NOVITÀ IN MATERIA DI TITOLO ESECUTIVO
NOVITÀ IN MATERIA DI TITOLO ESECUTIVO[1]
di Enrico Astuni
Consiglio Nazionale del Notariato - Studio n. 8-2006/E e Studio n. 236 – 2006/C
Pubblicato in Studi e Materiali 1/2006, 163
La legge 14 maggio 2005 n. 80[2] ha introdotto due sostanziali novità in materia di titolo esecutivo con la modifica dell'art. 474 c.p.c.: (a) l'efficacia esecutiva è stata estesa anche alla scrittura privata autenticata (art. 474 comma 2 n. 3), affiancata alla species del titolo esecutivo "atto pubblico"; (b) l’efficacia esecutiva dei titoli di cui al n. 3 è stata estesa agli obblighi di consegna o rilascio.
La legge 28 dicembre 2005 n. 263[3], pur conservando alla scrittura privata autenticata la qualità di titolo esecutivo, ne ha in sintesi assimilato il regime di esecuzione a quello proprio dei titoli di credito previsti dall'art. 474 comma 2 n. 2 c.p.c. (cambiale, assegno e altri titoli di credito con efficacia esecutiva) e limitato la sua efficacia esecutiva alle sole obbligazioni pecuniarie in essa contenute [4].
La riforma solleva alcune questioni.
1. La nozione di scrittura privata autenticata idonea a valere come titolo esecutivo.
1.1. Natura e requisiti dell'atto
L'attribuzione di efficacia esecutiva alla scrittura privata autenticata, "relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in essa contenute" (formula identica a quella dell'art. 474 n. 3 c.p.c. ante riforma) non può che implicare, in linea di principio, l'estensione alla prima delle elaborazioni e ricostruzioni dottrinali e giurisprudenziali formatesi e consolidatesi nel corso degli anni con riguardo all'atto pubblico.
Per valere ai fini dell'esecuzione forzata, l'atto deve quindi contenere "l'indicazione degli elementi strutturali essenziali dell'obbligazione" e in particolare quelli "attinenti all'esistenza di una determinata e certa obbligazione tra due soggetti"[5].
È sufficiente ricordare, in proposito, che il requisito della certezza – e quindi il valore di titolo esecutivo – è stato motivatamente escluso nel caso di: (a) un contratto di mutuo c.d. condizionato, non seguito da un atto di erogazione e quietanza fatto per atto pubblico, poiché l'obbligo del mutuatario di restituire dipende causalmente dall'erogazione del finanziamento e non dalla semplice promessa della banca di dare a mutuo[6]; (b) un'apertura di credito, semplice o in conto corrente, poiché il contratto non documenta l'esistenza attuale, né (soprattutto) certa di un credito della banca ma la semplice messa a disposizione del cliente del fido, mentre l'obbligo di restituire dipende dall'effettivo e successivo utilizzo della provvista (nell'apertura semplice), seguito dalla revoca dell'affidamento (nell'apertura in conto corrente)[7]; (c) una fideiussione non contenente l'ammontare preciso del credito né elementi idonei a liquidarlo, sia pure mediante operazioni di calcolo (si pensi ad es. a una fideiussione omnibus o a garanzia di un'apertura di credito, nelle quali la relatio viene fatta ad atti di indebitamento successivi e non documentati nel titolo)[8].
Quanto ai contenuti, l'atto vale quale titolo esecutivo sia che il debitore assuma un obbligo nuovo, sia che renda una dichiarazione ricognitiva dell'obbligazione o riconosca, attraverso il meccanismo della confessione, l'esistenza del fatto costitutivo del debito (ad es. la quietanza nell'atto di mutuo)[9].
Hanno quindi senz'altro valore di titolo esecutivo: (a) la promessa di pagamento o il riconoscimento di debito, anche processualmente astratti; (b) il c.d. atto unilaterale di mutuo, in particolare nel caso in cui il mutuatario renda una dichiarazione ricognitiva, successiva al perfezionamento del contratto, recante quietanza della somma mutuata e l'indicazione delle condizioni del contratto[10].
Dà invece luogo a maggiori perplessità la concessione di ipoteca da parte del terzo datore, quando ad essa non s'accompagni una dichiarazione costitutiva o ricognitiva di debito proveniente dall'obbligato: il titolo ipotecario non è ipso facto idoneo all'esecuzione in mancanza di un titolo esecutivo contro l'obbligato (arg. ex art. 603 c.p.c.)[11] ed è dubbio se valga a precostituire il titolo la semplice enunciazione del credito che il terzo datore intende garantire[12].
Le questioni anzidette, sorte per l'atto pubblico, si ripropongono in modo identico per la scrittura privata autenticata e, in linea di principio, salva una rimeditazione globale del singolo tema, devono ricevere identica soluzione.
Comunque, non è revocabile in dubbio che, si tratti di contratti o di atti unilaterali inter vivos, in ogni caso la scrittura privata autenticata con efficacia esecutiva documenta un atto di autonomia privata.
1.2. Competenza all'autenticazione
Pertanto, in mancanza di una qualsivoglia norma estensiva ad altre autorità dell'attribuzione della potestà di autentica, essa deve intendersi di competenza del solo notaio (art. 72 legge 16 febbraio 1913 n. 89) e degli altri pubblici ufficiali autorizzati dalla legge ad autenticare scritture private contenenti atti di autonomia privata (v. art. 2703 c.c.: "si ha per riconosciuta la sottoscrizione autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato").
Tra questi rientrano sicuramente il segretario comunale o provinciale (art. 97 comma 4 lett. c) del D. Lgs. 18 agosto 2000 n. 267: T.U. enti locali) e il console (art. 19 D.P.R. 5 gennaio 1967 n. 200: T.U. legge consolare).
Tale conclusione, che dovrebbe essere scontata, merita di essere ribadita, a fronte di disorientamenti e prese di posizione[13], forse poco meditate, intese ad allargare l'ambito dei pubblici ufficiali autorizzati ad autenticare scritture private valide ai fini dell'esecuzione forzata a tutti quegli altri soggetti cui la legge conferisce un potere (generico) di autenticazione di firma come, a titolo di esempio, i dipendenti comunali autorizzati a ricevere e autenticare le firme in calce alle istanze o dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà da produrre agli organi della pubblica amministrazione (art. 21 D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445: T.U. documentazione amministrativa).
Nella stessa ottica altri[14] critica il nuovo testo dell'art. 185 c.p.c. che prevede che "la procura [per l'udienza di comparizione personale delle parti] deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve attribuire al procuratore il potere di conciliare o transigere la controversia. Se la procura è conferita con scrittura privata, questa può essere autenticata anche dal difensore della parte" rilevando che "la previsione potrebbe facilmente essere malintesa: giacché il nuovo art. 474 c.p.c. – pure corretto, anche per il profilo che qui interessa, dalla legge n. 263/2005: cfr. il secondo comma, n. 2) – attribuisce la qualità di titolo esecutivo alle scritture private autenticate, potrebbe darsi il caso della scrittura che contenga anche la procura a rappresentare le parti in giudizio che, autenticata dai rispettivi patroni, potrebbe poi esser fatta valere quale titolo esecutivo per eventuali obbligazioni di somme di denaro in essa contenute".
Tali pretese estensioni appaiono però completamente fuori dal sistema. Sia sufficiente osservare che: (a) la potestà di autentica è attribuita dalla sola legge e negli stretti limiti da essa previsti, senza possibilità di interpretazioni analogiche[15]; (b) non esiste un generico potere di autenticazione (o di rogito), poiché la legge precisa la sfera di attribuzioni del pubblico ufficiale (territoriali, per materia etc.)[16]; (c) quindi l'atto di autentica fatto da un pubblico ufficiale fuori dalla propria sfera di competenza è radicalmente nullo e non vale a conferire autenticità alla sottoscrizione[17], né agli effetti probatori, né – perché non v'è alcuna ragione per distinguere – ai fini dell'efficacia esecutiva.
Quindi, la norma di cui si discute non conferisce essa stessa (a chi e in quali limiti ?) il potere di autentica ai fini dell'esecuzione forzata, ma è una norma meramente "secondaria" che presuppone l'esistenza di un'altra norma attributiva del potere di autentica e, nei limiti in cui essa dispone, conferisce al prodotto dell'attività (la scrittura privata autenticata) il valore di titolo esecutivo.
