L’assegnazione delle partecipazioni non proporzionale ai conferimenti nelle società di capitali
L’assegnazione delle partecipazioni non proporzionale ai conferimenti nelle società di capitali
di Jacopo Sodi
Consiglio Nazionale del Notariato - Studio n. 148-2008/I
Pubblicato nella rivista Studi e Materiali CNN, 2/2009, p. 584

1. La socializzazione dell’area “parasociale” ed il contenuto facoltativo dello statuto.

Una delle maggiori novità della riforma societaria in materia di conferimenti e costituzione delle società di capitali è quella relativa alle cosiddette “assegnazioni non proporzionali”, in ordine alle quali sono opportune alcune considerazioni di carattere generale, che muovono dalla legge delega (n. 366/2001) stessa.

Essa prevedeva, con una formulazione identica per la s.p.a. e per la s.r.l., che il legislatore delegato giungesse al risultato di “consentire ai soci di regolare l'incidenza delle rispettive partecipazioni sociali sulla base di scelte contrattuali”: sia l’art. 3, comma 2, lettera c), parte finale, che l’art. 4, comma 5, lettera a), infatti, stabilivano tale obiettivo, introducendo così nella fase costitutiva un importante elemento di flessibilità.

Una particolarità dell’istituto è data dal fatto che l’attuazione delle istruzioni del legislatore delegante ha condotto all’introduzione di una disciplina uniforme per entrambi i tipi sociali: nel rispetto delle ovvie differenze tipologiche – esistenza delle azioni piuttosto che della quota come espressione della partecipazione nella società – l’art. 2346, comma 4, nella sua parte finale, ammette che lo statuto possa “prevedere una diversa assegnazione delle azioni” rispetto al rigido criterio proporzionale individuato nella prima parte del comma stesso; l’art. 2468, comma secondo, con una formulazione produttiva dei medesimi effetti(1), sancisce che “se l’atto costitutivo non prevede diversamente, le partecipazione dei soci sono determinate in misura proporzionale al conferimento”. Nessuna differenza è ugualmente ravvisabile nella formulazione delle norme poste a tutela dell’integrità del capitale sociale e dei terzi in genere, in quanto l’art. 2346, comma quinto, precisa che “in nessun caso il valore dei conferimenti può essere complessivamente inferiore all’ammontare globale del capitale sociale”, e l’art. 2464, comma primo, analogamente, che “il valore dei conferimenti non può essere complessivamente inferiore all’ammontare globale del capitale sociale”.

Per concludere sulle affinità, si deve purtroppo constatare come il medesimo approccio abbia prodotto nell’ambito della s.p.a. e della s.r.l. un identico difetto, consistente nella totale mancanza di una disciplina legale, seppur dispositiva, di default: se da un lato ciò è perfettamente coerente con l’impostazione generale dell’intera riforma, resta la considerazione del prevedibile conseguente aumento dei costi di transazione e, per tutte quelle situazioni nelle quali le parti non saranno disposti a sostenerli, il rischio di un notevole contenzioso generato dall’impossibilità di ricavare frammenti di disciplina dal quadro normativo.

Un dato che accomuna ulteriormente le previsioni in esame è la cosiddetta possibilità di “socializzare” molti degli accordi che stanno alla base delle trattative in sede di costituzione della società, ossia di introdurre nello statuto/atto costitutivo, mediante appunto il ricorso alle assegnazioni non proporzionali, tutta una tipologia di pattuizioni sino ad oggi confinate nell’area del parasociale.

Il dato non ha solo un risvolto teorico, di interesse per lo studioso, ma notevoli conseguenze pratiche: basti pensare alla maggiore trasparenza del sistema, che vedrebbe emergere alla luce del sole patti sino ad oggi siglati privatamente; alla maggiore snellezza dei traffici giuridici, non più costretti a ricorrere a complesse architetture, spesso fonte di contenzioso, quali intestazioni fittizie o fiduciarie, piuttosto che finanziamenti di terzi anteriori alla costituzione della società; alle maggiori garanzie che la “socializzazione” degli accordi offre ai diretti interessati, non più semplici “paciscenti” cui la giurisprudenza accorda una tutela obbligatoria, di tipo risarcitorio, bensì soci cui lo statuto ne offre una di carattere “reale”, erga omnes. La chance fa venire meno una delle caratteristiche predilette, ovvero la riservatezza, ma non è un puro esercizio di ottimismo ritenere che i numerosi vantaggi derivanti dalla collocazione degli accordi nei patti sociali possano convincere una certa percentuale degli interessati a ricorrere a questo nuovo strumento.

La previsione si inserisce a pieno titolo nella filosofia legislativa alla base della riforma, tesa ad offrire all’impresa ed agli imprenditori quanti più strumenti possibili per una corretta ed efficiente definizione di interessi, spesso contrapposti. Si pensi al classico esempio legato alla necessità di esprimere secondo regole che non rispecchiano il valore dei conferimenti gli amministratori della società, piuttosto che all’esigenza di “misurare” i diritti sociali in modo autonomo rispetto all’entità della partecipazione alla formazione del capitale: fino ad oggi la tecnica più utilizzata erano i patti parasociali, ma le assegnazioni non proporzionali si pongono ora come una(2) delle valide alternative da percorrere.

Ci si propone pertanto di analizzare questo innovativo elemento di flessibilità, idoneo a contribuire alla forte espansione del cosiddetto contenuto facoltativo dell’atto costitutivo/statuto: un tassello, cioè, di un più ampio mosaico che può restituire una rinnovata centralità a tale documento, quale portato dell’ampia autonomia contrattuale riconosciuta alle parti, e sul quale la sensibilità notarile dovrà essere massima.

2. Le ipotesi di applicazione delle assegnazioni non proporzionali.

Prima dell’indagine strettamente giuridica, è opportuno soffermarsi sull’analisi dei contesti nei quali il nuovo istituto può trovare pratica applicazione e verificarne la duttilità(3).

Ciò a cui probabilmente il legislatore pensava quando ha ideato le assegnazioni non proporzionali era la tipica situazione nella quale un socio cosiddetto d’industria – dotato, per esempio, di un know how utile all’impresa sociale – si confronta con un partner finanziario: la definizione degli equilibri interni di potere della costituenda società, in un contesto di necessaria proporzionalità tra valore del conferimento e partecipazione, tutte le volte in cui l’apporto di quest’ultimo non era capitalizzabile, o comunque lo era con difficoltà(4), non poteva che transitare da accordi parasociali e finanziamenti a favore del socio industriale anteriori alla costituzione della società, nonché da un’estesa utilizzazione del “soprapprezzo”, con conseguente sottocapitalizzazione nominale delle società(5). Oggi, invece, si possono conferire entità valoristicamente differenti – il socio industriale potrebbe conferire in denaro il 5%, piuttosto che l’1%, del capitale – imputandone a capitale l’intero valore e parificando i diritti sociali attraverso l’assegnazione di una partecipazione identica, piuttosto che modulando le stesse secondo percentuali rimesse esclusivamente all’accordo delle parti.

