La lettura dell'atto notarile ed il documento informatico
La lettura dell'atto notarile ed il documento informatico
di Sabrina Chibbaro, Andrea Pescatori
Consiglio Nazionale del Notariato - Studio n. 4-2006/IG
Pubblicato nella rivista Studi e Materiali CNN, 1/2007, p. 484 ss
La nozione di documento informatico è entrata nel nostro ordinamento giuridico da poco meno di un decennio(1) e, da allora, il notariato italiano ha mostrato di essere in grado di far proprie e saper sfruttare al meglio quanto di nuovo le tecnologie informatiche e telematiche hanno messo a disposizione.(2) L'applicazione della nuova normativa ha comportato una necessaria interpretazione evolutiva della legge notarile, rimasta invariata a dispetto di tutte le novità normative.
Non v'è dubbio, infatti, che l'attribuzione nel nostro ordinamento di una dignità giuridica al documento elettronico(3) abbia introdotto nella quotidiana attività notarile notevoli cambiamenti, la cui compatibilità con la legge 16 febbraio 1913 n. 89 va valutata di volta in volta.
Un esempio palese di quanto accennato lo riscontriamo quotidianamente nell'attività di rilascio di copie: la legge notarile all'art. 68 ultimo comma rinvia, riguardo ai mezzi per le copie, al regolamento notarile(4), il quale all'art. 84 dispone che “Per le copie il notaro non può servirsi della stampa o di altri mezzi meccanici se la impressione dei caratteri non sia fatta con inchiostri indelebili...”, ma nessuno oggi dubita che tale disposizione vada letta alla luce dall'art. 23 del Codice dell'amministrazione digitale che al comma 3 dispone che “I documenti informatici contenenti copia o riproduzione di atti pubblici, scritture private e documenti in genere, ... spediti o rilasciati dai depositari pubblici autorizzati e dai pubblici ufficiali, hanno piena efficacia, ai sensi degli articoli 2714 e 2715 del codice civile, se ad essi è apposta o associata, da parte di colui che li spedisce o rilascia, una firma digitale o altra firma elettronica qualificata.” e che legittima il rilascio da parte del pubblico ufficiale di documenti informatici costituenti copie ai sensi della legge notarile.
Al contrario non sembra suscettibile di interpretazione evolutiva l'art. 61 della legge notarile riguardante la conservazione degli atti, anche per la mancanza di una compiuta normativa in materia di conservazione dei documenti informatici: da ciò se ne deduce che non basta la via interpretativa per colmare la mancanza di norme in merito e che per produrre originali in forma elettronica sarà necessario attendere un intervento del legislatore(5).
È evidente quindi come non esista un criterio univoco per stabilire se le singole fattispecie siano suscettibili di interpretazione evolutiva alla luce dell'introduzione nell'ordinamento giuridico del documento informatico ma che tale compatibilità deve essere valutata di volta in volta(6).
Con lo stesso atteggiamento critico deve essere analizzato il quesito oggetto del presente studio e cioè se sia conforme alla legge notarile il comportamento del notaio che proceda alla lettura dell'atto non dal supporto cartaceo sul quale poi sarà sottoscritto bensì in una fase in cui il testo sia ancora su supporto magnetico e, quindi, leggibile attraverso l'uso di un computer e successivamente proceda alla sua stampa su carta per la sottoscrizione.
La lettura dell'atto
La legge notarile non impone espressamente la lettura dell'atto: in nessuna norma compare tale obbligo.
Tale obbligo si desume implicitamente(7) dall'obbligo di menzione della stessa previsto dall'art. 51 n. 8 legge notarile.
Tale obbligo è sanzionato con la nullità dell'atto (art. 58 n. 6 Legge Notarile), che però deriva non dalla semplice mancata menzione della lettura ma dal fatto che non sia effettivamente stata data lettura(8): ciò che conta, quindi, è l'attività svolta dal notaio (la lettura) non il suo riflesso documentale (la menzione).
