Osservazioni sulla rettifica degli atti “certificata” dal notaio
Osservazioni sulla rettifica degli atti “certificata” dal notaio
di Mauro Leo
Consiglio Nazionale del Notariato - Studio n. 618-2010/C
Pubblicato nella rivista Studi e Materiali CNN, 1/2011, p. 49 ss
Premessa
Il Dlgs. 2 luglio 2010 n. 110 (in GU n. 166 del 19 luglio 2010), emanato in attuazione della delega contenuta nell’art. 65 della legge 18 giugno 2009 n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), pur disciplinando essenzialmente il ricorso generalizzato alle modalità informatiche per la redazione e la conservazione degli atti, nell’ambito delle modifiche all’ordinamento del notariato prevede ad una nuova modalità di rettifica degli atti notarili, redatti sia in forma cartacea che informatica.
L’art. 1 comma 1, dopo l’art. 59 della legge notarile inserisce l’art. 59 bis (in vigore dal 3 agosto 2010) che così stabilisce:
«1. Il notaio ha facoltà di rettificare, fatti salvi i diritti dei terzi, un atto pubblico o una scrittura privata autenticata, contenente errori od omissioni materiali relativi a dati preesistenti alla sua redazione, provvedendovi, anche ai fini dell'esecuzione della pubblicità, mediante propria certificazione contenuta in atto pubblico da lui formato.»
A seguito di tale disposizione viene attribuita al notaio la facoltà di “rettificare errori od omissioni materiali” relativi ai dati riportati negli atti pubblici o nelle scritture private autenticate(1), mediante una propria “certificazione”, senza dover necessariamente ricorrere al tradizionale negozio di rettifica ricevuto in presenza delle parti originarie.
Benché ciò non autorizzi, come si vedrà, a ritenere estranea dal nuovo istituto la volontà delle parti, la nuova modalità di rettifica degli atti notarili, attribuendo al notaio un generico potere di incidere sugli atti pubblici e sulle scritture private autenticate, presenta – almeno apparentemente - un alto tasso di problematicità quanto all’individuazione dei limiti di utilizzazione, e ciò rende difficoltoso redigere un catalogo esaustivo delle possibili fattispecie in cui la norma è potenzialmente utilizzabile.
Tuttavia della nuova disposizione è possibile comunque individuare almeno due possibili campi di “naturale” impiego.
Da un lato quello relativo all’ipotesi in cui sia lo stesso notaio che ha stipulato l’atto da rettificare a procedere alla rettifica. E’ frequente infatti che le parti dell’atto, spesso a distanza di molto tempo dalla stipulazione, si rivolgano al notaio rogante per correggere errori od omissioni materiali presenti nel rogito.
Dall’altro quello relativo all’ipotesi in cui il notaio che deve procedere alla rettifica, non sia in grado di reperire le parti dell’atto da rettificare (persone defunte o emigrate, società estinte ecc.).
Altra difficoltà interpretativa è quella che riguarda la natura e struttura della rettifica, per comprendere se oltre ad atteggiarsi come “atto senza parti” sia anche un atto non sorretto dalla volontà di queste ultime; diversamente, quindi, dalla rettifica stipulata in base alla comune prassi notarile prima dell’entrata in vigore dell’art. 59 bis, e destinata in ogni caso ad avere un proprio ambito applicativo anche dopo la nuova rettifica certificata dal notaio.
Questo perché nonostante il nuovo procedimento di correzione degli atti autentici “autopromosso” dal notaio, sembra costituire il meccanismo generale di correzione degli atti autentici provenienti dai notai e dagli altri pubblici ufficiali autorizzati (anche per la sua collocazione all’interno della Legge Notarile), il notaio potrà sempre scegliere di correggere quegli atti redigendo un “tradizionale” atto di rettifica tutte le volte che il caso concreto lo richiederà. Non solo pertanto quando il procedimento di correzione prenderà avvio da un’iniziativa degli interessati che conferiranno apposito incarico al pubblico ufficiale, ma anche quando sussistano i presupposti (esaminati in seguito) per attuare una rettifica “certificata” ex art. 59 bis.
Le riflessioni che seguono si limiteranno a dare una prima interpretazione dell’art. 59 bis legge notarile, affrontando solo marginalmente le questioni che, più in generale, sollevano gli atti notarili di rettifica e trascurando totalmente quelle scaturenti dal processo di adattamento del nuovo istituto alla novità – già ricordata – dell’atto notarile informatico.
1. Natura della rettifica notarile
Nel nostro ordinamento è assente un istituto generale sulla rettifica o correzione degli atti(2).
Ciò spiega come la scelta compiuta con l’art. 59 bis L. N., di dettare una disciplina ad hoc per la rettifica degli atti notarili, è perfettamente in linea con la strada intrapresa da tempo dal nostro legislatore, di regolamentare con discipline di dettaglio la correzione degli atti e provvedimenti emessi da pubbliche autorità.
Questo è un dato essenziale ai fini del presente lavoro, poiché per comprendere i limiti di utilizzazione della rettifica degli atti notarili, appare indispensabile muovere da un’analisi comparativa con gli analoghi meccanismi correttivi degli atti previsti da altri contesti normativi.
L’individuazione dei tratti comuni delle diverse specie di rettifica, permetterà di comprendere – ove possibile – quali siano gli elementi essenziali della natura(3) del nuovo istituto, verificare se questa sia in tutto o in parte coincidente con quella che si riscontra negli altri procedimenti correttivi degli atti, ma soprattutto, il raffronto si rivelerà proficuo in seguito, quando si cercherà di individuare quali dati errati o mancanti degli atti autentici potranno essere rettificati.
Procedendo secondo questo metodo, quindi, il punto osservazione privilegiato è naturalmente quello che guarda alle procedure di correzione ed integrazione dei provvedimenti giudiziari(4), alle quali si ricorre quando occorre emendare il provvedimento del giudice da errori materiali ovvero integrarlo per le omissioni in cui egli sia involontariamente incorso.
Sembra utile precisare che nell’ambito di queste procedure, al di là delle diverse formule espressive, il concetto di “rettifica” può intendersi come sinonimo di “correzione” o “regolarizzazione” o “rettificazione” o “modifica”, definizioni variamente impiegate - a volte promiscuamente(5) - ma comunque tutte indicative o, quanto meno, evocative, di un dato incontroverso: la modificazione di un provvedimento decisorio relativamente ad elementi non destinati a modificare il decisum, non rilevanti ai fini della validità dell’atto e che riguardano la redazione del documento(6).
Si è in presenza quindi di un istituto il cui significato è possibile ottenere ”in via indiretta”, partendo dagli errori o dalle omissioni che siano correggibili, e che coincidono – come si vedrà - con i vizi di “scarso rilievo” del provvedimento emanato, tali cioè da non provocare alcun pregiudizio all’ordinamento e che vengono indicati come “errori materiali”, vale a dire “anormalità” dell’atto considerate di lieve importanza.
L’”errore materiale” è il comune denominatore che come rinveniamo nelle norme che disciplinano le procedure di correzione delle sentenze e delle ordinanze civili (art. 287 cod. proc. civ.), delle sentenze penali (art. 130 cod. proc. pen.), amministrative (art. 86 Dlgs. 2 luglio 2010 n. 104) e costituzionali (art. 21 Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte Cost. del 16 marzo 1956), così ritroviamo anche nel nuovo art. 59 bis. L. N.
E così come per la correzione delle sentenze, così anche per la rettifica notarile ne costituisce il presupposto di applicazione.
Convergenti verso un unico significato di “errore materiale”, inoltre, sono le opinioni che lo indicano come quello che incide sull’esteriorizzazione della volontà del giudicante e non invece sul processo formativo della stessa, per quanto disomogenee siano le descrizioni del fenomeno.
Si parla infatti di “errore nell’espressione anziché nella formazione dell’idea(7), “errata traduzione in segni grafici degli elementi propri o individuatori di una persona o di una cosa”(8), errore “incapace di determinare la nullità del provvedimento”(9), “inesattezza accidentale o comunque occasionale….inidonea a modificare il contenuto” delle pronunce(10), “fortuita divergenza fra il giudizio e la sua espressione letterale”(11), “disguidi”(12), “svista”, ossia mancata corrispondenza tra ideazione e rappresentazione di questa(13), non corrispondenza tra la “materiale esteriorizzazione del pensiero ed i concetti cui tale esteriorizzazione è seguita”(14).
Talvolta l’errore materiale è stato omologato al “fraintendimento”, inteso come equivoco o travisamento nella trascrizione di quella che era stata l’effettiva approvazione di un documento(15).
Ma non è solo il riferimento testuale all’”errore materiale” l’elemento che ha in comune la rettifica notarile con i provvedimenti del giudice.
La “scarsa rilevanza” o la “lieve entità” dell’errore materiale riscontrato, si manifesta nella preclusione all’utilizzo della rettifica per “sanare” eventuali nullità dell’atto.
Questo requisito ricorre frequentemente all’interno della rettifica dei provvedimenti giudiziari, per la quale si dice che può essere impiegata solo quando il provvedimento da emendare sia affetto da un vizio che non ne determini la nullità.
La regola, che affonda le sue radici nel principio secondo cui le cause di nullità si traducono in motivi di impugnazione, si sostanzia nell’affermazione secondo cui la procedura di correzione degli errori materiali - dovendo agire su elementi “irrisori” dell’atto - non può essere utilizzata per rimuovere le cause di nullità del provvedimento, e ciò quand’anche non espressamente sancita (cfr. invece l’art. 130 cod. proc. pen.)(16).
Che la rettifica in parola non possa utilizzarsi per la eliminazione delle cause di nullità, è un dato ineliminabile – come si vedrà in seguito – anche per la rettifica degli atti notarili che da tempo la dottrina ha già messo in evidenza(17).
Pure ricorrente, inoltre, il profilo secondo cui l’”errore materiale” rettificabile è quello che viene qualificato come errore nell’espressione dell’idea e non nella sua formazione(18), e che si sostanzia nella difformità tra quanto voluto e deciso dal giudice e quanto concretamente riportato nel documento(19).
Anche tale carattere sembra potersi rinvenire nella rettifica notarile.
Dire infatti che la rettifica non possa essere utilizzata per correggere un vizio che sia intervenuto nel processo volitivo che ha portato al giudizio, equivale a dire - mutatis mutandis – che l’errore nel quale siano incorse le parti nella formazione del contratto viziato, non deve essersi prodotto nella fase costitutiva dell’accordo, ricadendosi altrimenti in un ambito completamente diverso da quello in esame e che attiene ai vizi del consenso, causa di annullabilità del contratto e non di semplice rettifica.
Se si accetta tale accostamento ecco che un altro punto di contatto tra la rettifica notarile e quella giurisdizionale deve essere rimarcata.
Assolutamente prevalente, infine, è l’orientamento che ravvisa quale elemento caratterizzante l’errore materiale quello della riconoscibilità, vale a dire la circostanza che l’errore sia rilevabile ictu oculi da una semplice lettura del provvedimento decisorio(20).
Quest’ultimo requisito, indicato come “contestualità” o “materialità” dell’errore, viene inteso nel senso di immediata riconoscibilità del vizio dalla semplice lettura del documento, senza che alcun rilievo abbia avuto la volontà nel provocare l’errore(21).
