Ancora sulla dismissione del patrimonio immobiliare pubblico
Ancora sulla dismissione del patrimonio immobiliare pubblico
di Giovanni Casu
Consiglio Nazionale del Notariato - Studio n. 3754
Pubblicato nella rivista Studi e Materiali CNN, 2/2002, p. 495
1. Normativa
A seguito della legge 8 agosto 1995, n. 335, che aveva autorizzato il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi al fine di regolamentare le dismissioni del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali, era stato emanato il Decreto legislativo 16 febbraio 1996, n. 104.
Questo decreto legislativo prevedeva un'articolata procedura di dismissione del patrimonio degli enti pubblici, per quanto interessa il presente studio così sintetizzabile:
a) diritto di prelazione a favore degli attuali conduttori di unità abitative ad uso residenziale, il cui esercizio poteva avvenire individualmente oppure collettivamente (art. 6, 5° comma);
b) alienazione con pagamento integrale del prezzo oppure con prezzo dilazionato, con iscrizione d'ipoteca a garanzia della parte di prezzo dilazionata (art. 6, 7° comma);
c) divieto temporaneo di alienazione dell'alloggio, con una norma così formulata: "a partire dalla data della stipula del contratto, per dieci anni è fatto divieto agli acquirenti di vendere l'alloggio, salvo che si verifichino incrementi del nucleo familiare di almeno due unità ovvero si verifichi il trasferimento dello stesso in comune distante più di 50 chilometri da quello di ubicazione dell'immobile" (art. 6, 10° comma).
Successivamente a questo decreto legislativo sono state emanate nuove norme (legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, 109° comma; D. L. 28 marzo 1997, n. 79, convertito con legge 28 maggio 1997, n. 140; L. 23 dicembre 1999, n. 488, art. 2), il cui intento non è stato tanto quello di modificare la disciplina recata dal decreto legislativo n. 104 del 1996, quanto quello di rendere più rapide le procedure di vendita, con la previsione della vendita in blocco, per tutto il patrimonio o per singoli blocchi di patrimonio, a favore di organismi collettivi (cooperative di abitazione di conduttori, oppure intermediari immobiliari disposti all'acquisto di interi complessi di beni), ferma restando la possibilità di vendita isolata di singolo alloggio, e salvo in ogni caso (sia per la vendita isolata che per la vendita in blocco) il diritto di prelazione a favore dell'inquilino.
Successivamente ancora viene emanato il D.L. 25 settembre 2001, n. 351, convertito con legge 23 novembre 2001, n. 410, il quale ha modificato in parte la disciplina delle dismissioni del patrimonio degli enti pubblici.
2. Caratteristiche del più recente provvedimento
Caratteristica essenziale della nuova disciplina è l'utilizzazione dello strumento delle società di cartolarizzazione, ritenute espediente-veicolo per consentire l'immediato incameramento del valore liquido dei beni da dismettere.
Come è stato opportunamente evidenziato dalla dottrina (VIRGA, La cartolarizzazione: una operazione nuova, anzi antica, in Giustizia amministrativa, 2001, n. 10) finora l'operazione di cartolarizzazione era stata utilizzata per la cessione dei crediti e per agevolare le società che, titolari di numerosi crediti di difficile realizzazione, hanno necessità di liquidità finanziaria (sulla base della legge 30 aprile 1999, n. 130), e deve pertanto considerarsi una novità legislativa il ricorso alla cartolarizzazione (operazione prettamente di natura finanziaria) per rendere più rapido il procedimento di dismissione del patrimonio immobiliare degli enti pubblici.
Per sintetizzare al massimo il meccanismo della cartolarizzazione in questa materia, anche facendo ricorso alla essenziale descrizione che ne dà l'Autore testé citato, si possono fissare i seguenti momenti:
a) vi è una prima fase di ricognizione dei beni immobili, che vengono classificati in beni demaniali, beni patrimoniali indisponibili, beni patrimoniali disponibili;
b) i beni così catalogati vengono successivamente ceduti a società-veicolo appositamente costituite, che acquistano questi beni allo scopo di rivenderli sul mercato;
c) all'atto dell'acquisto viene corrisposta all'ente pubblico proprietario del bene una somma, importo provvisorio qualificabile come "prezzo iniziale";
d) la rimanente parte di prezzo, qualificabile come "prezzo differito", viene corrisposta dopo la vendita del bene sul mercato;
e) la società-veicolo è autorizzata ad emettere titoli, equiparati ai fini fiscali ai titoli del debito pubblico;
f) il rimborso di questi titoli è garantito dai proventi derivanti dalla gestione e dalla vendita degli immobili, successivamente peraltro al rimborso del debito per capitale, interessi ed altri oneri accessori.