La dottrina che si è occupata dell'argomento(9) è generalmente unanime nel ritenere che scopo della lettura sia quello di verificare che lo scritto corrisponda alla volontà delle parti nonché a quanto dichiarato ed avvenuto dinanzi al pubblico ufficiale.
La lettura deve essere data personalmente da parte del notaio e la possibilità di delegare tale lettura ad altri è subordinata (sempre dall'art. 51 n. 8 della legge notarile) a due condizioni: che l'atto sia stato scritto personalmente dal notaio e che egli sia comunque presente alla lettura fatta dal terzo. Una parte della dottrina si spinge anche a sostenere che la delegabilità della lettura sia ammissibile anche se l'atto sia non scritto di pugno dal notaio ma semplicemente dattiloscritto dallo stesso(10).
Atto e documento
Le norme sopra citate in materia di lettura non fugano però i dubbi circa l'oggetto della lettura stessa: se cioè tale oggetto debba essere ravvisato nel vero e proprio “atto” inteso come contenuto ovvero se essere si riferiscano al “documento” inteso come il contenente.
Infatti, autorevole dottrina(11) ha già messo in luce non solo come i due termini non coincidono, ma anche come il legislatore ne faccia un uso promiscuo(12) che non ne evidenzia le profonde differenze.
Tale confusione si ritrova anche nelle fonti di diritto romano in cui la parola acta si riferiva sempre ad una attività giuridica, ma nella stessa espressione si ricomprendeva anche il documento, anzi la categoria dei documenti sostanzialmente pubblici(13).
Come evidenziato però da tale autore, il concetto di atto è distinto e separato da quello di documento ed, in particolare, “il documento è il mezzo attraverso il quale viene rappresentato un determinato fatto (atto)” e “L'atto è necessariamente precedente al documento, questo è susseguente a quello.”(14)
Parallelamente la dottrina(15) distingue tra documentazione e documento: in particolare la prima costituisce l'attività diretta a rappresentare il fatto, mentre il documento sarebbe il prodotto dell'attività di documentazione.
Essa sarebbe la trasposizione della differenza tra forma e prova: la documentazione costituisce la forma, il documento la prova. Quest'ultimo serve infatti soltanto a precostituire una memoria dell'attività di documentazione. Ed invero, la perdita del documento non influisce sull'esistenza del fatto mentre la perdita del documento fa venir meno la prova(16).
Quindi, quando la legge prescrive una certa forma per un determinato tipo di negozio, richiede una certa attività di documentazione, che costituisce pertanto requisito di validità dello stesso(17). Così, il documento non è mai costitutivo del negozio perchè, ai fini della forma, non è necessario il documento inteso come res, ma l'attività di documentazione destinata a raccogliere le dichiarazioni delle parti(18).
Nell'atto pubblico notarile, in particolare, le dichiarazioni delle parti vengono rese al pubblico ufficiale che svolge la sua attività di documentazione traducendole in uno scritto destinato ad essere incorporato in un documento, che, a sua volta, costituisce prova dell'attività di documentazione.
Documento cartaceo e documento informatico
La teoria classica del documento lo identifica come “cosa”. Gli autori che si sono occupati dell'argomento(19) concordano tutti sul fatto che il documento deve necessariamente essere un oggetto materiale.
Questa impostazione deriva dal fatto storico che il mezzo più diffuso di documentazione è la scrittura e, di solito, la materia sulla quale si scrive è la carta, per cui si tende ad identificare il documento tout court con il documento cartaceo, sebbene, come la stessa dottrina ammette, qualunque materia idonea a formare una cosa rappresentativa può costituire un documento(20).
Tale apertura ad altri possibili supporti non sdogana però la teoria classica dal concetto che il documento sia necessariamente una cosa materiale: invero, il documento è destinato ad essere prova e pertanto la materialità serve a perpetuare nel tempo la rappresentazione di certi fatti giuridici idonei a produrre effetti nel tempo.
Il documento informatico è definito dall'art. 1 lett. p) del Codice dell'amministrazione digitale la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti.
