IMPOSTA DI REGISTRO - ACQUISTO DI BENI CULTURALI
IMPOSTA DI REGISTRO - ACQUISTO DI BENI CULTURALI
di Valeria Mastroiacovo
Consiglio Nazionale del Notariato - Studio n. 11-2005-T
(Approvato dalla Commissione studi tributari il 24 giugno 2005)
Pubblicato in Studi e Materiali 2/2005, 1431 ss
E’ stato chiesto di fornire dei chiarimenti in merito all’interpretazione della nota II all’art.1, comma 4, della tariffa parte prima (allegata al d.p.r. n.131 del 1986 recante la disciplina dell’imposta di registro), relativa al trattamento fiscale dei beni immobili di interesse storico, artistico e archeologico soggetti alla legge n.1089 del 1939 e successive modificazioni e, in particolare, di verificare se le agevolazioni ivi previste spettano anche nel caso in cui il vincolo non sia trascritto (vertendosi in casi di mera sussistenza del decreto) ed, eventualmente, se la rivendita immediata dell’immobile importa decadenza dal beneficio.
Più in generale si chiede di avere alcune precisazioni in merito alle cause di decadenza e agli “obblighi” di cui all’ultimo comma della citata nota II.
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Il comma 4 dell’art.1 della tariffa parte prima prevede che “se il trasferimento ha per oggetto immobili di interesse storico, artistico e archeologico soggetti alla legge 1° giugno 1939 n.1089, sempreché l’acquirente non venga meno agli obblighi della loro conservazione e protezione” l’imposta di registro si applica nella misura proporzionale del 3%. Questo regime fiscale di favore è stato introdotto dall’art.5 della legge 2 agosto 1982, n.512 e successivamente modificato nei termini attualmente in vigore[1].
L’articolo della tariffa individua dunque l’oggetto cui il particolare regime fiscale si applica e la condizione – seppur in termini generici – cui detto regime risulta subordinato.
1. Precisazioni in ordine all’oggetto di cui all’art.1, comma 4, della tariffa, parte prima, allegata al d.p.r. n.131 del 1986
Quanto all’oggetto è bene precisare che i riferimenti alla legge n.1089 del 1939 vanno coordinati con le successive modificazioni ed, in particolare, con la disciplina del testo unico dei beni culturali e del paesaggio introdotto con il D.lgs. 22 gennaio 2004, n.42[2].
Pertanto, l’elencazione del tipo di interesse, riportata al citato comma 4 dell’art.1, è da intendersi meramente esemplificativa[3], in quanto, ciò che rileva ai fini dell’applicazione dell’aliquota ridotta, è che si tratti di beni assoggettati al regime della tutela vincolistica nei termini di seguito meglio specificati.
1.1. (segue) coordinamento della disciplina fiscale con le classificazioni e le procedure introdotte dal codice dei beni culturali e del paesaggio
La materia dei beni culturali e del paesaggio è oggi regolata, per quanto riguarda gli aspetti di diritto pubblico – amministrativo, dal citato D.lgs. n.42/2004. L’art.1 del decreto statuisce che “in attuazione dell’art.9 Cost., la Repubblica tutela e valorizza il patrimonio culturale in coerenza con le attribuzioni di cui all’art.117 Cost., e secondo le disposizioni del presente codice”.
Il codice non ha apportato importanti alterazioni rispetto all’elencazione già operata dalla legge n.1089 del 1939, anche se introduce il concetto di patrimonio culturale come comprensivo sia dei beni culturali che di quelli paesaggistici; né ha comportato sostanziali mutamenti della disciplina del testo unico del 1999 per quanto concerne la procedura per la dichiarazione di interesse culturale di beni di proprietà privata[4]. E’ invece radicalmente mutato il regime della cosiddetta proprietà pubblica (comprendente non solo i beni di proprietà dello Stato, ma anche quelli delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente o istituto pubblico e delle persone giuridiche senza fine di lucro che siano opera di un autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni), relativamente alla quale l’art.12 prevede la sottoposizione alla verifica[5], ovverosia un particolare procedimento volto ad accertare la sussistenza in concreto dell’interesse storico, artistico, archeologico e etnoantropologico.
Mentre la dichiarazione di interesse culturale ha carattere costitutivo e con essa la competente autorità accerta, con effetto ex tunc, la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge ed impone al proprietario il rispetto dei conseguenti vincoli previsti per la tutela dei beni culturali, la verifica ex art.12, è atto conclusivo di un procedimento amministrativo dal quale può discendere il venir meno della “misura cautelare a carattere provvisorio” prevista dal codice, in forza della quale determinati beni in quanto appartenenti a determinati soggetti sono sottoposti alle disposizioni del Titolo I del codice relativo alla <Tutela dei beni culturali> “fino a quando non sia stata effettuata la verifica”[6].
