrattuali essenziali – rappresentate in primo luogo dal potere di promuovere l’azione sociale di responsabilità e l’azione individuale per danno diretto – con le quali si è inteso assegnare alla «persona del socio» quella «rilevanza centrale» che già la legge delega indicava come principio ispiratore della nuova disciplina e che il decreto di attuazione ha inequivocabilmente posto a fondamento dell’intera riforma della s.r.l.(35). In questa prospettiva ermeneutica si è giunti a ravvisare nel «diritto di controllare l’amministrazione» uno dei due elementi essenziali che connoterebbero sul piano tipologico la partecipazione di ogni socio alla nuova società a responsabilità limitata, unitamente al «diritto di contribuire alla decisione dei soci» (con conseguente inammissibilità di clausole di limitazione del voto) (36).

Tale impostazione viene così a riproporre, nel nuovo scenario normativo, il tradizionale ostacolo rappresentato dalla «impossibilità da parte della persona giuridica di modificare con un suo atto di volontà quei caratteri essenziali che individuano e contraddistinguono la comunione di interessi creata con il contratto e di conseguenza di eliminare quei riflessi che tali caratteri essenziali determinano sulla posizione di socio»(37). Decisiva è dunque l’individuazione dei «caratteri essenziali» che connotano la partecipazione alla società a responsabilità limitata e, ancor prima, delle ragioni che inducono a postularne l’essenzialità.

Una delle linee portanti della riforma è indubbiamente rappresentata dall’attribuzione di un fascio di diritti corporativi idoneo a preservare il potere negoziale di soci che, ancorché di minoranza, si assumono essere comunque «imprenditori» o, quanto meno, non meri investitori(38). Più dubbio è tuttavia se l’«immanenza» sulla gestione, prefigurata in quest’ottica dalla novella, debba configurarsi come elemento essenziale o semplicemente naturale della partecipazione sociale. È infatti proprio la configurazione «imprenditoriale» dei soci che ha indotto il legislatore della riforma a presupporre che questi ultimi siano in grado di «predisporre i mezzi di tutela ritenuti più opportuni», senza bisogno di interventi imperativi dell’ordinamento(39); d’altro canto, come si è già ricordato, la pur enfatizzata «rilevanza centrale della persona del socio e dei rapporti contrattuali tra i soci» è sempre posta nei lavori preparatori – dal «progetto Mirone» sino alla legge delega – in una prospettiva consonante, e non quale ostacolo, rispetto alla libertà contrattuale(40).

In questo quadro, non sembra suscettibile di essere trasposta alla nuova società a responsabilità limitata quella più rigorosa impostazione(41), volta a ravvisare nelle norme a tutela delle minoranze una «soglia minima» di protezione innalzabile e non comprimibile dall’autonomia statutaria, che la dottrina aveva in precedenza espresso con riguardo alle società azionarie, ed anzi al sottotipo della s.p.a. quotata in mercati regolamentati(42), che, proprio in quanto «aperta» e connotata da istanze di eterotutela del mercato, si colloca su un opposto versante tipologico rispetto alla società a responsabilità limitata, caratterizzata per contro da una compagine chiusa, costituita da soggetti che il legislatore presume in grado di definire concordemente opportuni assetti strutturali e convenienti equilibri contrattuali.

Tali premesse – confortate dai precetti contenuti nella legge delega – sembrano orientare verso criteri più selettivi nella determinazione dei diritti assolutamente indisponibili dall’autonomia statutaria, estendendo all’opposto l’ambito delle prerogative alle quali i soci possono rinunziare esprimendo nello stesso statuto (e non soltanto in sede parasociale) la loro volontà derogatoria. In particolare, sembra seriamente revocabile in dubbio che la collocazione nella prima categoria della disciplina relativa all’azione di responsabilità e alla connessa revoca giudiziale degli amministratori – alla quale parrebbero effettivamente condurre, sul piano sistematico, l’abrogazione del controllo giudiziario e, sul piano testuale, i limiti posti alla rinuncia e alla transazione dell’azione (art. 2476, comma 5) – determini un automatico effetto di «trascinamento» della norma sul controllo individuale, tale da far approdare anche quest’ultima nell’alveo dell’inderogabilità assoluta.

Non si intende qui negare la potenziale strumentalità del diritto di controllo rispetto all’esercizio delle azioni di responsabilità, che trova del resto conferma nella contigua collocazione dei due istituti all’interno della stessa norma(43). L’interrogativo è piuttosto se tale correlazione possa assurgere a vincolo di sistema, determinando un nesso indisgiungibile dall’autonomia contrattuale tra un rimedio, qual è l’azione di responsabilità, che costituisce una extrema ratio rispetto ad operazioni di mala gestio degli amministratori – e il cui esercizio implica comunque per il socio costi elevati, in rapporto all’ipotetico beneficio attribuito in via diretta alla società e mediatamente condiviso con tutti gli altri soci(44) – e un indiscriminato diritto di accesso alla documentazione amministrativa, che non sembra invece presentare controindicazioni tali da agire da razionale calmiere rispetto a impieghi emulativi o abusivi dello stesso.

A conferma del carattere autonomo dei due profili si possono richiamare non soltanto le indicazioni offerte in ambito comparatistico da quegli ordinamenti che, pur prevedendo derivative action di responsabilità contro gli amministratori promuovibili individualmente dai soci, disciplinano al contempo con regole meramente suppletive gli istituti dei diritti di informazione e di controllo sulla gestione(45), ma le stesse soluzioni acquisite nel nostro ordinamento con riferimento alle società di persone, per le quali la dottrina prevalente, pur riconoscendo ai soci la legittimazione ad esperire uti singuli l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori ex art. 2260 c.c.(46), e pur sottolineando la potenziale strumentalità rispetto a tale azione (e alla istanza di revoca giudiziale degli amministratori per giusta causa, di cui all’art. 2259, ult. comma) dei poteri individuali di controllo, tende ad ammettere la disponibilità di queste ultime posizioni soggettive (47).