Si intuisce agevolmente come l'intera operazione, da una parte assicuri agli enti pubblici proprietari dei beni da cedere un vantaggio economico immediato; da un'altra parte consenta alla società-veicolo il tempo necessario perché la cessione si concluda in modo soddisfacente per tutti i soggetti che concorrono all'operazione: enti, società di cartolarizzazione, finanziatori.
3. Raffronto tra D. Lgs. 104/1996 e D.L. 351/2001
Il primo problema che si pone è il seguente: l'ultimo decreto legge (n. 351 del 2001), modificando in modo radicale il meccanismo di dismissione del patrimonio degli enti pubblici, ha abrogato la precedente disciplina, che delineava un meccanismo in parte di verso?
Va in primo luogo precisato che nel predetto decreto legge n. 351 non esiste una norma espressamente abrogativa della disciplina precedente; pertanto si tratta di valutare se la nuova disciplina sia tale (radicalmente, cioè, così diversa da quella anteriore) da comportarne l'implicita abrogazione.
Allo scopo di fissare i punti salienti di confronto tra la precedente e la nuova disciplina, sembra opportuno soffermarsi sui seguenti elementi: prezzo d'acquisto dei beni, diritto di opzione, diritto di prelazione.
a) Prezzo d'acquisto
Merita fissare i criteri che, sulla base dell'intera normativa prima vigente, caratterizzavano la fissazione del prezzo di vendita degli alloggi, criteri espressamente previsti con apposita circolare ministeriale (Direzione generale della previdenza e assistenza sociale, 7 aprile 2000, prot. 30800):
- il prezzo di vendita delle unità immobiliari ad uso residenziale libere era quello di mercato; tuttavia se le medesime venivano acquistate collettivamente in blocco, il prezzo così determinato subiva l'abbattimento percentuale di blocco (il 10 per cento fino a 10 unità; il 15 per cento oltre le 30 unità);
- il prezzo delle unità immobiliari ad uso residenziale occupate si otteneva sottraendo la percentuale del 30 per cento dal prezzo di mercato libero, quando si procedeva all'acquisto frazionato; al prezzo risultante da tale riduzione percentuale si applicava l'ulteriore abbattimento percentuale di blocco nel caso di vendita dell'intero blocco;
- il prezzo delle unità immobiliari ad uso diverso libere era quello del mercato libero nel caso di vendita frazionata, al quale si sottraeva la percentuale di blocco quando l'unità fosse venduta nel blocco;
- il prezzo delle unità immobiliari ad uso diverso occupate si otteneva con il metodo reddituale; tale prezzo era funzione del reddito attuale scontato per il tempo durante il quale risultasse vigente il contratto in corso e del reddito potenziale successivamente ottenibile.
Per effetto del decreto sulla cartolarizzazione, il prezzo di vendita è sostanzialmente identico a quello ideato in precedenza, perché si distingue: a) prezzo di mercato per le unità immobiliari libere, per quelle occupate non ad uso abitativo, per quelle occupate ad uso abitativo per le quali i conduttori non abbiano esercitato il diritto di opzione; b) prezzo di mercato diminuito del 30 per cento (e ulteriormente scontato se vendute con mandato collettivo) per le unità immobiliari ad uso abitativo occupate acquistate dai conduttori in opzione.
b) Diritto di opzione
Il decreto legislativo n. 104 del 1996 menzionava l'opzione, ma non ne disciplinava il contenuto in collegamento con il diritto di prelazione; l'art. 6, 6° comma recitava: “nel caso che l'immobile ad uso residenziale sia locato ad un conduttore che non eserciti l'opzione per l'acquisto dell'immobile stesso etc”. In questo modo si aveva quasi l'avvertenza che il termine “opzione” fosse utilizzato dal legislatore del 1996 con terminologia atecnica, per individuare il soggetto (conduttore) che avesse deciso di non procedere all'acquisto dell'unità immobiliare.