Se il procedimento di verifica si conclude con l’accertamento dell’interesse culturale, delle cose che ne hanno formato oggetto, produce i medesimi effetti di una dichiarazione di interesse culturale: le cose restano sottoposte in via definitiva alle disposizioni di tutela, essendo stata confermata espressamente la loro natura di beni culturali[7].
Il Capo III del Titolo I relativo agli obblighi di protezione e conservazione e delle conseguenti limitazioni di uso si applicano sia ai beni che siano stati dichiarati di interesse culturale, sia a quelli sottoposti con esito favorevole al procedimento di verifica[8]. In entrambi i casi il vincolo[9] è soggetto a trascrizione[10] ai sensi dell’art.15, comma 2, e sarà dunque “efficace nei confronti di ogni successivo proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo” [11].
I beni culturali non possono essere distrutti, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione. Per ciò che concerne i beni immobili, ogni intervento di edilizia pubblica e privata deve essere vagliato ed approvato dalla soprintendenza che ha il potere di ordinare la sospensione di interventi iniziati in violazione delle prescrizioni di legge ovvero condotti in difformità dall’autorizzazione rilasciata.
Più precisamente, ai fini che qui interessano, gli art.30 e ss. del codice individuano una serie di obblighi di conservazione[12] che il proprietario è tenuto a rispettare, cui possono aggiungersi interventi conservativi imposti dallo stesso Ministero dei beni culturali[13]. In particolare dall’art.29 si evincono tre definizioni che indicano l’attività di conservazione, procedendo con gradualità dalla prevenzione, alla manutenzione, fino al restauro (considerato estrema ratio dell’intervento di conservazione) finalizzato nel suo insieme al mantenimento dell’integrità materiale del bene, alla protezione e alla trasmissione dei valori culturali.
Il rispetto della disciplina dettata dal codice è garantito dalla previsione di un regime sanzionatorio sia sul piano amministrativo, che penale.
1.2. (segue) ratio del regime tributario particolare
I beni di interesse culturale rappresentano la sintesi dell’interesse individuale al godimento della cosa e quello generale alla loro conservazione e fruizione: la proprietà privata subisce una serie di limitazioni[14] alle facoltà di utilizzo e godimento degli stessi in quanto obiettivo fondamentale della tutela amministrativistica dei beni culturali è la loro conservazione[15]. Al riguardo gli studiosi della materia parlano di “proprietà divisa” proprio per evidenziare la coesistenza sul bene di due diritti reali o a struttura reale, l’uno del privato e l’altro dello Stato, in quanto entrambi i soggetti sono titolari di poteri e facoltà di godimento reciprocamente condizionati.
Queste considerazioni di carattere amministrativo risultano decisive per meglio comprendere la ratio delle scelte operate dal legislatore con riguardo alla tassazione dei beni culturali (sia ai fini delle imposte dirette che indirette). In diverse occasioni, sia la Corte di cassazione, che la Consulta, hanno sottolineato nelle loro pronunce che la disciplina fiscale di favore in questo ambito non rappresenta certo un privilegio, bensì una sorta di “equa compensazione” per i pregiudizi che il gravoso complesso di vincoli e di obblighi, previsto dalla legislazione speciale, provoca ai proprietari anche sul piano economico, incidendo conseguentemente sulla relativa capacità contributiva.
In particolare ai fini dell’imposizione indiretta di registro, l’aliquota del 3%, per la sua collocazione sistematica all’interno dell’art.1, della tariffa parte prima allegata al citato d.p.r. n.131, si applica a tutti gli atti traslativi a titolo oneroso[16] della proprietà dei beni immobili culturali (di cui agli artt.10 e 11 del codice) vincolati (ai sensi degli artt.12 e 13 del medesimo codice), nonché agli atti traslativi o costitutivi di diritti reali di godimento sui beni stessi, compresi la rinuncia pura e semplice agli stessi, i provvedimenti di espropriazione per pubblica utilità e i trasferimenti coattivi[17].
2. Precisazioni in ordine alle condizioni cui è subordinata l’applicazione del regime fiscale previsto dall’art.1, comma 4, della tariffa, parte prima, allegata al d.p.r. n.131 del 1986
Passando ora a verificare la portata della condizione (“sempreché l’acquirente non venga meno agli obblighi della loro conservazione e protezione”) prevista nel testo dell’articolo 1, della citata tariffa, occorre sottolineare in primo luogo che il legislatore la subordina al comportamento del solo acquirente.
Pertanto non si può in questo caso invocare il principio della solidarietà tra le parti[18], che governa ordinariamente la disciplina dell’imposta di registro, trovando invece ragionevole applicazione l’art.57 del citato d.p.r. n.131 laddove prevede che “l’imposta complementare dovuta per un fatto imputabile soltanto ad una delle parti contraenti è a carico esclusivamente di questa”.
