Giurisprudenza - Casi e materiali di diritto comunitario di interesse notarile: atti, famiglia e successioni
Giurisprudenza
Cass. 17 marzo 2009, n. 6441, in FAMIGLIA E DIRITTO, 2009, 454, n. Acierno, Ricongiungimento familiare per le coppie di fatto: la pronuncia della Cassazione.
In tema di diritto dello straniero al ricongiungimento familiare, il cittadino extracomunitario legato ad un cittadino italiano ivi dimorante da un'unione di fatto debitamente attestata nel paese d'origine del richiedente, non può essere qualificato come "familiare" ai sensi dell' art. 30, primo comma, lettera c), del d.lgs. n. 286 del 1998, in quanto tale nozione, delineata dal legislatore in via autonoma, agli specifici fini della disciplina del fenomeno migratorio, non è suscettibile di estensione in via analogica a situazioni diverse da quelle contemplate, non essendo tale interpretazione imposta da alcuna norma costituzionale. Ne tale più ampia nozione può desumersi dagli artt. 8 e 12 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo o dall'art. 9 della Carta di Nizza (recepita nel Trattato di Lisbona, ratificato dall'Italia l'8 agosto 2008, ma non ancora da tutti gli Stati membri) in quanto tali disposizioni escludono il riconoscimento automatico di unioni diverse da quelle previste dagli ordinamenti interni, salvaguardando l'autonomia dei singoli Stati nell'ambito dei modelli familiari. Infine, non può trovare applicazione la più recente normativa di derivazione comunitaria, in quanto il d.lgs. n. 5 del 2007 si applica soltanto ai familiari di soggiornanti provenienti da paesi terzi e il d.lgs. n. 30 del 2007 tutela la libertà di circolazione e di soggiorno dei cittadini UE e dei loro familiari nel territorio di uno stato membro diverso da quello di appartenenza, e non il diritto al ricongiungimento familiare con un cittadino di uno Stato membro regolarmente residente e dimorante nel suo paese d'origine.
Cass. 15 aprile 2008, n. 9878 in Notariato, 2008, 370, n. Fimmanò F., Liberalizzazioni, concorrenza e tariffe professionali.
L'art. 2, comma 1, del d.l. n. 223 del 2006, convertito in legge n. 248 del 2006, ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano la fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime per le attività professionali e intellettuali "dalla data di entrata in vigore" della legge stessa; ne consegue che quelle disposizioni conservano piena efficacia in relazione a fatti verificatisi prima. (Nella specie la S.C. ha enunciato il riportato principio con riferimento ad attività professionale di notaio prestata nell'anno 2004).
A. Firenze, 06-12-2006, in Foro toscano-Toscana giur., 2007, 184, n. GIANNECCHINI; Nuova giur. civ., 2007, I, 1168, n. DE LISA; Famiglia e dir., 2007, 1040, n. PASCUCCI; Riv. dir. internaz. privato e proc., 2007, 1088
Non è possibile una lettura costituzionalmente orientata della normativa, nel senso di ricomprendere anche il convivente nella nozione di familiare e la legge neozelandese deve essere giudicata «certamente contraria all’ordine pubblico italiano vieppiù se fosse interpretata come costitutiva anche della qualità di familiari».
Sentenza della Corte di Giustizia del 5 dicembre 2006, Cause riunite C-94/04 e C-202/04
Sebbene di per sé gli artt. 81 CE e 82 CE riguardino esclusivamente la condotta delle imprese e non le disposizioni legislative o regolamentari emanate dagli Stati membri, è pur vero che tali articoli, in combinato disposto con l’art. 10 CE, che instaura un dovere di collaborazione, obbligano gli Stati membri a non adottare o mantenere in vigore provvedimenti, anche di natura legislativa o regolamentare, idonei ad eliminare l’efficacia pratica delle norme in materia di concorrenza applicabili alle imprese. Si è in presenza di una violazione degli artt. 10 CE e 81 CE qualora uno Stato membro imponga o agevoli la conclusione di accordi in contrasto con l’art. 81 CE, o rafforzi gli effetti di tali accordi, o revochi alla propria normativa il suo carattere pubblico delegando ad operatori privati la responsabilità di adottare decisioni di intervento in materia economica.
In proposito, non si può ritenere che uno Stato membro abbia delegato ad operatori privati la responsabilità di prendere decisioni di intervento nel settore economico, il che porterebbe a privare del suo carattere pubblico la normativa, quando, da un lato, l’organizzazione di categoria interessata sia incaricata soltanto di approntare un progetto di tariffa privo, in quanto tale, di forza vincolante, dato che il ministro ha il potere di far emendare il progetto da parte di detta organizzazione, e, dall’altro, la normativa nazionale dispone che la liquidazione degli onorari è effettuata dagli organi giudiziari in base ai criteri stabiliti dalla medesima normativa e, in talune circostanze eccezionali, autorizza inoltre il giudice, con una decisione debitamente motivata, a derogare ai limiti massimi e minimi fissati. Ciò premesso, non può essere nemmeno contestato allo Stato membro di imporre o di favorire la conclusione di intese in contrasto con l’art. 81 CE, o di rinforzarne gli effetti, né di imporre o di favorire abusi di posizione dominante in contrasto con l’art. 82 CE o di rafforzarne gli effetti.
Ne deriva che gli artt. 10 CE, 81 CE e 82 CE non ostano all’adozione, da parte di uno Stato membro, di un provvedimento normativo che approvi, sulla base di un progetto elaborato da un ordine professionale forense, una tariffa che fissi un limite minimo per gli onorari degli avvocati e a cui, in linea di principio, non sia possibile derogare né per le prestazioni riservate agli avvocati né per quelle, come le prestazioni di servizi stragiudiziali, che possono essere svolte anche da qualsiasi altro operatore economico non vincolato da tale tariffa.