Sul piano sistematico sembra in effetti doveroso porsi l’interrogativo se il sensibile avvicinamento della società a responsabilità limitata alle società di persone operato dalla riforma non consenta di trasporre alla prima le conclusioni raggiunte per le seconde, in relazione alle quali, come si è anticipato, un’autorevolissima dottrina riconosce da tempo la derogabilità dell’assetto dei poteri di controllo accordati dalla legge al socio non amministratore, giustificando la libertà delle parti di contenere entro limiti più ristretti tali prerogative, o di rinunciarvi, sulla base del rilievo che essi sono previsti dalla legge nell’interesse del singolo e a miglior tutela dei diritti che derivano dal contratto sociale (48).

L’accostamento sembra trascolorare in argomento a fortiori ove si consideri che a tale conclusione si perviene:

a) con riferimento a strutture organizzative connotate da una più accentuata considerazione delle qualità di affidabilità personale dei soci e da contrappesi legali al diritto di informazione e di ispezione – quali il divieto di concorrenza (art. 2301) e soprattutto la possibile esclusione del socio per gravi inadempienze (art. 2286, primo comma) – che non trovano riscontro nel regime legale della società a responsabilità limitata (49) e che dovrebbero tipicamente ridurre ai minimi termini il rischio di fughe di notizie o di uso delle stesse per fini antisociali;

b) in relazione a soggetti istituzionalmente esposti a un maggior rischio rispetto alle alee della gestione sociale, in quanto, pur rimanendo estranei all’amministrazione, sopportano una responsabilità illimitata per le obbligazioni assunte in nome della società da altri soggetti – i soci amministratori – che operano normalmente in un regime di amministrazione disgiuntiva estesa anche ai più importanti atti di disposizione patrimoniale, con i corollari che ne derivano, in caso di insolvenza, per il socio non amministratore della collettiva e l’accomandatario non amministratore dell’accomandita semplice con oggetto commerciale, ai sensi dell’art. 146 l. fall.

Questi profili differenziali inducono a sottolineare la maggiore affinità esistente tra la posizione del socio non amministratore della società a responsabilità limitata e quella del socio accomandante della società in accomandita semplice: categoria, quest’ultima, con riferimento alla quale il codice si limita a delineare selettivamente un nucleo di diritti di informazione e controllo non derogabili – costituito dal «diritto di avere comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite, e di controllarne l’esattezza, consultando i libri e gli altri documenti della società» (50) – mentre riconosce per il resto all’autonomia statutaria una pressoché indefinita possibilità di intervento, tanto in senso estensivo, con la previsione dei più intensi poteri di ispezione e di controllo sull’operato degli amministratori espressamente legittimati dal secondo comma dell’art. 2320, quanto in senso restrittivo, con clausole volte a limitare e finanche ad escludere quei diritti di informazione e consultazione in corso di gestione, che, in assenza di tale clausola statutaria derogatoria, sarebbero applicabili anche agli accomandanti, ai sensi degli artt. 2261 e 2315 c.c.(51). L’accostamento tra socio di s.r.l. e socio accomandante, che nuovamente sembra assurgere ad argomento a fortiori ai fini del tema in esame, in ragione del maggior rilievo dell’intuitus personae che pur sempre connota quest’ultima categoria (e che trova conferma nel più restrittivo regime legale del trasferimento della partecipazione) – pone le premesse per un’estensione anche alle società a responsabilità limitata prive del collegio sindacale delle conclusioni alle quali la dottrina è da tempo pervenuta con riferimento alla possibile istituzione di comitati di sorveglianza(52), la cui piena legittimità anche nel tipo s.r.l. sembra trovare conferma nel primo comma dell’art. 2477, che rimette all’autonomia dei soci la più ampia libertà di scelta in ordine alla configurazione dell’organo di controllo facoltativo.

Il parallelo con la posizione dell’accomandante consente di rilevare come le conclusioni qui raggiunte con riferimento alla tendenziale disponibilità dei diritti di controllo nella nuova disciplina della società a responsabilità limitata non sarebbero contraddette neppure ove si acceda alla più rigorosa impostazione dottrinale, che nega la derogabilità dell’art. 2261 c.c. da parte del contratto di società semplice e dell’atto costitutivo della società in nome collettivo(53). In questa prospettiva esegetica, il complessivo assetto normativo dei poteri di controllo verrebbe a ricomporsi in un quadro sistematico razionale e coerente, consentendo di delineare un climax ascendente in corrispondenza della diversa incidenza assunta dall’elemento personalistico nelle distinte forme societarie, ai cui estremi si collocherebbero, da un lato, l’azionista, titolare delle sole prerogative di cui all’art. 2422 c.c., e, dall’altro, il socio non amministratore delle società semplici e in nome collettivo(54), imperativamente assistiti dalle prerogative di cui all’art. 2261 c.c.; mentre il socio accomandante e il socio della società a responsabilità limitata si iscriverebbero in una posizione intermedia, in quanto riceverebbero dal codice poteri di controllo coincidenti con quelli dei soci illimitatamente responsabili delle società personali, ma, a differenza di questi ultimi, conserverebbero la possibilità di disporre di tali diritti(55).

Se non è dunque agevole scorgere le ragioni per le quali il legislatore dovrebbe assegnare un maggior grado di inderogabilità all’assetto dei poteri di controllo dei soci non amministratori di s.r.l. rispetto a quello delineato per i soci non amministratori delle società personali – e in particolare dei soci accomandanti, che con i primi condividono il beneficio della responsabilità limitata e la non inerenza del potere gestorio allo status socii(56) – va infine osservato che una disciplina più rigorosa rispetto alle società di persone potrebbe seriamente compromettere la finalità, chiaramente espressa dal legislatore della riforma, di «indurre ad un ricorso meno diffuso ai modelli normativi corrispondenti a società di persone e ad un maggior ricorso ad un modello di società cui viene mantenuto il riconoscimento del beneficio della responsabilità limitata»(57).

Un eccessivo irrigidimento interpretativo rischierebbe inoltre di disattendere il più generale obiettivo della riforma di offrire le regole più idonee a garantire alle nostre imprese parità di condizioni rispetto a quelle estere e di adeguare la disciplina del tipo s.r.l. alle esigenze delle imprese che usufruiscono di tale modello societario, anche in considerazione della composizione e delle modalità di funzionamento»(58): obiettivi la cui enunciazione legislativa sembra imporre all’interprete di esplorare le soluzioni ermeneutiche più funzionali al loro conseguimento.