Inoltre va evidenziato che la previsione del quarto comma, non individuando un termine entro il quale il soggetto è tenuto a provvedervi, resta priva di conseguenze giuridiche sul piano fiscale[19], non potendo ragionevolmente essere interpretata nel senso di prevedere una subordinazione sine die del regime agevolato ad un comportamento attivo volto alla conservazione e protezione dell’immobile vincolato a carico dell’acquirente che non intenda procedere a successivi trasferimenti del bene. E’ evidente, infatti, che in questo caso il Ministero dei beni culturali potrà imporre le necessarie provvidenze per la conservazione e protezione del bene ai sensi dell’art.30[20] e ss. del codice ed adottare gli eventuali provvedimenti sanzionatori, ma su un piano meramente amministrativo (con risvolti, come già precisato, eventualmente anche in ambito penale).
Per una corretta interpretazione del citato comma 4 si deve intendere che l’obbligo di conservazione e protezione sorga al momento della notifica dell’apposizione del vincolo (che come precisato in precedenza è l’atto finale dei procedimenti di cui agli artt.12 e 13 del codice) ovverosia successivamente all’acquisto e all’applicazione dell’aliquota in misura ridotta, non essendo una condizione all’ammissione al beneficio, ma un fatto rilevante ai fini della cessazione dell’agevolazione stessa.
Questa considerazione discende anche dal fatto che è necessario coordinare il testo dell’art.1, comma 4, con quanto previsto nella nota II.
Ed infatti, la nota II ne dispone la disciplina applicativa, specificando che la parte acquirente, per usufruire dell’aliquota del 3%, ove già sussista il suddetto vincolo, deve dichiarare in atto di acquisto gli estremi del vincolo stesso in base alle risultanze dei registri immobiliari, ove invece il vincolo non sia stato ancora imposto deve presentare – contestualmente all’atto da registrare – un’attestazione.
Detta attestazione deve essere rilasciata dall’amministrazione per i beni culturali (salvo quelle relative ai beni situati nel territorio della regione siciliana e delle province autonome di Trento e di Bolzano che sono rilasciate dagli organi ivi competenti) e dalla stessa deve risultare che è in corso la procedura di sottoposizione dei beni al vincolo.
In questo caso l’agevolazione è “revocata” (in verità si tratta di un’ipotesi di decadenza) qualora - entro il termine di due anni a decorrere dalla data di registrazione dell’atto - non venga documentata l’avvenuta sottoposizione del bene al vincolo. Tuttavia l’amministrazione finanziaria ha precisato che, qualora il contribuente ottenga l’attestazione del vincolo oltre il termine di due anni per un fatto non imputabile alla sua volontà, potrà successivamente richiedere il rimborso dell’imposta non dovuta[21].
Al riguardo è bene precisare due aspetti.
Innanzitutto lo stesso Ministero delle finanze con R.M. n.240624 del 2 agosto 1985 ha chiarito che l’imposta di registro agevolata è applicabile anche agli atti di trasferimento degli immobili sottoposti a vincolo ai sensi della legislazione precedente alla citata legge del 1939, ovverossia ai sensi alla legge 20 giugno 1909 n.364, secondo la quale non era previsto l’obbligo di trascrizione del vincolo. Ed infatti, ex art.71 della legge del 1939 i vincoli imposti ai sensi della legge del 1909 hanno piena validità anche se non trascritti[22]; inoltre, non essendo mai stato emanato il regolamento di applicazione della legge n.1089, continuano ad avere efficacia le notifiche precedentemente effettuate. In conclusione, in queste ipotesi si considera sufficiente, in mancanza di possesso del decreto istitutivo del vincolo, un’apposita certificazione della Sovrintendenza che faccia riferimento al suddetto decreto, a suo tempo imposto e notificato, dimostrando la sussistenza del vincolo[23].
Sotto un diverso profilo occorre segnalare che, nella diversa ipotesi di sussistenza del vincolo notificato, la giurisprudenza ritiene che la dichiarazione nell’atto di acquisto degli estremi del vincolo è condizione essenziale per usufruire del regime agevolato[24]. Per completezza si segnala che una Commissione tributaria provinciale ha disposto la riduzione dell’imposta di registro nell’ipotesi in cui la sussistenza del vincolo, non dichiarata in atto, venga provata successivamente in giudizio[25].
In ogni caso è da considerarsi illegittima la richiesta da parte dell’Ufficio di altri adempimenti, come ad esempio una dichiarazione di aver ottemperato agli obblighi di conservazione e protezione sugli immobili vincolati, non essendo previsti in alcuna disposizione di legge[26].