Nonostante le innovazioni apportate dalla riforma alla disciplina dei conferimenti, infatti, il problema sarebbe rimasto sostanzialmente irrisolto senza le previsioni in esame: nella s.p.a. vige tuttora il divieto di apporto dell’opera e dei servizi, se non attraverso il ricorso alle azioni con prestazioni accessorie, che richiedono comunque un conferimento in denaro destinato a coprire il valore nominale dei titoli emessi; nella s.r.l. l’art. 2464, comma sesto, apre alla conferibilità di dette entità, ma pone esplicitamente – la polizza di assicurazione piuttosto che la fideiussione bancaria – ed implicitamente – la relazione giurata di stima(6) – tali e tanti vincoli e costi, che presumibilmente la composizione degli interessi in gioco continuerà ad essere affidata ai patti parasociali od alla disciplina del soprapprezzo, piuttosto che all’istituto in esame.

L’area dei conferimenti atipici, di impossibile o costosa capitalizzazione, sarà sicuramente un primo importante banco di prova per l’applicazione delle assegnazioni non proporzionali, ed anche se potranno soffrire la concorrenza di altri strumenti offerti ai soci, in entrambi i tipi sociali presentano delle peculiarità che le caratterizzano: le azioni speciali difficilmente potrebbero replicare la possibilità di esercizio integrale dei diritti amministrativi ed economici in modo non proporzionale al conferimento effettuato; gli strumenti finanziari partecipativi di cui all’art. 2346, comma sesto, non possono attribuire tutti i diritti che spettano ad un socio – quale è a pieno titolo colui che beneficia di un’assegnazione non proporzionale – e trovano un limite tipologico nell’impossibilità di concedere “il voto nell’assemblea generale degli azionisti”; i conferimenti d’opera e servizi nella s.r.l. scontano le rigidità appena evidenziate.

Anche un’obiezione avanzata da una parte minoritaria della dottrina(7) in relazione alla possibilità di eludere le norme della s.p.a. che vietano determinati conferimenti atipici – d’opera piuttosto che di servizi – pare facilmente superabile: nel caso delle assegnazioni non proporzionali, infatti, non emerge alcun profilo di frode alla legge o di lesione del principio dell’integrità del capitale sociale, poiché esso è interamente coperto da conferimenti ritenuti leciti dal legislatore – di denaro, di crediti o di beni in natura – ed è semplicemente la sua ripartizione, per effetto di accordi tra le parti, che non segue il criterio di proporzionalità; né per questo si può considerare raggiunto uno scopo vietato dall’ordinamento, posto che nessuna prestazione d’opera o di servizi ha contribuito alla formazione – ma solo alla ripartizione tra i soci – del capitale stesso.

Un secondo esempio applicativo concerne la disciplina dei conferimenti in natura, laddove la valutazione effettuata dall’esperto ai sensi degli artt. 2343 o 2464 c.c. non coincida con quella condivisa dai soci fondatori nei loro accordi iniziali. Prima della riforma a tale situazione non vi era altro rimedio che quello di “sottovalutare”, ai fini della determinazione del capitale, il conferimento di maggior valore, imputandone parte a riserva da soprapprezzo; oggi è invece possibile mantenere un capitale più elevato, “capitalizzando” appunto l’intero valore che emerge dalle perizie e suddividendo le partecipazioni tra i soci secondo le percentuali da essi inizialmente convenute(8).

Le assegnazioni non proporzionali possono poi rappresentare una tecnica di remunerazione per quei soci che si impegnano a prestare a favore della società la propria attività o che assumono particolari incarichi al suo interno. Anche in questo caso la novità non è assoluta, dato che il nostro ordinamento già conosceva le azioni con prestazioni accessorie ed oggi, almeno nella s.r.l., ammette espressamente il socio d’opera; fin da prima della riforma, inoltre, quel socio poteva ottenere un’adeguata remunerazione attraverso un contratto di lavoro dipendente, piuttosto che d’opera. L’alternativa che si aggiunge pare vantaggiosa, perché “trasla” l’onere economico della prestazione dalla società agli altri soci – la prestazione sarebbe remunerata con una maggiore attribuzione di diritti sociali “pagata” dagli altri soci e non con risorse della società che contribuiscono ai costi – e l’effettivo pagamento della parte pecuniaria sarebbe comunque posticipato al momento dell’emersione dei primi utili, quando la pressione sui conti della società è alleggerita rispetto alla fase di start up(9).

Gli interessi tipicamente endosocietari sin qui analizzati, che trovano cioè la loro fonte in esigenze di carattere imprenditoriale e nel contratto di società stesso, non sono gli unici a poter giustificare il ricorso allo schema delle assegnazioni non proporzionali.

In primo luogo esse potrebbero essere lo strumento di definizione di precedenti rapporti giuridici tra le parti, integrando cioè una datio in solutum idonea ad estinguere le ragioni di debito/credito preesistenti; potrebbero poi permettere la realizzazione di liberalità indirette a favore di terzi, estranei piuttosto che consanguinei, divenendo così un possibile strumento anche per il ricambio generazionale nell’impresa. L’imprenditore, infatti, intendendo coinvolgere le generazioni successive nell’attività d’impresa, potrebbe costituire una società nella quale egli solo conferisce l’azienda, sino a quel momento gestita sotto forma di impresa individuale, beneficiandole di considerevoli partecipazioni attraverso un’assegnazione non proporzionale.

3. Brevi cenni al profilo causale dell’istituto.

Proprio gli ultimi esempi introducono un tema estremamente complesso e delicato, attinente al profilo causale, che non può che essere affrontato per cenni.

Si tratta infatti di capire se questo istituto rappresenti una sorta di schema tipizzato dal legislatore nell’ambito societario, che può colorarsi di interessi, onerosi piuttosto che gratuiti, che rimangono estranei al suo profilo causale, risolvendosi così di una fattispecie autonoma, dotata di proprie regole; se possano individuarsi solide distinzioni con istituti apparentemente molto simili, quali il contratto a favore del terzo piuttosto che l’adempimento del terzo; se invece costituisca uno schema neutro, incolore, essenzialmente descrittivo, che di volta in volta assume profili causali differenti, come ad esempio avviene per la cessione del credito.

La dottrina non è unanime sul punto, ma pare convincente l’opinione di coloro i quali individuano nelle assegnazioni non proporzionali un istituto nuovo ed autonomo, che risponde a regole proprie e che manifesta differenze sia rispetto al contratto a favore del terzo, sia dell’adempimento del terzo(10).

Il contratto a favore del terzo, infatti, prescinde da una necessaria e contestuale presenza del terzo beneficiario alla fase negoziale; quel terzo invece nelle assegnazioni non proporzionali non può mancare, trattandosi di uno dei soci che deve approvare l’intero contratto sociale. Il suddetto inquadramento, inoltre, porrebbe il problema, di ardua soluzione e tuttora discusso, della inesistenza del promittente, trattandosi di società di capitali non ancora iscritta. Quanto all’adempimento del terzo, invece, la sua natura giuridica unilaterale e la sua indifferenza rispetto alla volontà del creditore, che può rifiutare la prestazione solo nelle ipotesi tipizzate dal legislatore, divergono ampiamente dalla fattispecie in esame(11).

La lettura proposta, in sostanza, permette di giungere alla conclusione che non vi sia alcuna necessità di ricorso alla cd. expressio causae, che del resto non è richiesta dagli artt. 2346 e 2468, qualifica come motivi esterni allo schema causale tipico – societario – quelli di volta in volta endo-societari piuttosto che etero-societari, e ottiene il risultato di non esporre l’ente costituito ai vizi inerenti al rapporto tra beneficiario e conferente, che non possono così provocare alcuna ripercussione in ambito “sociale”. La ricostruzione quale schema tipico, causalmente autonomo, permette inoltre di eliminare ogni dubbio relativo all’aspetto formale e di ritenere che non vi sia alcun obbligo particolare – si pensi, ad esempio, alla necessità dei testimoni – anche quando i motivi esterni siano ascrivibili a mera liberalità(12).