La immediata rilevabilità dell’errore, tuttavia, è un requisito tipico della sola correzione dei provvedimenti giurisdizionali, per i quali è decisivo distinguere tra l’”errore materiale” oggetto di rettifica ex artt. 287 ss. cod. proc. civ. e l’”errore fatto” oggetto di revocazione ex art. 395 n. 4 cod. proc. civ., quest’ultimo errore ascrivendosi alla (inesatta) valutazione compiuta dal giudice sugli atti e i documenti di causa.
Non così, invece, per la rettifica dell’errore che si rinviene negli atti rogati dal notaio, che non è quasi mai riconoscibile ictu oculi.
Va ricordato infatti che l’errore rettificabile dell’atto notarile non è mai riconducibile ad un vizio del processo formativo della volontà di chi l’errore ha commesso (notaio o parti dell’atto), e rileva sempre quale difetto della fase di esteriorizzazione di quella volontà.
Si consideri infatti che mentre il processo formativo della volontà nei provvedimenti giudiziari è riconducibile al solo giudicante, che non lo condivide con altri soggetti, sicché la volontà nasce, si sviluppa e si manifesta ad opera di un solo individuo, il processo formativo della volontà documentata nell’atto notarile è sempre condivisa tra il notaio e le parti.
La conferma di ciò si rinviene non solo nella funzione di adeguamento stabilita nell’art. 47 L. N., che impone al notaio di indagare la volontà delle parti, quindi conoscerla intimamente e tradurla in clausole dell’atto. Ma anche negli artt. 51 n. 8, 58 n. 6 L. N. e 67 R. N. che, imponendo al notaio la lettura dell’atto dopo il suo confezionamento, permettono alle parti di verificare che quanto riprodotto nel documento dal pubblico ufficiale rogante corrisponda alla loro volontà precedentemente dichiaratagli.
Ciò posto è evidente che se l’errore non è sorto all’interno del processo formativo della volontà e non è stato rilevato neppure in sede di lettura dell’atto, si tratta di vizio non riconoscibile né dal notaio né dalle parti, che non inficia la sostanza dell’atto sul quale la volontà si è correttamente formata, ma solo la sua rappresentazione documentale.
Si registra a questo punto la sostanziale coincidenza dei caratteri della procedura di correzione dei provvedimenti giurisdizionali, con quelli della rettifica notarile.
In particolare emerge con una certa nettezza che la rettifica notarile, come quella dei provvedimenti giudiziari, può modificare solo aspetti secondari del documento, non potendo incidere sui profili che hanno costituito oggetto del processo formativo della volontà, né su quelli che costituiscono cause di invalidità dell’atto.
Ma se è così ciò che sosterrà l’atto di rettifica sarà una dichiarazione di scienza proveniente dal notaio, ricognitiva e accertativa dei soli elementi non idoneamente rappresentati nel documento, individuati dall’art. 59 bis e dall’art. 65 della legge delega (L. 18 giugno 2009 n. 69), nei “dati preesistenti alla redazione dell’atto” ed erroneamente riportati o “trascritti” nel documento e che il legislatore, con valutazione legale tipica, ha fatto coincidere con gli errori od omissioni “materiali”.
Sarà momento imprescindibile della rettifica notarile, infatti, una fase di tipo ricognitivo, nella quale il pubblico ufficiale renderà una “dichiarazione di scienza relativa a fatti dei quali ha diretta ed immediata conoscenza” consistenti appunto nei “dati preesistenti”. Una dichiarazione che richiama quella che attenta dottrina ha ricondotto all’interno di quella particolare specie di “attestazioni autoritative” dotate di fede privilegiata (tali in virtù di espressa disposizione di legge) qualificandole come “certificazioni”(22), e cioè dichiarazioni di scienza riproduttive di certezze giuridiche.
E non a caso l’art. 59 bis L. N. designa come “certificazione” quella che può rendere il notaio – nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata – per rettificare gli atti autentici contenenti errori od omissioni materiali relativi a “dati preesistenti alla sua redazione”
2. La “certificazione”: ambito di applicazione
Una prima considerazione non può che essere rivolta alla tipologia di atti che possono essere rettificati.
E’ da ritenere che il generico riferimento all’“atto pubblico” consenta al notaio di correggere con la nuova modalità non solo gli atti pubblici notarili da lui ricevuti e quelli ricevuti da altro notaio, ma anche quelli in forma pubblica amministrativa, provenienti dai pubblici ufficiali autorizzati alla stipulazione ed aventi contenuto negoziale (es. art. 16 R.D. 18 novembre 1923 n. 2440 e artt. 95 e 96 R.D. 23 maggio 1924 n. 827; art. 97 lett. c) del D. Lgs. 18 agosto 2000 n. 267).
L’art. 59 bis L.N. non è utilizzabile invece per rettificare altri tipi di atti pubblici, come ad esempio i provvedimenti giudiziari, per i quali il meccanismo correttivo è – come visto - solo quello giudiziale delineato negli artt. 287 ss. c.p.c. (e quindi sentenze e decreti di trasferimento in sede di esecuzione), oppure i provvedimenti amministrativi, la cui rettifica è affidata in via esclusiva all’autorità promanante.
E’ dubbio invece se la nuova rettifica possa essere utilizzata per i verbali di separazione consensuale omologati, nella parte c.d. eventuale di questi, in cui i coniugi trasferiscono beni immobili o costituiscono diritti reali minori sui medesimi in conseguenza ovvero in occasione dello scioglimento del vincolo matrimoniale.
Per quanto infatti siano ormai consolidati gli orientamenti giurisprudenziali che riconoscono a tale verbale la natura di atto pubblico(23), nonché di atto essenzialmente negoziale, sul presupposto che l’omologazione non ha “una funzione sostitutiva o integrativa della volontà delle parti o di governo dell’autonomia dei coniugi” (24), non si rinvengono gli elementi decisivi per escludere i verbali di separazione consensuale – quanto meno la parte c.d. eventuale - dal novero degli atti giurisdizionali per i quali è da ricorrere al meccanismo correttivo dell’art. 287 cod. proc. civ.
E da ritenere che in presenza di tale incertezza interpretativa, se anche possa ammettersi per i verbali di separazione consensuale la possibilità di impiegare la nuova rettifica ex art. 59 bis L. N., in ragione dell’assoluta specificità della fattispecie, il comportamento del notaio debba essere improntato alla massima prudenza, valutandosi la possibilità di applicare il nuovo istituto solo dopo aver constatato che non sia possibile ricevere l’atto di rettifica alla presenza dei coniugi che sottoscrissero il verbale poi omologato.
Quanto alle scritture private autenticate, la possibilità di estendervi la rettifica in esame potrebbe creare un apparente disorientamento, per la considerazione che la rettifica andando ad incidere nel corpo della scrittura privata, modificherebbe un documento proveniente dai privati. Tuttavia se si riconosce che il notaio possa incidere sul contenuto degli atti autentici anche da lui non formati, nei limiti appresso specificati, tale possibilità deve ammettersi anche per le scritture private autenticate (anche se non formate dal notaio autenticante) ormai parificate agli atti pubblici notarili a seguito dell’estensione del controllo di legalità del pubblico ufficiale autenticante, a seguito della modifica dell’art. 28 L.N. con legge n. 246/2005.
Il problema, semmai, è quello legato all’inalterabilità delle scritture private autenticate da sottoporre a rettifica, rispetto alle quali è essenziale per il notaio avere la certezza che si tratti di documenti che non abbiano subito modifiche.
La soluzione più prudente sembra quindi quella di rettificare solo le scritture private autenticate conservate a raccolta ovvero, quelle alle quali sia stata data pubblicità immobiliare e commerciale, adempimenti questi che consentono di poter verificare che il documento non abbia subito alterazioni dopo l’autenticazione delle sottoscrizioni(25).
Chiarito l’ambito di applicazione della norma occorre rispondere al quesito se il notaio abilitato a ricevere la nuova rettifica debba essere necessariamente quello che ha ricevuto l’atto da rettificare ovvero possa essere anche un notaio diverso.
E la risposta non può che essere in quest’ultimo senso, in ciò confortati dalle seguenti considerazioni.
Innanzitutto la riserva di competenza attribuita al notaio dalla norma in esame, autorizzandolo, in via generale, a rettificare gli atti autentici anche di provenienza non notarile.
Tale “riserva” si spiega con il ruolo svolto da notaio nel sistema di documentazione degli atti autentici. Se il notaio è istituzionalmente preposto (art. 1 L.N.; art. 2699 cod. civ.) alla redazione di atti pubblici e scritture private autenticate; se l’atto notarile è considerato dal legislatore il paradigma di atto pubblico, alla cui disciplina attingono quelle degli atti pubblici formati da altri pubblici ufficiali autorizzati dalla legge a riceverli; se, infine, il notaio è tenuto agli obblighi - variamente sanzionati – di conservare gli atti e curarne gli adempimenti pubblicitari, tutto ciò è sembrato al legislatore “garanzia sufficiente” per attribuire al solo notaio, una competenza generale a rettificare tutti gli atti autentici, anche se ricevuti da pubblici ufficiali diversi dal notaio.
Si aggiunga, inoltre, che nel nostro sistema non sembra rinvenibile alcun limite a tale riserva di competenza funzionale del notaio che possa limitarne il potere di rettifica nel senso sopra indicato; al contrario, si registra un orientamento giurisprudenziale che pur dettato per la rettifica giudiziale, appare in grado di essere impiegato anche per la rettifica notarile, ampliando la legittimazione del notaio in relazione alla stessa.
Pertanto, così come per la rettifica giudiziale si è ritenuto che il riferimento dell’art. 287 c.p.c. allo “stesso giudice” abilitato a correggere la sentenza che ha pronunciato, debba intendersi come rivolto ad uno dei giudici appartenenti allo “stesso ufficio giudiziario” (26), analogamente è da ritenere che la rettifica notarile non presuppone la “specialità” del pubblico ufficiale che ha rogato o autenticato l’atto da rettificare, sicchè il notaio legittimato a rettificare gli atti notarili o autenticati, deve intendersi come riferito ad uno dei notai iscritti nel ruolo di qualunque distretto notarile(27).
Richiede di essere interpretata anche la previsione dell’art. 59 bis che riconosce al notaio una semplice “facoltà” di utilizzare la certificazione in esame.
E’ da ritenere che quella facoltà sia da intendere in un duplice senso.
Sia come possibilità per il notaio di rifiutarsi di procedere alla “nuova” rettifica, non diversamente dall’ipotesi in cui gli venga richiesto di ricevere una comune rettifica negoziale: al notaio dovrà essere sempre riservata la valutazione sulla ricevibilità dell’atto, come del resto per ogni altro atto che gli sia richiesto di stipulare.
Sia anche come prerogativa del notaio – valutata la ricevibilità in astratto della rettifica – di scegliere di non ricorrere alla nuova procedura “certificata” quando reputi, anche solo opportunamente, di dover ricorrere alla rettifica negoziale in presenza delle parti o degli interessati.