9. Autonomia contrattuale e consenso dei soci.

La normogenesi della disposizione e l’esigenza costituzionale di interpretare la legislazione delegata alla stregua dei criteri ispiratori contenuti nella legge delega sembrerebbero dunque indirizzare l’interprete verso una lettura volta a riconoscere – o quanto meno a non precludere – spazi di intervento all’autonomia contrattuale anche in ordine al contenuto del diritto di controllo, valorizzando il dato testuale rappresentato dalla mancata riproposizione della norma che sanciva la nullità di ogni patto contrario all’esercizio del controllo individuale (così il già ricordato art. 2489, comma 2, nel testo previgente) (59). Tale indicazione letterale, in sé non decisiva, assume una maggior pregnanza alla luce dei vincoli posti al legislatore delegato dal più volte richiamato art. 3, secondo comma, lett. e) della legge delega, che avrebbero esposto a dubbi di legittimità costituzionale la riaffermazione di un’assoluta imperatività dell’assetto normativo in tema di controllo individuale. Oltre che d’incerta legittimità, tale approdo restrittivo risulterebbe di dubbia coerenza sistematica, in quanto verrebbe a collocare la società a responsabilità limitata su un piano di rigidità che non trova corrispondente, sotto il profilo in esame, nella disciplina delle altre forme societarie. Il contrasto con la tendenziale flessibilità che connota la nuova società a responsabilità limitata(60) risulterebbe in effetti particolarmente stridente ove si consideri che, con riguardo alla disciplina del controllo individuale, il legislatore non si è limitato a mettere a disposizione degli operatori «un semplice spazio di autonomia orientabile in senso personalistico» – com’è invece avvenuto per la maggior parte delle nuove disposizioni che compongono lo statuto legale della s.r.l. (61) – ma ha già orientato in tale direzione la regola codicistica, modellandola sulla corrispondente disciplina delle società di persone: con un’opzione che – come confermano i lavori preparatori – riflette una precisa scelta di politica legislativa diretta a valorizzare la capacità contrattuale di ciascun socio, e in particolare dei soci di minoranza, addossando specularmente alla maggioranza i costi della negoziazione di assetti contrattuali diversi rispetto a quello delineato dalla disciplina legale: e ciò in piena sintonia con una delle linee ispiratrici sottese alla riforma e felicemente posta in rilievo da chi ha sottolineato «la portata di strumento di negoziazione» assunta dalla maggior parte delle situazioni giuridiche attribuite al socio della nuova società a responsabilità limitata(62), al quale la nuova disciplina assegna il ruolo di «tenace negoziatore», «artefice della sua stessa “rilevanza”» nella conformazione dell’assetto organizzativo al momento della costituzione della società e del suo ingresso nella società già costituita (63).

Questa ricostruzione dell’istituto, che conferma il rilievo decisivo dei rapporti contrattuali tra i soci nella definizione dell’assetto organizzativo più funzionale alle loro esigenze(64), consente di precisare che il riconoscimento di una tendenziale derogabilità della norma sul diritto di controllo non si traduce nell’affermazione di una generale disponibilità dello stesso da parte della maggioranza in sede assembleare (ex artt. 2479, comma 2, n. 4 e 2479-bis, comma 3), posto che tali posizioni attive, indipendentemente dalla loro riconduzione nell’ambito dei diritti individuali o di posizioni organizzative(65), rimarrebbero comunque incomprimibili senza il consenso dei loro titolari(66). La contestuale affermazione della indisponibilità di tali situazioni giuridiche da parte della società e della loro disponibilità da parte dei soci medesimi sembra in effetti rappresentare un efficiente punto di equilibrio tra i due fondamentali principi dell’autonomia contrattuale e della rilevanza centrale dei soci, che informano la nuova società a responsabilità limitata, assegnando il ruolo di condizione ad un tempo necessaria e sufficiente ai fini della limitazione o della esclusione dei poteri di controllo individuale al consenso delle parti del contratto sociale, che l’ordinamento reputa in grado di contrattare consapevolmente la propria posizione nella società, rinunciando anche a posizioni sostanziali, anche di rilevanza organizzativa: com’è confermato dalla disciplina dei diritti particolari di cui agli ultimi due capoversi dell’art. 2468 c.c. , la cui attribuzione e successiva modificazione è rimessa dalla legge alla decisione unanime dei componenti della compagine sociale(67).

In presenza del consenso unanime dei soci, l’autonomia contrattuale potrà pertanto ridefinire liberamente la disciplina del controllo individuale, delineando l’assetto più coerente con il modello organizzativo complessivamente voluto e realizzato dall’atto costitutivo(68).

In particolare, qualora i soci abbiano inteso mimare l’archetipo della s.p.a., assegnando all’ente una struttura più spiccatamente «capitalistica», l’atto costitutivo potrà assegnare ai soci la sola vigilanza sulla gestione, con esclusione del controllo contabile eventualmente affidato a un revisore esterno, oppure circoscrivere i poteri di controllo soltanto al diritto di far revisionare annualmente a proprie spese la contabilità, così come potrà, segnatamente in presenza del collegio sindacale, spingersi sino ad escludere ogni prerogativa diversa dall’accesso ai libri sociali richiamati dall’art. 2422 c.c.(69). A quest’ultimo riguardo non pare dirimente il dato tratto dalla nuova sistematica del codice, richiamato da chi ha notato che, mentre nel codice del 1942 la disciplina del collegio sindacale (art. 2488 c.c.) precedeva il potere di controllo del socio (art. 2489 c.c.), condizionando il riconoscimento del secondo all’assenza del primo, «ora, per contro, prima viene il diritto individuale di controllo (senza alcuna condizione o riferimento alla presenza di un organo apposito) e poi il collegio (artt. 2476, secondo comma, e 2477)»(70): tale argomento vale infatti a confortare l’interpretazione secondo cui la disciplina legale conserva in capo ai soci il diritto individuale di controllo anche in presenza del collegio sindacale(71), non anche ad affermarne l’assoluta indisponibilità della stessa a fronte di un’unanime volontà derogatoria espressa dalla compagine sociale all’atto della costituzione della società o in sede di modificazione dell’atto costitutivo.