3. Le cause di decadenza dal regime dell’art.1, comma 4
Passando ad esaminare le cause di decadenza dal beneficio per l’acquirente previste dalla nota II occorre distinguere l’ipotesi dell’alienazione in tutto o in parte dei beni prima che siano stati adempiuti gli obblighi della loro conservazione e protezione, quella del mutamento di destinazione senza la preventiva autorizzazione dell’amministrazione per i beni culturali e, infine, quella del mancato assolvimento degli obblighi di legge per consentire l’esercizio del diritto di prelazione dello Stato[27].
La medesima disposizione della nota II prevede espressamente che sia l’amministrazione per i beni culturali a dare immediata comunicazione all’ufficio fiscale delle violazioni che comportano la decadenza, ponendo evidentemente a suo carico un onere di vigilanza a tal fine.
Ed infatti, il citato ultimo comma conclude “in tal caso” (ovverosia qualora sia stata data comunicazione della violazione) oltre alla normale imposta è dovuta una soprattassa[28] pari al trenta per cento dell’imposta stessa[29], oltre agli interessi di mora. Da ciò dovrebbe ragionevolmente desumersi che la sanzione amministrativa nella misura del 30% è prevista solo in queste ipotesi di decadenza e non già in quella prevista alla lett.b) del citato comma 1, della nota II in caso di mancata documentazione del vincolo entro due anni dalla presentazione dell’attestazione.
L’ultimo comma della nota II precisa che il termine per l’esercizio dell’azione di accertamento per il recupero della maggiore imposta per l’amministrazione finanziaria decorre dalla data di ricevimento della comunicazione dall’amministrazione dei beni culturali competente dell’intervenuta violazione[30]. Un’interpretazione rigorosa di questa disposizione potrebbe, a ben vedere, portare a conseguenze per certi versi abnormi sotto il profilo della certezza dei rapporti giuridici. Si potrebbe infatti concludere che dalla data della comunicazione all’amministrazione finanziaria iniziano a decorrere i termini per l’accertamento della decadenza nei confronti di tutti i proprietari, anche precedenti all’attuale alienante, fermo restando che l’unico limite consisterebbe nella prova della decadenza per non ottemperanza agli obblighi di conservazione e protezione già al tempo della precedente alienazione.
Concentrando l’attenzione sull’ipotesi di decadenza per “alienazione parziale o totale del bene prima che siano stati adempiuti gli obblighi per la sua conservazione e protezione” è opportuno comprendere cosa si intenda per “alienazione” e cosa per “obblighi”.
In merito al termine “alienazione” appare ragionevole concludere che il legislatore abbia voluto fare riferimento esclusivamente agli atti inter vivos senza che possa intendersi ricompreso il trasferimento mortis causa del bene vincolato, non potendosi far ricadere sull’erede un comportamento omissivo imputabile esclusivamente al de cuius.
Con riferimento all’espressione “obblighi di conservazione e protezione” occorre muovere dalla premessa metodologica per cui essa deve essere interpretata alla luce del significato che le viene attribuito nell’ambito della legislazione speciale che regolamenta il regime dei beni culturali (attualmente artt.29 e ss. del codice).
Va ricordato che nella vigenza del testo unico del 1999 un’autorevole dottrina negava che potesse affermarsi l’esistenza di un obbligo generale del proprietario di attivarsi per garantire la conservazione del bene, ritenendo in particolare insufficiente a tal fine il richiamo al principio della funzione sociale della proprietà (art.42 Cost.): veniva infatti rilevato che la sfera di autonomia del privato risulta incisivamente limitata da un intervento pubblico puntuale e penetrante “che estende il controllo non solo al risultato ma anche ai mezzi tecnici di gestione del bene, tanto che il proprietario non può amministrarlo senza una diretta vigilanza dell’amministrazione”[31]. Questa dottrina[32] ha però sostenuto che la disciplina fiscale individua un’inversione dell’onere di attivarsi, in quanto dà rilievo proprio al comportamento attivo del proprietario del bene.
Questa posizione appare oggi non preferibile in quanto il codice attribuisce un concreto significato agli obblighi di conservazione e protezione individuando una serie di interventi (conservativi volontari – previa autorizzazione – o conservativi imposti) che il proprietario è tenuto a porre in essere secondo le caratteristiche specifiche del vincolo[33] al fine di salvaguardare l’integrità fisica dei beni, con specifico riguardo alle loro componenti che ne esprimono il significato culturale[34].