3. Contenuto e forma
Non sembra potersi dubitare che la rettifica in esame, oltre ad essere contenuta in un atto autonomo, possa far parte – accessoriamente - di altro atto pubblico che il notaio sia chiamato a ricevere.
Occorre interrogarsi quindi sul contenuto dell’atto o della clausola contenente la nuova rettifica, risultando piuttosto evidente che il riferimento normativo alla staticità della “certificazione”, stride con la situazione evocata dalla norma stessa che presuppone invece un (dinamico) intervento correttivo del notaio sull’atto.
Per quanto infatti in tale ipotesi l’esplicazione del potere certificativo del notaio non incontri limiti (salvo quelli legati all’incarico di parte), resta il problema di come tale strumento accertativo possa essere impiegato.
La“certificazione” infatti, sostanziandosi in una dichiarazione di scienza relativamente alla sussistenza di un determinato atto notarile affetto da un errore materiale, non può “rettificare”alcunchè(28).
Se caratteristica della certificazione è la ricognizione delle fonti (da rettificare), il raffronto dei dati errati con quelli esatti o mancanti, ed inoltre l’acclaramento(29) della certezza circa il dato rettificato, ebbene la stessa non può che precedere la rettifica vera e propria, attestandone la necessità di attuarla rispetto ad una rilevata difformità con i dati da correggere. Il termine “certificazione” impiegato dall’art. 59 bis, pertanto, se non improprio è quanto meno insufficiente.
E’ da ritenere allora che quando l’atto ricevuto si atteggi secondo quanto ora indicato, la certificazione dell’art. 59 bis L. N. precederà la “nuova” rettifica, atteggiandosi come una “fase” necessariamente prodromica del procedimento di rettificazione che viene documentato con la nuova tipologia di atto pubblico.
Poiché infatti come ricordato in premessa il nuovo atto di rettifica (diversamente da quello tradizionale), è ricevuto senza le parti dell’atto da rettificare, la “certificazione” è necessaria per giustificare il ricorso al nuovo strumento, e si sostanzierà nella ricognizione dell’atto da rettificare e nel raffronto dei dati da correggere con quelli esatti.
In concreto, quindi, l’atto potrà dirsi idealmente diviso in tre parti, in cui ad una prima di tipo “narrativo”, in cui si individua l’atto che contiene l’errore o l’omissione da rettificare, ne segue una propriamente “certificativa”, in cui il notaio “certifica” di aver accertato che a seguito dell’individuazione dell’atto ed eseguito il raffronto con i dati preesistenti all’atto da rettificare, in suo possesso o forniti da terzi, sussiste un errore od omissione, in grado di essere emendato od integrato. Seguirà poi una terza fase che propriamente contiene la “rettifica” dell’atto richiamato nella premessa e con la quale si inciderà sull’atto, correggendolo nel senso sopra indicato.
4. I dati rettificabili
L’art. 59 bis stabilisce che sono rettificabili gli atti pubblici o le scritture private contenenti “errori od omissioni materiali relativi a dati preesistenti alla sua redazione”.
Anche sulla scorta di quanto ritenuto in relazione alla natura dell’istituto in esame, deve trattarsi quindi di dati già formati prima della stipula, sicché la rettifica notarile interesserà, ad esempio, i dati catastali e le indicazioni anagrafiche, ma anche gli estremi dei provvedimenti amministrativi richiamati nell’atto, i riferimenti dei contratti riportati nel documento, ecc.
Che nelle intenzioni del legislatore il dato rettificabile sia solo quello preesistente all’atto, emerge in modo ancora più netto dall’art. 65 della legge delega (n. 69/2009) in base al quale la legge delegata avrebbe dovuto prevedere che oggetto di rettifica sarebbero stati solo “errori od omissioni materiali di trascrizione di dati preesistenti alla redazione dell’atto”.
L’omesso riferimento alla “trascrizione” (nel senso di “scritturazione”) da parte del notaio di dati già formati prima della redazione dell’atto, non sembra tuttavia creare particolari problemi in sede di applicazione dell’art. 59 bis, la cui formulazione peraltro non appare eccessiva rispetto alla legge delega.
Non potranno invece essere rettificati quei dati che si generano in occasione del ricevimento dell’atto.
Invero la possibilità di correggere solo gli errori o le omissioni materiali relativi a dati preesistenti all’atto, ha sempre costituito uno dei limiti generali all’ammissibilità della rettifica dell’atto notarile, e ciò in ragione delle particolari modalità che caratterizzano il processo formativo del documento pubblico da parte del notaio(30).
In particolare si è osservato che l’atto notarile non documenta soltanto le fasi della propria formazione, ma anche altri fatti che si verificano contestualmente alla sua creazione, ovvero dati che vengono acquisiti dal pubblico ufficiale contemporaneamente alla formazione dell’atto, cosicchè “il documento….equivale….a una fotografia”(31).
Appare evidente che se l’erronea riproduzione del dato nell’atto dipende da un errore materiale di scritturazione (o, come si esprime la legge delega, “di trascrizione”) da parte del notaio, e tale errore sia chiaramente verificabile con il confronto di altri documenti o con la palese inalterabilità o notorietà del dato da correggere, così da escludere ogni possibile interpretazione alternativa, la correzione materiale tramite la rettifica dovrà ritenersi senz’altro ammissibile.
Analogamente dovrà ammettersi la rettifica del titolo, quando l’errore cada su uno o più elementi di identificazione delle parti contraenti o sull’oggetto negoziato, sempre che il vizio non si traduca in “ambiguità, oscurità o contraddittorietà insanabile, ovvero discordanza oggettiva rispetto a quanto realmente avrebbe dovuto trovarsi trasfuso nel documento”(32).
A tal fine, con riferimento all’oggetto dell’atto, è opportuno ricordare che facendo ricorso ai principi generali in tema di interpretazione del negozio, potrebbe risultare che le indicazioni dei dati catastali relative al bene immobile negoziato vengano ad assumere, nelle intenzioni delle parti contraenti, un diverso significato.
Queste ultime potrebbero infatti concordemente impiegare quelle indicazioni unicamente quale modalità descrittiva del bene, assumendole quali informazioni ausiliarie rispetto ad altre indicazioni dal valore decisivo e prevalente, come ad esempio quelle relative ai confini(33).
In tale ipotesi la rettifica del dato catastale errato appare senz’altro possibile.
Innanzitutto perché la rettifica (in ossequio al disposto normativo) avrebbe ad oggetto dati già formati prima della stipula. Si è in presenza quindi di un errore agevolmente rettificabile mediante il confronto con altri documenti, dai quali è possibile ricavare il dato corretto caratterizzato da inalterabilità e notorietà.
Ma la rettifica è possibile soprattutto perché essendosi attribuito alle indicazioni dei dati catastali un valore secondario ed accessorio, esse non incidono sulla sostanza del trasferimento, e ciò consente quindi di escludere che l’errore su quei dati produca ambiguità ed oscurità sull’oggetto del negozio.
Non è utilizzabile la rettifica, invece, nel caso in cui le parti dovendo procedere alla determinazione dell’oggetto del contratto, abbiano stabilito di far ricorso unicamente ai dati catastali, senza ricorrere ad altri elementi di identificazione del bene(34), né abbiano indicato alcuna “regola determinativa” con riferimento alla possibilità di individuare l’oggetto del contratto.
In questa ipotesi, poiché l’indicazione di quei dati è avvenuta a pena di invalidità del negozio (cfr. artt. 1346 e 1418 cod. civ.), non sembra possibile procedere a rettifica, per quanto l’errore come nel precedente caso abbia pur sempre interessato il dato catastale.
Poiché in questo caso la ”comune intenzione delle parti” ha assegnato al dato catastale un significato contrattuale tendenzialmente invariabile, con l’obiettivo di individuare l’oggetto negoziato, deve escludersi la possibilità di utilizzare il procedimento di comparazione del dato errato con quello esatto che è a base della rettifica.
Tale procedimento infatti è precluso nell’ipotesi in cui l’errore cada su elementi che, essendo stati dedotti in contratto in funzione del completamento dell’accordo negoziale (in questo caso quanto all’oggetto) non costituiscono i termini di una comparazione ma di un accertamento.
Ove si tratti di stabilire se vi sia stata o meno la conclusione dell’accordo negoziale sul bene negoziato (e non potendo certamente affermarsene la conclusione in presenza di un oggetto non determinato(35)), l’istituto della rettifica non sarà certamente applicabile. In questa ipotesi l’attività richiesta al notaio sarebbe estranea alle sue funzioni, in quanto volta alla ricostruzione della volontà delle parti.
Se il notaio dovesse individuare l’oggetto del contratto mediante i dati catastali formati dalle parti, sarebbe chiamato a ricomporre i termini di una volontà negoziale non più esistente, compiendo appunto un’attività di accertamento.
Se ad esempio in occasione del trasferimento di un appartamento, le parti abbiano taciuto che all’immobile principale era collegata una cantina di pertinenza, non potrà essere utilizzata la rettifica per “acclarare” la reale volontà delle parti in ordine all’esatto oggetto di trasferimento. In questo caso la rettifica presenterebbe un contenuto accertativo non consentito, venendo in realtà impiegata per interpretare il contratto: o nel senso di ritenere “rotto” il suddetto vincolo pertinenziale ovvero per precisare che insieme all’immobile principale si è trasferita (ope legis) anche la pertinenza.
Proprio sulla base di quest’ultima riflessione deve escludersi la rettifica, più in generale, tutte le volte in cui il dato da correggere che è stato documentato nell’atto pubblico, sia il risultato di un’attività genericamente valutativa del pubblico ufficiale e quindi affidato alla sua percezione(36). Se questa dovesse essere l’attività richiesta al notaio, non si sarebbe più in presenza di “dati preesistenti” alla redazione dell’atto così come richiesto dall’art. 59 bis, quanto invece di dati generati in occasione della stipula, sicché, anche per ragioni testuali, la rettifica dovrebbe escludersi
L’esempio del pagamento del prezzo nella compravendita è di ausilio per comprendere l’affermazione.
Se le parti dichiarano al notaio un determinato importo e il pubblico ufficiale ha frainteso la cifra dichiaratagli come prezzo, in questa ipotesi la rettifica non potrà essere attuata.
Al notaio si richiederebbe infatti di compiere un’attività estranea alle sue funzioni. Si è già accennato che mediante l’atto di rettifica il notaio dovrebbe ricostruire una verità trascorsa, compiendo un’attività valutativa di accertamento, senza la possibilità di un riscontro di dati contestualmente all’atto (impropriamente qualificato) come correttivo(37).
Si aggiunga che in tale ipotesi l’errore (di percezione) del notaio è divenuto anche errore delle parti, destinato ad incidere sul negozio documentato; poiché infatti il notaio ha dato lettura all’atto che è stato approvato dalle parti, la volontà documentata è senza dubbio quella definitivamente manifestata dai contraenti. Anche per tale ragione, quindi, la rettifica non sarebbe ammissibile.
La rettifica tornerà ad essere soluzione praticabile, invece, quando il pagamento del prezzo sia stato documentato in atto, come ad esempio quando il notaio descrivendo l’assegno utilizzato per il pagamento, abbia errato nel trascriverne l’ammontare.