La stabilità sul versante societario pare, a chi scrive, la conquista maggiore di questa ricostruzione: ritenere che la società rimanga sempre e comunque insensibile alle vicende “sottostanti” (al rapporto, cioè, tra le persone dei soci e, in particolare, all’eventuale arricchimento dell’uno reciproco all’impoverimento dell’altro), rappresenta uno dei fattori determinanti per il successo dell’istituto. Se attraverso un’assegnazione non proporzionale si pone in essere una liberalità indiretta, non può escludersi la possibile applicazione delle norme in materia di collazione e di riduzione, secondo i principi generali ed in presenza dei presupposti di legge; ma l’eventuale vittorioso esperimento dell’azione – ad esempio di riduzione – non potrebbe che provocare una modifica nell’intestazione della partecipazione e non “invalidarla”, con conseguenti ripercussioni sull’ente collettivo.

La soluzione sembra essere giustificata da numerosi elementi: ove si fosse inteso far operare queste tecniche secondo i principi che regolano il contratto a favore del terzo, piuttosto che l’adempimento del terzo, non vi sarebbe stata alcuna necessità di un’espressa previsione normativa, oltre tutto inserita nel libro dedicato alle società; essa è perfettamente coerente con un’impostazione generale del legislatore in materia societaria, già presente ante ed amplificata post riforma, volta a garantire la stabilità dei rapporti(13); ma soprattutto non lede sotto alcun profilo i principi generali, poiché il capitale della società è realmente sottoscritto e versato nei modi di legge ed il principio di integrità ed effettività perfettamente rispettato. Non si ravvisa pertanto alcun motivo per porre in dubbio l’esistenza della partecipazione od addirittura della società e la questione si limita all’esigenza di individuare il reale e definitivo intestatario della partecipazione.

Un’ultima conferma, anche se meramente empirica, deriva dalla circostanza che anche prima della riforma un risultato in tutto e per tutto analogo – sul piano dei rapporti tra i soci – poteva essere raggiunto attraverso il ricorso alla disciplina del soprapprezzo, poiché “nessuno dubitava infatti – e non dovrebbe dubitarsi nemmeno ora – della legittimità di un atto costitutivo nel quale solo uno dei soci assume a proprio carico un forte sovrapprezzo, senza che venissero esplicitati il motivo o la fonte di tale squilibrio”(14). Il pregio della nuova opzione consiste nella possibilità di una integrale capitalizzazione nominale – rendendo la pattuizione rilevante anche per la società – del valore dei conferimenti, che in precedenza era fortemente sottostimato proprio per l’indispensabile ricorso alla disciplina del soprapprezzo.

4. Tratti ricostruttivi delle assegnazioni non proporzionali.

In termini generali, gli artt. 2346, comma quarto, e 2468, comma secondo, confermano il carattere tendenzialmente plutocratico delle società di capitali, ma allo stesso tempo rompono con la sua più rigida applicazione, che trovava una traduzione normativa nel doppio principio di proporzionalità vigente ante riforma: non solo era necessaria un’esatta corrispondenza tra la somma dei conferimenti effettuati da tutti i soci e l’importo del capitale della società(15), ma era altresì inderogabile quella tra il conferimento effettuato e la partecipazione attribuita al singolo socio(16).

Il criterio secondo cui ad un più rilevante impegno economico – e quindi ad un incremento del rischio d’impresa – debba corrispondere una partecipazione superiore al rapporto sociale (o, come è costume dire, al capitale), con un conseguente maggior potere all’interno dell’ente, trova così oggi un’applicazione non più rigida ed inderogabile, ma solo tendenziale; gli equilibri di potere interni alla struttura societaria possono infatti essere alterati attraverso il ricorso a strumenti più duttili di quelli ammissibili sino al 2004, come le azioni speciali e diritti particolari del socio, piuttosto che le assegnazioni non proporzionali(17).

Ad un’attenta analisi, non può infatti sfuggire che il reale vincolo all’autonomia delle parti è rappresentato unicamente dal principio dell’integrità del capitale sociale, fissato nell’interesse dei terzi e dell’intero sistema: se quindi appare indispensabile continuare a garantire una corretta formazione del capitale ed una sua integrale copertura, come ribadiscono gli artt. 2346, comma quinto, e 2464, comma primo, non sembra invece assumere alcuna rilevanza esterna alla società come esso sia ripartito tra i soci. La possibilità aggiuntiva offerta dalla riforma si basa sulla rimozione del divieto di emissione di azioni sotto la pari: un prezzo di emissione inferiore al valore nominale o alla parità contabile di ogni azione è oggi non tanto tollerato dall’ordinamento, nei limiti in cui vi siano altri soci disposti a “compensare” il deficit, quanto irrilevante, essendo il prezzo di emissione da riferirsi a tutte le azioni e da ragguagliarsi al capitale nominale.

“Consentire ai soci di regolare l'incidenza delle rispettive partecipazioni sociali sulla base di scelte contrattuali”(18) significa rendere dispositivo il principio regolatore della ripartizione “interna” delle azioni/quote, ammettendo fenomeni di cosiddetta capitalizzazione negoziale; e significa altresì rendere rilevante la ripartizione non proporzionale alle quote di partecipazione del valore globale dei conferimenti anche nei rapporti tra l’intestatario e/o i suoi aventi causa e la società, come meglio vedremo infra.

Le assegnazioni non proporzionali si pongono pertanto come validi strumenti di composizione degli interessi dei soci, suscettibili, peraltro, di attenuare non tanto la funzione “organizzativa” del capitale – pensato il capitale nominale come metafora del rapporto sociale, i poteri e gli oneri dei soci si misurano ragguagliando al capitale e non al rapporto la partecipazione di ciascuno - quanto il principio plutocratico, il principio per il quale vantaggi e carichi sono proporzionali alla ricchezza da ciascuno destinata a servizio dell’iniziativa collettiva(19).

L’atto costitutivo/statuto deve espressamente optare per la ripartizione non proporzionale: e se taluno ha salutato il vincolo dell’espressa previsione con favore, in quanto ulteriore valorizzazione dell’autonomia negoziale delle parti, altri ne hanno colto la sostanziale inutilità. Affermare una simile necessità nella fase costitutiva della società non pare sostenibile né dal punto di vista formale, poiché mancando ancora l’ente non ha senso porsi la questione della ricorrenza di una sua regola organizzativa, né dal punto di vista sostanziale, non essendovi alcuna ragione di una previsione “autorizzativa” allorquando il contesto di riferimento è puramente negoziale e governato dalla regola unanimistica.

Le considerazioni da svolgere con riferimento all’aumento del capitale sociale sono invece diverse. In primo luogo l’obbligo della previsione statutaria potrebbe costituire un indice della possibilità di applicare la capitalizzazione negoziale dei conferimenti anche ad una fase successiva a quella costitutiva ma, come vedremo oltre, ciò non è posto in dubbio da alcuno e muove da argomentazioni ben più solide di questa, puramente testuale(20).