La sua principale caratteristica risiede nel fatto che per l'attività di documentazione si utilizza un computer che traduce lo scritto nel linguaggio suo tipico e cioè in una serie di bit(21): la scrittura, tradotta nel linguaggio informatico, è disponibile per la sua comprensione solo attraverso l'utilizzo dello specifico strumento (il computer), mentre, per converso, il documento cartaceo non richiede alcuno strumento per essere compreso(22).
Ma ciò che più rileva nella differenza tra documento cartaceo e documento informatico è l'assenza di un supporto unico ed infungibile.
Il documento cartaceo è un tutt'uno con il suo supporto e non è possibile staccarlo da esso senza che esso perda la sua identità; al contrario, il documento informatico consiste nella sequenza di bit e rimane sempre identico a sè stesso indipendentemente dal supporto su cui è memorizzato: esso cioè può cambiare più volte supporto (ed è assolutamente normale nel mondo informatico) ma la sua identità e consistenza è indipendente da quest'ultimo.
Ne deriva che appare ormai del tutto superata la teoria classica del documento che lo identifica come cosa: l'informatica ha portato alla c.d. smaterializzazione del documento.
Né può condividersi l'opinione di qualche autore(23) che ha ritenuto che anche nel mondo informatico il documento sia una res, in quanto non si può prescindere da un supporto sia esso un hard disk, una memoria usb, un CD ROM.
È vero, infatti, che anche nel mondo informatico non si può prescindere da un supporto, ma, a differenza che nel mondo cartaceo, il legame con lo stesso non è né caratterizzante né irreversibile: non caratterizzante in quanto il documento ha una sua identità indipendentemente dal supporto di memorizzazione e non reversibile in quanto non c'è stabile fusione tra lo scritto ed il suo supporto così come avviene nel mondo cartaceo.
I due documenti (cartaceo ed informatico) condividono l'utilizzo della scrittura, intesa come utilizzo del linguaggio e di caratteri alfabetici: in tale accezione, si può ritenere che il documento informatico costituisca forma scritta.
La differenza non sta nella forma ma nello strumento utilizzato per avere la forma scritta: il computer piuttosto che carta e penna.(24)
La lettura dell'atto su supporto informatico
La fase di lettura dell'atto da parte del notaio rogante si può considerare rientrante nell'attività di documentazione che egli deve svolgere.
Tale attività logicamente e temporalmente precede quella di formazione del documento che poi dovrà essere sottoscritto.
Inoltre, se consideriamo la funzione della lettura, che è quella di verificare che lo scritto corrisponda alla volontà delle parti, emerge che essa ha per oggetto il contenuto, cioè l'atto, e non il contenente, cioè il documento.
Partendo da queste premesse, si può ritenere che il notaio possa procedere alla lettura dell'atto anche utilizzando l'intermediazione di un elaboratore che gli consenta la lettura dello scritto informatico.
Non ci sono infatti argomenti per negare, in questa materia, l'interpretazione evolutiva della legge notarile, non producendo tale interpretazione alcuna contraddizione o controindicazione specifica.
Infatti, lo scritto, ossia il prodotto della documentazione, sarà sempre lo stesso indipendentemente dallo strumento utilizzato.
Egli potrà poi procedere al trasferimento dello scritto su supporto cartaceo a mezzo della stampa per procedere alla sottoscrizione con mezzi tradizionali, ovvero in modo autografo.
Né si può ritenere che, in tal modo, il documento perda la sua identità dato che il supporto è del tutto irrilevante per la sua connotazione, limitandosi il processo di stampa a trasferire lo scritto sulla carta senza alcuna modifica dei caratteri alfabetici utilizzati.
Né varrebbe l'obiezione che la lettura deve avere per oggetto non l'atto ma il documento, che poi verrebbe approvato dalle parti con la sottoscrizione, al fine di evitare possibili scambi di documento in fase di stampa: tale remota eventualità è comunque ipotizzabile anche se si sposti lo scenario nel tradizionale mondo cartaceo. Sarebbe infatti possibile che di un atto si siano create più bozze documentali con lievi differenze l'una dall'altra e che, al momento della sottoscrizione, si abbia un errore che porti alla definitiva approvazione di un documento contenente la versione errata e non voluta dalle parti.