Qualora il contratto sociale intenda invece accentuare la connotazione personalistica della società, si potrà escludere l’attribuzione disgiuntiva del diritto in esame all’usufruttuario e al creditore pignoratizio della quota (su cui supra, al par. 5), imporre ai soci istanti di presenziare all’ispezione e alla consultazione della documentazione sociale - così chiarendo che essi possono giovarsi dell’assistenza di consulenti, ma non demandare a questi ultimi l’attività ispettiva – e finanche negare, in sintonia con l’accresciuta rilevanza dell’intuitus personae, la possibilità di ricorrere all’assistenza di soggetti estranei alla compagine sociale. Al contempo, si potrà ampliare ulteriormente i diritti di controllo attribuiti ai soci non amministratori dall’art. 2476, mediante clausole statutarie che impongano agli amministratori un obbligo di informazione periodica dei soci sull’andamento degli affari sociali o che legittimino questi ultimi a compiere tutti gli atti necessari, opportuni o comunque strumentali all’esercizio di un controllo di legalità e di merito sull’amministrazione sociale, ivi inclusi quegli atti di ispezione agli impianti e ai magazzini o di accertamento delle consistenze di cassa, che, come si è osservato(72), non rientrano tra le prerogative riconosciute dalla disciplina legislativa.

10. Conclusioni.

Le considerazioni sin qui svolte sembrano giustificare la conclusione che nella nuova società a responsabilità limitata l’autonomia contrattuale può legittimamente ridefinire l’assetto legale dei poteri di controllo delineato dall’art. 2476, comma 2 c.c, introducendo: a) con i normali quozienti previsti per le modificazioni dell’atto costitutivo, clausole integrative, volte a regolare le modalità di esercizio dei diritti accordati dalla legge (per una prima elencazione, v. supra par. 5); b) con il consenso unanime dei soci, clausole che limitino o anche escludano l’esercizio delle prerogative previste dalla legge.