La necessità di raccordo con la disciplina dei diritti di opzione/sottoscrizione, con riferimento a clausole di prelazione e/o gradimento operanti anche per essi, e, soprattutto, l’operatività dello schema senza la necessità del consenso unanime di tutti i soci, che sarà affrontata oltre, sono invece fattori che possono dare un significato alla prescrizione legislativa.

Se infatti non ha ragion d’essere il dibattito sul necessario consenso di tutti i soci con riferimento alla fase costitutiva, è interessante porsi la domanda se sia possibile utilizzare gli articoli in commento in sede di aumento del capitale sociale prescindendo dall’approccio unanimistico e sposando una tesi favorevole all’applicazione della regola maggioritaria: o meglio di una tesi che richiede una maggioranza qualificata non solo dal punto di vista quantitativo, ma anche qualitativo, comprendente tutti coloro i quali sono destinati a sopportare il maggior “peso” economico dell’apporto “sotto la pari” effettuato dai beneficiari dell’assegnazione non proporzionale. Nessuna norma o principio generale sembra imporre, infatti, che il maggior sacrificio economico derivante dall’assegnazione debba essere sostenuto proporzionalmente da tutti gli altri soci, ed il contesto di forte autonomia all’interno del quale la previsione si colloca sembra indirizzare verso la soluzione opposta, nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza ed evitando ogni possibile “abuso di maggioranza”(21).

Entrambe le previsioni, infine, si rivelano estremamente flessibili, lasciando società e soci liberi di scegliere come dare attuazione all’assegnazione non proporzionale: sarà cioè possibile attribuire partecipazioni paritetiche a fronte di conferimenti diseguali, così come, all’opposto, potranno essere assegnate in eguale misura ove i conferimenti siano – anche fortemente – diseguali(22).

5. L’ipotesi del socio non conferente.

Una questione centrale, che può decretare un’ampia o più ridotta applicazione delle assegnazioni non proporzionali, ruota intorno alla figura del socio non conferente, intesa come estrema applicazione della flessibilità richiamata.

Secondo taluno(23), infatti, non sarebbe ipotizzabile una società dove A effettua tutti i conferimenti – siano essi in denaro, natura, opera e/o servizi, in caso di s.r.l. – e B si limita a partecipare al contratto sociale divenendo, per tale circostanza, socio a pieno titolo: così facendo, infatti, si violerebbero due principi cardine del diritto societario, il divieto del patto leonino – cfr. art. 2265 c.c. – e la definizione stessa del contratto di società – cfr. art. 2247 c.c. – che ruota intorno alla necessaria esistenza del conferimenti.

A simili considerazioni si potrebbe replicare invocando altre ipotesi contemplate dalla legge la cui validità è indiscussa come, ad esempio, l’art. 2349 c.c., comma primo, che delinea una situazione in tutto e per tutto analoga allorquando ammette che l’assemblea straordinaria possa attribuire utili ai dipendenti della società mediante assegnazione agli stessi di azioni di nuova emissione. Su di un altro piano, ed accettando una definizione più ampia e meno restrittiva del concetto di “conferimento”, si potrebbero escludere dalla censura avanzata tutte le ipotesi nelle quali il socio non conferente, pur non conferendo in senso tecnico alcunché nella società, si impegna comunque ad effettuate un apporto non computabile nel capitale nominale a favore della stessa.

Ma a ben vedere, esistono ulteriori e più forti argomentazioni in grado di sciogliere la riserva in senso positivo, che più che soffermarsi sulla “fattispecie acquisitiva” della partecipazione(24) analizzano il contenuto della partecipazione, non riscontrandovi alcuna differenza con le ipotesi nella quali il socio effettua un conferimento.

Non si deve in primo luogo dimenticare che la società riceve effettivamente un conferimento, che il suo capitale è interamente sottoscritto e versato nei modi di legge, seppure da altri soci, e che non si registra alcun attentato al principio di integrità ed effettività: è solo dalla visuale del singolo socio non conferente che si registra una presunta gratuità, peraltro non necessariamente coincidente con una causa liberale. Quanto al patto leonino, pare difficile ravvisarne una violazione poiché, chiarito che la sua operatività attiene al contenuto della partecipazione e non alla “fattispecie acquisitiva”, il socio beneficiato risente sicuramente delle perdite e gode dei guadagni in misura proporzionale alla entità della partecipazione al capitale assegnatagli, non essendo in alcun modo sollevato dal rischio d’impresa.

Si può poi eccepire alla tesi rigorista che l’art. 2328, comma secondo, n. 2, in materia di s.p.a., si limita a richiedere che nell’atto costitutivo vi sia indicazione della azioni a ciascun socio assegnate, e non da ciascun socio sottoscritte(25); che la posizione del socio non conferente non è distinguibile da quella del donatario della partecipazione, donata dopo la sua integrale “liberazione” ad opera del donante; che la richiesta formalistica di un conferimento, seppur minimo, in ossequio all’art. 2247, porrebbe il serio problema dell’individuazione del limite idoneo a ritenere rispettata la norma e non integrata la frode, sembrando cioè sufficiente un conferimento anche irrisorio per poter beneficiare taluno dell’assegnazione non proporzionale di una partecipazione il cui valore potrebbe essere un multiplo – in ipotesi anche milionario – di quanto versato alla società; che nessuna delle norme in questione pone un limite espresso in tal senso, non facendo alcun cenno alla questione e legittimando quindi, in un contesto di ampia delega all’autonomia delle parti, la lettura più liberale(26).

La soluzione positiva è quindi ammissibile e conduce alla piena utilizzabilità delle assegnazioni non proporzionali anche nell’ipotesi estrema in cui il beneficiario non apporti in società alcuna entità imputabile a capitale.

L’ipotesi inversa, del conferente non socio, è di più semplice lettura: in questo caso, infatti, non vi è alcun dubbio che colui il quale libera il conferimento, o comunque ne assume l’impegno, non “partecipa” al contratto di società, non diventa socio e non assume nessuno dei conseguenti obblighi; tali presupposti consentono di qualificare la sua implicazione nella fase costitutiva della società mediante il ricorso a schemi di diritto comune, quali l’adempimento del terzo o la delegazione(27).

6. Analisi di alcuni problemi applicativi.

L’estrema ermeticità del dato legislativo rende auspicabile che l’atto costitutivo/statuto facciano estrema chiarezza su molte questioni applicative che si pongono; il compito dell’interprete rimane comunque arduo, poiché molte norme rivelano una carenza di coordinamento con l’istituto in esame e costringono a proporre interpretazioni ardite o comunque fortemente antiletterali.

A ciò si aggiunga la considerazione che la visione di fondo dell’istituto è destinata ad influenzare profondamente l’individuazione della disciplina di default. Si potrebbe infatti ritenere che il sistema della assegnazioni non proporzionali incida solo sulla ripartizione delle partecipazioni tra i soci, ma non nei rapporti tra titolare della partecipazione, conferente e società; oppure si potrebbe muovere dal presupposto opposto, come si è fatto nelle pagine seguenti, ammettendo cioè che il singolo socio possa effettuare un conferimento “sotto la pari”, in quanto compensato dal maggiore conferimento di un altro socio.

In altre parole, la ripartizione del rapporto sociale non proporzionale al conferimento può essere ottenuta attraverso l’adempimento del debito altrui di conferimento ragguagliato alla misura della partecipazione (o, più in generale, attraverso un’attribuzione alla società a titolo di conferimento a valere per altri) piuttosto che attraverso una dissociazione “statutaria” tra valore del conferimento e ripartizione del rapporto sociale (o, se si vuole, del capitale sociale).