Tradotto in termini processuali, ciò significa che: (a) la scrittura privata autenticata da un pubblico ufficiale non autorizzato dalla legge ad autenticare atti di autonomia privata non ha valore di titolo esecutivo; (b) l'inesistenza del titolo può essere rilevata dal giudice dell'esecuzione, d'ufficio o su mera istanza del debitore, e prima ancora dall'ufficiale giudiziario richiesto di darvi esecuzione e, infine, può formare oggetto di fondata opposizione (a precetto o all'esecuzione) da parte del debitore.
1.3. Inapplicabilità della riforma alle scritture private verificate in giudizio
Inoltre, com'è stato autorevolmente affermato[18], "l'efficacia probatoria privilegiata … deve sussistere ab origine, cioè al momento di formazione della scrittura, e non può essere acquisita ex post a seguito del non disconoscimento della scrittura privata non autenticata". Ne segue quindi che non può acquistare valore di titolo esecutivo la scrittura privata semplice, ancorché la sua autenticità sia stata accertata tramite il procedimento di verificazione giudiziale di cui all'art. 215 c.p.c..
A maggiori dubbi danno luogo alcune norme, come l'art. 322 c.p.c. (verbale di conciliazione davanti al giudice di pace fuori dalla sua competenza giurisdizionale) e l'art. 29 del T.U. legge consolare (verbale di conciliazione davanti al console), che attribuiscono a determinati processi verbali di conciliazione l'efficacia di "scrittura privata riconosciuta in giudizio" e cioè uno status giuridico ab origine equiparabile, almeno agli effetti probatori, a quello della scrittura privata autenticata. Assimilate le due fattispecie, potrebbe ipotizzarsi l'estensione anche a questi ultimi atti dell'efficacia esecutiva oggi riconosciuta alla scrittura privata autenticata[19].
1.4. Limiti alla circolazione transnazionale di scritture private autenticate
La scrittura privata autenticata prevista dal nuovo testo dell'art. 474 c.p.c. è soltanto quella formata da un notaio o altro pubblico ufficiale investito di potestà secondo il diritto materiale italiano.
In generale, l'atto pubblico formato all'estero (rectius: davanti a un'autorità estera), ancorché idoneo a valere come titolo esecutivo secondo l'ordinamento di provenienza, non è intrinsecamente munito di efficacia esecutiva in Italia (cfr. artt. 67-68 della legge 31 maggio 1995 n. 218: riforma del diritto internazionale privato). Il valore di principio di tali norme non può essere misconosciuto: tali conclusioni valgono quindi anche per la scrittura privata autenticata.
In secondo luogo, il diritto vigente non conosce alcuno strumento idoneo a munire di forza esecutiva in Italia la scrittura privata autenticata all'estero.
L'art. 68[20] legge n. 218 (come già l'art. 804 c.p.c., abrogato) subordina l'efficacia esecutiva in Italia dell'atto pubblico estero alla pronuncia di riconoscimento, resa dalla Corte d'appello su ricorso della parte interessata (art. 67 legge cit.), ma nulla prevede in merito alla scrittura privata autenticata.
Anche muovendosi nel più stretto spazio giuridico europeo le conclusioni non mutano.
Il procedimento di exequatur previsto dagli artt. 38 ss. del regolamento C.E. n. 44/2001 del 22 dicembre 2000 riguarda (v. art. 57 regolamento) i soli "atti pubblici formati ed aventi efficacia esecutiva in uno Stato membro"[21].
Merita osservare che la nozione di "atto pubblico" ai fini del diritto comunitario è sostanzialmente coincidente con quella delineata dall'art. 2699 c.c. ed esige due condizioni: (a) l'autenticità dell'atto deve essere stata attestata da un'autorità pubblica; (b) l'autenticità deve riguardare il contenuto dell'atto e non solo la sottoscrizione, onde garantire l'effettiva consapevolezza delle parti in merito alla portata dell'accordo[22].
In modo ancora più esplicito e in consapevole allineamento con la nozione di "atto pubblico" già delineata dalla Corte di Giustizia nell'interpretazione della Convenzione di Bruxelles, il nuovo regolamento C.E. n. 805/2004 del 21 aprile 2004 sul c.d. titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati[23] qualifica, tra l'altro, come "credito non contestato" – e quindi idoneo ad essere munito di valore esecutivo secondo il procedimento semplificato ivi previsto – quello che il debitore abbia "espressamente riconosciuto in un atto pubblico", che definisce (art. 4) come "qualsiasi documento che sia stato formalmente redatto o registrato come atto pubblico e la cui autenticità: i) riguardi la firma e il contenuto e ii) sia stata attestata da un'autorità pubblica o da altra autorità a ciò autorizzata dallo Stato membro d'origine".
In conclusione, la scrittura privata autenticata, attestando la sola autenticità delle sottoscrizioni e non rivestendo di pubblica fede il contenuto dell'atto, non è idonea ad essere eseguita al di fuori dello Stato membro dell'Unione Europea in cui è stata formata[24].
Ciò vale anche, è appena da osservare, per le scritture private autenticate in Italia e da eseguirsi all'estero. Ne segue, sul piano operativo, l'opportunità di invitare i notai a utilizzare con prudenza la scrittura privata autenticata e a preferire l'atto pubblico nel caso in cui, per i contenuti dell'accordo il domicilio o la residenza delle parti etc., appaia plausibile che l'atto sia o possa essere destinato ad essere eseguito anche al di fuori del territorio nazionale.
È infine irrilevante, per la questione che ne occupa, il deposito della scrittura privata estera in atti di un notaio (o di un archivio distrettuale notarile) italiano. È infatti assolutamente pacifico che "l'uso" cui è preordinato il deposito dell'atto estero (art. 106 n. 4 legge notarile) "va interpretato solo limitatamente a quello che sia strettamente consequenziale, come unito da un nesso di complementarietà, alla destinazione propria dell’atto medesimo", in particolare ai fini dell'adempimento della registrazione e delle formalità pubblicitaria, e in ogni caso non consiste nell'uso giudiziario dell'atto estero, ad es. quale mezzo di prova o titolo esecutivo[25].
Il deposito non è quindi sufficiente a esonerare l'interessato dall'esperire il procedimento di exequatur che è l'unico strumento idoneo (in specie inapplicabile per i motivi sopra ricordati) a munire di efficacia esecutiva in Italia un atto estero.
2. Provenienza qualificata e controllo di legalità come condizioni di legittima estensione dell'efficacia esecutiva alla scrittura privata.
La scelta legislativa di attribuire efficacia esecutiva a un atto stragiudiziale rappresenta la ricerca di un punto di equilibrio tra due opposte esigenze: la certezza del diritto fatto valere di contro alla rapidità del soddisfacimento del diritto[26].
Esauritasi la prospettiva, in cui la dottrina italiana s'è a lungo impegnata[27], di individuare il dato qualificante e unitario del titolo esecutivo, al fine di ricondurre al concetto le varie figure di titolo esecutivo previste nell'ordinamento, eterogenee quanto alla provenienza, all'efficacia e al grado di certezza dei diritti tutelati, può ormai ritenersi un dato acquisito che il punto di equilibrio tra certezza e rapidità è individuato di volta in volta dal legislatore in base a ragioni pregiuridiche, di politica legislativa, premiando a volte l'efficacia probatoria privilegiata, assicurata dal tipo di documento, a volte ragioni socio-economiche di mera opportunità, che inducono ad apprestare la tutela anche nella ragionevole incertezza dell'esistenza o persistenza del rapporto espresso dal documento (come i titoli di credito, nei quali è difficile ravvisare una certezza maggiore di quella che proviene da una qualsiasi scrittura privata)[28].
Ora, se il titolo esecutivo giudiziale offre un apprezzabile grado di "certezza" del diritto fatto valere – almeno quanto ai fatti preesistenti alla formazione del titolo e alle sue condizioni di validità – e limita la possibilità di contestazione dell'azione esecutiva alla sola deduzione di fatti modificativi o estintivi successivi alla sua formazione, esso d'altra parte ha un "costo", visti i tempi necessari ad ottenere un titolo esecutivo a seguito di un processo di cognizione.