Ed invero, spostandosi nel mondo dell'atto pubblico informatico, di cui si comincia già ad intravedere una possibile disciplina(25), il notaio dovrà necessariamente procedere alla lettura, a mezzo del computer, dell'atto contenuto nel documento informatico che poi si andrà a sottoscrivere digitalmente, ma tale procedura non mette al riparo le parti dal possibile errore che possa determinare uno scambio di file al momento della firma.
Non si può quindi che concludere che il procedere alla lettura dell'atto quando esso ha ancora una forma informatica e poi procedere alla stampa per la sottoscrizione non aumenti significativamente la pur remota possibilità di errore nella identificazione del documento da sottoscrivere.
E sicuramente gli aspetti positivi di una tale pratica non sono da trascurare: infatti alle parti sarebbe consentito di seguire con maggiore partecipazione ed attenzione la lettura del testo consentendo la rilevazione di errori che potrebbero sfuggire semplicemente ascoltando.
Inoltre, la forma elettronica consente al notaio di apportare, con la massima rapidità e semplicità, all'atto tutte quelle modifiche che fossero richieste per adeguare il testo alla volontà delle parti, dando piena contezza alle stesse di un aspetto dell'atto notarile che spesso è dimenticato ma che è ben descritto nell'ultimo comma dell'art. 47 della Legge Notarile ai sensi del quale “Spetta al notaro soltanto d'indagare la volontà delle parti e dirigere personalmente la compilazione integrale dell'atto”.
L'allontanamento della figura del notaio da tale compito di personale redazione, che sembra essere ormai un luogo comune molto diffuso, verrebbe smentito agli occhi delle parti che assisterebbero direttamente a tale attività di adeguamento dell'atto alla volontà dei contraenti.
(1) Il primo provvedimento normativo ad attribuire dignità giuridica al documento informatico fu il D.P.R. 10 novembre 1997 n. 513 (Regolamento recante criteri e modalità per la formazione, l’archiviazione e la trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici) poi integrato dal D.P.R. 23 gennaio 2002 n. 10 che ha attuato nel nostro Paese la direttiva 1999/93/CE, relativa ad un quadro comunitario per le firme elettroniche.
(2) Già nel 1996, quando la nuova normativa non era ancora entrata in vigore, erano intuibili le ripercussioni nell'ambito dell'attività notarile: per una panoramica vedi E. Maccarone, Informatica giuridica: nuova realtà. La carta “muore”, il notaio cambia strumenti in Interlex alla pagina http://www.interlex.it/docdigit/maccaro1.htm
(3) La disciplina del documento informatico è oggi contenuta nel D.Lgs. 7 marzo 2005 n. 82 (Codice dell'amministrazione digitale) recentemente modificato dal D.Lgs. 4 aprile 2006 n. 159.
(4) R.D. 10 settembre 1914 n. 1326
(5) In accordo con questa conclusione è S. Tondo, Funzioni notarili e tecniche informatiche, in Studi e materiali 6.2, 1998-2000, Giuffrè, Milano, 2001
(6) U. Bechini, Forma telematica ed incomunicabilità (con polemiche su metodo, deontologia e cambiale), in Rivista del Notariato, 2005, pag. 1288-1289
(7) L. Russo, La lettura dell'atto e degli allegati: facciamo il punto, in Vita Notarile 1/2003, pag. 501; Santarcangelo, La forma degli atti notarili, Roma, 1988, pag. 132; P. Boero, La legge notarile commentata, Torino, 1993, pag. 313
(8) Protettì-Di Zenzo, La legge notarile, Milano, 1987, pag. 239: l'omessa menzione da luogo soltanto all'applicazione di sanzioni a carico del notaio inadempiente.