Oltre ad influenzare la soluzione delle questioni che seguono, la scelta di fondo si ripercuote anche sul possibile coordinamento con numerose norme modificate e/o mantenute nel testo previgente dal legislatore della riforma, senza porre, forse, attenzione all’istituto in esame: la prima opzione, ad esempio, farebbe risultare pleonastico il richiamo degli artt. 2346, comma quinto, e 2464, comma primo, alla necessità che “il valore dei conferimenti” non sia “complessivamente inferiore all’ammontare globale del capitale sociale”, posto che singolarmente ogni conferimento di ogni socio sarebbe pari all’ammontare del capitale dallo stesso sottoscritto (A sottoscrive e conferisce 30, nell’esempio precedente); allo stesso tempo, però, tale posizione non costringerebbe ad un’interpretazione adeguatrice degli artt. 2343, comma primo, e 2465, comma primo, allorquando, in materia di attestazione dell’esperto – il valore dei conferimenti “è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell’eventuale soprapprezzo” – nell’ambito della relazione di stima dei conferimenti in natura (immaginando che A sottoscriva per 50 ma conferisca unicamente un bene in natura del valore di 30) si porrebbe il problema di una dichiarazione non conforme a quanto previsto dal legislatore(28).

E’ preferibile la seconda delle impostazione delineate. Volendo infatti attribuire una compiuta autonomia alla novità normativa, e realizzare ciò che prima della riforma era confinato all’utilizzo del sovrapprezzo, si deve concludere nel senso che il conferimento non proporzionale alla partecipazione debba assurgere a fenomeno rilevante anche per la società ed i terzi aventi causa.

La prima questione che si pone concerne l’individuazione del soggetto su cui grava l’obbligo di liberazione integrale del conferimento in denaro, ove l’intera somma non sia versata contestualmente alla sottoscrizione. Una prima, semplicistica, ipotesi potrebbe individuare il titolare delle partecipazioni quale soggetto obbligato verso la società, salvo il diritto di rivalersi nei confronti dell’originario sottoscrittore tenuto a sopportare il maggior onere economico dell’assegnazione non proporzionale. Ma la soluzione non sembra cogliere l’essenza dell’istituto; più coerente sembra ritenere obbligato verso la società chi ha assunto l’impegno di conferire ed ha, in sostanza, sottoscritto azioni/quote ad un “prezzo” superiore al valore nominale o a quello di parità contabile delle stesse, sopportando così il maggior onere economico dell’assegnazione non proporzionale(29).

Il problema dell’applicabilità della disciplina della mora del socio (artt. 2344 e 2466) si presenta invece diverso. La diffida iniziale dovrebbe essere indirizzata anche al beneficiario dell’assegnazione non proporzionale/titolare della partecipazione in quanto, anche se non è il soggetto giuridicamente tenuto all’adempimento, è pur sempre colui il quale sopporterebbe le conseguenze negative dell’evoluzione della procedura, con riferimento alla vendita in danno ed alla decadenza, e quindi potrebbe essere interessato a venire a conoscenza di tale atto. Conclusione opposta dovrebbe operare per la richiesta di maggior danno, che non potrebbe colpire un soggetto che mai ha assunto l’impegno relativo alla liberazione del conferimento; la sospensione dell’esercizio del voto, infine, per quanto rappresenti uno strumento di pressione per indurre il soggetto in mora ad adempiere, non può che colpire il titolare della partecipazione, rivelandosi altrimenti l’assegnazione non proporzionale una singolare ipotesi nella quale la tutela di un principio cardine del diritto societario – l’integrità del capitale – cede il passo ad un interesse privato – quello del beneficiario al voto – e rende inoperante una parte del meccanismo sanzionatorio e di tutela previsto dal legislatore(30).

Più semplice sembra invece la soluzione nel caso di trasferimento delle partecipazioni il cui titolare sia il beneficiario dell’assegnazione non proporzionale, non avendo peraltro il conferente ancora assolto integralmente ai suoi obblighi. La responsabilità solidale triennale del venditore che le norme contemplano è destinata a non operare nel caso in esame, poiché tale opzione configurerebbe una singolare ipotesi a fronte della quale un soggetto – il beneficiario dell’assegnazione – libero inizialmente – in tutto o in parte - dall’obbligazione verso la società diventerebbe obbligato seppure in via solidale, per il mero fatto di aver ceduto la partecipazione(31).

Coerentemente, analoga conclusione deve trarsi per l’acquirente della partecipazione, posto che potrebbe legittimamente rifiutarsi di corrispondere “decimi” che il suo dante causa non era tenuto a corrispondere alla società pur essendo intestatario di una quota del rapporto sociale di valore – nominale o solo contabile – superiore al valore del conferimento di sua spettanza.

Una precisazione merita, forse, di essere fatta con riferimento alla disciplina azionaria, il cui regime circolatorio non sembra in grado di “incorporare” nel titolo una differente ripartizione degli obblighi di versamento. In questo caso la pretesa resterà esercitabile contro il conferente e chi subentra nel rapporto sarà bensì ex lege obbligato in solido per i versamenti non ancora effettuati dal conferente; tuttavia potrà invocare contro la società come quietanza la documentazione sul titolo dei versamenti già effettuati e potrà avvalersi della clausola dello statuto/atto costitutivo per limitare il proprio debito al debito del conferente(32).

Il ricorso alle assegnazioni non proporzionali nella s.p.a. a fronte di conferimenti in natura, in caso di esito negativo della revisione della stima, è un’ipotesi ancora più complessa.

In relazione ai numerosi problemi che si pongono, è assolutamente opportuno cogliere l’invito che il legislatore ha rivolto ai soci, auspicando che l’atto costitutivo – cfr. art. 2343, ultimo comma – preveda che “per effetto dell’annullamento delle azioni disposto nel presente comma si determini una loro diversa ripartizione tra i soci”; invito cui può essere data una lettura estensiva, tesa a regolamentare statutariamente anche le differenti ipotesi di esercizio degli altri diritti ivi contemplati, a partire da quello di integrare il conferimento(33).

In caso contrario, l’unico punto pressoché pacifico attiene proprio alle conseguenze dell’annullamento delle azioni, che colpisce indistintamente e proporzionalmente tanto le azioni di chi ha assunto l’obbligo di conferire, quanto quelle del beneficiario, senza cioè che il primo possa esercitare alcuna facoltà unilaterale di scelta al riguardo(34).

La seconda questione verte sull’individuazione del titolare della scelta di integrare il valore del conferimento che, stando al tenore letterale della norma, spetterebbe unicamente a chi ha assunto l’obbligo di conferire, ma secondo un’interpretazione adeguatrice può competere anche all’azionista beneficiato: la soluzione proposta non lede alcun principio, ottiene l’effetto di salvaguardare l’integrità del capitale sociale e permette di agire anche all’intestatario delle azioni, titolare di un interesse giuridico in quanto subirebbe le conseguenze negative dell’annullamento della partecipazione(35).

La facoltà di recesso pone eguali problemi interpretativi, ma la tesi che affida la scelta ad entrambi i soggetti si lascia preferire: taluno sostiene che solo il soggetto che ha sopportato il sacrificio economico del conferimento debba poter valutare l’adeguatezza delle azioni emesse ed attribuite, e quindi conclude affidandogli in esclusiva l’opzione(36); altri ritengono che il riconoscimento del diritto di recedere ad entrambi sia giustificato dalla definitività degli effetti dell’assegnazione nell’altrui sfera giuridica e dalla possibilità che essa dia attuazione non ad un mero intento liberale ma, ad esempio, ad un apporto non capitalizzabile(37).