Come è stato osservato “nessuna incidenza potrebbe qui avere l’approvazione e la sottoscrizione delle parti dopo la lettura, trattandosi di un dato oggettivo che il pubblico ufficiale doveva inderogabilmente constatare”(38) ed il cui accertamento sarà sempre ed in ogni momento possibile. Il ragionamento potrà essere esteso ad ogni altra ipotesi in cui il dato documentato sia quello riportato su atti e documenti immodificabili o comunque dotati di certezza pubblica.
Si noti come mentre in quest’ultimo caso il dato è “preesistente all’atto” e quindi rettificabile, nella prima ipotesi il dato (dichiarato) viene generato durante la stipulazione, e cioè nel momento in cui viene comunicato al notaio il prezzo pagato, il che come detto rende impossibile la rettifica.
La rettifica è da escludere anche quando il dato da rettificare - pur se “preesistente” all’atto - abbia determinato nullità formale o sostanziale del negozio.
Si è posto in evidenza che in relazione a tale circostanza o sono destinati ad operare meccanismi di salvaguardia del contratto diversi dalla rettifica, come ad esempio la conferma (prevista ad esempio dalla legislazione urbanistica) o la conversione del negozio nullo, oppure la strada obbligata è quella della rinnovazione del contratto. Al di fuori di questi rimedi non esiste alcun interesse pubblico alla validità del negozio che possa fondare la liceità della rettifica, restando la nullità indisponibile, insanabile e rilevabile d’ufficio dal giudice(39).
Fermo quanto sopra detto, si deve ammettere la rettifica anche dopo l’entrata in vigore del nuovo art. 29 comma 1bis della Legge 27 febbraio 1985 n. 52 (introdotto dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78 convertito, con modifiche, in legge 30 luglio 2010 n. 122) che, negli atti aventi ad oggetto fabbricati, impone a pena di nullità l’indicazione dei dati catastali. Sebbene – è necessario aggiungere – in quest’ambito la rettifica risulti ammissibile nei soli limiti della correzione dei dati catastali presenti ma indicati erroneamente, e non invece con riferimento alle omesse indicazioni dei dati catastali che determinano la nullità secondo la nuova norma(40).
Poiché anche dopo l’entrata in vigore del D.L. n. 78/2010, dall’errata indicazione del dato catastale non deriva la nullità dell’atto, la rettifica di questo non essendo una conferma della nullità, ma avendo solo la funzione di meglio esplicitare i dati di identificazione dell’oggetto del contratto sul quale si è formata la volontà delle parti, potrà essere ricevuta e avere ad oggetto i dati catastali erroneamente indicati.
Le considerazioni sul D.L. n. 78/2010 possono essere utilizzate, entro certi limiti, per confermare l’impiego della nuova rettifica anche per gli atti di concessione di ipoteca, ciò che sarebbe da ammettere anche solo alla luce dell’ampia formulazione dell’art. 59 bis.
In quest’ambito il limite ad un eventuale impiego della rettifica in esame (oltre all’eventuale pregiudizio derivante ai terzi in buona fede) potrebbe derivare dal tipo di errore od omissione da rettificare, essendo prevista dalla legge la possibilità per la parte interessata di ricorrere all’autorità giudiziaria al fine di ottenerne la rettificazione (art. 2841 co. 2 cod. civ.).
Sebbene non vietata è invece sconsigliabile, sul piano pratico, la rettifica quando la correzione del dato è destinata a ripercuotersi sugli atti che derivano o dipendono da quello rettificato. Come accade, ad esempio, nell’ipotesi in cui l’errore sul “dato preesistente” commesso in occasione del primo atto, si trovi riprodotto nei successivi o paralleli atti regolarmente volturati e trascritti.
In questa ipotesi – che rileva solo sotto il profilo della responsabilità professionale - la rettifica del primo atto, adeguando la consistenza documentale dell’atto rettificato alla realtà effettiva, impone per un principio di corrispondenza tra i documenti pubblici e di veridicità dei pubblici registri, di adeguare anche gli atti che per effetto della rettifica risultano “indirettamente” modificati, nonché di correggerne le connesse formalità pubblicitarie.
Andrebbero pertanto valutate prima della rettifica, le possibili conseguenze pregiudizievoli che questa potrebbe determinare, in relazione all’affidamento che i terzi di buona fede hanno riposto sulle risultanze dei pubblici registri alimentati dall’atto rettificato (si pensi ad esempio alle procedure giudiziarie iniziate sulla base di dati catastali, successivamente corretti anche riguardo alle note di trascrizione). In quest’ottica l’inciso “fatti salvi i diritti dei terzi” contenuto nella norma in esame, assume un preciso significato.
5. Rettifica e pubblicità immobiliare
Tali ultime considerazioni richiedono di affrontare il tema della pubblicità della rettifica ex art. 59 bis e, segnatamente, di quella che viene attuata nell’ambito dei registri immobiliari.
A questo proposito sembra utile premettere che si presenta sterile – se non addirittura inutile - il dibattito volto a stabilire se in assenza di un’espressa previsione di legge, all’atto di rettifica di un precedente atto già trascritto debba o meno darsi pubblicità.
Non solo perché a tale possibilità apre oggi la nuova norma(41), ma anche perché la diffusa prassi notarile e amministrativa(42), oltre alla giurisprudenza(43) e alla dottrina(44), ammettono senz’altro che alla vicenda in esame possa darsi pubblicità.
Ciò che appare meritevole di approfondimento, invece, è se la pubblicità dell’atto di rettifica possa essere in grado di pregiudicare i “diritti dei terzi”, come l’inciso dell’art. 59 bis ha avuto cura di evidenziare.
La risposta - anticipando le conclusioni rassegnate più avanti - è negativa, ma solo se si parte dal presupposto secondo cui l’opponibilità ai terzi di un atto trascritto si basa solo per quanto risulta dalla nota di trascrizione, ed escludendo quindi che gli stessi possano “ricostruire” l’atto di cui la nota ha dato pubblicità, ricorrendo ad elementi estranei a questa(45).
Se si tiene ferma tale premessa non si avrà mai una soccombenza dei terzi che - impregiudicata ogni questione legata alla conoscenza effettiva del vizio – abbiano medio tempore, prima della trascrizione dell’atto di rettifica, trascritto o iscritto una formalità confidando sulle risultanze delle note già trascritte.
Già prima della trascrizione dell’atto di rettifica, se gli errori o le omissioni contenuti nel titolo si siano riprodotti nella nota di trascrizione - e quindi in assenza di discrepanza fra il tenore della nota e l’atto trascritto - non sarà in alcun modo possibile opporre ai terzi l’atto trascritto privo dell’errore; questo perché i terzi non saranno in grado di riferire la trascrizione rinvenuta nei registri immobiliari all’atto identificato nei termini in cui lo sarebbe stato senza quell’inesattezza(46).
Infatti diversamente dall’ipotesi disciplinata nell’art. 2665 cod. civ., in cui sussistendo una difformità della nota rispetto al titolo, al terzo sarà opponibile l’atto così come individuato - nei suoi profili soggettivi ed oggettivi - secondo la combinazione fra l’elemento indicato inesattamente e gli altri elementi della nota di trascrizione, nel caso in esame una nota di trascrizione non recante alcuna inesattezza e pienamente corrispondente all’atto che ha inteso rappresentare, non potrà essere intesa come opponibile al terzo con un contenuto diverso, corrispondente a quello che avrebbe dovuto essere il contenuto effettivo dell’atto e che, per errore compiuto direttamente in esso, è risultato diverso e così è stato riportato nella nota(47).
Tale esito deve essere ribadito soprattutto a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 52/1985, che ha caratterizzato con una maggiore rigidità il sistema pubblicitario, non consentendo più al richiedente di inserire una descrizione analitica degli immobili oggetto di trascrizione, ma obbligandolo a compilare la nota fornendo le sole informazioni predefinite dal legislatore(48).
Ma la posizione dei terzi non sarà pregiudicata neppure a seguito della trascrizione dell’atto di rettifica, essendo pienamente operativo il presidio costituito dai principi generali che reggono la pubblicità(49), come ad esempio quello di autoresponsabilità(50) o di affidamento del terzo di buona fede in relazione alle risultanze dei registri immobiliari(51).
5.1 segue. Trascrizione o annotazione dell’atto di rettifica?
E’ da ritenere però che la tutela dei terzi sia essenzialmente affidata alla priorità dell’ordine delle trascrizioni.
La presentazione della nota di trascrizione relativa all’atto di rettifica, per quanto caratterizzata dalla finalità meramente correttiva/integrativa di una precedente nota già trascritta, è una nuova formalità “senza alcuna relazione con la precedente, e prende grado e svolge i suoi effetti dal giorno della sua effettuazione” per cui rispetto ad essa “prevalgono….in base al principio della priorità, le trascrizioni e le iscrizioni precedentemente eseguite contro lo stesso autore”(52).
Con ciò, pertanto, non si ritiene di condividere l’opinione secondo cui all’atto di rettifica dovrebbe darsi pubblicità mediante annotazione anziché trascrizione(53). Si aggiunga che, a parere di chi scrive, la formalità della trascrizione – più dell’annotazione – si presenta maggiormente in linea con il sistema di protezione dei terzi che sia ancorato al meccanismo della pubblicità immobiliare, per quegli atti che inconsapevolmente(54) o meno(55) vengono qualificati dalle parti contraenti come “atti di rettifica”, e che invece costituiscono se non veri e propri atti dispositivi, quanto meno negozi dal contenuto accertativo o ricognitivo su elementi non rettificabili.
In linea generale non potrebbe sostenersi la tesi dell’annotazione facendo leva sulle caratteristiche dell’atto di rettifica, argomentando dalla non incidenza di questo sul contenuto dell’atto già trascritto, sicchè l’annotamento a margine non farebbe altro che segnalare che l’atto rettificato è stato, fin dall’origine, inserito nei registri immobiliari secondo il contenuto risultante dall’attività rettificativa(56).
Con ciò, infatti, si riconoscerebbe alla pubblicità dell’atto di rettifica una portata “retroattiva” non solo tra le parti, ma anche rispetto ai terzi di buona fede che, medio tempore, abbiano trascritto o iscritto una determinata formalità(57).
Tale soluzione – a ben vedere - si porrebbe in contrasto con la regola generale che permea l’intero codice civile, e che vede la tutela dei terzi di buona fede che abbiano fatto affidamento su atti negoziali caratterizzati da apparente validità od efficacia (artt. 232, 252, 5342, 7852, 13992 cod. civ.), in grado di essere pregiudicata solo da una precedente trascrizione (artt. 1445, 1452, 14582, 2652 n. 6 cod. civ.).
Non si intende quindi escludere la valenza retroattiva all’atto di rettifica, ma semplicemente ribadire che tale retroattività opera soltanto tra le parti e non può essere opposta a chi ha trascritto il proprio atto anteriormente alla trascrizione dell’atto di rettifica.
Conseguentemente è da escludere che l’eventuale correzione dei vizi mediante l’atto di rettifica regolarmente trascritto, possa determinare una “sanatoria” con effetti retroattivi dell’originaria trascrizione, in pregiudizio di eventuali terzi che avendo fatto affidamento sulle risultanze (transitoriamente) erronee dei registri immobiliari, abbiano trascritto o iscritto una formalità anteriormente alla successiva nuova nota di trascrizione(58).