(1) Così M. Rescigno, Osservazioni sul progetto di riforma del diritto societario in tema di società a responsabilità limitata, in Aa. Vv., Il nuovo diritto societario tra società aperte e società private, a cura di Benazzo, Patriarca e Presti, Milano, 2003. E v. ora Id., La nuova società a responsabilità limitata, in Il nuovo diritto delle società di capitali e delle società cooperative, a cura di Rescigno e Sciarrone Alibrandi, Milano, 2004, 289 s.
(2) Per tutti, Zanarone, Introduzione alla nuova società a responsabilità limitata, in Riv. soc., 2003, 80 s.; Spada, Classi e tipi di società dopo la riforma organica (guardando alla «nuova» società a responsabilità limitata), in Riv. dir. civ., 2003, I, 489 ss; Rivolta, Profilo della nuova disciplina della società a responsabilità limitata, in Banca, borsa, 2003, 682 ss.; Cagnasso, Ambiti e limiti dell’autonomia concessa ai soci nella «nuova» società a responsabilità limitata, in Società, 2003, 2-bis, 368 ss.; Nigro, La società a responsabilità limitata nel nuovo diritto societario: profili generali, in La nuova disciplina della società a responsabilità limitata, a cura di Santoro, Milano, 2003, 3 ss.; M. Stella Richter, La società a responsabilità limitata, Disposizioni generali. Conferimenti. Quote, in Aa. Vv., Diritto delle società, Manuale breve, Milano, 2004, 273 ss.; Abriani, La società a responsabilità limitata, Decisioni dei soci. Amministrazione e controllo, ibidem, 290 ss.; Perrino, La “rilevanza del socio”nella s.r.l.: recesso, diritti particolari, esclusione, in Giur. comm., 2003, I, 810 ss.
(3) Il collegamento tra i due istituti è segnalato, tra gli altri, da Fortunato, I controlli nella riforma delle società, in Il nuovo diritto delle società di capitali e delle società cooperative, a cura di Rescigno e Sciarrone, cit., 82 s.; Rivolta, Profilo della nuova disciplina della società a responsabilità limitata, cit., 699; Cagnasso, Ambiti e limiti dell’autonomia, cit., 371 s.; Cavalli, Il controllo legale dei conti, in La nuova disciplina della società a responsabilità limitata, a cura di Santoro, cit., 199 ss.
(4) Per i limiti posti sul punto all’autonomia statutaria dai nuovi artt. 2364, n. 5 e 2380-bis c.c., v. Abriani, Commento all’art. 2380-bis, in Il nuovo diritto societario, Commentario diretto da Cottino (e altri), Bologna, 2004, 669 ss.
(5) In tal senso Zanarone, Le altre società di capitali, in Allegri (e altri), Diritto commerciale, Bologna, 2004, 316 s.; Cagnasso, Commento all’art. 2476, in Il nuovo diritto societario, cit., 1883; Salafia, Commento all’art. 2476 c.c., in Codice commentato delle nuove società, a cura di Bonfante, Corapi, Marziale, Rordorf, Salafia, Milano, 2004, 1064; Associazione Preite, Il diritto delle società, a cura di Olivieri, Presti e Vella, Bologna, 2004, 287; Cavalli, Il controllo legale dei conti, in La nuova disciplina della società a responsabilità limitata, a cura di Santoro, Milano, 2003, 199; Santosuosso, La riforma del diritto societario, Milano, 2003, 220; Abriani, La società a responsabilità limitata, cit., 319; Giannelli, Amministrazione e controllo nella s.r.l., in La riforma del diritto societario, a cura di Di Cagno, Bari, 2004, p. 211 s.; S. Ambrosini, in AA.VV., Società di capitali. Commentario, a cura di Niccolini e Stagno d’Alcontres, vol. III, Napoli, 2004, p. 1587 s.; G. Laurini, Manuale breve della s.r.l. e delle operazioni straordinarie, Padova, 2004, 61; Parrella, Commento all’art. 2476, in La riforma delle società. Commentario del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, a cura di Sandulli, Santoro e Sassani, Torino, 2003, III, 123 s. In senso contrario si veda però Graziani-Minervini-Belviso, Manuale di diritto commerciale, Cedam, Padova, 2004, 334, ove si afferma che «allorché il collegio sindacale è comunque costituito, è attendibile che venga meno il potere di controllo dei singoli soci previsto dall’art. 2476, comma 2». Sul punto v. anche, in termini dubitativi, Buonocore, La riforma delle società, Giuffrè, Milano, 2004, 93.
(6) Per tutti, Rivolta, La società a responsabilità limitata, in Tratt. di dir. civ. e comm. Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, Giuffrè, Milano, 1982, 338 ss.
(7) A questo proposito si segnala unicamente la mancata riproduzione del diritto di ottenere a proprie spese estratti dei libri sociali consultabili, espressamente prevista dall’ultimo comma dell’originario art. 2490 c.c.: sul punto v. infra, nel testo.
(8) Come parrebbe desumibile dal riferimento normativo alla «notizia» non più «dello svolgimento», bensì «sullo svolgimento degli affari sociali»: e v. già lo spunto in Ibba, In tema di autonomia statutaria e norme derogabili, in Le grandi opzioni della riforma del diritto e del processo societario, a cura di Cian, Padova, 2004, 147, alla nt. 15.
(9) Abriani, La società a responsabilità limitata, cit., 320. In senso conforme, v. Fortunato, I controlli nella riforma delle società, in Società, 2003, n. 2-bis, 306; Cagnasso, Commento, cit., 1884; Racugno, L’amministrazione della s.r.l. e il controllo legale dei conti, in Società, 2004, 16; De Angelis, Amministrazione e controllo nelle società a responsabilità limitata, in Riv. soc., 2003, 469 ss.; Santosuosso, La riforma, cit., 220; Salafia, Commento, cit., 1065; Giannelli, Amministrazione e controllo nella s.r.l., cit., 212; S. Ambrosini, op. cit., 1590; Mainetti, Il controllo dei soci e la responsabilità degli amministratori nella società a responsabilità limitata, in Società, 2003, 938. Per una lettura più restrittiva della disposizione v. Associazione Preite, Il diritto delle società, cit., 287, secondo cui la nuova formulazione non si estenderebbe alla consultazione di libri e scritture contabili.
(10) Cagnasso, Commento all’art. 2476, loc. ult. cit. Nel senso che il diritto di controllo del socio non amministratore di cui all’art. 2261, primo comma, c.c., si estenda anche ai libri e alle scritture contabili, v. per tutti Buonocore, Società in nome collettivo, in Commentario al codice civile diretto da Schlesinger, Giuffrè, Milano, 1995, 201 ss. e Cagnasso, La società semplice, in Trattato di diritto civile diretto da Sacco, Utet, Torino, 1998, 182 s.
(11) Montalenti, Il socio accomandante, Giuffrè, Milano, 1985, 194, alla nota 219; e v. già Ferri, Le società, 242.
(12) Santosuosso, La riforma, cit., 219; Di Amato, Commento all’art. 2476, in La riforma del diritto societario, a cura di Lo Cascio, Ipsoa, Milano, 2003, 8, 204; Mainetti, Il controllo dei soci, cit., 936.