Il legislatore tributario riconosce l’agevolazione fiscale al soggetto proprietario che si impegna a mantenere il bene vincolato, in quanto riconosce proprio in questa attività l’interesse sociale, conseguentemente, nel caso in cui il soggetto non intenda ottemperare agli obblighi di conservazione e protezione previsti dalla regolamentazione in vigore dall’amministrazione dei beni culturali e correlati al suo diritto di proprietà, il legislatore coerentemente dispone la decadenza dal beneficio precedente accordato. Se cioè il proprietario alienante non ha posto in essere quelle misure volte alla conservazione e protezione che hanno giustificato, anche in termini economici, l’applicazione di un regime tributario più favorevole al tempo dell’acquisto del bene, non essendoci, ragionevolmente, stata una diminuzione della capacità contributiva il legislatore dispone che sia recuperata la maggior imposta dovuta in base alla tassazione ordinariamente prevista per gli atti di cessione di immobili non vincolati, proprio in quanto il contribuente si è comportato come se il bene immobile di sua proprietà non lo fosse.
Per completezza, anche a voler attribuire al termine “obblighi” un significato più ampio, che ricomprenda anche i comportamenti negativi (divieto di demolizione, di modifica, di restauro non autorizzato, di uso non consono o pregiudizievole al carattere storico - artistico) comunque non può affermarsi che esista un obbligo generico del proprietario a compiere di sua iniziativa tutti gli atti idonei ad assicurare la conservazione e protezione della cosa, dovendosi in ogni caso ricondurre l’attività di conservazione e protezione entro la logica vincolistica dei beni culturali.
Quanto ai quesiti formulati si può così concludere:
- le agevolazioni previste per l’acquisto di immobile vincolato spettano anche nel caso in cui il vincolo (artt.12 e 13, notificato ai sensi dell’art.15, comma 2, del codice) non sia stato trascritto ovvero in presenza di mero decreto, qualora si tratti di vincolo disciplinato dalla legge del 1909;
- la rivendita immediata dell’immobile non comporta di per sé decadenza dal beneficio in quanto la decadenza è subordinata unicamente alle ipotesi tassativamente individuate nella nota II;
- le cause di decadenza sono state sopra meglio evidenziate;
- il significato del termine “obblighi” va inteso alla luce del testo unico dei beni culturali e dunque individua un dovere di compiere sia gli interventi soggetti ad autorizzazione (interventi conservativi volontari) sia gli interventi conservativi imposti.
[1] Inizialmente prevista la tassazione in misura proporzionale del 4%, successivamente, a decorrere dal 1° gennaio 2000 fissata al 3%.
[2] L’art.183 del d.lgs. n.42 del 2004 ha disposto l’abrogazione e contestuale sostituzione del precedente testo unico approvato con d.lgs. n. 490 del 1999. Cammelli, Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Bologna, 2004; Radoccia, Diritto e beni culturali, Cosenza 2004; Tamiozzo, Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2005.
[3] In tal senso, Alibrandi – Ferri, I beni culturali e ambientali, Milano, 2001, 842.
[4] Il relativo procedimento è disciplinato all’art.13 ed il termine per il rilascio della dichiarazione è individuato dall’art.14. Ai sensi del successivo art.15 la dichiarazione è notificata al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo della cosa che ne forma oggetto; “ove si tratti di cose soggette a pubblicità immobiliare o mobiliare, il provvedimento di dichiarazione è trascritto, su richiesta del sopraintendente, nei relativi registri ed ha efficacia nei confronti di ogni successivo proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo”.
[5] La procedura di verifica dei requisiti di interesse culturale è compiuta dagli organi del Ministero dei beni culturali, d’ufficio ovvero su richiesta del soggetto cui appartengono.
[6] Art.12, comma 1. Sono tuttavia necessarie alcune precisazioni in ordine all’istituto della verifica e al coordinamento di questo con gli artt.54 e 55 del codice che individuano l’oggetto su cui detta verifica deve vertere.
Alcuni Autori (Tamiozzo, Il codice dei beni culturali …, cit., 244) sostengono che al di là dei casi previsti dall’art.54, gli immobili del demanio culturale sono alienabili previa autorizzazione ministeriale (secondo le condizioni dettate dall’art.55). Pertanto ai sensi dell’ultimo capoverso dell’art.55, il rilascio dell’autorizzazione comporta la sdemanializzazione dei beni cui essa si riferisce; ma i beni medesimi restano comunque sottoposti alla tutela ex art.12, comma 7. La perdita della demanialità deriva in questo caso da presupposti diversi da quelli che la determinano ai sensi degli artt. 12, comma 5, e 54, comma 2: detta sdemanializzazione “non è conseguenza della verificata assenza dell’interesse culturale, ma alla circostanza che il bene, già appartenente al demanio per effetto della verifica con esito positivo della sua qualità culturale, con l’autorizzazione a vendere perde la sua destinazione immediata e diretta al soddisfacimento di interessi pubblici e diviene suscettibile di utilizzo particolare da parte del privato acquirente” (ult. op. cit., 246).