Va poi ricordato che il contemperamento delle esigenze di conoscibilità dell’atto di rettifica non solo da parte dei contraenti, ma anche dei terzi di buona fede, è in grado di essere assicurato dalla formalità della trascrizione anche dopo la meccanizzazione delle conservatorie. Si è evidenziato infatti che “anche se la trascrizione o l’iscrizione eseguita in rettifica, prende effetto e grado dalla data della sua esecuzione, il sistema meccanizzato in sede di interrogazione fornisce la informazione che una determinata formalità è stata rettificata con una successiva e, viceversa una formalità successiva sta rettificando una precedente”(59).
Sotto un diverso profilo, inoltre, si presenta fuorviante il tentativo di giustificare l’esecuzione della pubblicità accessoria anziché principale a margine della formalità da rettificare, distinguendo tra le omissioni o le inesattezze “di scarso rilievo”, e quelle che pregiudicano la validità delle formalità. Appare infatti poco comprensibile il meccanismo che consentirebbe alle parti di distinguere gli errori o le omissioni “di scarso rilievo”, per i quali sarebbe consentito di utilizzare lo strumento dell’annotazione, dai vizi invalidanti la trascrizione – e cioè che inducono “incertezza sulle persone, sul bene o sul rapporto giuridico” – e che imporrebbero invece di ricorrere alla trascrizione(60).
Innanzitutto tale distinzione presuppone la divergenza della nota di trascrizione rispetto al titolo, per cui – come già evidenziato - si è in presenza di fattispecie estranea a quella in esame, in cui l’errore da rettificare presente sull’atto si è riprodotto (anche)nella nota.
Infatti se si è in presenza di una divergenza della nota rispetto al titolo, si ricade nell’ambito applicativo dell’art. 2665 cod. civ., sicchè non saranno le parti ma il giudice di merito che dovrà accertare, con apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità(61) (specialmente quando la nota di trascrizione non contenga al suo interno alcun dato rilevatore dell’errore od omissione) se ricorra o meno un vizio “di non scarso rilievo” invalidante la formalità pubblicitaria.
Che poi le parti, intenzionate ad evitare la lite, si siano “accordate” riconoscendo la portata invalidante o meno del vizio è certamente possibile, ma le stesse dovranno presentare una nuova nota di trascrizione in rettifica della precedente, che non annoteranno però, ma trascriveranno ex novo.
Questo perché apparirebbe irrazionale pensare ad una diversa modalità di esecuzione delle formalità pubblicitarie rispetto alla medesima fattispecie (errore nella nota), a seconda che questa trovi o meno sbocco in una vicenda processuale. Se infatti una delle parti intenzionata ad “impugnare la validità della trascrizione” deve procedere alla trascrizione della domanda giudiziale ex art. 2652 n. 6 cod. civ., non si vede per quale ragione la stessa parte, ove convenisse con l’altra di presentare una nuova nota di trascrizione in rettifica della precedente, potrebbe “scegliere” di presentare una formalità (non da trascrivere ma)da annotare a margine di quella già eseguita.
Il parallelo tra la sentenza e l’accordo della parti è piuttosto evidente laddove si riconosca l’ammissibilità di quest’ultimo anche su errori od omissioni invalidanti la pubblicità, e dunque la perfetta sovrapponibilità tra l’oggetto dell’accordo e la materia del contendere.
Ciò fa comprendere quindi come non appaia dirimente ai fini che qui interessano, richiamarsi al diverso grado di incertezza prodotta dal vizio che riguardi la sola nota nell’ambito della fattispecie dell’art. 2665, per stabilire quali siano le modalità per l’esecuzione della formalità pubblicitaria riguardo alla rettifica dell’atto ex art. 59 bis L.N. Da un lato perché la fattispecie considerata dall’art. 2665 è estranea a quella in esame, e dall’altro perché la necessità di procedere a trascrizione (e non ad annotazione) della nota di trascrizione correttiva di quella già trascritta, è dettata dal fatto che essendo pur sempre soggetta a trascrizione la domanda giudiziale volta a far valer l’invalidità della trascrizione ex art. 2652 n. 6 cod. civ., non sarebbe per essa accettabile una diversa modalità di esecuzione della pubblicità.
Si esclude, infine, che l’atto di rettifica debba essere annotato, richiamandosi l’opinione che ritiene utilizzabile questa forma di pubblicità per la c.d. “rettifica” del contratto prevista dall’art. 1432 cod. civ.(62)
E’ da ritenere infatti che in questo caso la formalità della trascrizione si imponga in ragione della diversa natura che presenta la “rettifica” prevista da quella norma che, correggendo un errore del consenso e non del documento, non può essere accostata alla rettifica in esame(63).
Mentre la rettifica tradizionalmente intesa è – come visto - una dichiarazione di scienza che non incide sul contenuto del negozio, la rettifica ex art. 1432 è un atto negoziale proveniente dalla parte non in errore, che si perfeziona con la manifestazione della volontà della parte in errore di mantenere il contratto rettificato, ed al quale la legge riconnette l’estinzione della facoltà di chiedere l'annullamento del contratto(64).
Se questa dunque è la natura della “rettifica” ex art. 1432 cod. civ., si è in presenza di un nuovo accordo che integra quello precedente e che, espunta la causa di annullabilità, si presenta con un “nuovo contenuto” che andrebbe pertanto (nuovamente) trascritto(65).
Tale soluzione sembrerebbe confermata, a contrario, dall’art. 2655 co. 4 cod. civ. che prevede l’annotamento solo per le “convenzioni di annullamento”, e cioè per gli accordi con i quali le parti annullano consensualmente il negozio posto in essere e non invece per quelli, come appunto quello contenuto nell’art. 1432 cod. civ., in cui le parti eliminando il vizio di annullabilità consentono al contratto già stipulato di continuare a vivere, ma con un contenuto diverso.
6. Rettifica e incarico delle parti
Sulla salvezza dei diritti dei terzi, in ogni caso, incide anche il profilo legato alla necessità che il notaio debba o meno munirsi di apposito incarico delle parti dell’atto che viene rettificato, prima di procedere alla rettifica.
a) Se la rettifica è posta in essere dallo stesso notaio che ha ricevuto l’atto da rettificare, è ragionevole ritenere che non occorra alcun incarico per eseguire la rettifica, potendosi rintracciare nello stesso originario mandato a stipulare l’atto da rettificare, anche l’incarico (sebbene implicito) ad eseguire le correzioni sull’atto.
Non potendosi dubitare infatti che nel mandato professionale a stipulare un atto pubblico, sia ricompreso (sebbene implicitamente) anche quello di redigerlo senza errori od omissioni, l’esecuzione della rettifica si ricollega alla funzione di documentazione già posta in essere e che è destinata a chiudersi, appunto, con la rettifica. Il notaio pertanto potrà eseguire la certificazione “rettificativa”, anche prescindendo da qualunque contatto con le parti originarie che lo hanno già “autorizzato” ad intervenire sull’atto a suo tempo stipulato, nei limiti indicati dalla norma (e tenendo presente quanto sopra detto circa l’incidenza della rettifica su atti che derivano o dipendono da quello rettificato).
In questo caso l’art. 59 bis si applicherà integralmente e il notaio riceverà un atto di rettifica senza che intervengano le parti dell’atto da rettificare.
b) Al notaio potrebbe essere richiesto di ricevere un autonomo atto di rettifica “fine a se stesso”, e cioè non relativo ad un atto da lui ricevuto o autenticato, né giustificato dalla necessità di correggere il titolo di provenienza di un atto che lo stesso notaio è chiamato a stipulare.
In questa ipotesi il negozio di rettifica potrà esplicarsi solo su apposito incarico di una o entrambe le parti dell’atto da rettificare, oppure dei loro eredi o aventi causa, tali soggetti essendo certamente legittimati a richiedere al notaio di intervenire per correggere errori materiali sul titolo.
Va ricordato come sia stato superato dalla giurisprudenza il rilievo fondato sulla necessaria bilateralità dell’atto di rettifica a cui intervengono tutte le parti del contratto da rettificare(66); si è quindi osservato che non avendo la dichiarazione di rettifica un contenuto negoziale ma essendo invece una dichiarazione di scienza che si limita a correggere un errore rispetto alla realtà che era già certa alle parti, se ne deve ammettere la liceità anche se posta in essere da una sola delle parti originarie(67).
L’intervento in atto delle parti richiedenti comporterà che il notaio non applicherà la disciplina dell’art. 59 bis e quindi strutturerà il negozio di rettifica secondo il tradizionale schema dell’atto ricevuto alla presenza delle parti.
c) Al notaio non occorrerà invece alcun incarico espresso ad eseguire la rettifica, nell’ipotesi in cui riceva un mandato professionale a stipulare un nuovo negozio, del quale abbia accertato che l’atto da rettificare di cui non sia l’autore costituisca titolo di provenienza.
In tale ipotesi potrebbe risultare che una o più parti dell’atto da rettificare abbiano conferito al notaio l’incarico di rogare l’atto, ovvero che tutte le parti dell’atto da rettificare risultino irreperibili.
Se nel primo caso possono in parte valere le osservazioni sub b), l’altra ipotesi - che ricade in uno dei campi di applicazione elettivi del nuovo istituto - vede come soggetti che si rivolgono al notaio coloro che pur dichiarandosi titolari del potere di disporre del bene, non siano parti dell’atto necessitante la rettifica sul quale asseriscono si basi la propria legittimazione a disporre.
Si tratta, ad esempio, delle ipotesi in cui chi dispone del bene è avente causa a vario titolo della originaria parte acquirente: es. eredi, soci assegnatari dei beni della società estinta, ente a cui per legge sono pervenuti i beni di un altro ente ecc.
In tale ipotesi la possibilità per il notaio di procedere alla rettifica secondo la nuova modalità, sembra fondarsi nel mandato professionale a stipulare il nuovo negozio.
Poiché infatti il notaio quando esamina i presupposti dell’atto, verifica che vi sia corrispondenza tra la capacità e il potere di disporre dichiarati dalla parte con quelli risultanti dall’atto, qualora quella corrispondenza manchi – anche se solo per meri dati materiali - il notaio ha il dovere professionale di segnalare alle parti che esiste una discordanza tra dati che ritiene di dover rettificare.
Ecco che, sia in base al principio generale di conservazione del contratto, sia perché la parte disponente sarebbe comunque tenuta - secondo buona fede - a prestarsi ad eseguire la rettifica nei confronti dell’altra parte, il legislatore ha (preventivamente) accordato al notaio la facoltà di procedervi direttamente, senza incarico delle parti, ricorrendo le suddette condizioni.