Invece il decreto legge sulla cartolarizzazione procede in modo più appropriato, perché l'art. 3, 3° comma dispone: “è riconosciuto a favore dei conduttori delle unità immobiliari ad uso residenziale il diritto di opzione per l'acquisto, in forma individuale e a mezzo mandato collettivo, al prezzo determinato secondo quanto disposto dai commi 7 e 8. Le modalità di esercizio dell'opzione sono determinate con il decreto di cui al comma 1”.
c) Diritto di prelazione
La prelazione era in precedenza prevista a favore dei conduttori, dei portieri degli stabili oggetto di vendita in caso di eliminazione del servizio di portineria, degli eredi del conduttore con lui conviventi. La prelazione poteva essere esercitata individualmente oppure collettivamente. La legge in origine non prevedeva particolari formalità attinenti alla denuntiatio, né prevedeva norme concernenti la rinuncia all'esercizio della prelazione, né infine prevedeva norme concernenti il retratto.
Nelle leggi successive alla legge basilare n. 104 del 1996 le modalità di esercizio della prelazione sono state meglio precisate; da ultimo con l'art. 2, 2° comma della legge n. 488 del 1999, che a proposito degli immobili di pregio adottava la seguente procedura: invio di lettera raccomandata con avviso di ricevimento recante indicazione del prezzo di vendita dell'alloggio. La risposta va data entro sessanta giorni, trascorsi inutilmente i quali la prelazione più non operava.
La prelazione, recita la legge (art. 6, 5° comma della legge n. 104 del 1996) può essere esercitata individualmente o collettivamente.
Nel decreto legge n. 351 del 2001 il diritto di prelazione è disciplinato dall'art. 3, 5° comma che dispone: "è riconosciuto il diritto di prelazione in favore dei conduttori delle unità immobiliari ad uso residenziale, solo per il caso di vendita degli immobili ad un prezzo inferiore a quello di esercizio dell'opzione".
In questo modo per l'esercizio del diritto di prelazione occorre che si verifichino entrambe le seguenti condizioni:
- deve trattarsi di soggetto conduttore del bene posto in venduta;
- deve trattarsi di unità ad uso residenziale (forse voleva qualificarsi in tal modo un'unità abitativa);
- il prezzo dell'unità deve essere inferiore a quello stabilito per l'esercizio dell'opzione;
- i conduttori e gli altri conviventi del suo nucleo familiare non debbono essere proprietari di altra abitazione adeguata alle esigenze del nucleo familiare nel comune di residenza.
In questo modo, pertanto, deve ritenersi che vi sia una prima fase in cui viene offerta la possibilità di esercizio del diritto di opzione ed una seconda fase temporale in cui viene offerta la possibilità al conduttore di esercitare il diritto di prelazione.
4. Norma transitoria
Per risolvere il problema della disciplina applicabile agli atti compiuti in precedenza appare decisiva la norma contenuta nell'art. 3, 11° comma del Decreto legge n. 351, che recita: “i beni immobili degli enti previdenziali pubblici..che non sono stati venduti alla data del 31 ottobre 2001, sono alienati con le modalità di cui al presente decreto”
Sulla base di questa norma, non sembra vi sia alcun dubbio che gli immobili, il cui atto di vendita sia stato posto in essere anteriormente al 31 ottobre 2001, restino disciplinati dalle norme precedenti.
La norma, certamente di carattere transitorio, è redatta in modo da avvalorare la sostanziale conclusione che tutto l'invenduto debba essere riportato sotto il controllo della nuova normativa basata sulle società di cartolarizzazione, presumibilmente perché questo meccanismo è apparso più rapido ed efficace rispetto a tutti i meccanismi ideati in precedenza.
E il termine “venduti” è così ampio da comprendere sia la vendita isolata dell'alloggio da ente pubblico a soggetto insediato nell'alloggio stesso con un rapporto di locazione, sia la vendita da ente pubblico ai vari soggetti intermedi escogitati dalla precedente normativa per facilitare la dismissione dei beni. Infatti occorre tener presente che la più recente normativa sulla cartolarizzazione, acquisendo a sé tutto l'invenduto per sottoporlo al meccanismo delle società di cartolarizzazione, prende come punto di riferimento la circostanza che l'ente pubblico abbia o meno trasferito ad altri il proprio diritto di proprietà sul bene, ancorché evidentemente il meccanismo così instaurato debba ancora essere completato con gli ulteriori tasselli della prevista procedura per la cessione dei beni ai singoli privati proprietari.