Al contrario, il titolo esecutivo stragiudiziale, in mancanza di un previo accertamento dei fatti costitutivi del diritto fatto valere e delle condizioni di validità del titolo, porta con sé il rischio di sottoporre ingiustamente alcuno ad esecuzione per un credito inesistente o sfornito di tutela in executivis e di uno spreco antieconomico di attività da parte degli organi dell'esecuzione forzata, avverso cui l'esecutato può reagire mediante opposizione all'esecuzione, contestando senza limiti il diritto del (sedicente) creditore di procedere ad esecuzione forzata.
In termini di opportunità, quindi, in tanto può apprezzarsi l'estensione dell'efficacia esecutiva ad atti stragiudiziali in quanto il titolo (per provenienza, modalità di formazione, controllo preventivo di legalità) lasci presumere che "l'evenienza di un'opposizione sia improbabile, e quindi se ed in quanto l'atto al quale sia conferita l'efficacia di titolo esecutivo sia tale da far apparire improbabile l'opposizione del debitore"[29].
In quest'ottica, la scelta legislativa trova probabilmente il suo fondamento nella considerazione che: (a) la scrittura privata autenticata, come l'atto pubblico, fa piena prova[30] fino a querela di falso della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta (artt. 2702-2703 c.c.), rendendo con ciò altamente improbabili opposizioni all'esecuzione fondate sulla falsità della sottoscrizione (cui dovrebbe necessariamente accompagnarsi la proposizione della querela di falso); (b) come l'atto pubblico, anche la scrittura privata autenticata proviene di regola da un pubblico ufficiale e professionista qualificato (il notaio), obbligato a verificare (oltreché l'identità del sottoscrittore anche) la legalità dell'atto di autonomia privata sottopostogli per l'autentica e, in caso contrario, a rifiutare il suo ufficio[31].
Ciò detto, sono peraltro largamente condivisibili i rilievi critici di chi[32] fa leva sulla "derogabilità dell'obbligo professionale di informazione e quindi [sulla] possibilità che non sia effettuata una scrupolosa indagine della volontà al fine di prevenire possibili vizi della volontà e divergenze tra volontà e dichiarazione", sul maggiore rischio di alterazione cui va incontro la scrittura privata e sulle più lievi sanzioni penali previste per il caso di falso, per sottolineare il minore grado di certezza assicurato dalla scrittura privata autenticata rispetto all'atto pubblico.
Ancora, non può escludersi che le parti, magari al solo fine di munire l'atto di efficacia esecutiva, si limitino a richiedere al notaio il solo esercizio della potestà di autentica di un testo da esse già interamente predisposto: in tali ipotesi, diversamente dall'atto pubblico, la funzione adeguatrice del notaio – sia per quanto concerne la sostanza dell'affare, sia per quanto concerne la sua traduzione in termini giuridici – viene senz'altro meno, con probabile incremento dei margini di incertezza e contestabilità del titolo.
Nella scelta della riforma ha fatto probabilmente premio la considerazione che, ancorché l'attività funzionale del notaio nell'autenticazione sia limitata all'identificazione del dichiarante, nella comune prassi negoziale il testo della scrittura privata autenticata è pur sempre il frutto dell'attività preparatoria del notaio quale libero professionista, almeno nella normalità dei casi[33].
Se questi dunque sono i motivi che giustificano l'estensione dell'efficacia esecutiva alla scrittura privata autenticata è arduo vedere come possa ammettersi, senza provocare un sostanziale stravolgimento del sistema dell'esecuzione forzata, l'estensione del potere di autentica ai fini dell'esecuzione forzata a soggetti (come gli impiegati comunali di cui all'art. 21 del D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445) diversi da quelli già oggi autorizzati ad autenticare scritture private contenenti atti di autonomia negoziale.
E invero: (a) l'autentica, non rientrando nella previsione di cui all'art. 2703 c.c., non varrebbe neppure a sottrarre la scrittura privata al disconoscimento della sottoscrizione in sede di opposizione, riducendo in definitiva la "certezza" del titolo a quella di una scrittura privata semplice, alla quale non è riconosciuto valore di titolo esecutivo; (b) difettando un preventivo controllo di legalità, l'esistenza del diritto fatto valere e l'immunità dell'atto da vizi di formazione sarebbero assistiti da un inconsistente grado di "certezza", nel senso che già sopra s'è evidenziato.
3. Quale regime formale esecutivo per la scrittura privata autenticata ? Le questioni aperte e lasciate irrisolte dalla legge n. 80.
Teoricamente la scrittura privata autenticata avrebbe potuto mutuare la disciplina esecutiva dal modello a lei più vicino (per provenienza, contenuti etc.), cioè l'atto pubblico. Ciò avrebbe avuto, tra l'altro, il non disprezzabile pregio di rendere applicabile al nuovo titolo esecutivo una disciplina già conosciuta, consolidata da una prassi e da una giurisprudenza pluridecennali.
Oltretutto, la stessa scelta della legge n. 80 di affiancare la scrittura privata autenticata all'atto pubblico nell'elencazione dei titoli esecutivi, sia pure forse dettata da finalità genericamente classificatorie, suggeriva all'interprete la possibile identità delle discipline formali dei due titoli.
Sennonché per portare a compimento tale operazione e apprestare al nuovo titolo un regime chiaro, coerente e razionale ai fini dell'esecuzione, la legge n. 80 avrebbe dovuto farsi carico sia delle marcate specificità della scrittura privata autenticata, sia di riscrivere talune disposizioni del codice di rito per adeguarle al mutato contesto normativo, com'è stato pressoché unanimemente rilevato[34] dai primi interpreti che, accogliendo lo spunto esegetico offerto dalla legge n. 80, si sono provati a indicare le linee essenziali della disciplina.
3.1. Il regime esecutivo dell'atto pubblico: la conservazione in atti del notaio come caposaldo della disciplina.
Conviene allora riassumere il regime esecutivo dell'atto pubblico al fine di saggiarne la compatibilità con la scrittura privata autenticata.
In sintesi: (a) l'atto pubblico per valere ai fini dell'esecuzione deve essere spedito in forma esecutiva, mediante rilascio di copia autentica con l'apposizione della formula (art. 475 c.p.c.); (b) non può spedirsi senza giusto motivo più di una copia esecutiva alla stessa parte; la valutazione del giusto motivo compete al presidente del tribunale che, su istanza dell'interessato, autorizza il rilascio della c.d. seconda copia (art. 476 c.p.c.); (c) il rilascio non autorizzato della seconda copia comporta l'applicazione a carico del notaio trasgressore di una sanzione pecuniaria, oggi compresa tra € 1.000,00 ed € 5.000,00 (art. 476 c.p.c.); (d) infine, "l'esecuzione forzata deve essere preceduta dalla notificazione del titolo [spedito] in forma esecutiva e del precetto" (art. 479 c.p.c.) [35].
Pietra portante di tale disciplina è, evidentemente, la conservazione dell'originale negli atti del notaio: in quanto pubblico depositario, il notaio è autorizzato a rilasciare copia autentica in forma esecutiva, con lo stesso valore dell'originale (art. 2714 c.c.) ed è in grado di esercitare un effettivo controllo sul rispetto dell'art. 476 c.p.c., annotando in margine all'originale l'avvenuto rilascio della copia esecutiva[36].
3.2. Specificità della scrittura privata autenticata: possibile rilascio in originale.
Viceversa, non sussiste un obbligo generalizzato di conservazione della scrittura privata da parte del pubblico ufficiale che l'ha autenticata.
Secondo l'art. 72 legge 16 febbraio 1913 n. 89, la scrittura viene di regola rilasciata in originale alle parti stesse, salva la loro contraria concorde istanza, contestuale all'autenticazione.
La norma, benché ancora costituisca la regola generale, ha ormai portata pressoché residuale ove si consideri che l'art. 12 lett. e) della legge 28 novembre 2005 n. 246, modificando l'art. 72, ha introdotto il divieto – di notevolissima portata pratica per la normale attività notarile – vietando il rilascio in originale delle scritture private autenticate "soggette a pubblicità immobiliare o commerciale".
La previsione si riferisce indifferentemente ad atti soggetti a trascrizione, iscrizione o annotazione nei pubblici registri. Andranno quindi conservati a raccolta buona parte dei titoli esecutivi negoziali: mutuo ipotecario, ricognizione di debito o fideiussione contestuali a una concessione di ipoteca, vendita con prezzo dilazionato, locazione ultranovennale etc..