E’ senz’altro da ammettere, infine, che la possibilità di procedere alla rettifica si giustifichi anche in base al nuovo comma 1 bis dell’art. 29 della legge 27 febbraio 1985 n. 52 (come introdotto dal D.L. 30 maggio 2010 n. 78, convertito in legge n. 122/2010) che nell’ultima parte pone a carico del notaio il compito di individuare gli intestatari catastali e verificarne la conformità con le risultanze dei registri immobiliari.
d) Diverso è il caso, invece, in cui la rettifica che si intende attuare mediante certificazione notarile sia “fine a se stessa”, senza che ricorrano le condizioni sub b), scaturendo quindi da un’iniziativa del notaio che “casualmente” abbia rilevato l’errore o l’omissione in un atto autentico di cui non sia l’autore, oppure da una richiesta proveniente da chi non sia parte dell’atto o comunque ne sia interessato.
In tale circostanza sembra del tutto ingiustificata l’attività “certificativa” di rettifica degli atti pubblici affetti da errori od omissioni materiali posta in essere dal notaio.
Apparirebbe invero alquanto anomala l’ipotesi in cui il notaio (diverso dal pubblico ufficiale stipulante), non incaricato di ricevere un atto del quale quello da rettificare costituisca titolo di provenienza, intervenendo di propria iniziativa o su impulso di chi non appaia legittimato, corregga un atto pubblico di cui non sia l’autore, e senza che le parti dell’atto da rettificare ne siano informate(68)
Per quanto sia da ritenere che il legislatore abbia riconosciuto in capo al notaio un generale potere di rettifica degli atti autentici, non è pensabile che la novità legislativa abbia un effetto sostanzialmente abrogativo della possibilità di continuare a ricevere atti negoziali di rettifica alla presenza delle parti dell’atto rettificato.
Al contrario, un’interpretazione “equilibrata” dell’art. 59 bis L.N. sembra dare come esito che se ai tradizionali poteri del notaio come pubblico documentatore, si aggiunge ora quello di tipo certificativo e correttivo al tempo stesso, l’esplicazione di tale potere continui a ricollegarsi alla volontà delle parti, che resta comunque centrale nella procedura di rettifica degli atti(69).
Conclusioni
La facoltà per il notaio di rettificare atti pubblici e scritture private autenticate - secondo quanto previsto dal nuovo art. 59 bis L.N., - mediante una “certificazione contenuta in atto pubblico da lui formato”, trae fondamento dalla natura stessa del nuovo istituto.
Trattandosi infatti di un atto non in grado di incidere sul contenuto sostanziale dell’atto da correggere, né di rimuovere eventuali errori od omissioni che determinano la sua invalidità, a base dello stesso si rinviene una dichiarazione di scienza proveniente dal notaio relativa ai “dati preesistenti all’atto” dei quali il notaio ha diretta ed immediata conoscenza.
Non diversamente della certificazione in generale, che si caratterizza per la riproduzione di certezze giuridiche con fede privilegiata, anche la rettifica certificata dal notaio è qualificata dalla riproduzione con la medesima forza probatoria, di elementi dell’atto erronei o mancanti a diretta conoscenza del notaio o risultanti da altri atti giuridici definitivi.
Partendo da questa premessa e sulla base del dato normativo, si spiega come i dati rettificabili sono solo quelli già formati prima della stipula, sicché la rettifica notarile interesserà, ad esempio, i dati catastali e le indicazioni anagrafiche, ma anche gli estremi dei provvedimenti amministrativi richiamati nell’atto, i riferimenti dei contratti riportati nel documento, ecc. La rettifica non sarà utilizzabile, invece, per rimuovere vizi che abbiano determinato nullità formale o sostanziale del negozio o per interpretarne il contenuto.
Quanto alla struttura, nonostante la rettifica ex art. 59 bis L. N. sia un atto senza parti, la stessa non si libera dalla volontà di quelle interessate o legittimate alla rettifica, che resta invece presente, ancorché sullo sfondo della nuova modalità di correzione degli atti. Anche per questa ragione, ma più in generale tutte le volte che il caso concreto lo richiederà, il notaio resterà sempre libero di scegliere di adottare la rettifica in senso tradizionale stipulata con la presenza delle parti.
Con riferimento all’ambito di applicazione del nuovo istituto, si è ritenuto che lo stesso possa essere impiegato dal notaio per rettificare non solo gli atti da lui ricevuti o autenticati, ma anche quelli ricevuti o autenticati da altro notaio, nonché quelli in forma pubblica amministrativa provenienti dai pubblici ufficiali autorizzati alla stipulazione ed aventi contenuto negoziale. Quanto alle scritture private autenticate (pure rettificabili in base alla nuova norma) si è segnalata l’opportunità di procedere a rettifica solo per quelle che diano sufficienti garanzie di inalterabilità, come ad esempio quelle conservate a raccolta. Si è escluso che la rettifica in esame possa essere utilizzata per la rettifica dei provvedimenti giudiziari e per gli atti amministrativi.
Quanto ai profili pubblicitari si sono evidenziati gli argomenti che consigliano di procedere a trascrizione della rettifica, sottolineandosi che in ogni caso non si avrà mai una soccombenza dei terzi che - impregiudicata ogni questione legata alla conoscenza effettiva del vizio – abbiano medio tempore, prima della trascrizione dell’atto di rettifica, trascritto o iscritto una formalità confidando sulle risultanze delle note già trascritte.
Si è analizzato, infine, il profilo relativo all’incarico delle parti di procedere a rettifica.
Qui si è ribadito che la rettifica degli atti mediante “certificazione” non vede mai un intervento notarile che si svolge in modo distaccato dalla volontà delle parti.
La matrice volontaristica permane sempre infatti, sia che si consideri la rettifica ricollegata al mandato originario a ricevere l’atto da rettificare, sia che la si rapporti ad un nuovo mandato a porre in essere una rettifica “fine a se stessa” ovvero a stipulare un atto del quale quello da rettificare costituisca titolo di provenienza
Alla luce di tale analisi può ritenersi che l’art. 59 bis della legge notarile svela una portata della norma sensibilmente più ridotta rispetto a quella ricavabile da una prima lettura.
Ciò dipende per un verso, dal fatto che il meccanismo operativo della nuova procedura di rettifica, è pur sempre caratterizzato dagli stessi limiti operativi che incontrava la rettifica tradizionale dell’atto notarile. Per altro verso, dalla considerazione che il nuovo istituto non si libera dalla volontà delle parti interessate alla rettifica che resta invece ben presente. Infine, dalla constatazione che la nuova rettifica lascia sopravvivere quella tradizionalmente posta in essere alla presenza delle parti dell’atto da rettificare.
La rettifica degli atti mediante “certificazione”, è bene ricordarlo, non vedrà mai un intervento notarile che si svolge in modo distaccato dalla volontà delle parti, né potrà mai svolgersi oltre quelli che sono i limiti imposti dal sistema per la correzione dei provvedimenti giudiziari.
(1) Analoga delega era già contenuta nell’art. 7 lett. c) della legge n. 246/2005, che attribuiva al notaio la facoltà di provvedere, sempre con propria certificazione, alla rettifica di “inequivocabili errori di trascrizione di dati preesistenti alla redazione dell’atto, fatti salvi i diritti dei terzi”
(2) Non è una rettifica nel senso qui preso in esame, quella a cui si riferisce l’art. 1432 cod. civ. che ha ad oggetto l’errore quale vizio della volontà e causa di annullamento del contrato. Mentre la prima è una dichiarazione di scienza la seconda è un atto negoziale che proviene dalla parte non in errore e che, se accettata dalla parte in errore, estingue nella prima la facoltà di chiedere l’annullamento del contratto, C. M. Bianca, Diritto civile, III, Milano, 1987, 639.
(3) L’assenza di un figura generale di rettifica, rende particolarmente complesso ricavare dal sistema elementi utili a delineare la possibile struttura della rettifica notarile, in particolare se si tratti di un atto con o senza parti. Tale difficoltà, del resto, si riscontra anche nel sistema delle rettifiche giudiziarie che, in questo senso, appaiono prive di omogeneità. Se per la rettifica attuata nell’ambito del processo civile e amministrativo la presenza delle parti e del contraddittorio è comunque assicurata, in quella applicabile al giudizio penale e costituzionale, il giudice procede alla rettifica d’ufficio,inaudita altera parte, il che impedirebbe di individuare - seppur analogicamente - una struttura “minima” dell’atto di rettifica in ambito notarile, mutuata da quella dei procedimenti di correzione delle sentenze.
(4) La scelta è quasi obbligata, rinvenendosi rispetto a questi i maggiori contributi giurisprudenziali e dottrinali. Per i provvedimenti amministrativi manca una disciplina organica di riferimento. Dalle sentenze dei giudici amministrativi e dagli orientamenti dottrinali emerge che la rettifica (o correzione) degli atti amministrativi è rimedio impiegabile per l’incerta categoria degli atti irregolari e cioè gli atti che pur difformi dal diritto non sono illegittimi, non sono annullabili in via di autotutela, e neppure annullabili dal giudice amministrativo, sicché la violazione della norma comporterebbe soltanto sanzioni a carico dell’agente o altre conseguenze che non incidono sull’atto (E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, 5° ed. Milano, 2003. 491, 501); il provvedimento amministrativo promana dalla stessa autorità che ha emesso l’atto da rettificare secondo il principio del contrarius actus, in base al quale “l’amministrazione deve porre in essere un procedimento gemello, anche per le formalità pubblicitarie, di quello a suo tempo seguito per l’adozione dell’atto da rettificare” (C. Stato, sez. VI, 11 maggio 2007, n. 2306 Giurisdiz. amm., 2007, I, 68); la rettifica di un provvedimento amministrativo è l’atto conclusivo di un procedimento di riesame, instaurato d’ufficio o su iniziativa del destinatario del provvedimento stesso e rivolto all’eliminazione dell’errore materiale nel quale è incorsa l’autorità emanante nella determinazione del suo contenuto (C. Stato, sez. IV, 13-02-1989, n. 84, Riv. giur. edilizia, 1989, I, 345; C. Stato, sez. IV, 21 ottobre 2008, n. 5154 Foro amm.. Cons. Stato, 2008, 2696). La rettifica dei provvedimenti normativi è disciplinata dagli articoli da 15 a 18 del D.P.R. 14 marzo 1986 n. 217, sulla quale si veda R. Chieppa, rettifiche di leggi e decreti legislativi, tra prassi antiche e recenti, intensificazione dei fenomeni, rischi e norme regolamentari inadeguate, in Giur. cost., 2006, 705
(5) Cass. 8 agosto 2003 n. 11972 in Giur. it., 2004 con nota di M. Campus; Cons Stato, sez. VI, 15 novembre1999, n. 1812, in Cons. Stato, 1999, I, 1926.
(6) Non a caso la rettifica dei provvedimenti giudiziari opera, talvolta, al di fuori dei meccanismi processuali volti alla tutela del contraddittorio (cfr. artt. 130 cod. proc. pen. e 21 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte Cost. del 16 marzo 1956).
(7) F. Carnelutti, Istituzioni del processo civile italiano, Roma, 1956, 345
(8) U. Rocco, Trattato di diritto processuale civile, Torino, 1966, 194
(9) M. Acone, voce “Correzione e integrazione dei provvedimenti del giudice” (diritto processuale civile), in Enc. Giur., IX, Roma, 1988, 2
(10) Cons. Stato 31 marzo 1987 n. 189, Foro amm., 1987, 536
(11) Cass. 11 aprile 2002 n. 5196, CED Cassazione.