Alla luce della precedente riflessione, pertanto, il termine “vendute” va riferito alla cessione del bene dall'ente pubblico ad altri soggetti, cioè al negozio giuridico per effetto del quale l'ente pubblico si è liberato dell'immobile di sua proprietà. Che questa sia l'esatta interpretazione della norma, viene indirettamente confermato dall'art. 3, 10° comma dello stesso decreto legge n. 351, che recita: “i beni immobili degli enti previdenziali pubblici ricompresi nei programmi straordinari di dismissione di cui all'art. 7 del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, e successive modificazioni, che non sono stati aggiudicati alla data del 31 ottobre 2001, sono alienati con le modalità di cui al presente decreto”.
Questa norma fa riferimento al “programma straordinario di dismissione” che, come si ricorderà, si poneva a lato del programma ordinario disegnato dal decreto legislativo n. 104 del 1996, senza confondersi con quest'ultimo. Si trattava dell'acquisto in blocco dell'intero patrimonio, o comunque per blocchi sufficientemente ampi, da parte di un unico acquirente, lasciando peraltro a quest'ultimo il compito di rivendere i beni, rispettando, in questa fase di rivendita, il diritto di prelazione a favore dei conduttori in affitto dell'alloggio. E si prevedeva altresì il meccanismo dell'individuazione "tramite procedura competitiva”, del soggetto disponibile ad acquistare “l'intero complesso dei beni oggetto del programma, ovvero il compendio dei beni appartenenti a ciascun ente interessato".
Poiché, insomma, la cessione del bene dall'ente pubblico avveniva ricorrendo all'asta o ad altri meccanismi concorsuali, il predetto comma 10° utilizza l'espressione “aggiudicati”, a significare il momento in cui, per il tramite del meccanismo della gara, il bene viene trasferito dall'ente pubblico al vincitore del concorso utilizzato.
5. Divieto temporaneo di cessione
L'art. 6, ultimo comma del Decreto legislativo n. 104 del 1996 prevedeva la seguente norma: “a partire dalla data della stipula del contratto, per dieci anni è fatto divieto agli acquirenti di vendere l'alloggio, salvo che si verifichino incrementi del nucleo familiare di almeno due unità ovvero si verifichi il trasferimento dello stesso in comune distante più di 50 chilometri da quello di ubicazione dell'immobile”.
Si è cercata la ragione giustificativa di questa norma e si è ritenuto che essa abbia inteso impedire condotte speculative per un bene acquisito a prezzo di favore. Ma si è anche avuto modo di precisare che il prezzo di favore è tale solo in via approssimativa, perché da una parte lo sconto del 30 per cento sul prezzo di mercato concerne soltanto gli alloggi occupati (ed è risaputo che tale valutazione ridotta di valore esiste come regola nel comune mercato), e perché, da un'altra parte, lo sconto sul prezzo di blocco è inteso si a favorire gli acquirenti, ma anche l'ente venditore, che trae dalla procedura di blocco benefici evidenti.
Ad ogni modo questa norma prevede ad un tempo una regola e due eccezioni; la regola è il divieto decennale dalla data della stipula; la regola non opera (di qui le due eccezioni): a) se il nucleo familiare subisce un incremento di almeno due unità; b) se il nucleo familiare si trasferisce in altro Comune distante più di 50 chilometri da quello di ubicazione del bene.
Il decreto legislativo n. 104 non prevedeva espressamente la nullità nell'ipotesi di rivendita infradecennale del bene, ma evidentemente, trattandosi di norma di divieto, occorreva pervenire alla conclusione che la sua violazione comportasse inevitabilmente la nullità dell'atto posto in essere.
Ebbene, una norma sostanzialmente identica alla norma testé esaminata era prevista in prima battuta dal decreto legge n. 351 del 2001, che all'art. 3, 14° comma così disponeva: “sono nulli gli atti di disposizione degli immobili acquistati per effetto dell'esercizio del diritto di opzione e del diritto di prelazione prima che siano trascorsi dieci anni dalla data dell'acquisto, salvo che si verifichino incrementi del nucleo familiare di almeno due unità, ovvero si verifichi il trasferimento dell'acquirente in un Comune distante di più di 50 chilometri da quello di ubicazione dell'immobile”.
Come appare evidente, il decreto legge con la norma testé citata conservava il divieto decennale e manteneva in essere le due eccezioni alla norma.
In sede di conversione in legge del decreto legge, questa norma è stata modificata, riducendosi i dieci anni a cinque anni, ed eliminandosi del tutto le due eccezioni al divieto (trasferimento della residenza ed aumento del nucleo familiare). Questa la norma che risulta in vigore (art. 3, 14° comma): “sono nulli gli atti di disposizione degli immobili acquistati per effetto dell'esercizio del diritto di opzione e del diritto di prelazione prima che siano trascorsi cinque anni dalla data dell'acquisto”.