Altri Autori (Mansi, La tutela dei beni culturali e del paesaggio, Padova, 2004, 236) diversamente, rilevando innanzitutto un difficile coordinamento a livello interpretativo tra la verifica dell’interesse culturale e l’autorizzazione ad alienare prevista dall’art.55, ritengono che una soluzione ragionevole sia quella di equiparare l’autorizzazione (che comporta la sdemanializzazione) alla verifica con esito negativo riguardo all’accertamento dell’interesse culturale. Conseguentemente questi Autori non ritengono giustificato il fatto che mentre le autorizzazioni possono essere rilasciate solo a determinate condizioni previste dalla legge, la verifica con esito negativo non è in alcun modo condizionata. Pertanto secondo questa tesi è opportuno concludere nel senso che “la verifica ha la funzione di accertare la sussistenza o meno dell’interesse culturale; se la verifica è negativa il bene è alienabile o se ne può altrimenti disporre, ad es. demolirlo, mutarne la destinazione, ecc… . L’autorizzazione è invece necessaria per la vendita, o altri atti di disposizione, di beni ancora culturali, perché sottoposti al regime transitorio e di salvaguardia previsto dall’art.12, comma 1; sicchè il provvedimento che autorizza l’alienazione di un bene, ancora culturale, ha la stessa efficacia della verifica che accerta l’inesistenza del valore culturale” (ult. op. cit., 237).
Per quanto attiene la materia fiscale l’equiparazione o meno dell’autorizzazione alla verifica con esito negativo rileva evidentemente al fine di comprendere l’ambito di applicazione del regime particolare previsto per l’imposta di registro e, pertanto, interessa limitatamente ai casi in cui è comunque possibile procedere ad un trasferimento del bene di interesse culturale.
[7] Cfr. in argomento Tamiozzo, Il codice di beni culturali …, cit., 56; si vedano anche Studio n.5019 Codice dei beni culturali. Prime riflessioni, (rel. Casu); Studio n.5140 Ulteriori riflessioni sul codice dei beni culturali, (rel. Lomonaco – Boggiali).
Il comma 7 dell’art.12 dispone “l’accertamento dell’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, effettuato in conformità agli indirizzi generali di cui al comma 2, costituisce dichiarazione ai sensi dell’art.13 ed il relativo provvedimento è trascritto nei modi previsti dall’art.15, comma2. I beni restano definitivamente sottoposti alle disposizioni del presente Titolo”.
[8] E’ bene sottolineare che ai sensi dell’art.12, comma 7, l’accertamento dell’interesse “costituisce dichiarazione ai sensi dell’art.13”.
[9] L’imposizione del vincolo infatti costituisce il provvedimento finale del procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale ed ha natura di accertamento costitutivo non esaurendosi in una certazione o in un acclaramento di un fatto, essendo in grado di attribuire rilevanza giuridica ad una determinata realtà (in tal senso Alibrandi – Ferri, I beni culturali…, cit., 269; contra Giannini, Diritto amministrativo, vol. II, Milano, 1993, 485)
[10] E’ opportuno precisare che la dottrina non è concorde sulla natura dichiarativa o costitutiva della trascrizione, tuttavia Casu, Statuto e circolazione dei beni culturali dei privati, persone fisiche e giuridiche, (Atti del Convegno di Studio - La disciplina dei beni culturali alla luce del nuovo Codice – Verona, 13 novembre 2004), ha correttamente evidenziato che alla “trascrizione del vincolo sul bene culturale non possa attribuirsi valore di effetto costitutivo. Se infatti alla norma che il vincolo non trascritto non può avere effetto nei confronti del terzo, volesse attribuirsi portata effettiva, occorrerebbe affermare che il terzo acquista validamente un bene culturale non trascritto, impedendo allo Stato la prelazione artistica”. A sostegno di questa argomentazione l’Autore muove dalla Cass. 9 dicembre 1985, n.6180 (in Giust. civ., 1986, I, 1044) schematizzando così il percorso logico seguito dalla Corte: “il vincolo sorge in capo al proprietario ancorché non trascritto. Qui non vi sono dubbi. Da quel momento se il proprietario negozia il bene senza denuncia, cioè violando la normativa sui beni culturali, l’atto è nullo. Se l’atto è nullo, afferma la Cassazione, la nullità vale sia nei confronti del dante causa sia nei confronti dell’avente causa: l’atto nullo non produce effetti per nessuno. Ma allora che senso ha dire che la mancata trascrizione non ha effetto per i terzi? Può insomma la pubblicità immobiliare attribuire al negozio invalido un valore che il negozio per se stesso non può avere? Per sostenerlo bisognerebbe affermare che la pubblicità immobiliare incida sugli effetti negoziali sua sponte, il che non è”. Queste considerazioni appaiono significative per le conseguenze che possono produrre sul piano fiscale, in quanto consentono di argomentare l’assoggettamento al regime particolare di favore per tutti quei beni rispetto ai quali il vincolo di interesse culturale sia stato notificato, seppur non ancora trascritto.