7. Applicabilità delle assegnazioni non proporzionali all’aumento di capitale.

L’ultimo tema rilevante da affrontare concerne la possibilità di utilizzare questo istituto anche durante societate, in sede di aumento del capitale sociale.

L’ipotesi è particolarmente interessante e, se non pone alcun dubbio in presenza di un consenso unanime dei soci, induce a chiedersi se sia possibile farne applicazione in presenza di una deliberazione dell’assemblea – straordinaria per la s.p.a. – adottata a maggioranza. Già nel paragrafo 4 si è cercato di spiegare come sia possibile prescindere dall’applicazione del principio unanimistico, anche se ciò deve conciliarsi con il rispetto dei principi di parità di trattamento, buona fede e correttezza, e confrontarsi con la problematica di un possibile abuso della maggioranza a danno della minoranza(38). Alcuni Autori ammettono esclusivamente una deliberazione della società assunta con il consenso unanime di tutti i soci(39), così svuotando di fatto il contenuto della previsione legislativa e circoscrivendone le possibilità di applicazione in modo inversamente proporzionale all’ampiezza della compagine sociale; altri, a nostro avviso più correttamente, si mostrano possibilisti sull’applicazione della regola maggioritaria, purché al dato quantitativo – i quorum previsti dalla legge piuttosto che dallo statuto – si sommi quello qualitativo – appartenenza al quorum dei soci favorevoli di coloro i quali sopportano il maggior sacrificio economico derivante dalle assegnazioni non proporzionali e, forse, anche dei soci beneficiati –(40).

Se quindi la delibera di aumento volesse beneficiare alcuni soci offrendo loro azioni/quote a prezzo inferiore al nominale, “spalmando” il conseguente sacrifico economico – offerta in opzione/sottoscrizione di partecipazioni a prezzo superiore al valore nominale, non imputabile a soprapprezzo bensì a capitale, a copertura dei conferimenti insufficienti dei beneficiari dell’assegnazione non proporzionale – su tutti i soci, non si potrebbe prescindere dal consenso unanime di tutta la compagine sociale; se, invece, l’onere economico dovesse essere sopportato solo da alcuni dei soci, sarebbe sufficiente una delibera assunta a maggioranza, tra i consenzienti dovendo essere compresi proprio i soci che conferiranno il plusvalore necessario a coprire quanto non conferito dai beneficiati dell’operazione.

Una simile ricostruzione postula che nella delibera siano contemplati prezzi di emissione differenti e che l’aumento deliberato sia inscindibile, onde evitare che sottoscrizioni e conferimenti “asimmetrici” portino ad una violazione dei principi espressi dagli artt. 2346, comma quinto, e 2464, comma primo, ossia dell’integrità ed effettività del capitale sociale(41).

Analizzando la delibera maggioritaria nell’ottica di chi non votasse a favore dell’aumento di capitale con assegnazioni non proporzionali, non si ravvisa infatti alcuna violazione della sfera giuridica ed economica del singolo: non verrebbe leso il suo diritto di opzione/sottoscrizione, esercitabile al prezzo sancito dalla delibera per tutti i soci non interessati all’assegnazione asimmetrica ed in proporzione alla partecipazione al capitale detenuta ante aumento; non vi sarebbe alcun abuso della maggioranza, posto che l’onere economico della assegnazione non proporzionale sarebbe sostenuto da altri soci; non verrebbe lesa la sua posizione soggettiva all’interno della società, sia perché la partecipazione al capitale rimarrebbe proporzionalmente inalterata in caso di sottoscrizione dell’aumento di capitale, come in un’ordinaria delibera di aumento, sia perché la redistribuzione delle partecipazioni tra gli altri soci conseguente all’assegnazione non proporzionale – che non lede, si ripete, il potere proporzionale dell’interessato all’interno della società – sarebbe la mera conseguenza di una clausola statutaria operante per la società.

La presenza della clausola statutaria programmatica spiega invece la sua efficacia nei confronti della indubitabile interferenza dell’assegnazione non proporzionale in sede di aumento di capitale con eventuali previsioni inerenti la prelazione e/o il gradimento, operative anche per i diritti di opzione/sottoscrizione. Si tratta, evidentemente, di regolare un conflitto tra previsioni – statutarie, appunto – aventi pari rango, per la risoluzione del quale sarà sufficiente avere l’accortezza, in sede di predisposizione dello statuto, di prevedere espressamente l’inoperatività delle clausole di monitoraggio del trasferimento dei diritti di opzione/sottoscrizione allorquando la società abbia deliberato un aumento di capitale che contempla assegnazioni non proporzionali(42).

Si potrebbe infine ritenere che, in presenza della clausola statutaria programmatica, la norma possa operare anche in presenza di una normale deliberazione di aumento del capitale sociale a pagamento: il caso è cioè quello in cui i singoli soci, accordandosi autonomamente tra loro senza alcun coinvolgimento della società, decidano di avvalersi della previsione statutaria ed effettuino le sottoscrizioni ed i conferimenti chiedendo alla società, che non potrebbe opporsi, un’assegnazione non proporzionale delle partecipazioni ex aumento. Ma l’ipotesi sembra più correttamente da inquadrare negli schemi di diritto comune, precedentemente illustrati del contratto, piuttosto che della parziale/totale alienazione dei diritti di opzione/sottoscrizione, con tutti i conseguenti problemi in relazione ad eventuali prelazioni statutarie: per l’inquadramento giuridico nell’istituto delle assegnazioni non proporzionali, infatti, pare indispensabile che l’asimmetria derivi da una deliberazione assunta dalla società, con le cautele appena illustrate, e non da un semplice accordo tra i soci interessati alle sottoscrizioni(43).