(13) Nel senso che i soci hanno «diritto di esaminare, consultare, annotare, fotocopiare, microfilmare, registrare, ecc., nella sede della società e a proprie spese, tutti gli strumenti idonei a illuminare chi non partecipa all’amministrazione sulla conduzione della stessa, obbligatori o non che siano rispetto allo statuto dell’imprenditore commerciale », v. Montagnani, Diritti d’informazione, controllo individuale e controllo giudiziale nelle società prive di collegio sindacale, in Riv. dir. civ., 1983, I, 293 s.. In senso conforme, con riferimento all’art. 2261, v. altresì M. Ghidini, Società personali, Cedam, Padova, 1972, 450, per il quale il diritto di consultare i documenti relativi all’amministrazione comprende anche il diritto «di prendere appunti, di estrarre copie anche fotografiche, a proprie spese»; Cagnasso, La società semplice, cit., 183 s. La conclusione è condivisa, con riferimento al nuovo art. 2476 c.c., da Santosuosso, La riforma, cit., 220; Salafia, Commento, cit., 1064; Mainetti, Il controllo dei soci, cit., 936.
(14) In tal senso, Trib. Piacenza, 12 agosto 1994, in Foro it., 1995, I, 3004. A favore dell’applicazione di tale principio anche alla nuova s.r.l. v. espressamente Mainetti, op. loc. ultt. citt.
(15) Trib. Milano, 20 marzo 1990, in Società, 1990, 915, che ravvisa un limite al controllo individuale nelle «ragioni di cautela e di prudenza nell’interesse della società» (con riferimento però ad una fattispecie peculiare, nella quale la società ascriveva l’esercizio di attività concorrenziali al socio che intendeva esercitare tale diritto). Per l’impostazione del problema v. per tutti Costi, Note sul diritto di informazione e di ispezione del socio, in Riv. soc., 1963, 86 ss.
(16) E v. Cagnasso, La società semplice, cit., 179, il quale esclude che l’esistenza di un segreto sociale determini il potere-dovere degli amministratori di non divulgare le notizie non riservate ai soci non amministratori. Non sembra in effetti suscettibile di essere trasposto alla nuova società a responsabilità limitata il principio – dettato, nel previgente contesto normativo, dalla giurisprudenza al fine di delimitare il diritto del socio di acquisire informazioni in assemblea - che consentiva agli amministratori di «rifiutarsi legittimamente di rispondere alla domanda di informazione, quando la risposta comporti la diffusione di notizie destinate a rimanere riservate e la cui diffusione possa arrecare pregiudizio alla società» (così Cass., S.U., 21 febbraio 2000, n. 27, in Giur. Comm., 2000, II, p. 73). In senso conforme v. anche S. Ambrosini, op. loc. ult. cit. Sul punto v. però Santosuosso, La riforma, cit., 220, ove si afferma, in termini generali, che il diritto di informazione di cui al nuovo art. 2476 dovrebbe comunque esercitarsi «nei limiti delle esigenze di riservatezza sociale ed aziendale».
(17) La norma permette infatti ai soci non amministratori di procedere alla consultazione «tramite» professionisti di sua fiducia: per tale rilievo v. già Fortunato, I controlli nella riforma delle società, cit., 83. Per la diversa impostazione seguita dalla dottrina prevalente in tema di società personali, con riferimento alla quale si tende ad escludere la possibilità per i soci di demandare a professionisti l’esercizio dei diritti di cui agli artt. 2261 e 2320 c.c., v. Messineo, Controllo del socio sull’amministrazione di società di persone e rappresentanza, in Studi di diritto delle società, Milano, 1958, 7 ss.; In senso contrario però Costi, op. cit., 79.
(18) Su quest’ultima previsione, v. Costi, Note sul diritto di informazione, in cit., 75 s.
(19) Per tutti, Oppo, Le convenzioni parasociali tra diritto delle obbligazioni e diritto delle società, in Riv. dir. civ., 1987, I, 527 ss. (ora in Scritti giuridici, Padova, 1992, II, 176 ss.)
(20) Attribuzione che, in assenza di tale previsione derogatoria, discenderebbe dal già richiamato disposto degli artt. 2471-bis e 2352, comma 6 c.c.
(21). In tal senso v. Cagnasso, Recesso ed esclusione del socio: interessi in gioco e «costi» degli strumenti di tutela, in Analisi Giuridica dell’Economia, 2003, n. 2, 367, dove si segnala la possibile introduzione di tale «sanzione per l’ipotesi di un uso strumentale e contrario a buona fede degli amplissimi poteri di controllo e sanzionatori concessi al socio in quanto tale». E v. altresì Perrino, La “rilevanza del socio”nella s.r.l., cit., 810 ss.
(22) Per l’applicazione dell’art. 700 c.p.c. ai fini della consultazione della documentazione sociale, v. Pret. Roma, 10 maggio 1978, in Foro it., 1979, I, 1331. E v. anche, in tema di società in accomandita semplice, Trib. Milano, 10 ottobre 1969, in Giur. it., 1970, I, 2, 180, con cui si era legittimato il socio accomandante a richiedere «sequestro giudiziario presso terzi (nella specie, una banca) dei documenti comprovanti la relaze situazione della società, da questa prodotti per ottenere finanziamenti».
(23) In tal senso Zanarone, Le altre società di capitali, cit., 317; Cagnasso, Commento all’art. 2476, cit., 1883; Ibba, In tema di autonomia statutaria, cit., 147 ss.; Nigro, La società a responsabilità limitata, cit., 10; Cavalli, Il controllo legale dei conti, cit., 217 Salafia, Commento all’art. 2476 c.c., 1064; Santosuosso, La riforma del diritto societario, cit., 220; S. Ambrosini, op. cit.,. 1588 s.; Parrella, Commento all’art. 2476, cit., 123 ss. E v. anche, sia pur in termini dubitativi, G. Laurini, op. loc. ult. cit.; Colombo, Amministrazione e controllo, in Il nuovo ordinamento delle società, Lezioni sulla riforma e modelli statutari, a cura del Consiglio Notarile di Milano, Milano, 2003. A favore della legittimità delle clausole in esame v. invece Rescio, La nuova disciplina della s.r.l.: l’autonomia statutaria e le decisioni dei soci, in La riforma del diritto societario, a cura di Di Cagno, cit., 164 ss.; Abriani, Controllo individuale e autonomia statutaria: attenuare l’audit per abbassare la voice?, in Analisi Giuridica dell’Economia, 2003, n. 2, 322 ss.; e v. anche, con formulazione dubitativa, De Angelis, Amministrazione e controllo nella società a responsabilità limitata, cit., p. 486.
(24) In argomento v. Celotto, Problemi sulla «tecnica normativa» di riforma del diritto societario, in La riforma delle società di capitali, Aziendalisti e giuristi a confronto, a cura di Abriani e Onesti, Milano, 2004, 269 ss, ove completi riferimenti alla più recente giurisprudenza costituzionale sul punto. In generale, sulla necessità di un’interpretazione adeguatrice, in quanto conforme ai principi costituzionali, in omaggio al principio di conservazione degli atti normativi,. v., da ultimo e per tutti, Guastini, L'interpretazione dei documenti normativi, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu e Messineo e ora continuato da Schlesinger, Milano 2004, p. 173 ss.
(25) E già nota al codice civile, che ricorre a tale tecnica normativa in tema di associazione in partecipazione, laddove assegna all’autonomia contrattuale il compito di «determinare quale controllo possa esercitare l’associato sull’impresa o sullo svolgimento dell’affare per cui l’associazione è stata contratta» (art. 2552, comma 2 c.c.).