Pertanto la norma di divieto temporaneo di alienazione prevista dalla disciplina sulla cartolarizzazione della dismissione del patrimonio degli enti pubblici, rispetto alla norma analoga contenuta nel decreto legislativo n. 104, si differenzia per le seguenti caratteristiche:
a) è previsto espressamente che la violazione della disposizione dà luogo a nullità (“sono nulli gli atti di disposizione…”);
b) il periodo di divieto è ridotto da dieci a cinque anni;
c) vengono cancellate le due fattispecie di eccezione alla norma di divieto;
d) mentre la norma precedente utilizzava l'espressione “vendere l'alloggio”, la nuova utilizza l'espressione “atti di disposizione degli immobili”, espressione più ampia e certamente comprensiva anche della cessione di diritti reali limitati.
Se si effettua un raffronto tra la prima e la seconda norma, occorre concludere che vantaggi e svantaggi si compensano: la prima norma era più rigorosa perché prevedeva un lungo periodo di divieto (10 anni anziché 5), ma ad un tempo restringeva la fattispecie di divieto alla tipologia negoziale della compravendita e prevedeva due eccezioni alla norma. La nuova norma è meno rigorosa sulla durata del divieto, ma ad un tempo elimina le due fattispecie di eccezione al divieto e sembra ricomprendere anche fattispecie negoziali più ampie (cessione di diritto reale limitato).
6. Applicabilità della nuova norma sul divieto agli atti precedenti
La norma sul divieto temporaneo di cessione dell'alloggio, essendo stata modificata, pone il problema, che vale per ogni ipotesi di modifica delle leggi nel tempo, se la nuova disposizione trovi applicazione per gli atti di cessione avvenuti in precedenza, cioè sotto il regime del decreto legislativo n. 104 del 1996.
La modifica delle leggi nel tempo viene solitamente esaminata alla luce del criterio del fatto compiuto, accolto dalla dottrina più comune. Per effetto di questo criterio la legge nuova non estende la sua efficacia ai fatti definitivamente perfezionati sotto il vigore della legge precedente, ancorché dei fatti stessi siano ancora pendenti gli effetti.
Prima, peraltro, di valutare come concretamente applicare questo criterio alla fattispecie che ci riguarda, occorre accertare se la norma sul divieto temporaneo di alienazione afferisca allo statuto del bene, cioè concerna le modalità di esercizio del diritto di proprietà esistente sul bene, disancorandosi, in caso affermativo, dal negozio giuridico di acquisto e immedesimandosi in modo oggettivo sul bene stesso, con il risultato di seguirne le vicende giuridiche e di regolarle.
Detto in altre parole: se la norma sul divieto di cessione inerisce allo statuto del bene, conformandone cioè in modo del tutto autonomo il diritto di proprietà, probabilmente occorrerebbe concludere che la nuova norma trovi applicazione anche per i beni acquistati in precedenza.
Ma questa conclusione non appare accoglibile: il diritto di proprietà sul bene ceduto, infatti, è configurabile come un comune diritto di proprietà, non diverso dal diritto di proprietà codicistico, atteso che non esiste nessun'altra norma ovvero alcun principio desumibile dalla disciplina in questione che configurino tale proprietà in maniera differenziata rispetto a quella regolata dal diritto comune; e il divieto pertanto va strettamente collegato con il fatto di avere acquistato il bene con determinate modalità e con determinati vantaggi. Valga per tutto la stessa formulazione della nuova norma, che, parlando di "atti di disposizione degli immobili acquistati per effetto dell'esercizio del diritto di opzione e del diritto di prelazione", inevitabilmente viene a raccordare la norma di divieto al negozio di acquisto e per di più a determinati acquisti. Infatti il divieto nasce non per il fatto di avere comunque acquistato il bene, bensì per il fatto di averlo acquistato ricorrendo al meccanismo dell'opzione e della prelazione, istituti di chiaro stampo negoziale.
Assodato, pertanto, sulla base delle precedenti valutazioni, che per risolvere il problema può essere applicato pianamente il criterio del fatto compiuto, si tratta ora di individuare quale possa qualificarsi “fatto computo” a questi fini, tenuto conto delle varie operazioni previste da ognuna delle leggi in discorso ai fini di addivenire alla cessione dei beni pubblici.