[11] Attesa l’efficacia costitutiva che la normativa fa derivare dalla comunicazione del vincolo al destinatario dottrina e prassi da sempre concordi ritengono che il destinatario debba venirne a conoscenza tramite formule “rituali” di comunicazione (cfr. Cons. di Stato, sez. IV, n.6067/2002, in Foro amm., 2002, 2810). Al riguardo l’art.15, comma 1, precisa che la notifica ha luogo “tramite messo comunale o a mezzo posta raccomandata con avviso di ricevimento”.
[12] La precisazione del concetto di conservazione come attività di tutela dell’integrità fisica del bene è stata interpretata dalla dottrina una conferma della distinzione rispetto all’attività di valorizzazione (Titolo II), volta a favorire e migliorare la fruizione (cfr. Guccione, sub art.29, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di Cammelli, cit., 185 ss.). Questa specificazione comporta una distinzione tra gli interventi conservativi e quelli di adeguamento funzionale e di miglioramento della fruizione. Sono ritenute, invece, coincidenti le finalità di conservazione e di protezione, ribadita dall’art.29, comma 4.
[13] Radoccia, Diritto e beni culturali, cit., 69 ss. osserva che nell’impianto della legge si riscontrano numerose ipotesi in cui al diritto di proprietà si coniuga il concetto di obbligo: “al privato non si chiede solo di subire (pati) ma anche di eseguire delle obbligazioni”. Tuttavia in una visione più complessa possono evidenziarsi da un lato l’interesse dello Stato, dall’altro quello del privato e dall’altro ancora quello della collettività.
[14] Di solito l’effetto del vincolo non si manifesta in forma di divieto assoluto, bensì nell’obbligo di richiedere il preventivo assenso dell’autorità competente per il compimento di tutte le attività potenzialmente idonee ad incidere sulla condizione materiale del bene protetto. Così Radoccia, Diritto e beni culturali, cit., 89 ss.
[15] Poiché il “valore da proteggere è inseparabilmente compenetrato in un oggetto materiale (scultura, edificio), conservare significa innanzitutto salvaguardare l’integrità fisica di tali entità, con specifico riguardo alle loro componenti che ne esprimono il significato culturale”. Così Ferri, Beni culturali ed ambientali nel diritto amministrativo, Dig. IV, disc. Pubbl., Torino, 221.
[16] Si ricorda che nel caso di alienazione a titolo oneroso di immobili vincolati, il Ministero per i beni culturali ha la facoltà di acquistare il bene al medesimo prezzo stabilito in atto. Il diritto di prelazione deve essere esercitato nel termine di due mesi dalla data di ricezione della denuncia dell’atto di trasferimento. In pendenza del termine per l’esercizio della prelazione l’atto di alienazione è inefficace.
[17] Al riguardo si rinvia a Solfaroli Camillocci, Le agevolazioni immobiliari, Milano, 2001, 83, il quale precisa che “il trattamento agevolato risulta tra l’altro applicabile alle permute che comportino il trasferimento di immobili vincolati, nonché ai conguagli divisionali superiori al 5% della quota di diritto”.
[18] Cfr. Pasolini dall’Onda, in La nuova disciplina dell’imposta di registro, a cura di D’Amati, Torino, 472; l’Autore argomenta in termini di “eccezione al principio generale” spiegabile “ove si consideri la decadenza dal beneficio una sanzione riferibile al comportamento negligente del solo acquirente in epoca successiva all’alienazione”. A nostro avviso, non è necessario rinvenire la natura sanzionatoria del recupero a seguito del verificarsi della decadenza per giustificare questa disciplina essendo il principio espressamente ribadito anche solo per l’applicazione dell’imposta nel citato art.57.
[19] cfr. Donadi, Agevolazioni tributarie a salvaguardia del patrimonio artistico e storico, Treviso, 1985, 70; nello stesso senso Pasolini dall’Onda, cit., 472.
[20] Ai sensi di questo articolo rubricato appunto <obblighi di conservazione> prevede che “i privati proprietari, possessori o detentori di beni culturali sono tenuti a garantirne la conservazione” ovviamente nel rispetto delle regole stabilite nel medesimo testo unico.
[21] Circ. min. n.32 del 26 marzo 1983.