(26) P. Marchetti, Controlli sulla costituzione e sul funzionamento della società a responsabilità limitata, in AA.VV., “Progetto Mirone” e modelli organizzativi, a cura di Afferni e De Angelis, Milano, 2001.
(27) Per questa impostazione, v. d’Alessandro, «La provincia del diritto societario inderogabile (ri)determinata. Ovvero: esiste ancora il diritto societario ?, in Riv. soc., 2003, 38 s., nonché, con riferimento alla legge delega, Gambino, Spunti di riflessione sulla riforma: l’autonomia statutaria e la risposta legislativa alle esigenze di finanziamento dell’impresa, in Giur. comm., 2002, 641 ss.
(28) C. Marchetti, La “Nexus of Contracts” Theory, Giuffrè, Milano, 2000, passim, spec. 37 ss.
(29) P. Marchetti, op. loc. ult. cit.
(30) E v. supra, al par. 4.
(31) Su questa disposizione v. La Manna, Commento all’art. 2625, in Il nuovo diritto societario, cit., 3081 ss.
(32) E v. infra, al par. seguente.
(33) Così Parrella, op. cit., 127
(34) Abriani, La società a responsabilità limitata, cit., 316. E v. anche Nigro, La società a responsabilità limitata nel nuovo diritto societario, cit., 16 s.; Allegri, L’amministrazione della società a responsabilità limitata dopo la recente riforma, in La nuova disciplina della società a responsabilità limitata, a cura di Santoro, cit., 166 s.
(35) E v. in particolare Zanarone, Introduzione, cit., 104 ss.; Id., Le altre società di capitali, 316 s.; Cagnasso, Commento all’art. 2476, cit.; 1882 s.; Ibba, In tema di autonomia statutaria, cit., 147 s.
(36) Così Benazzo, L’organizzazione nella nuova s.r.l. fra modelli legali e statutari, in Società, 2003.
(37) Ferri, Manuale di diritto commerciale, a cura di Angelici e Ferri, Torino, 2001, 415.
(38) Angelici, La riforma delle società di capitali, Cedam, Padova, 2003, 71 s.
(39) Così la Relazione al progetto Mirone, sub 3.
(40) Trattandosi, come si legge nella medesima Relazione, «di principi generali che possono essere tradotti nel concetto di ampia libertà di autorganizzazione, di flessibilità e semplificazione degli assetti organizzativi della società».
(41) Richiamata da Ibba, op. cit., 148.
(42) Ferri jr, Organizzazione societarie a autonomia statutaria, in Riv. dir. comm., 2001, I, 231 s.; Id., Autonomia statutaria e mercato a confronto, ivi, 1999, I, 931 ss. (ripreso da Ibba, op. loc. ult. cit., alla nt. 20).
(43) E v. anche la Relazione al decreto legislativo n. 6 del 2003, sub 11.
(44) Perrino, La “rilevanza del socio” nella s.r.l., cit., 819.
(45) E v. anche il progetto preliminare di regolamento CE sulla European Private Company - Société privée européenne – elaborato dalla Chambre de Commerce et Industrie di Parigi– che assegna a ciascun socio la legittimazione all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori (art. 18) ma prevede un assetto fondamentalmente suppletivo dei poteri di controllo (e v. infatti gli artt. 30 e 31).
(46) Per tutti, Ferri, Delle società, in Comm. cod. civ., diretto da V.Scialoja e G.Branca, Bologna-Roma, 1981, 177, M. Ghidini, Società personali, 428 ss. Più oscillante, ma ancora prevalentemente restrittivo, è invece l’orientamento giurisprudenziale, a proposito del quale v. Portale, Riforma delle società di capitali e limiti di effettività del diritto nazionale, in Società, 2003, 263.
(47) Nel rinviare, per gli opportuni riferimenti bibliografici, alla nota seguente, va ancora osservato come una divaricazione tra i due profili di disciplina si registri anche nella nuova disciplina delle società sottoposte ad attività di direzione e coordinamento, nella quale la legittimazione individuale all’esercizio dell’azione di responsabilità di cui all’art. 2497 c.c. prescinde dall’attribuzione di diritti di controllo sulla gestione della controllata stessa (o del gruppo nel suo complesso).
(48) Così Ferri, Le società, cit., 242 s.; Id., Delle società, cit., 179 ss. In senso conforme v. altresì Costi, Note sul diritto di informazione, cit., p. 76; Spada, La tipicità delle società, Padova, 1974, pp. 421 ss.
(49) E v. i puntuali rilievi di Rivolta, Profilo della nuova disciplina, cit., 698 s.
(50) Così, l’ultimo comma dell’art. 2320, che attribuisce tali diritti «in ogni caso»: per tutti, Montalenti, Il socio accomandante, cit., 201 s.
(51) Secondo la persuasiva ricostruzione dell’istituto operata da Montalenti, op. loc. ult. cit., ripresa da Cagnasso, La società semplice, cit., 181 s.. Va peraltro osservato che anche la diversa interpretazione, che esclude l’applicabilità dell’art. 2261 ai soci accomandanti, pur divergendo nella definizione dell’ambito dei poteri attribuiti in assenza di una diversa previsione dell’atto costitutivo, tende comunque a riconoscere il carattere suppletivo della disciplina legale, ritenuta derogabile finanche in relazione ai soci accomandatari non amministratori (Ferri, op. loc. ult. cit.; Costi, op. loc. ult. cit.).
(52) Sui quali ancora Montalenti, op. cit., 198 ss.
(53) Per la quale v. Bolaffi, La società semplice, Milano, 1975, p. 359; M. Ghidini, Società personali, cit., 450; Buonocore, Società in nome collettivo, cit., 200 ss.; Cagnasso, La società semplice, cit., 180 ss.; Montagnani, Diritti d’informazione, cit., 252 e 358 ss.
(54) Nonché l’accomandatario non amministratore della società in accomandita semplice.
(55) Con il limite, per gli accomandanti, delle attribuzioni di cui all’ultimo comma dell’art. 2320 c.c. In questo scenario, merita di essere sottolineata l’identica natura che il potere di controllo individuale riveste nelle varie forme societarie. A differenza delle funzioni assegnate in termini di potere-dovere agli organi interni di controllo delle società a base azionaria e allo stesso collegio sindacale della società a responsabilità limitata, ex art. 2477, ult. comma c.c., i diritti di informazione e consultazione dei soci non amministratori rappresentano infatti, secondo le diverse ricostruzioni, posizioni attive di natura organizzativa o diritti soggettivi, che il legislatore attribuisce ai componenti della compagine sociale nel loro esclusivo interesse (Ferri, Le società, cit., 704). Tale qualificazione sospinge la questione in esame dal piano della derogabilità statutaria a quello della disponibilità giuridica delle relative situazioni soggettive, che, sotto questo particolare profilo, tendono pertanto ad avvicinarsi al diritto contrattuale comune, e in particolare alle prerogative assegnate dalla legge al mandante nei confronti del mandatario (art. 1713 c.c.), ritenute pattiziamente modificabili e finanche rinunciabili mediante una dispensa preventiva dal rendiconto: per tutti, A. Luminoso, Mandato, commissione, spedizione, in Tratt. dir. civ. e comm. già diretto da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, Giuffrè, Milano, 1984, 350; G. Minervini, Il mandato. La commissione, la spedizione, in Tratt. dir. civ. diretto da Vassalli, Utet, Torino, 1957, 93 ss., che parla al riguardo, appunto di «elemento naturale» e non essenziale del contratto di mandato