La prima risposta è che certamente debbano essere valutati come “fatti compiuti” gli atti di cessione del bene posti in essere prima dell'entrata in vigore delle nuove norme, per l'evidente ragione che il divieto di successiva cessione del bene resta strettamente collegato all'atto di acquisto di esso bene. Pertanto gli atti di cessione posti in essere entro il 31 ottobre 2001 restano assoggettati alla norma di divieto stabilita dal decreto legislativo n. 104 del 1996.
Ma vi è di più. Lo stesso legislatore del 2001 prevede un meccanismo del tutto particolare per individuare il momento cui ricollegare il fatto compiuto e quindi interamente la vecchia disciplina. Infatti l'art. 3, 20° comma del decreto legge n. 351 prevedeva: “gli enti previdenziali alienano gli immobili definitivamente offerti in opzione alla data di entrata in vigore del presente decreto al prezzo ed alle altre condizioni indicate nell'offerta”.
La norma è stata modificata in sede di conversione in legge del decreto nel modo seguente: “le unità immobiliari definitivamente offerte in opzione entro il 26 settembre 2001 sono vendute, anche successivamente al 31 ottobre 2001, al prezzo e alle altre condizioni indicati nell'offerta. Le unità immobiliari, escluse quelle considerate di pregio ai sensi del comma 13, per le quali i conduttori, in assenza della citata offerta in opzione, abbiano manifestato volontà di acquisto entro il 31 ottobre 2001 a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, sono vendute al prezzo e alle condizioni determinati in base alla normativa vigente alla data della predetta manifestazione di volontà di acquisto… etc.”.
Trattasi, questa, di una seconda norma transitoria, la quale si preoccupa di disciplinare non soltanto gli atti di avvenuta cessione, ma anche gli atti precedenti al formale contratto di cessione del bene, consistenti nell'offerta di opzione da parte dell'ente pubblico oppure nella manifestazione della volontà di acquisto del bene da parte del soggetto che intenda beneficiare del trasferimento dell'immobile.
L'opzione è sempre prevista a favore del conduttore del bene da alienare e si traduce, per effetto di queste norme, in un'opzione legale.
In linea di principio, sulla base degli artt. 1331 e seg. c.c., la giurisprudenza ha chiarito che “l'opzione configura elemento di una fattispecie a formazione successiva, costituita inizialmente da un accordo avente ad oggetto l'irrevocabilità della proposta e poi dall'accettazione del promissario, che, saldandosi con la prima, perfeziona il contratto” (Cass. 11 ottobre 1986, n. 5950, in Vita not., 1986, I, 1215; analogamente v. Cass. 7 aprile 1987, n. 3339; Cass.20 marzo 1991, n. 3000, in Riv. leg. fisc., 1992, III, 947; Cass. 29 ottobre 1993, n. 10777, in Corr. giur., 1993, 1403, con nota di CARBONE; Cass. 13 dicembre 1994, n. 10649; Cass. 6 novembre 1996).
Caratteristica saliente dell'opzione è, pertanto, quella di far sì che il contratto si concluda solo per effetto dell'accettazione del promissario portata a conoscenza del soggetto vincolato dalla proposta irrevocabile.
Nel nostro caso l'opzione non è pattizia, ma discende dalla legge, per cui può parlarsi di opzione legale. Si comprende, pertanto, perché il legislatore abbia attribuito valore al momento in cui il decreto legge sulla cartolarizzazione è entrato in vigore: le unità immobiliari offerte in opzione entro il 26 settembre 20001 (data di entrata in vigore del decreto legge sulla cartolarizzazione) restano disciplinate dalla precedente normativa, anche se l'accettazione dell'offerta irrevocabile sia pervenuta successivamente e quindi anche se il conseguente contratto, a termini di norma codicistica, debba ritenersi concluso successivamente.
Ma si comprende anche perché il legislatore, allorquando l'ente non abbia dato offerta di opzione, si accontenta dell'accettazione del beneficiario dell'opzione: trattandosi di opzione legale, il legislatore non tiene conto del fatto che l'offerta sia stata o meno manifestata dall'ente pubblico, ma la dà per scontata, quasi si trattasse di un aspetto operativo sul piano automatico, e privilegia in tal modo la dichiarazione del beneficiario.
Pertanto si può concludere affermando che restino disciplinate dalla precedente normativa non soltanto gli atti formali di cessione avvenuti entro il 31 ottobre 2001, ma anche le offerte di opzione avvenute entro il 26 settembre 2001, nonché le manifestate volontà di acquisto (accompagnate da raccomandata con ricevuta di ritorno) avvenute entro il 31 ottobre 2001.
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