La norma non copre però tutto il campo dei possibili titoli esecutivi negoziali fatti per scrittura privata autenticata: ne restano fuori, ad es., la locazione infranovennale nonché ricognizione di debito fideiussione accollo etc. non accessori a una concessione di ipoteca o a un trasferimento immobiliare. Questi ultimi potranno quindi continuare a essere rilasciati in originale poiché nessuna norma stabilisce l'obbligo del notaio di conservare a raccolta le scritture idonee a valere ai fini dell'esecuzione forzata in quanto tali.
All'interno del genus, devono quindi distinguersi due species, consistenti nella scrittura conservata a raccolta e in quella rilasciata in originale. Di queste soltanto la prima condivide con l'atto pubblico il regime di conservazione e rilascio di copie, caposaldo della disciplina esecutiva (v. sopra 3.1.), e potrebbe teoricamente essergli assimilata anche ai fini dell'esecuzione senza soverchie difficoltà[37]. La seconda, al contrario, se ne discosta in modo radicale, rendendo con ciò quanto meno problematica qualsivoglia estensione.
3.3. Gli ostacoli tecnico-giuridici ad estendere alla scrittura privata autenticata il regime dell'atto pubblico: il mancato adeguamento dell'art. 475 comma 1 c.p.c..
S'aggiunga ancora che, oltre alle obiettive differenze esistenti tra atto pubblico e scrittura privata autenticata, la legge n. 80 non s'è neppure fatta carico di riscrivere l'art. 475 comma 1 c.p.c.[38]: nel suo tenore letterale, esso riguarda soltanto gli "atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale" e cioè, con trasparente richiamo all'art. 474 n. 3 c.p.c., i soli atti pubblici[39].
E se l'applicazione alla scrittura privata conservata a raccolta esigeva soltanto una modesta operazione di ortopedia giuridica sull'art. 475 c.p.c. – da intendersi esteso all'ipotesi degli "atti ricevuti in deposito"[40] – per adeguarlo al mutato contesto normativo, quest'opzione interpretativa, di tipo sostanzialmente evolutivo, era obiettivamente più difficile per la scrittura privata rilasciata in originale, trattandosi di atto non soltanto non ricevuto da notaio (ma semplicemente autenticato), ma neppure conservato in deposito da un pubblico ufficiale autorizzato a rilasciarne copie.
Restavano quindi irrisolti due punti centrali, almeno nella prospettiva dell'assimilazione all'atto pubblico della scrittura privata autenticata: (a) se questa potesse e dovesse spedirsi in forma esecutiva per valere ai fini dell'esecuzione forzata; (b) se, conseguentemente, la copia esecutiva dovesse notificarsi al debitore ai sensi dell'art. 479 c.p.c..
Il quadro di grave incertezza seguito alla legge n. 80 è ben sintetizzato dalle riflessioni di Oriani che, studiandosi di ricavare dal sistema una disciplina esecutiva adeguata e coerente, ha escluso la possibilità di spedire in forma esecutiva la scrittura rilasciata in originale e ipotizzato non meno di tre soluzioni alternative: intimazione del precetto senza previa spedizione esecutiva né notificazione al debitore della scrittura privata autenticata; trascrizione della scrittura privata nel corpo dell'atto di precetto con certificazione di conformità da parte dell'ufficiale giudiziario; indicazione degli estremi del titolo esecutivo nel precetto[41].
Ora, a prescindere dal fatto che alcune di queste soluzioni erano addirittura foriere di un'ingiustificata disparità di trattamento (come ha riconosciuto lo stesso illustre Autore) di dubbia legittimità costituzionale, interessa qui rimarcare che nessuna di esse appariva munita di un fondamento normativo purchessia: col che l'insufficienza dell'impianto della legge n. 80 a reggere l'impatto della pratica non abbisogna di commenti ulteriori.
Benché i dubbi aperti dalla riforma – come del resto la stessa formula esecutiva – fossero di rilievo giuridico senz'altro modesto[42], la loro concreta rilevanza poteva essere di portata largamente maggiore: è noto – e non merita più che un cenno – che ogni incertezza sulla forma degli atti esecutivi si traduce in una chicane e in un verosimile incremento di opposizioni agli atti, a fini chiaramente dilatori, che riduce il già modesto tasso di efficienza del sistema.
In conclusione, lo spunto esegetico fornito dalla legge n. 80 non poteva essere utilmente raccolto dagli interpreti, ma era necessario un notevole sforzo di interpretazione sistematica – con conseguenti e inevitabili margini di opinabilità – per addivenire alla conclusione che la disciplina esecutiva dell'atto pubblico poteva estendersi alla scrittura privata autenticata, in particolare se rilasciata in originale.
4. Il nuovo regime della scrittura privata come titolo esecutivo.
4.1. Generalità e ambito di applicazione.
La norma in commento, probabilmente maturata a seguito di un ripensamento delle questioni sopra accennate, anziché impegnarsi – come pure era possibile – in uno sforzo di avvicinamento, se non di assimilazione piena, della scrittura privata autenticata all'atto pubblico, ha quindi optato per una soluzione empirica e radicale, affiancando la scrittura privata autenticata alla cambiale e agli altri titoli di credito, includendola nei titoli esecutivi di cui all'art. 474 c.p.c. n. 2.
Questo spostamento, cui è ovviamente estranea qualsiasi suggestione di tipo meramente classificatorio vista l'eterogeneità dei titoli quanto a forma contenuto efficacia, sottende in verità due scelte normative.
La prima, già accennata, è lampante e sottrae alla scrittura privata autenticata il campo degli obblighi di consegna/rilascio, riservato (v. art. 474 ultimo comma) ai soli titoli di cui ai nn. 1 e 3.
La seconda – ancora una volta solo suggerita e non espressamente prevista – consiste nell'estensione alla scrittura privata autenticata del regime esecutivo dei titoli di credito. Questa conclusione vale senz'altro per la prevista trascrizione integrale della scrittura nel corpo dell'atto di precetto (v. artt. 474 ultimo comma, secondo periodo e 480), con trasparente richiamo alle analoghe norme in materia di cambiale e assegno (artt. 63 R.D. 14 dicembre 1933 n. 1669 e 55 R.D. 21 dicembre 1933 n. 1736[43]).
Quanto all'ambito di applicazione, la nuova disciplina è formulata in termini assolutamente generali e riguarda la scrittura privata autenticata in quanto tale e non la sola species dell'atto rilasciato in originale, ancorché fosse nei presumibili auspici del legislatore soprattutto di superare inconvenienti e incertezze paventati per quest'ultimo caso.
Non paradossalmente, la previsione di un'unica disciplina esecutiva valida per la scrittura privata autenticata, se risolve in modo conveniente le questioni affacciate all'indomani della legge n. 80 e riguardanti sostanzialmente la sola scrittura rilasciata in originale, apre viceversa nuove questioni – che non avrebbero avuto ragione d'essere – per quanto concerne la species della scrittura privata conservata a raccolta.
Il che è il portato dell'incapacità del legislatore di cogliere – nella legge n. 80 come nella n. 263 – la naturale anfibologia della scrittura privata che, pur nell'identità di forme contenuti efficacia, in un'ipotesi, essendo immediatamente disponibile in originale a mani del creditore, s'avvicina fisiologicamente ai titoli di credito e nell'altra condivide il regime di conservazione e rilascio di copie tipico dell'atto pubblico.
Quindi, anche se in linea teorica nulla avrebbe impedito al legislatore di differenziare il regime formale esecutivo della scrittura privata autenticata, assimilando ai titoli di credito quella rilasciata in originale e all'atto pubblico quella conservata a raccolta – come sarebbe stato senz'altro sistematicamente più coerente – la legge n. 263 ha preferito trattare in modo uniforme le due species. Non è chiaro se tale scelta risponda a una consapevole preferenza accordata alle esigenze di semplificazione su quelle di coerenza sistematica o se, al contrario, sia il frutto di un inconsapevole scostamento dal sistema.
Le note minime che seguono sono intese a delineare la disciplina esecutiva della scrittura privata autenticata e, soprattutto, a saggiare operativamente la praticabilità del trattamento uniforme delle due species divisato dalla legge n. 263.
4.2. La spedizione in forma esecutiva non è necessaria per l'atto rilasciato in originale.
La scrittura privata autenticata rilasciata in originale è senz'altro intrinsecamente idonea ai fini dell'esecuzione, senza bisogno di alcuna formula esecutiva[44]. Tale conclusione è resa necessaria da argomenti di ordine sia logico-sistematico sia esegetico.