(56) E v. sul punto i rilievi di F. Vassalli, Responsabilità d’impresa e poteri di amministrazione nelle società personali, Milano, 1973, 219 s.
(57) Così la Relazione illustrativa, sub 3; e v. anche, in questa prospettiva, le agevolazioni introdotte per favorire la trasformazione di società di persone in società di capitali dal nuovo art. 2500-terc.c.
(58) Art. 2, primo comma, lett. e) della legge delega. L’assoluta inderogabilità dei poteri di controllo potrebbe in particolare rappresentare una seria remora ad investimenti in capitale di rischio in società a responsabilità limitata da parte degli operatori di private equity, in contrasto con l’obiettivo – collocato al vertice della gerarchia dei principi dettati dalla legge delega e definito dalla stessa come «prioritario» - di «favorire la nascita, la crescita e la competitività delle imprese, anche attraverso il loro accesso ai mercati interni e internazionali dei capitali»: così l’art. 2, primo comma, lett. a) l. delega.
(59) Per uno spunto in tal senso v. L. De Angelis, Amministrazione e controllo nella società a responsabilità limitata, cit., p. 486, ove si sottolinea come l’eliminazione dell’originaria sanzione di nullità ponga le premesse per un’espansione dell’autonomia convenzionale dei soci, fino al punto di permettere loro di rinunziare al diritto di controllo individuale e di consentirne la limitazione. E v. già i rilievi svolti, con riferimento al precedente contesto normativo, da Costi, op. cit., 75 s., ove si sottolineava il carattere eccezionale della espressa previsione di nullità contenuta nell’originario capoverso dell’art. 2489, dal quale poteva «trarsi, argomentando a contrario, uno specifico motivo per ritenere che negli altri tipi di società [i diritti di controllo fossero] disponibili».
(60) Per tutti Spada, Classi e tipi di società, cit., 489 ss; M. Stella Richter, La società a responsabilità limitata, cit., 273 ss.
(61) Statuto legale che configura in effetti la società a responsabilità limitata come un modello capitalistico attenuato da connotati personalistici, e non già come una «società di persone a responsabilità limitata»: per tutti Zanarone, Introduzione alla nuova società a responsabilità limitata, 80 s. e Spada, Classi e tipi, cit., 503.
(62) Angelici, La riforma delle società di capitali, cit., 72.
(63) Le due ultime citazioni sono tratte da Perrino, La “rilevanza del socio”nella s.r.l, cit., p. 839. E v. anche le consonanti indicazioni offerte, in una prospettiva di analisi economica del diritto, da Ayres - Gertner, Majoritarian vs. minoritarian defaults, in Stanford Law Review, 51 (1999), 1591 ss.; Id., Strategic contractual inefficiency and optimal choice of legal rules, in Yale Law Journal, 101 (1992), 729 ss.; Id., Filling gaps in incomplete contracts: an economic theory of default rules, in Yale Law Journal, 99 (1989), 87 ss..
(64) In tal senso si potrebbe leggere anche il passo della Relazione illustrativa in cui si sottolinea come «il diritto di ottenere notizie dagli amministratori in merito allo svolgimento degli affari sociali e di procedere ad una diretta ispezione dei libri sociali e dei documenti concernenti l'amministrazione della società» sia riconosciuto ai soci « sulla base della struttura contrattuale della società» (Relazione, sub 11).
(65) Su queste categorie, è d’obbligo il richiamo al fondamentale saggio di Buonocore, Le situazioni soggettive dell’azionista, Morano, Napoli, 1960, passim, spec. 67 ss. e 137 ss.; e v. ora Perrino, La “rilevanza del socio”nella s.r.l.., 831 s.
(66) E v. già, con riferimento alle società di persone, Ferri, Le società, cit., 242, per il quale «sicuramente, trattandosi di un diritto del socio, la sua limitazione o eliminazione non può attuarsi senza il suo consenso». Nel senso che, anche nell’assetto delineato dalla riforma, «la maggior parte delle situazioni giuridiche del socio sono ( …) indisponibili da parte della società, ma disponibili da parte del socio medesimo», v. Angelici, op. loc. ult. cit. L’esigenza di un ripensamento della categoria dei diritti individuali, intangibili dalla volontà comune, alla luce del nuovo contesto normativo, era stata del resto segnalata in sede di primo commento da d’Alessandro, «La provincia del diritto societario inderogabile (ri)determinata, cit., p. 43, ove si prefigurava lucidamente l’attendibile crescita di peso e di importanza di tale figura (nonché, nelle società azionarie, dell’istituto delle assemblee speciali). Chi ricostruisca le situazioni in esame in termini di diritti soggettivi individuali, il problema della derogabilità della norma lascerebbe più propriamente il campo a quello della rinunciabilità o meno (e quindi della disponibilità) del diritto da essa attribuito, con conseguente inefficacia – in base ai principi generali – dell’atto di disposizione assunto in assenza del consenso del titolare. Ma a quest’ultimo riguardo v. i persuasivi rilievi di Perrino, op. cit., 832, ove si sottolinea la valenza organizzativa delle regole in esame, con il corollario, in ipotesi di violazione dell’ultimo comma dell’art. 2468, della mera annullabilità della modificazione non sorretta dal consenso unanime.
(67) La disposizione – peraltro derogabile, con conseguente attribuzione del diritto di recesso ai soci non consenzienti – non è certamente applicabile ai poteri di controllo di cui all’art. 2476, comma 2, trattandosi di diritti che, per quanto latamente riferibili all’«amministrazione» della società, sono attribuiti dalla legge ai soci in quanto tali e non dall’atto costitutivo ad alcuni di essi (e v. Ibba, In tema di autonomia statutaria, cit., 149 s.). Non pare tuttavia azzardato ravvisare in essa l’espressione normativa di una regola generale destinata a trovare applicazione per la modifica dei diritti dei soci, anche a rilevanza organizzativa (come quelli relativi all’amministrazione), indipendentemente dalla fonte – legale o negoziale – degli stessi.
(68) E v., in senso conforme, i puntuali rilievi di Rescio, La nuova disciplina della s.r.l, cit., 165.
(69) In senso conforme, Rescio, op. loc. ult. cit. E v. già, con riguardo alle società di persone, Spada, La tipicità, 423 s., ove l’esplicito riconoscimento della legittimità della clausola statutaria che istituisca un organo interno di controllo, corrispondente per struttura e funzioni al collegio sindacale, sopprimendo contestualmente il diritto di consultazione di cui all’art. 2261 c.c.
(70) La citazione è tratta da Benazzo, op. loc. ult. cit..
(71) E v. supra, al par. 3
(72) Supra nt. 11 e testo corrispondente; e v. già Ferri, Le società, cit., 242.

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