(12) Cass. pen. 8 aprile 2008 n. 14653, Studium iuris, 2008, 1173
(13) Cons Stato, 9 gennaio 1993 n. 58, Foro amm., 1993, 126
(14) Cons Stato, 7 novembre 2007 n. 5760, Foro amm.-Cons. Stato, 2007, 314
(15) Corte Cost. 27 gennaio 2006 n. 20, Foro it., 2006, I, 995 con riferimento all’ipotesi della rettifica dei testi normativi affetti da errori ex art. 15 D.P.R. 14 marzo 1986 n. 217.
(16) Quanto ai procedimenti civili, la mancata previsione nell’art. 287 cod. proc. civ. è supplita dall’art. 161 cod. proc. civ., secondo cui la nullità delle sentenze può essere fatta valere secondo le regole dei mezzi di impugnazione. Con riferimenti agli atti amministrativi Cons. Stato, sez. VI, 15 novembre 1999, n. 1812, cit., ha precisato che “revoca, modifica o rettifica del provvedimento amministrativo costituiscono istituti i quali, pur essendo riconducibili tutti nell’ampio potere di riesame che spetta alla p.a., sono fra loro distinti e possono, a loro volta, essere confusi con l’istituto dell’annullamento, il quale, a differenza dei primi, ha come presupposto essenziale ed indefettibile la circostanza che l’amministrazione ha posto in essere un atto geneticamente illegittimo”.
(17) A. Caccia, La rettifica stragiudiziale degli atti pubblici ed alcune applicazioni concernenti la L. 28 febbraio 1985 n. 47, in in Vita not.,1988, 78
(18) F. Carnelutti, cit.
(19) M. Acone, Riflessioni sul rapporto tra la correzione degli errori materiali e i mezzi di impugnazione, in Riv. trim. proc. civ., 1980, 1332 ss. spec. 1334, il quale precisa che quell’errore “non può mai scaturire da un’attività valutativa o di giudizio da parte del giudicante.
(20) Cass. 11 aprile 2002 n. 5196, cit., Cass. 25 gennaio 2000 n. 816, in Giur. it. 2000, 2273; Cass. 20 settembre 1999 n. 10129, CED Cassazione. Contra G. Torregrossa, voce “Correzione delle sentenze” (dir. proc. civ.) in Enc. dir., X, Milano, 1962, 719.
(21) M. Acone, op. ult. cit.
(22) A. M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, xV ed., Napoli, 1989, secondo il quale “tra le attestazioni autoritative rientrano talune certificazioni, e precisamente quelle consistenti in dichiarazioni di scienza relative a fatti dei quali il dichiarante ha diretta e immediata conoscenza (o perché si tratti di operazioni da lui stesso effettuate o di fatti svoltisi in sua presenza, o perché l’attestazione indichi il contenuto di documenti ufficiali alla cui conservazione il dichiarante è preposto”.
(23) Cass. 19 novembre 2009 n. 24436 in Fam. pers. e succ., 2010, 340; Cass. 15 maggio 1997 n. 4306 in Riv. not., 1998, 171; Trib. Reggio Emilia, 26 marzo 2007, in Famiglia e dir., 2008, 616; Trib. Pistoia, 1 febbraio 1996, in Riv. not., 1997, 1421; App. Brescia, 4 dicembre 1984, in Vita not., 1984, 1595; Trib. Firenze, 12 febbraio 1982, in Dir. famiglia, 1982, 952; Trib. Firenze, 6 gennaio 1982, in Riv. not., 1982, 197; T. Palermo, 18 giugno 1981, in Dir. fam., 1981, 813. Contra T. Genova, 19-07-2002, in Riv. not., 2003, 452,.
(24) Cass. 20 marzo 2008 n. 7450; Cass. 8 novembre 2006 n. 23801 in Foro it., 2007, I, 1189; Cass. 23 marzo 2004, n. 5741, in Riv. dir. comm., 2004, II, 283; Cass. 14 marzo 2006, n. 5473, in Nuova giur. civ., 2007, I, 371, Cass. 12 aprile 2006, n. 8516, in Foro it. 2006, I, 2756; Trib. Milano, 29 gennaio 1996, in Il fallimento, 1996, 781 App. Venezia, 28 aprile 1999, in Il foro padano, 1999, I, 198. In dottrina BIANCA, Diritto civile. La famiglia. Le successioni, 2005, 248; OBERTO, La natura dell’accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili, in Famiglia e diritto, 1999, 601 (parte I), 2000, 86 (parte II); ZATTI, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio e la separazione tra coniugi, in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, 3 (Persone e famiglia), Torino, 1996, 135. CNN Quesito n. 76-2009C (est. Mattia) in CNN Notizie del 24 marzo 2009.
(25) Nulla quaestio per quelle autenticate e destinate alla pubblicità immobiliare e commerciale dopo la modifica dell’art. 72 ult. co. L.N. (ad opera dell’art. 12 della legge n. 246/2005) che, prevedendo l’obbligo della conservazione a raccolta, stabilisce una equiparazione agli atti notarili certamente sotto questo profilo.
(26) Cass. 14 aprile 1995 n. 4285 in Studium juris , 1996, 105. Sull’idoneità che un notaio diverso da quello che ha stipulato l’atto da correggere possa procedere alla rettifica A. Sonali, Rettifica stragiudiziale degli atti pubblici, in Vita not., 1970, 287.
(27) A fondamento della legittimazione di ogni notaio a procedere alla rettifica di atti notarili ricevuti da altri notai, vi è anche la difficoltà di rinvenire una qualche competenza territoriale di riferimento (Distretto notarile, Corte d’Appello, Conservatoria dei registri immobiliari ecc.) che possa giustificare una diversa soluzione, e ciò – fondamentalmente - con riferimento alle sedi dei notai interessati dalla vicenda di correzione degli atti, ovvero riguardo al luogo di conservazione degli atti notarili
(28) E’ opinione comune in dottrina che le certificazioni non abbiano la capacità di modificare le situazioni giuridiche oggetto delle stesse, sostanziandosi solo in dichiarazioni di scienza che esternano la rappresentazione di un fatto al fine della circolazione della certezza pubblica. In questo senso M. S. Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo, II ed., Milano, 2000, 401; B. Cavallo, Provvedimenti ed atti amministrativi, in Trattato di diritto amministrativo, diretto da G. santaniello, Padova, 1993, 149
(29) Poiché le certificazioni sono dichiarazioni di scienza che riproducono certezze giuridiche, è elemento tipico ed imprescindibile di ogni certificazione un momento di acclaramento, in tal senso B. Cavallo, op. cit., 149
(30) A. Sonali, op. cit.,1970, 285; A. Caccia, op.cit., 78
(31) F. Carnelutti, Cominciamo da capo…, in Riv. Dir. Proc., 1953, II, 104 ss.
(32) A. Caccia, La rettifica, cit. 67
(33) Orientamento giurisprudenziale unanime, da ultimo Cass. 24 aprile 2007 n. 9857
(34) In tale ipotesi la rettifica sembra subordinata alla verifica di autosufficienza delle altre indicazioni eventualmente presenti in atto per la determinazione o determinabilità dell’oggetto del contratto (es. i confini).
(35) In questo senso Gitti, Problemi dell'oggetto, in Tratt. Roppo, II, Regolamento, a cura di Vettori, Milano, 2006, 19
(36) A. Sonali, Rettifica, cit., 285
(37) A. Caccia, La rettifica, cit. 78
(38) A. Sonali, Rettifica, cit., 286
(39) A. Caccia, La rettifica cit. 82
(40) Come ricordato dalla Circolare del CNN del 28 giugno 2010 emanata a commento del D.L. n. 78/2010, “L’indicazione dell’identificazione catastale delle unità immobiliari urbane diviene requisito di validità dell’atto anche se la descrizione degli immobili con gli estremi con i quali essi sono individuati in catasto era già prevista (sebbene non a pena di nullità) dall’art. 4 del d.p.r. n. 650/1972: questi consistono nella sezione, foglio, particella ed eventuale subalterno - i c.d. dati minimi essenziali - se l’immobile ha un’identificazione catastale definitiva, come può desumersi dagli artt. 1, comma 6, e 2, comma 3, del d.m. 19 aprile 1994, n. 701”.
(41) Sebbene sia da escludere che dall’espressione “anche ai fini dell’esecuzione della pubblicità” possa ricavarsi l’introduzione del principio generale dell’assoggettamento a pubblicità degli atti di rettifica, che continua ad atteggiarsi come una mera facoltà in capo al soggetto rettificante. Resta fermo, tuttavia, l’obbligo in capo al notaio di procedere alla pubblicità immobiliare ex art. 2671 cod. civ. laddove il dato rettificato sia “sensibile” ai fini pubblicitari.
(42) Circ. Min. Fin. 2 maggio 1995 n. 128/T.
(43) Cass. 30 luglio 2002 n. 11265 in CED Cassazione; Trib. Firenze, 22 dicembre 1967, in Riv. not., 1967, 912; T. Arezzo, 20 settembre 1986, in Riv. not., 1987, 201; App. Perugia 23 aprile 1997 e Trib. Perugia 8 maggio 1997, entrambe in Rass. giur. umbra, 1997, p. 369; Trib. Roma 24 maggio 2000, Riv. not. 2000, 1473; C. conti, sez. contr. reg. Sicilia, 4 settembre 2000, n. 15 in Riv. corte conti, 2000, fasc. 5, 20; Trib Perugia del 30 settembre 2002 in Rass. giur. umbra 2003, 546.
(44) R. Bonis, La rettifica dell’errore nell’indicazione della data di nascita, Riv. dir. ipot., 1968, 234; F. Gazzoni, La trascrizione immobiliare, in Commentario Schlesinger, Milano, 1998, 407; G. Iaccarino, in Notariato 2004, 623; Ettorre-Silvestri, La pubblicità immobiliare, Milano, 1996, 1123 ss.; Ettorre-Iudica, La pubblicità immobiliare e il testo unico sulle imposte, Milano, 2007, 156 ss; G. Petrelli, L’evoluzione del principio di tassatività nella trascrizione immobiliare, Napoli, 2009, 315; V. Fedeli, Unilateralità o bilateralità dell’atto di rettifica dell’errore catastale e della menzione urbanistica, Vita not., 1997, 1089; G. Casu, intervento al Convegno di Firenze del 29 ottobre 2010, L’atto notarile informatico: prime riflessioni sul D.Lgs. 110/2010, in quaderni della Fondazione del Notariato, in corso di pubblicazione.