(a) Non sussiste alcuna disposizione che assoggetti anche la scrittura privata autenticata alla spedizione in forma esecutiva, estendendole la previsione in materia di atto pubblico, né è possibile forzare a tal fine l'art. 475 comma 1 c.p.c. poiché la scrittura privata autenticata non soltanto non è ricevuta da un notaio ma neppure è conservata in deposito da un pubblico ufficiale autorizzato a rilasciarne copie.
(b) Se la funzione minima e indefettibile della spedizione in forma esecutiva consiste nel munire il creditore del legittimo possesso del documento – condizione necessaria per richiedere agli organi dell'esecuzione il compimento di atti esecutivi[45] –, il possesso del titolo in originale è motivo sufficiente per negare la necessità della spedizione. Il che vale a dire che il creditore può chiedere il pignoramento esibendo all'ufficiale giudiziario l'originale del titolo. L'assimilazione a cambiale e assegno trova qui, oltreché una sicura base normativa, anche un fondamento razionale che non lascia adito a dubbi.
(c) La trascrizione del titolo nell'atto di precetto ex art. 480 c.p.c. è alternativa, sul piano legislativo, alla notificazione del titolo spedito in forma esecutiva ex art. 479 c.p.c.: il titolo soggetto a spedizione e notifica non deve essere ulteriormente trascritto nel precetto; il titolo trascritto nel precetto non va soggetto ad autonoma notificazione in forma esecutiva (prima della riforma, dovevano infatti trascriversi soltanto cambiale e assegno, per i quali la formula esecutiva è pacificamente non necessaria)[46].
Ciò in quanto la due formalità sono tra loro equipollenti, assolvendo all'identica funzione (questa sì essenziale) di assicurare all'intimato conoscenza dell'atto-documento in base a cui è intimato il pagamento, metterlo in grado di scegliere, a ragion veduta, se pagare od opporsi al precetto e, in definitiva, di minacciargli l'esecuzione forzata. Tale minaccia è, in un caso, simbolicamente incorporata nella formula esecutiva e, nell'altro, è implicita nello stesso atto di precetto recante "l'intimazione di adempiere … con l'avvertimento che in mancanza si procederà ad esecuzione forzata" (art. 480 comma 1 c.p.c.).
Ne segue quindi che la prevista trascrizione nel precetto della scrittura privata autenticata esclude non soltanto l'onere della notificazione ex art. 479 c.p.c. ma anche, sul piano sistematico, l'onere della spedizione.
4.3. Il dubbio trattamento della scrittura conservata a raccolta
Le conclusioni che precedono non possono estendersi con altrettanta semplicità al caso della scrittura privata conservata a raccolta: vale qui, con tutta la sua forza suggestiva, la disciplina-modello dell'atto pubblico.
A tale suggestione non si sottrae, ad es., il parere reso in data 24 gennaio 2006 dall'Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia secondo cui "nel caso in cui l’originale dell’atto debba essere conservato nella raccolta del notaio autenticante" la necessità di servirsi di una copia dell’atto "potrebbe ben legittimare la spedizione in forma esecutiva anche delle scritture private autenticate". Il parere è recepito dalla cit. circolare n. 6/03 dell'Ufficio centrale degli archivi notarili che così conclude: "per le scritture private conservate nella raccolta del pubblico ufficiale autenticante, in buona sostanza, si applica la medesima disciplina che era precedentemente prevista per gli atti pubblici, avendo il legislatore ammesso, per tali tipi di atti, il rilascio di copia esecutiva relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute"[47].
Già s'è detto (v. sopra 3.3.) che la sola lettera dell'art. 475 c.p.c. – "atti ricevuti da notaio" – non è di per sé sufficiente per escludere la possibilità di un'interpretazione estensiva/evolutiva che trova razionale fondamento nell'identico regime di conservazione e rilascio di copie (cfr. artt. 2714-2715 c.c.)[48].
Nel caso di cui si discute, il creditore non ha il legittimo possesso del documento e non può acquisirlo se non mediante il rilascio di copia autentica da parte del pubblico ufficiale depositario. Trattandosi di una copia dichiaratamente destinata ad essere utilizzata a fini di esecuzione forzata, risponde alla logica del sistema che essa sia anche spedita in forma esecutiva e contrassegnata con l'apposizione della formula esecutiva per distinguerla dalle copie rilasciate ad ogni altro scopo[49].
Tale conclusione, per quanto coerente e razionale (e oggi appoggiata anche dall'Ufficio centrale archivi notarili: considerazione non trascurabile per prevederne un'ampia diffusione a livello pratico), non è in linea di stretto diritto l'unica possibile né soprattutto quella che prima facie risulta dalla lettura dell'ultimo comma dell'art. 474 c.p.c..
Valorizzando i dati del trattamento uniforme previsto dalla legge n. 263 per le due species (4.1.) nonché l'onere del creditore di trascrivere il titolo nel precetto e il nesso sistematico che indubbiamente esiste tra art. 480 c.p.c. ed esonero dalla spedizione e notifica del titolo in forma esecutiva ex art. 479 c.p.c. (4.2.) è lecito concludere che l'apposizione della formula esecutiva è superflua ai fini dell'esistenza del titolo esecutivo processuale e del valido compimento dei c.d. atti preesecutivi.
Non è un argomento in senso contrario la ritenuta necessità del creditore di munirsi di una copia del titolo, poiché – dato per ammesso che la scrittura privata valga per l'esecuzione in quanto trascritta nel precetto e senza necessità di formule solenni che ne attestino la natura di titolo esecutivo – è in tal caso documento idoneo a chiedere all'ufficiale giudiziario il compimento degli atti esecutivi (non, ovviamente, l'originale ma) una qualsiasi copia autentica della scrittura conservata a raccolta, di efficacia probatoria pari a quella dell'originale (art. 2715 c.c.). In altri termini, venuto meno il contrassegno che rende unica la copia esecutiva, viene meno l'unica ragione per distinguerla da ogni altra copia autentica.
4.4. (Segue): il rischio teorico della circolazione di più titoli esecutivi per la stessa pretesa.
Si viene così a toccare una delle questioni più delicate aperte della riforma.
Se l'apposizione della formula esecutiva sulla scrittura conservata a raccolta non è necessaria, ciò equivale a dire che può circolare una serie aperta di titoli esecutivi identici, poiché il creditore può farsi rilasciare dal pubblico depositario un numero illimitato di copie autentiche, ciascuna delle quali di per sé idonea a essere portata ad esecuzione, con conseguente violazione – se non formale senz'altro sostanziale – del principio di (tendenziale) unicità della copia esecutiva, codificato nell'art. 476 c.p.c..
È noto che la copia esecutiva deve essere (tendenzialmente) unica poiché (tendenzialmente) unici sono il credito e l'azione esecutiva che ne derivano, sicché "chi paga a un creditore munito di titolo esecutivo ha diritto di ritirare la copia esecutiva, o quanto meno può e sole farlo, così la mancanza della copia esecutiva nelle mani del creditore fa presumere il pagamento ed è giusto che l'azione esecutiva non sia restituita al creditore" senza la verifica dei giusti motivi per il rilascio di una seconda copia[50].
Peraltro, onde evitare fraintendimenti, è opportuno chiarire che l'unicità dell'azione esecutiva non implica affatto l'impossibilità di iniziare più procedimenti esecutivi nei confronti del medesimo debitore e per il medesimo credito, poiché tale possibilità è, al contrario, pacificamente ammessa –fintantoché il credito non sia integralmente soddisfatto – dall'art. 483 c.p.c., che autorizza il creditore a valersi cumulativamente dei diversi mezzi di espropriazione previsti dalla legge, salva la riduzione del cumulo in caso di eccesso.
In altri termini, il pericolo cui sottostà il debitore e contro cui merita cautela, in caso di circolazione di più titoli esecutivi identici, non consiste nel rischio di essere sottoposto a una pluralità di procedure esecutive – mobiliari, presso terzi o immobiliari – ma in quello di essere assoggettato comunque a esecuzione nonostante abbia già saldato il creditore e ritirato dalle sue mani il titolo esecutivo.
Il medesimo ordine di problemi si pone nel caso in cui il credito sia fatto valere esecutivamente sia dal creditore originario (o dai suoi eredi) sia dal cessionario del credito oppure da più aventi causa in conflitto tra loro, ciascuno dei quali munito di una diversa copia della scrittura.