(9) L. Russo, cit. pag. 502; Santarcangelo, cit., pag. 133; G. Casu, L'atto notarile tra forma e sostanza, Milano-Roma, 1996, pag. 230
(10) L. Russo, cit. pag. 503; P. Boero, cit., pag. 314; G. Casu, cit., pag. 234; M. Di Fabio, Manuale di notariato, Milano, 1981, pag. 151; contra: Santarcangelo, cit., pag. 134; Falzone-Alibrandi, Dizionario Enciclopedico del Notariato, Roma, 1975, vol. I, pag. 872.
(11) P. Guidi, Teoria giuridica del documento, Milano, 1950, pag. 11.
(12) Cfr. Comoglio, Le prove di tipo documentale, in Trattato di diritto privato, Torino, vol. 19, pag. 256-257, il quale rileva che “l'uso fungibile delle espressioni atto e documento finisce col perpetuare nella stessa terminologia normativa una commistione equivoca”.
(13) P. Guidi, cit. pag. 13
(14) P. Guidi, cit. pag. 12
(15) C. Angelici, Documentazione e documento, da Studi sull'autonomia dei privati a cura di Ferri e Angelici, Torino, 1997, pag. 282; F. Tommaseo, L'atto pubblico nel sistema delle prove documentali, in Rivista del Notariato, 1998, pag. 593 e segg.; Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Milano, pag. 300; Comoglio, cit., vol. 19, pag. 256.
(16) Santoro-Passarelli, Teorie generali del diritto civile, Milano, 19 , pag. 301
(17) C. Angelici, cit., Torino, 1997, pag. 287; F. Tommaseo, L'atto pubblico nel sistema delle prove documentali, in Rivista del Notariato, 1998, pag. 599.
(18) F. Carnelutti, in Documento (Teoria Moderna) in Novissimo Digesto Italiano, VI, Torino, 1975, p. 87, distingue tra lo scrivere che è un atto e lo scritto che è il documento.
(19) F. Carnelutti, cit., VI, Torino, 1975, p. 86; A. Candian, Documentazione e documento – teoria generale, in Enc. Dir., vol. XIII, Milano, 1964, pag. 579; Santoro-Passarelli, cit., pag. 61, il quale considera i documenti una speciale categoria di beni mobili materiali; P. Guidi, cit. pag. 46, definisce il documento un “oggetto corporale”.
(20) F. Carnelutti, cit., VI, Torino, 1975, p. 86
(21) Il bit si può definire l'unità elementare dell'informazione trattata da un elaboratore: è comune raggruppare sequenze di bit in entità più vaste. Il più noto è il byte, corrispondente ad 8 bit, che costituisce l'unità di misura utilizzata in campo informatico.
(22) F. Rizzo, Il documento informatico, Napoli, 2004, pag. 265; F. Ricci, Scritture private e firme elettroniche, Milano, 2003, pag. 87-88;
(23) F. Ricci, Scritture private e firme elettroniche, Milano, 2003, pag. 90
(24) Non è condivisibile in quanto praticamente inutile, ad avviso di chi scrive, una distinzione proposta da una parte della dottrina (D . Di Sabato, Il documento contrattuale, Milano, Giuffrè, 1997, p. 33; V. Franceschelli, Computer e diritto, Rimini, Maggioli, 1991, p. 228) tra “documento elettronico in senso stretto” e “documento elettronico in senso ampio”. Con il primo termine ci si riferisce al documento creato e conservato su supporto digitale ed intelligibile esclusivamente mediante la riproduzione sullo schermo. Con il secondo termine ci si riferisce, invece, al documento elaborato mediante un sistema informatico, ma intelligibile tramite la riproduzione su un sistema esterno che costituisce il supporto finale originario. In realtà, il documento informatico è tale e conserva le sue caratteristiche indipendentemente dal fatto che sia destinato a rimanere in formato elettronico ovvero ad essere trasferito su carta mediante la stampa.
(25) Esiste già uno schema di decreto legislativo in materia.
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