(1) P. Guida, L’assegnazione di partecipazioni sociali in misura non proporzionale al conferimento, in Riv. dir. priv., 2008, 399, segnala alla nota 1 una “differente impostazione sintattica” delle due norme, giudicandole però “identiche nel contenuto sostanziale”.
(2) La prima esigenza segnalata, ad esempio, può essere soddisfatta attraverso il ricorso a numerosi istituti: le azioni speciali – cfr. 2348 c.c.: una categoria di azioni potrebbe esprimere la minoranza dei consiglieri, piuttosto che avere un potere di veto su certe operazioni – ed i diritti particolari del socio (art. 2468, comma terzo, c.c.); ed ancora si potrebbero immaginare per la s.p.a. soluzioni intermedie basate sugli strumenti finanziari (art. 2346, comma sesto, c.c.) che, pur non concedendo la qualità di socio al sottoscrittore, permettono alla società di attrarre finanziamenti riconoscendo ai finanziatori diritti amministrativi.
(3) Su tale aspetti vedi ampiamente: G.A. Rescio, Distribuzione di azioni non proporzionale ai conferimenti effettuati dai soci di s.p.a., in Aa. Vv., Il nuovo diritto societario tra società aperte e società private, a cura di P. Benazzo, S. Patriarca e G. Presti, Milano, 2003, 107 ed ivi 108 ss.; D.U.Santosuosso, La riforma del diritto societario, Milano, 2003, 56 ss.; F. Tassinari, I conferimenti e la tutela dell’integrità del capitale sociale, in C. Caccavale, F. Magliulo, M. Maltoni, F. Tassinari, La riforma della società a responsabilità limitata, Milano, 2003, pp. 70-71; F. Magliulo, Le categorie di azioni e strumenti finanziari nella nuova s.p.a., Milano, 2004, p. 10 ss.; R. Bocca, Commento all’art. 2346, 1° e 5° comma, in Il nuovo diritto societario, Commentario, diretto da G. Cottino e G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti, Bologna, 2004, , vol *, p. 218 ed ivi p. 229 ss.; M. Notari, Commento all’articolo 2345, commi 1-5, in Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari, Azioni artt. 2346-2362 c.c., Milano, 2008, p. 3 ed ivi p. 43 ss.; P. Guida, op. cit., p. 402 ss..
(4) Sul tema vedi in generale vedi Portale, I conferimenti in natura “atipici” nella s.p.a., Milano, 1974, e di recente M. Miola, I conferimenti in natura, in Tratt. delle soc. per az., diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, Torino, 2004, vol. 1***, p. 3 ed ivi p. 236 ss..
(5) Il socio industriale conferiva 1 ed il socio finanziatore conferiva 100, entrambi in denaro: la compensazione tra i valori dei rispettivi apporti (in ipotesi valutati eguali dai due soci) avveniva fissando un capitale pari a 2, attribuendo due partecipazioni di egual valore ai due soci, ed imputando a soprapprezzo il plusvalore di 99 versato dal socio finanziatore.
M. Notari, op. cit., p. 32 ss., spiega la differenza strutturale tra la fattispecie in esame e la possibile utilizzazione di soprapprezzi, anche diversi tra i vari soci, per compensare sul piano dei diritti sociali le differenze di valore tra più conferimenti.
(6) L’opinione che ritiene indispensabile il ricorso alla relazione giurata di stima è assolutamente prevalente ed è stata fatta propria sia dalla Commissione società del Consiglio Notarile di Milano, Massima n. 9, consultabile in http://www.scuoladinotariatodellalombardia.org/massime.htm, sia dalla Commissione del Comitato Interregionale del Triveneto, Massima I.A.5., consultabile in http://www.trivenetogiur.it.
(7) A. Stagno d’Alcontres, Commento all’art. 2346, in Società di capitali. Commentario, a cura di G. Niccolini e A. Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, vol. 1, p. 251 ed ivi p. 260, e C. Formica, Commento agli artt. 2346-2354, Il nuovo diritto delle società, a cura di A. Maffei Alberti, Padova, 2005, vol. I, p. 165 ed ivi p. 168: probabilmente l’opinione di questi Autori risente della loro posizione negativa in ordine all’ammissibilità del socio non conferente, che sarà esaminata approfonditamente oltre.
(8) Un esempio può ben chiarire le considerazioni svolte: A e B decidono di costituire una società paritetica conferendo entrambi beni in natura, che essi suppongono avere valore sostanzialmente analogo. Se i periti stimano i beni in natura rispettivamente 100 e 50, A e B, per dare esecuzione al loro accordo, avevano prima l’unica possibilità di fissare un capitale non superiore a 100 (suddividendolo in due partecipazioni pari a 50 ciascuno) e di imputare a riserva i residui 50 conferiti da A; oggi possono legittimamente imputare a capitale l’intero valore conferito (150), assegnandosi ugualmente due partecipazioni paritetiche, pari a 75 ciascuna.
(9) Se anche la società non distribuisse mai utili, il socio che presta la propria attività, o assume particolari incarichi, sarebbe comunque “remunerato”: l’assegnazione non proporzionale della partecipazione, infatti, gli attribuirebbe, in termini più che proporzionali, tutti i diritti sociali, sia economici – si pensi alla quota di liquidazione, ad esempio – sia amministrativi.
(10) In questo senso si pronunciano P. Guida, op. cit., p. 407 ss.; F. Magliulo, op. cit., p. 13 ss.; M. Notari, op. cit., pp. 44-45 e, pare, anche M. Onza, Partecipazione al capitale e partecipazione al rapporto sociale (appunti sulla derogabilità convenzionale della proporzione tra conferimento e quota), in Riv. dir. civ., II, 2007, p. 709 ed ivi p. 718. Di diverso avviso, ad esempio, E. Ginevra, Conferimenti e formazione del capitale sociale nella costituzione della s.r.l., in Riv. soc., 2007, 102 ed ivi p. 150 ss., che limita l’operatività delle previsioni alla ricorrenza di motivi tipicamente “endosocietari”; P. Ferro Luzzi, La “diversa assegnazione” delle azioni (art. 2346, comma 4°, c.c.), in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, 1, Torino, 2006, 581 ed ivi p. 588, sembra invece propendere per la tesi proposta nel testo.
(11) Su questi aspetti, vedi in particolare P. Guida, op. cit., p. 407 ss. e F. Magliulo, op. cit., p. 13 ss., ove anche ampi riferimenti dottrinali.
(12) Si tratterebbe infatti di una liberalità indiretta; in modo conforme M. Notari, op. cit., p. 44 alla nota 110.
(13) Si pensi, solo per fare alcuni esempi, alle preesistenti discipline della nullità ex art. 2332 c.c. o alla tutela meramente risarcitoria offerta successivamente all’iscrizione dell’atto di fusione o di scissione nel registro delle imprese; ed ancora al nuovo regime delle impugnative delle deliberazioni assembleari ed all’estensione del regime delle invalidità tipico delle fusioni e delle scissioni alle trasformazioni, ex art. 2500 bis c.c..
(14) Con queste parole M. Notari, op. cit., p. 45.
(15) Più precisamente non era lecito – e non lo è oggi – stabilire un capitale superiore alla somma dei conferimenti. Era pertanto possibile ottenere un risultato simile alle attuale assegnazioni non proporzionali evitando di “capitalizzare” tutti i conferimenti effettuati soci ed agendo attraverso l’utilizzazione di soprapprezzi asimmetrici: diffusamente sul punto M. Notari, p. 32 ss..
(16) Per P. Ferro Luzzi, op. cit., 583, trattasi di “un principio generale, ed in realtà due, connessi: il principio della proporzionalità per ogni socio tra numero di azioni e parte del capitale che ha contribuito a formare, ed il principio del valore complessivo della partecipazione, valore che non deve essere superiore al valore del conferimento di ciascun socio”; e quindi, con riferimento alle assegnazioni non proporzionali, di “eccezione che sembra riguardare in via diretta il principio di proporzionalità, ma che in via mediata investe anche il principio del valore”.