In ciascuna di queste ipotesi è ovviamente escluso che il creditore o i suoi aventi causa abbiano diritto a riceversi più volte la stessa prestazione, poiché l'unicità dell'atto e quindi del credito è attestata dall'unicità del numero di repertorio.
Restano tuttavia per il debitore inconvenienti e pregiudizi di ordine pratico, come l'assoggettamento medio tempore dei beni al vincolo del pignoramento e l'onere di fare opposizione all'esecuzione col patrocinio di avvocato[51].
È onesto dire che tali inconvenienti – legati all'assenza della formula esecutiva – si verificano anche per la scrittura privata rilasciata in originale e formata, come di regola avviene, in più esemplari (ad es. uno per ciascuna delle parti, uno ai fini della registrazione etc.): ciascun esemplare, non essendo derivato da altro documento, ha valore di originale e può quindi essere certamente messo in esecuzione dal creditore che ne abbia il possesso.
Il rischio che circolino più titoli identici è quindi senz'altro immanente. Potrebbe allora forse concludersi che – vista la rottura del sistema, sicura nel caso di scrittura rilasciata in originale – non v'è ragione di fare un diverso trattamento per il caso della scrittura conservata a raccolta e che, in altri termini, anch'essa vale ai fini dell'esecuzione semplicemente in quanto trascritta nel precetto e senza necessità di formula esecutiva.
Contro tale conclusione valgono due considerazioni, di ordine pratico e non logico. Se la scrittura è rilasciata in originale, il rischio testé paventato può presumersi in qualche modo accettato dal debitore, visto che la scrittura è stata formata in più esemplari, ed è anche quantitativamente circoscritto al numero di originali confezionati e lasciati a mani del creditore. Viceversa, se la scrittura viene conservata a raccolta e rilasciata più volte in copia autentica, il rischio è numericamente illimitato e dipende solo e soltanto dall'incapacità della legge n. 263 di afferrare la sostanza degli interessi in gioco e considerare gli effetti remoti delle proprie scelte normative.
4.5. (Segue): conclusioni.
Il dubbio interpretativo circa il regime esecutivo della scrittura conservata a raccolta resta quindi estremamente aperto. Sul piano tecnico giuridico, l'interprete non può lamentare l'assoluta carenza di una disciplina purchessia, poiché la previsione legislativa (trascrizione della scrittura nel precetto) è formulata in termini generali e può teoricamente applicarsi anche alla scrittura conservata a raccolta: il che è almeno un piccolo passo avanti rispetto allo stato di incertezza assoluta creato dalla legge n. 80.
Gli argomenti interpretativi di tipo sistematico – che farebbero preferire per le scritture conservate a raccolta la persistente necessità della spedizione in forma esecutiva – hanno a mio modo di vedere scarso peso di fronte a un legislatore capace di mettere assieme scrittura privata (in particolare: conservata a raccolta) e titoli di credito, che nulla o quasi hanno da spartire. A maggior ragione l'argomento sistematico prova troppo se si considera che le leggi di riforma del 2005 hanno bensì ampiamente riformato il libro terzo del codice di rito, ma con interventi pur sempre "locali" e privi di un'armonica visione d'insieme.
L'argomento più consistente che la tesi conservatrice e sistematica – per intenderci: quella che sostiene la necessità della formula esecutiva – può addurre a suo favore è l'argomento c.d. consequenzialista, il quale assume le implicazioni pratiche immediate di una decisione come criterio di scelta razionale tra più interpretazioni possibili[52]. In quest'ottica non è seriamente discutibile che la circolazione di un numero illimitato di copie autentiche della stessa scrittura privata autenticata – tutte con valore di titolo esecutivo – rappresenta una clamorosa breccia nel sistema, i cui effetti non possono dirsi ancora calcolabili e dipendono soprattutto dalla capacità dell'ordinamento di apprestare al debitore adeguati strumenti di tutela giudiziale.
La disarmonia tra vecchie e nuove norme potrebbe quindi essere il possibile sintomo di un'evoluzione – allo stato ancora incompiuta, senz'altro repentina e forse inconsapevole – verso nuovi equilibri di sistema che, semplificando le formalità e i controlli preventivi d'ufficio (spedizione in forma esecutiva; rifiuto di rilascio della seconda copia salvo autorizzazione del presidente del tribunale in presenza di giusti motivi), affidano piuttosto la tutela del debitore a strumenti giudiziali di reazione avverso l'esecuzione forzata ingiusta, oggi assai più rapidi ed efficaci che in passato (si pensi ad es. al potere dell'intimato di chiedere la sospensione dell'esecutività del titolo al giudice dell'opposizione a precetto e l'estinzione del pignoramento nel caso in cui il processo esecutivo sia stato sospeso con ordinanza definitiva, nonché alla non impugnabilità delle sentenze che decidono le opposizioni esecutive).
4.6. Indicazioni operative per il notaio depositario.
Ai due corni dell'alternativa (sufficienza della copia autentica trascritta/necessità della copia spedita in forma esecutiva) corrispondono due diverse serie di implicazioni pratiche per il notaio depositario di una scrittura privata autenticata conservata a raccolta (resta fermo che il notaio è estraneo alla fase esecutiva per quanto riguarda gli atti rilasciati in originale: v. sopra 4.2.).
È anzi verosimile che entrambe le evenienze – richiesta della sola copia autentica, sia pure dichiaratamente al fine di procedere a esecuzione forzata; richiesta della copia esecutiva – abbiano a presentarsi, almeno finché non si sia formato un solido orientamento interpretativo, dottrinale e giurisprudenziale, in un senso o nell'altro.
Sul rilascio della copia autentica, nulla quaestio: i controlli previsti dall'art. 476 c.p.c. non sono ovviamente necessari, né è possibile che il notaio incorra in sanzione per violazione dell'art. 476 c.p.c.. Quanto al rilascio della copia esecutiva è senz'altro da condividersi – perlomeno in un'ottica prudenziale – l'indicazione dell'Ufficio centrale degli archivi notarili di attenersi alle prescrizioni previste per l'atto pubblico. Ne segue quindi, tra l'altro, la necessità di svolgere i controlli preliminari previsti dall'art. 476 c.p.c. e di annotare sull'originale l'avvenuto rilascio della copia munita di formula.
4.7. Ulteriori profili applicativi: il controllo sull'idoneità dell'atto a valere quale titolo esecutivo.
La spedizione in forma esecutiva – ove prevista – assolve alla funzione, soltanto cautelativa e probabilmente non indispensabile né sufficiente allo scopo[53], di controllare, nell'interesse del debitore, che il documento rilasciato ad uso di esecuzione sia formalmente perfetto, cioè astrattamente idoneo a valere quale titolo esecutivo[54], esonerando l'organo dell'esecuzione inferiore (ufficiale giudiziario) da tali verifiche, che per comune opinione esorbitano dalla sua competenza[55].
Venuta meno la necessità della spedizione per le scritture private autenticate (sicuramente per quelle rilasciate in originale; con i dubbi sopra affacciati per quelle a raccolta), questo controllo preventivo non può che spettare, in via residuale, proprio all'ufficiale giudiziario richiesto del pignoramento.
Sennonché tale soluzione, se è appagante per quanto concerne cambiale e assegno – che hanno forma e contenuto tipici e immediatamente riconoscibili, sicché la verifica della loro idoneità a valere come titolo esecutivo non esige accertamenti di particolare difficoltà[56] – si rivela insoddisfacente per la scrittura privata autenticata, la quale può contenere, esattamente come l'atto pubblico, pattuizioni più o meno complesse e articolate, la cui valutazione è senz'altro estranea alle competenze dell'ufficiale giudiziario.
Sul punto non resta, in ogni caso, che prendere atto della scelta legislativa.
4.8. (Segue): notificazione del titolo esecutivo contestualmente al precetto mediante trascrizione integrale nel corpo dell'atto.
Come s'è anticipato (4.1. e 4.2.), la norma in commento onera il creditore procedente di trascrivere integralmente la scrittura privata autenticata nel corpo dell'atto di precetto, quale equipollente della notificazione del titolo spedito in forma esecutiva[57].
Spetta ovviamente all'ufficiale giudiziario, come già prevede l'art. 480 comma 2 c.p.c., il controllo e la certificazione di conformità tra il titolo esibitogli dal creditore, in originale o in copia autentica, e la sua trascrizione integrale.