(45) E’ un presupposto più che consolidato. In giurisprudenza, tra le pronunce più recenti, Cass. 18 settembre 2009 n. 20144, in Fam. dir., 2010, p. 137e in NGCC, 2010, I, 390; Cass. 31 agosto 2009 n. 18892, in NGCC, 2010, I, 163; Cass. 16 maggio 2008 n. 12429 in CED Cassazione; Cass. 1 giugno 2006 n. 13137, in Giust. civ., 2007, I, 920; Cass. 11 gennaio 2005 n. 368, in NGCC, 2006, I, 224; Cass. 8 marzo 2005 n. 5002 in Foro it., 2006, I, 854; Cass. 5 luglio 2000 n. 8964, in Dir. fall., 2001, II, 635. In dottrina S. Pugliatti, La trascrizione, in Tratt. dir. civ. Cicu Messineo, Milano, 1989,vol. XIV, t. 2, p. 351; R. Triola, voce “Trascrizione”, in Enc. dir., Milano, 1992, 970; G. Mariconda, La trascrizione, in Trattato Rescigno, Torino, 1985, vol. 19, 152
(46) Dall’ipotesi riportata nel testo occorre distinguere quella in cui l’errore o l’omissione siano contenuti nella sola nota, che quindi diverge dal titolo privo di errori od omissioni. Questa ipotesi è disciplinata dall’art. 2665 cod. civ. ed è destinata a trovare una soluzione variamente differenziata - ma sempre all’interno di un provvedimento giurisdizionale – a seconda che si accerti la sussistenza o meno dell’invalidità della trascrizione. Si tratta di fattispecie estranea al perimetro applicativo dell’art. 59 bis, anche solo sul piano testuale, riferendosi tale disposizione alla rettificabilità di atti pubblici e scritture private autenticate, e non invece delle semplici scritture private, come appunto la nota di trascrizione (sulla natura di scrittura privata della nota di trascrizione Pugliatti, op. cit. p. 379; L. Ferri - P. Zanelli, Commentario Scialoja e Branca, Bologna, 1995, sub art. 2659 cod. civ., p. 387; M. Leo, Nota di trascrizione redatta da notaio e responsabilità penale, Studio CNN n. 2003 del 1999, in Studi e materiali, Milano, 2001, 6.2, p. 388). Sotto un diverso profilo, inoltre, si osserva che il procedimento di “rettificazione” della nota di trascrizione, ove si ritenga di modellarlo, per analogia – in assenza di una specifica disciplina - su quello previsto dall’art. 2841 cod. civ. per la nota di iscrizione ipotecaria (in tal senso L. Ferri, L. Zanelli, M. D’Orazi-Flavoni, La Trascrizione, Commentario Scialoja Branca, Bologna-Roma, 1995, p. 349), presuppone un ordine dell’autorità giudiziaria, mentre è dibattuto se sia ammissibile ricorrere al meccanismo consensuale, che peraltro dovrebbe sostanziarsi in un’istanza di rettifica rivolta al Conservatore (sui termini del dibattito e sulle diverse posizioni in relazione a quest’ultimo punto, si rinvia a P. Boero, Le ipoteche, Torino, 1999,2° ed., 673; sul punto si veda anche quanto evidenziato nella nota 32).
(47) In questi termini Cass. 8 marzo 2005 n. 5002 in Foro it., 2006, I, 854 con nota di E. Fabiani, che in motivazione sottolinea come in tale ipotesi non sussiste alcuna inesattezza della nota rispetto all’atto e non è nemmeno astrattamente concepibile l’applicazione dell’art. 2665.
(48) A. Giletta, nota a Cass. 11 gennaio 2005 n. 368 in NGCC, 2006, I, 229.
(49) N. Coviello, Della trascrizione, I, Napoli-Torino, 1914, p. 510 richiamato da E. Fabiani, op. cit. Si veda anche Cass. 2 febbraio 2000 n. 1135 (in Giust. civ. 2000, I, 1684) che ha escluso che la correzione dell’errore operata in epoca successiva alla trascrizione del pignoramento possa pregiudicare il creditore pignorante.
(50) In base al quale l’individuazione del contenuto degli atti soggetti a trascrizione ed opponibile ai terzi, risulta solo dal contenuto della nota di trascrizione la cui redazione, secondo le modalità previste dall’art. 2659 cod. civ. è affidata all’esclusiva responsabilità del soggetto che richiede la trascrizione, così Cass. n. 5002/2005 cit.
(51) Per le problematiche relative al tema dell’apparenza nella trascrizione si rinvia a A. Falzea, voce “Apparenza”, in Enc. dir., Milano, 1958, 690, Pugliatti, op. cit. p. 252 ss; E. Fabiani, op.cit. 223 ss.
(52) R. Bonis, op. cit., 234
(53) Nel senso dell’annotazione F. Gazzoni, op. cit., 407 con discorso riferito alla “rettifica” dell’errore del consenso ex art. 1432 cod. civ.; G. Iaccarino, op. cit., 626; G. Casu, op. cit. In senso contrario, oltre alla citata circolare ministeriale del 2 maggio 1995 n. 128/T., Cass. 30 luglio 2002 n. 11265 cit. in cui la vicenda riguardava la trascrizione della rettifica ex art. 1432 cod. civ; Ettorre-Silvestri, op. cit. 1123 ss.; Ettorre-Iudica, op. cit., 156 ss; G. Petrelli, op. cit., 315; V. Fedeli, op. cit., 1089.
(54) Si vedano ad esempio i pareri del CNN n. 114-2010I (estt. Ruotolo Paolini) in CNN Notizie 9 giugno 2010; n. 6095/C (est. Boggiali-Paolini), in CNN Notizie del 26/07/2006; n. 410-2007C (estt. Casu-C. Lomonaco) in CNN Notizie del 17/09/2007; n. 64-2008C (estt. Ruotolo- Metallo) in CNN Notizie del 18/2/2008; n. 83-2007I (est. Boggiali) in CNN Notizie del 7/09/2007; n. 244-2009I (est. Boggiali) in CNN Notizie del 19/01/2010; n. 188-2009 (estt. Casu-Mattia) in CNN Notizie del 13/10/2010; n. 365.2009 (est. Casu) in CNN Notizie del 15/09/2009; n. 5408-2004 (estt. Fabiani-Leo) in CNN Notizie dell’1/7/2008; n. 268-2008 (est. C. Lomonaco) in CNN Notizie del 17/6/2008
(55) Cass. civ., 24 luglio 1996, n. 6680, in Notariato, 1997, con nota di G. Celeste”È da considerare lesivo del decoro e del prestigio della classe notarile, nonché della reputazione del notaio, il fatto di essersi prestato attivamente nella realizzazione di uno scopo fiscalmente elusivo di imposta voluto dalle parti (applicazione nel caso in cui in un atto di vendita si dissimulava la permanenza di un mutuo in capo al venditore, così escludendo che l’importo del mutuo stesso fosse valutato come componente del corrispettivo; mentre l’accollo del mutuo veniva inserito in altro atto surrettiziamente intestato «rettifica catastale», con cui si mirava ad escludere una tassazione sul valore dell’accollo medesimo mediante la sua dissimulazione in un atto che apparentemente aveva un altro contenuto”.
(56) G. Casu, op. cit.
(57) In questo senso G. Casu, cit. secondo il quale “L’incidenza necessaria sull’atto da rettificare da una parte, e dall’altra la nessuna portata negoziale dell’atto di rettifica rendono inutile porsi il problema se quest’ultimo abbia effetto ex tunc oppure effetto ex nunc: incidendo sull’atto da rettificare è come se quest’ultimo, per effetto dell’atto da rettificare, sia stato fin dall’origine privo di difetti materiali. Ciò basta a far ritenere che la portata retroattiva rientra nella stessa ragion d’essere dell’atto di rettifica”. Tale opinione, per l’assolutezza della formulazione, non può essere condivisa, anche perché viene fatta poggiare sulla considerazione che “la trascrizione si sostanzia in una formalità che prende data dal momento in cui essa viene attuata, mentre l’annotazione completa e dà valore alla formalità già esistente cui accede”. Ma il meccanismo dell’annotazione non può pregiudicare i diritti dei terzi e la soluzione accolta nel testo resta ferma, anche ove si ritenga di applicare analogicamente alla rettifica della trascrizione l’art. 2841 cod. civ. in tema di rettifica dell’iscrizione ipotecaria che, in base al rinvio dell’art. 2886 co. 2 cod. civ,. si deve annotare. Come infatti messo in luce dal Trib Perugia del 30 settembre 2002, cit., deve addirittura escludersi la retroattività, leggendosi nella massima di questa pronuncia che “Nell’ipotesi di errore del conservatore nel procedimento di iscrizione dell’ipoteca, alla rettifica disposta d’ufficio dell’errore commesso, visti i principi e la funzione affidata alla pubblicità immobiliare, non può essere riconosciuta efficacia retroattiva con la conseguenza che l’ipoteca - teoricamente - iscritta per prima diviene opponibile ai terzi solo dal momento della sua rettifica, e quella medio tempore iscritta deve considerarsi poziore, sempre salvi i profili risarcitori (nella fattispecie in esame il giudice ha ritenuto che l’errore, cadendo sull’identità delle parti, rendesse impossibile ai terzi il reperimento dell’atto trascritto presso i pubblici registri)”.
(58) Cass. 30 luglio 2002 n. 11265, cit.; App. Perugia 23 aprile 1997 e Trib. Perugia 8 maggio 1997, citate; R. Bonis, op. cit., 1968, 234; E. Fabiani, Trascrizione erronea, Apparenza del diritto, pignoramento e conflitto tra più «pretendenti» in relazione al medesimo bene immobile, studio CNN n. 5478/C del 2005, in Studi e Materiali, 2005, 218 ss..
(59) Ettorre-Iudica, op. cit., 157
(60) R. Bonis, op. cit., 1968, 234
(61) Cass. 22 aprile 1997 n. 3477, Vita not. 1997,875 Cass. 10 luglio 1986 n. 4497, Riv. not.,1987, 1216
(62) F. Gazzoni, La trascrizione, op. cit., 406 ss.
(63) G. Sciumbata, L’atto di rettifica nell’attività notarile, in Vita not., 1998, III, CCLXII che esclude che anche la rettifica dell’errore di calcolo ex art. 1430 rientri nella rettifica tradizionalmente intesa..
(64) C. M. Bianca, op. cit. 639
(65) La soluzione della trascrizione si evince da Cass. n. 11265/2002 emessa, come detto, proprio in relazione alla fattispecie di cui all’art. 1432
(66) Trib. Roma, 24 maggio 2000, in Riv. not., 2000, 1473 ss.; Trib. Firenze 26 gennaio 1998, in Federnotizie, 1998, 302 ss; Pres. Trib. Firenze, 11 maggio 1995, in Federnotizie, 1996, 125
(67) G. Iaccarino, Rettifica unilaterale di dati catastali, Notariato, 2004, 624 che ipotizza quale istituto idoneo a superare l’unilateralità anche la negotiorum gestio.
(68) Ci si riferisce ad un meccanismo di conoscibilità immediato analogo alle notifiche giudiziarie, e non invece a quello attuato con la pubblicità dell’atto di rettifica nei pubblici registri.
(69) Pur prescindendo da ogni aspetto legato al costo della certificazione notarile di rettifica (in termini fiscali e di onorario), l’inciso “fatti salvi i diritti dei terzi” contenuto nella nuova disposizione, per quanto sovrabbondante in una disposizione che disciplina una nuova modalità di correzione degli errori materiali che non incidono sulla validità degli atti rettificati, presenta un tale grado di genericità da abbracciare ogni ipotesi in cui l’eventuale pregiudizio a carico delle parti dell’atto rettificato, possa scaturire anche solo in indirettamente dalla rettifica
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