(17) Su questi aspetti vedi P. Spada, Appunto in tema di capitale nominale e di conferimenti, Studio 127-2006/I, approvato il 15 settembre 2006 e consultabile in www.notariato.it.
(18) Queste, appunto, le parole utilizzate dalla legge delega sia per le s.p.a. che per le s.r.l..
(19) Cfr., su questo punto, M. Onza, op. cit., p. 721.
(20) M. Notari, op. cit., 48, alla nota 117, evidenzia come sia dubbia l’utilità della previsione anche sul piano più generale, intendendola come requisito necessario per l’assunzione di deliberazioni ulteriori dell’assemblea – straordinaria nel caso della s.p.a. – modificative dello statuto.
(21) Vedi spunti in questa direzione in M. Miola, op. cit., pp. 242-243. Anche P. Ferro Luzzi, op. cit., pp. 588-589, fornisce una risposta positiva alla domanda “se il formale squilibrio possa riguardare solo una parte dei soci”.
(22) Cfr. L. Pomponio, Contributo alla ricostruzione teorico-pratica delle assegnazioni di azioni e quote non proporzionali, in Società, 2007, 1070.
(23) L’opinione restrittiva è sostenuta da A. Stagno D’Alcontres, op. cit., pp. 259-260, il quale ritiene essenziale che il socio partecipi non semplicemente al contratto sociale, ma più precisamente alla formazione del capitale sociale; cauto sulla questione, in sede di primo commento delle norme, anche D. Santosuosso, op. cit., p. 58, in virtù di una possibile violazione della parità di trattamento tra i soci; analogamente E. Ginevra, op. cit., p. 149.
(24) Come ben colto da M. Notari, op. cit., p. 46.
(25) Anche se il dato letterale appare parzialmente contraddittorio nella s.r.l., per la quale l’art. 2463, comma secondo, n. 5, chiede invece l’indicazione dei “conferimenti di ciascun socio”. L’argomento in questione non può essere risolutivo, poiché creerebbe un’ingiustificata differenza di disciplina tra la s.p.a. e la s.r.l., trattandosi invece, come detto all’inizio di questo studio, di un istituto che ha identici spazi applicativi nei due tipi sociali.
(26) Queste considerazioni, e quindi la risposta positiva al quesito, sono state inizialmente sviluppate da G.A. Rescio, op. cit., p. 111 ss., ed in parte da F. Tassinari, op. cit., p. 70 e V. Santoro, Commento all’art. 2346, in La riforma delle società, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, Torino, 2003, tomo I, p. 126 ed ivi p. 130; successivamente sono state condivise e riprese da F. Magliulo, op. cit., p. 17 ss.; P. Guida, op. cit., p. 414 ss.; C. Formica, op. cit., p. 169; P. Ferro Luzzi, op. cit., p. 588. M. Notari, op. cit., pp. 45-47, aggiunge la considerazione che neanche può parlarsi di mancanza di causa dell’attribuzione, posto che la partecipazione al contratto sociale è idonea ad integrare quella causa societatis in grado di “sorreggere” l’istituto: essa giustifica l’assegnazione, e non la necessità di “partecipare” alla formazione del capitale sociale.
(27) In questo senso M. Notari, op. cit., p. 47, e M. Onza, op. cit., p. 711 ss..
(28) Ovviamente il conferimento in natura sotto la pari dovrebbe necessariamente essere “compensato” da altro conferimento – in natura od in denaro – di un altro socio: nell’esempio, infatti, B conferisce per 70 pur avendo sottoscritto per 50.
(29) Questa è la soluzione adottata da M. Notari, op. cit., p. 37, F. Magliulo, op. cit., p. 20 e P. Guida, op. cit., p. 417.
(30) Pare forzare troppo il dato normativo la proposta di sanzionare con la sospensione del voto il soggetto tenuto alla liberazione del conferimento: sia perché, ove fosse socio, subirebbe una sanzione in relazione ad una partecipazione di sua titolarità che potrebbe aver, in ipotesi, già interamente liberato e comunque in ordine alla quale la prestazione inadempiuta è del tutto estranea; sia perché, ammettendosi come detto in precedenza l’ipotesi del conferente non socio, potrebbe non essere affatto socio della società.
Su questi aspetti problematici vedi, in modo non sempre conforme, F. Magliulo, op. cit., pp. 21-22, P. Guida, op. cit., pp. 417-419.
M. Onza, op. cit., p. 720, onde evitare i numerosi problemi di adattamento delle norme che l’istituto solleva, propone “un precetto, non testuale ma ordinamentale, di esecuzione istantanea dell’obbligo di copertura del deficit – con conseguente rimozione del problema”. L’immediata integrale liberazione dei conferimenti sgombra il campo dai numerosi problemi in esame, ma quella che pare essere un’indicazione operativa di assoluta opportunità – peraltro non sempre realizzabile – non può assurgere, in mancanza di appigli testuali, a prescrizione legale.
(31) Vedi ancora gli Autori citati alla nota precedente e M. Notari, op. cit., p. 35.
(32) In questo senso già F. d’Alessandro, I titoli di partecipazione, Milano, 1968, p. 171 ss., aveva escluso l’incorporazione del debito di conferimento nel titolo azionario, immaginando quel debito come una sorta di obbligazione propter rem (vedi in particolare pp. 175 e 182) e giungendo alle conclusioni adottate nel testo (p. 186).
(33) Sono assolutamente condivisibili le considerazioni sul punto di G.A. Rescio, op. cit., p. 114, cui si rimanda per ulteriori valutazioni in ordine ad accordi extrasociali, anche successivi alla revisione della stima, tra i soli soggetti interessati.
(34) In senso conforme G.A. Rescio, op. cit., p. 116; M. Miola, op. cit., p. 247; F. Magliulo, op. cit., p. 23; P. Guida, op. cit., p. 418.
(35) Non sono pertanto condivisibili le conclusioni di M. Miola, op. cit., p. 246, che affida la facoltà di scelta al solo conferente; approvano la soluzione adottata nel testo G.A. Rescio, op. cit., p. 116, F. Magliulo, op. cit., pp. 23-24, e P. Guida, op. cit., p. 418.
(36) G.A. Rescio, op. cit., p. 117. Anche M. Miola, op. cit., p. 246, per coerenza con la soluzione sostenuta in ordine alla integrazione del conferimento, affida la facoltà di scelta sul recesso al solo conferente, “salvo che non decida di limitarne l’esercizio alla sola porzione rimasta nella propria disponibilità”.
(37) Così, in modo condivisibile, F. Magliulo, op. cit., p. 24.
(38) Temi ricordati, ad esempio, da M. Miola, op. cit., p. 242-243.
(39) In questo senso P. Guida, op. cit., p. 423.
(40) In senso favorevole all’applicazione della regola maggioritaria in sede di aumento di capitale vedi: P. Marchetti, Gli aumenti di capitale, in Aa. Vv., Il nuovo ordinamento delle società, Milano, 2003, p. 267 ed ivi pp. 277-278; M. Notari, op. cit., p. 47 ss.; ed anche M. Miola, op. cit., p. 245, seppure non espressamente. Anche P. Ferro Luzzi, op. cit., p. 588-589, ammette che il sacrificio economico non debba essere sopportato proporzionalmente da tutti gli altri soci, ma che possa essere sostenuto solo da alcuni di essi: con ciò ponendo le basi giuridiche per la possibile applicazione della norma in sede di aumento di capitale secondo la regola maggioritaria.
(41) Che la delibera di aumento debba avere queste caratteristiche è punto sostanzialmente pacifico: così P. Marchetti, op. cit., pp. 277-278; M. Notari, op. cit., pp. 49-51; P. Guida, op. cit., pp. 423-424.
(42) Accennano al problema, in termini simili, sia F. Magliulo, op. cit., p. 26, che P. Guida, op. cit., p. 424.
(43) In questo senso sono coincidenti, seppur svolte con riferimento ad ambiti differenti, le considerazioni di M. Notari, op. cit., p. 51, M. Miola, op. cit., p. 238, F. Magliulo, op. cit., pp. 25-26, e L. Pomponio, op. cit., p. 1082 alla nota 59.

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