Poiché il nuovo art. 474 c.p.c. prevede la trascrizione integrale del titolo, non sembra potersi applicare alla scrittura privata autenticata la giurisprudenza, tutta relativa a precetti cambiari, che da un lato ritiene sufficiente la trascrizione dei soli elementi essenziali dell'obbligazione cambiaria di cui è intimato il pagamento[58] – con la conseguenza che, in difetto di trascrizione, il precetto è nullo per la parte che riguarda l'obbligazione non trascritta[59] – dall'altro esonera l'ufficiale giudiziario dalla certificazione di conformità della trascrizione al titolo, che si assume richiesta nel solo caso in cui la legge preveda la trascrizione integrale[60].
In ogni caso, ai fini pratici, può senz'altro valere quale equipollente della trascrizione del titolo la materiale unione all'atto di precetto propriamente detto di una fotocopia – certificata conforme dall'ufficiale giudiziario – della scrittura privata autenticata (prassi questa comunemente seguita anche in materia di precetti su cambiali o assegni).
Qualora il precetto non possa notificarsi contestualmente al titolo (v. art. 477 c.p.c.: notificazione agli eredi del debitore) dovrebbe valere la conclusione, già affermatasi in giurisprudenza[61] con riguardo alla cambiale: il creditore potrà quindi notificare agli eredi copia conforme del titolo e, trascorsi i dieci giorni previsti dall'art. 477 c.p.c., intimare il precetto richiamando gli estremi della prima notifica.
È infine appena da ricordare che le irregolarità attinenti alla trascrizione del titolo nell'atto di precetto danno luogo a una nullità formale soggetta a opposizione agli atti esecutivi nel termine perentorio di venti giorni dalla notificazione del precetto (art. 617 comma 1 c.p.c.).
5. Esecuzione degli obblighi di consegna e rilascio
5.1. Oggetto della consegna o rilascio: requisiti del titolo
L'ambito applicativo dell'esecuzione per consegna o rilascio riguarda soltanto "cose determinate, mobili o immobili" (art. 2930 c.c.).
A tal fine, sussiste il requisito della "certezza del diritto", previsto dall'art. 474 c.p.c. come condizione di eseguibilità dell'obbligo, a condizione che il bene sia obiettivamente individuabile in base agli elementi risultanti dal titolo, ancorché esso non individui esattamente la cosa da consegnare[62].
È quindi da ammettersi l'esecuzione di un'obbligazione di consegna di una massa di cose determinata, come un'universalità di mobili o un'azienda, ancorché i singoli beni che ne fanno parte non siano specificamente individuati.
Difetta al contrario il requisito della certezza – e quindi resta esclusa la possibilità di agire in executivis – nel caso in cui le cose siano individuate soltanto per la loro appartenenza a un genus (tra cui il denaro).
5.2. Obbligazioni eseguibili
Benché l'obbligo di consegna/rilascio possa avere a fondamento un diritto reale, in linea di massima il titolo esecutivo notarile dà luogo all'esecuzione di obbligazioni in senso stretto, sia pure eventualmente accessorie a situazioni giuridiche reali o a diritti personali di godimento. Ad es. per ottenere la consegna della cosa compravenduta, il compratore non ha necessità alcuna di far valere la proprietà trasmessagli, poiché l'obbligazione personale di consegna è uno degli effetti naturali della compravendita (art. 1476 n. 1 c.c.).
Sono indifferentemente eseguibili sia le obbligazioni di consegna/rilascio che danno attuazione al regolamento di interessi contrattuale (ad es.: la consegna al compratore del bene compravenduto o al conduttore dell'appartamento locato), sia le obbligazioni restitutorie o di riconsegna post finitum contractum, previste per il tempo in cui il rapporto, in genere ma non necessariamente di durata, abbia esaurito i propri effetti.
Senza pretesa di completezza, le obbligazioni restitutorie possono derivare: (a) dall'invalidità (nullità o annullamento) del contratto, dalla risoluzione per inadempimento del vincolo contrattuale etc., vicende tutte che rendono indebita la prestazione già eseguita e danno diritto al tradens di ripeterla; (b) dalla risoluzione per inadempimento di un contratto attributivo di un diritto personale di godimento, vicenda in cui, ferma l'efficacia del contratto per il passato (art. 1458 c.c.), il concedente ha diritto alla restituzione anticipata della cosa; (c) dalla fisiologica scadenza del previsto termine di durata del contratto, dipenda essa dal semplice decorso del tempo (ad es. locazione, affitto d'azienda, comodato a termine) o dall'esercizio ad libitum di un diritto potestativo della parte avente diritto alla restituzione (ad es. comodato senza determinazione di durata: art. 1810 c.c.; deposito); (d) dall'estinzione di un diritto reale di godimento su cosa altrui, legato alla scadenza di un termine certus o incertus quando (ad es. l'estinzione dell'usufrutto: art. 1001 c.c.).
Il punto merita particolare attenzione poiché non è sufficiente ai fini dell'eseguibilità forzata che l'obbligazione di consegna/rilascio sia prevista da una disposizione di legge – ancorché pianamente applicabile al rapporto come fonte integrativa del regolamento contrattuale ex art. 1374 c.c. – ma è necessario che sia "contenuta" nello stesso titolo negoziale (come s'esprime l'art. 474 c.p.c. con riguardo alle obbligazioni pecuniarie), cioè risulti in modo non equivoco dal tenore dell'atto.
Ad es. la divisione amichevole o giudiziale dà diritto a ciascun condividente ad ottenere, da parte degli altri, il rilascio della porzione di beni a lui assegnata. Nondimeno, la sentenza che "si limiti a dichiarare lo scioglimento della comunione ereditaria, consacrando l'immediata successione del coerede nella sola titolarità del diritto di proprietà, senza nulla disporre in ordine al rilascio dei beni" non vale come titolo esecutivo ai fini del rilascio[63].
In altri termini, non è sufficiente che il contratto, eventualmente integrato dalle norme di legge, inderogabili o dispositive, ponga la premessa logica e giuridica dell'obbligo di rilascio ma è necessario che tale premessa sia sviluppata e portata alle sue conseguenze nel titolo stesso con l'esplicita previsione del rilascio.
La questione, specialmente nell'ottica della tecnica redazionale notarile, è allora in quale misura possa intendersi non equivoca la previsione contrattuale dell'obbligo di consegna/rilascio per dare fondamento alla sua eseguibilità.
Scontata e senza problemi l'ipotesi in cui l'obbligo di consegna/rilascio sia espressamente previsto e regolato quanto a tempi, modalità etc., dà invece luogo a maggiori perplessità il caso in cui il titolo si limiti a prevedere un termine finale di durata del diritto o del rapporto contrattuale o addirittura non preveda alcun termine (come nel caso dell'art. 1810 cit.), senza ricollegare espressamente alla scadenza o alla richiesta della parte avente diritto l'obbligo di restituire[64].
Sembra infine fuori discussione che il contratto non dà, in generale, tutela esecutiva agli obblighi restitutori lato sensu riconducibili alla categoria della ripetizione di indebito (a), che trovano la propria fonte esclusivamente nella legge, non sono quindi oggetto di alcuna pattuizione negoziale e talora (risoluzione giudiziale; rescissione) esigono il previo esperimento di un'azione giudiziale costitutiva per divenire attuali.
L'unico dubbio riguardo a tale ultima categoria di obbligazioni restitutorie concerne i casi di risoluzione stragiudiziale prevista e regolata nel titolo (com'è il caso della clausola risolutiva espressa) per il caso di inadempimento di una o più obbligazioni da parte di colui che ha ricevuto la cosa e che, per effetto della risoluzione, è tenuto a restituirla[65].
5.3. Obbligazioni restitutorie nel contratto di locazione
Il terreno più delicato toccato dalla riforma riguarda la materia della locazione, per la quale il sistema vigente prevede, nel procedimento finalizzato alla formazione del titolo esecutivo giudiziale per il rilascio (artt. 657 ss. c.p.c.), norme di protezione del conduttore che potrebbero riuscire vanificate, con grave detrimento di quest'ultimo, nel caso in cui il locatore agisca per il rilascio dell'immobile in base al titolo esecutivo stragiudiziale, dopo la scadenza del termine della locazione o in caso di morosità del conduttore[66].