L’art. 49 CE impone non solo l’eliminazione di qualsiasi discriminazione nei confronti del prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro in base alla sua cittadinanza, ma anche la soppressione di qualsiasi restrizione, anche qualora tale restrizione si applichi indistintamente ai prestatori nazionali e a quelli di altri Stati membri, quando sia tale da vietare o rendere più difficili le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro, ove fornisce legalmente servizi analoghi.
Inoltre, il detto art. 49 CE osta all’applicazione di qualsiasi normativa nazionale che abbia l’effetto di rendere la prestazione di servizi tra Stati membri più difficile della prestazione di servizi puramente interna ad uno Stato membro.
Il divieto imposto da uno Stato membro, di derogare convenzionalmente agli onorari minimi determinati da un’apposita tariffa per prestazioni che sono, al tempo stesso, di natura giudiziale e riservate agli avvocati può rendere più difficile l’accesso degli avvocati stabiliti in un altro Stato membro al mercato dei servizi legali del primo Stato membro ed è in grado, quindi, di ostacolare l’esercizio delle loro attività di prestazione di servizi in tale Stato membro. Tale divieto si rivela pertanto una restrizione ai sensi dell’art. 49 CE.
Il detto divieto, infatti, priva gli avvocati stabiliti in un altro Stato membro della possibilità, chiedendo onorari inferiori a quelli tariffari, di fare concorrenza in modo più efficace agli avvocati stabiliti permanentemente nello Stato membro in questione i quali dispongono, per tale ragione, di una maggiore facilità di crearsi una clientela rispetto agli avvocati stabiliti all’estero.
Allo stesso modo, il divieto citato limita la scelta dei destinatari di servizi di detto Stato membro, poiché questi ultimi non possono ricorrere ai servizi di avvocati stabiliti in altri Stati membri, che potrebbero offrire in tale Stato membro le loro prestazioni ad un prezzo inferiore ai minimi tariffari.
Tuttavia, un simile divieto può essere giustificato qualora risponda a ragioni imperative di pubblico interesse, purché sia idoneo a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non vada oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo.
A tal riguardo la tutela, da un lato, dei consumatori, in particolare dei destinatari dei servizi giudiziali forniti da professionisti operanti nel settore della giustizia, e, dall’altro, della buona amministrazione della giustizia sono obiettivi che rientrano tra quelli che possono essere ritenuti motivi imperativi di pubblico interesse, in grado di giustificare una restrizione della libera prestazione dei servizi, alla duplice condizione che il provvedimento nazionale di cui si discute nella causa principale sia idoneo a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non vada oltre quanto necessario per raggiungere l’obiettivo medesimo.
Spetta al giudice nazionale determinare se la restrizione della libera prestazione dei servizi creata dalla normativa nazionale rispetti tali condizioni. A tal fine, detto giudice dovrà tenere conto dei seguenti elementi.
Egli dovrà pertanto verificare, in particolare, se vi sia una relazione tra il livello degli onorari e la qualità delle prestazioni fornite dagli avvocati e se, in particolare, la determinazione di tali onorari minimi costituisca un provvedimento adeguato per il raggiungimento degli obiettivi perseguiti, vale a dire la tutela dei consumatori e la buona amministrazione della giustizia.
Se è vero che una tariffa che fissi onorari minimi non può impedire ai membri della professione di fornire servizi di qualità mediocre, non si può escludere a priori che tale tariffa consenta di evitare che gli avvocati siano indotti, in un mercato contrassegnato dalla presenza di un numero estremamente elevato di avvocati iscritti ed in attività, a svolgere una concorrenza che possa tradursi nell’offerta di prestazioni al ribasso, con il rischio di un peggioramento della qualità dei servizi forniti.
Si dovrà anche tenere conto delle peculiarità sia del mercato in questione che dei servizi in esame e, in particolare, del fatto che, in materia di prestazioni di avvocati, vi è in genere un’asimmetria informativa tra i «clienti-consumatori» e gli avvocati. Infatti, gli avvocati dispongono di un elevato livello di competenze tecniche che i consumatori non necessariamente possiedono, cosicché questi ultimi incontrano difficoltà per valutare la qualità dei servizi loro forniti.
Il giudice nazionale dovrà tuttavia verificare se alcune norme professionali relative agli avvocati, in particolare norme di organizzazione, di qualificazione, di deontologia, di controllo e di responsabilità, siano di per sé sufficienti per raggiungere gli obiettivi della tutela dei consumatori e della buona amministrazione della giustizia.
Ne consegue che una normativa che vieti in maniera assoluta di derogare convenzionalmente agli onorari minimi determinati da una tariffa forense per prestazioni che sono, al tempo stesso, di natura giudiziale e riservate agli avvocati costituisce una restrizione della libera prestazione dei servizi prevista dall’art. 49 CE. Spetta al giudice nazionale verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente agli obiettivi della tutela dei consumatori e della buona amministrazione della giustizia, che possono giustificarla, e se le restrizioni che essa impone non appaiano sproporzionate rispetto a tali obiettivi.
T. Firenze, 07-07-2005, in Riv. dir. internaz. privato e proc., 2007, 144 e Foro toscano-Toscana giur., 2007, 183, n. GIANNECCHINI
Non contrasta con l’ordine pubblico e può essere riconosciuto in Italia ex art. 65 l. 31 maggio 1995 n. 218 un provvedimento neozelandese che qualifica come partner de facto una coppia formata da un cittadino italiano e un cittadino neozelandese, in quanto nell’ordinamento italiano la coppia di fatto di eguale o diverso sesso ha rilevanza sociale e ha ottenuto specifici riconoscimenti giuridici.
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