[22] Al riguardo la dottrina osserva “il riconoscimento della perdurante efficacia delle notifiche risalenti alla legge del 1909, che compare come disposizione transitoria in tutte le normative che ad essa succedono, sembra semplicemente costituire un’applicazione del principio del tempus regit actum, considerato che quella legge non prevedeva le formalità di che trattasi. In ogni caso si tratta evidentemente di una soluzione provvisoria con finalità cautelari essendo destinata a consentire il completamento dell’attività di rinnovo e trascrizione dei vincoli precedenti senza pregiudizio per le esigenze di tutela e poco importa in quest’ottica che a distanza di decenni l’attività stessa non sia stata portata a termine e che nessun regolamento sia ancora intervenuto a porre ad essa un termine finale”. Così Tamiozzo, Il codice dei beni …, cit., 84.
[23] In tal senso si veda Solfaroli Camillocci, cit., 83.
[24] La Cass., sez. I, 22 agosto 1997, n.7536, in Riv. legisl. Fisc., 1998, 891 si è pronunciata nel senso che l’agevolazione non può essere richiesta se gli estremi del vincolo risultante dai registri immobiliari non siano stati indicati nell’atto di trasferimento.
Cfr. Alibrandi – Ferri, cit., 842 ss. In particolare viene rilevato che nel caso in cui il vincolo non sia stato trascritto o in cui l’alienante non sia stato comunicato all’acquirente “la giurisprudenza ammette l’esperibilità di azioni redibitorie, ma ciò non esclude che l’acquirente – preferendo conservare il bene acquistato – pretenda di richiedere tardivamente la concessione del beneficio. E’ però da ritenere che una pretesa del genere non possa trovare ingresso nei confronti dell’amministrazione finanziaria; giacchè – concludono gli Autori – la norma tributaria sul punto pone come rigida condizione, per l’applicabilità dell’aliquota agevolata, la contestuale indicazione degli estremi del vincolo, e d’altra parte, il Fisco nei confronti dell’evenienza prospettata si presenta come un terzo al quale la vicenda non può essere efficacemente opposta” (…) “all’acquirente resteranno le ragioni di danno eventualmente conseguenti all’omessa trascrizione”.
[25] Si veda Comm. Trib. prov. Di Parma, sez. IV, sent. 6 dicembre 1999, n.404.
[26] In questi termini si rinvia alla sentenza della Commissione tributaria centrale, n.26 del 10 febbraio 1997.
[27] In riferimento a quest’ultima ipotesi si rinvia alla nt.4.
[28] Si ricorda che ai sensi dell’art.26 del D.lgs. n.472 del 1997 sulle sanzioni amministrative pecuniaria “il riferimento alla soprattassa e alla pena pecuniaria, nonché ogni altra sanzione amministrativa, ancorché diversamente denominata, contenuto nelle leggi vigenti, è sostituito con il riferimento alla sanzione pecuniaria, di uguale importo”.
[29] In ogni caso, è bene precisare che la disposizione sulla sanzione amministrativa del 30%, analogamente a quanto concluso in merito all’interpretazione del comma 4 della nota II bis (cfr. Studio n.25/2001/T rel. Puri, Applicabilità degli artt.13 e 16 del D.lgs. 472/1997 all’intera somma dovuta in caso di decadenza dalle agevolazioni per l’acquisto della prima casa assoggettato ad iva) in tema di decadenza dalle agevolazioni prima casa, deve intendersi riferita unicamente alla differenza tra l’imposta ordinaria e l’imposta ridotta.
[30] Diversamente, nel caso della citata lett.b) il termine decorrerà dalla mancata documentazione all’Ufficio entro il termine di due anni dall’atto disposto per legge.
[31] In tal senso si vedano Alibrabdi – Ferri, cit., 356 ss.
[32] Ancora, Alibrandi – Ferri, cit., 846. Affermano gli Autori “il senso specifico della norma tributaria è quello di invertire il meccanismo di fondo della legislazione di tutela recependone il contenuto quanto agli obblighi di conservazione ma ponendone direttamente a carico del privato un onere di intervento attivo il cui adempimento è condizione per il godimento del beneficio”. Questa e le altre cause di decadenza “operano quindi in un’ottica non di semplice rafforzamento dei mezzi di protezione ordinaria, ma di ampliamento delle condizioni satisfattive dell’interesse pubblico alla corretta gestione dei beni culturali”.
Pasolini dall’Onda, cit., 472 che, senza concludere che si tratti di un inversione dell’onere, riconosce comunque in capo al contribuente “uno specifico onere di intervento attivo”.
[33] Per considerazioni in merito al contenuto del “vincolo” e al carattere specifico delle indicazioni ivi contemplate si rinvia a Mansi, La tutela dei beni culturali e del paesaggio, Padova, 2004, 73 ss. e 199 ss.
[34] Così Ferri, Beni …, cit., 221.
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