In particolare ci si riferisce: (a) alla facoltà del conduttore di un immobile ad uso abitativo, inadempiente al pagamento di canoni e oneri accessori, di sanare la morosità alla prima udienza del procedimento di convalida di sfratto o nel c.d. termine di grazia assegnatogli dal giudice in prima udienza, in entrambi i casi con l'effetto di impedire la risoluzione del rapporto (art. 55 legge 27 luglio 1978 n. 392); (b) alla fissazione nell'ordinanza di convalida della data di esecuzione del rilascio dell'immobile con termine fino a sei mesi (dodici in casi eccezionali), secondo le condizioni delle parti e i motivi che hanno dato luogo alla convalida (art. 56 legge n. 392).
L'impatto della riforma, altrimenti potenzialmente dirompente, è stato sensibilmente ridimensionato dalla limitazione dell'efficacia esecutiva della scrittura privata autenticata alle sole obbligazioni pecuniarie. Probabilmente il legislatore ha ritenuto che, se era possibile che la prospettiva di munirsi di un titolo esecutivo stragiudiziale inducesse i locatori a stipulare i contratti per scrittura privata autenticata, era di gran lunga meno probabile – visti i maggiori costi e tempi necessari – che essi iniziassero a ricorrere alla forma dell'atto pubblico. In quest'ultimo caso – oggi peraltro rarissimo – il possibile pregiudizio alle garanzie del conduttore persiste: conviene quindi saggiare se e in quale misura tale pericolo sussista.
Pur nella consapevolezza che la materia trattata esigerebbe ben altro approfondimento, è senz'altro da escludere la possibilità di agire per il rilascio in base al titolo negoziale nel caso in cui si faccia valere un motivo di diniego di rinnovo della locazione alla prima scadenza (art. 29 legge 27 luglio 1978 n. 392 per le locazioni ad uso non abitativo e art. 3 legge 9 dicembre 1998 n. 431 per le locazioni abitative stipulate ai sensi dell'art. 2 commi 1 e 3 della stessa legge): il diritto al rilascio è subordinato all'esistenza del giusto motivo, che non risulta dal titolo e deve in ogni caso essere verificato dall'autorità giudiziaria con il procedimento previsto dagli artt. 30-31 della legge n. 392; l'obbligazione di rilascio è quindi carente del requisito della certezza.
Quanto all'azione di rilascio alla seconda scadenza del contratto, deve osservarsi che la tempestiva disdetta costituisce fatto costitutivo del diritto al rilascio, che spetta al locatore provare[67]: il contratto non può quindi valere – salvo il caso che l'atto stesso escluda espressamente la tacita rinnovazione – neppure in quest'ipotesi come titolo per il rilascio successivo alla scadenza perché il fatto costitutivo (disdetta) non risulta dal titolo, né le risultanze del titolo possono essere integrate da documenti diversi, privi dell'attributo formale di titolo esecutivo[68].
Egualmente deve dirsi nel caso di morosità del conduttore poiché, per comune opinione, l'intimazione di sfratto per morosità implica la domanda di risoluzione giudiziale per inadempimento[69] e cioè un'azione costitutiva, necessaria affinché, scioltosi il vincolo contrattuale, l'obbligo di rilascio diventi attuale (v. sopra).
Anche se non può sottacersi la possibilità che il locatore si riservi nel contratto, mediante clausola risolutiva espressa, la possibilità di risolvere stragiudizialmente il contratto e di agire per la riconsegna, non pare che tale clausola possa avere miglior sorte.
Benché in quest'ipotesi sussistano verosimilmente i requisiti della certezza e dell'esigibilità della prestazione documentata nel titolo[70] – è sufficiente la decorrenza del termine previsto per il pagamento del canone e dell'ulteriore termine previsto dall'art. 5 legge 27 luglio 1978 n. 392 (20 giorni dalla scadenza del canone) che qualifica l'inadempimento del conduttore "grave" e perciò giusto motivo di risoluzione; il precetto stesso può contenere la dichiarazione del creditore di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa – sembrano ostare a tali conclusioni le finalità di protezione sottese alla disciplina delle locazioni di immobili urbani, in particolare ad uso abitativo e per finalità non transitorie[71].
Al riguardo potrebbe ricordarsi che la giurisprudenza ha più volte ritenuto che "la sanatoria della morosità prevista dall'art. 55 della legge n. 392 del 1978 … è ammessa anche se le parti abbiano pattuito la clausola risolutiva espressa, contenendo tale norma disposizioni di ordine pubblico che non possono essere derogate dalle private pattuizioni"[72] e che pertanto "l'efficacia della clausola risolutiva espressa, che sia stata pattuita, rimane sospesa – ancorché il locatore abbia dichiarato di volersene avvalere – fino alla prima udienza del giudizio instaurato dallo stesso locatore per la risoluzione della locazione (o alla scadenza del termine di grazia ex art. 55 della legge n. 392 del 1978, eventualmente concesso dal giudice) con la conseguenza della definitiva inefficacia di detta clausola ove il conduttore in tale udienza sani la morosità"[73].
In altri termini la clausola non è di per sé nulla per violazione dell'art. 79 della legge, ma resta inefficace e non determina l'automatica risoluzione del contratto fintantoché al conduttore non sia stato concesso di sanare la morosità nel giudizio di convalida. Appare quindi arduo far valere il titolo esecutivo negoziale contenente la clausola risolutiva espressa ai fini del rilascio, visto che all'inefficacia della clausola risolutiva dovrebbe far logicamente seguito l'inesigibilità della pretesa tramite azione esecutiva basata sul titolo stragiudiziale.
In definitiva – salva l'opportunità di attentamente verificare le indicazioni che precedono con riguardo alle diverse tipologie di locazioni vigenti e ai necessari requisiti di certezza ed esigibilità della prestazione di rilascio – è plausibile che il titolo negoziale non consenta al locatore di agire per la restituzione, se non in ipotesi ben determinate, come il caso del rilascio alla seconda scadenza e, anche qui, probabilmente soltanto in presenza di una clausola che esclude la tacita rinnovazione. Anche circoscritta l'efficacia esecutiva a questa sola ipotesi, resta pur sempre da valutare come e in quale sede assicurare al conduttore il diritto al termine di rilascio ex art. 56 legge n. 392[74].
Ciò detto in linea teorica, è da aggiungere che in ogni caso non spetta al notaio che ha ricevuto un contratto di locazione per atto pubblico valutarne l'idoneità a dare luogo a un'esecuzione per consegna o rilascio: (a) la locazione conclusa per atto pubblico è sicuramente titolo esecutivo per il pagamento dei canoni ed è quindi senz'altro legittima la sua spedizione in forma esecutiva; (b) formula esecutiva e formalità di spedizione sono uniche e indipendenti dal tipo di esecuzione consentita, sicché è da escludere la necessità per il notaio di delibare la possibilità di far valere la locazione anche ai fini del rilascio forzoso del bene; (c) l'uso successivo che del titolo faccia il legittimo possessore – a fini di un'espropriazione ovvero di un'esecuzione per rilascio – è estraneo ai controlli preventivi che il notaio è tenuto a svolgere.
In altri termini, le questioni teoriche sopra accennate interesseranno, piuttosto che il notaio, soprattutto il procedente e l'esecutato e, "a cascata", l'ufficio esecutivo e il giudice dell'eventuale opposizione.
6. Diritto transitorio
6.1. La questione.
L'attribuzione alla scrittura privata autenticata del valore di titolo ai fini dell'espropriazione e l'estensione dell'efficacia esecutiva dell'atto pubblico agli obblighi di consegna/rilascio pongono alcune questioni di diritto intertemporale, che la legge non ha risolto con un'espressa disciplina transitoria.
Il nodo da sciogliere è questo: se sia possibile iniziare un'espropriazione in base a una scrittura privata autenticata, ovvero un'esecuzione per consegna/rilascio in forza di atto pubblico formati in data anteriore all'entrata in vigore della riforma (1 marzo 2006)[75].
6.2. Inesistenza di una disciplina transitoria
L'art. 1 comma 6 della legge 28 dicembre 2005 n. 263, nel testo modificato dall'art. 1 del D.L. 30 dicembre 2005 n. 271 convertito in legge 23 febbraio 2006 n. 51, prevede, in estrema sintesi, che le disposizioni di cui all'art. 474 c.p.c. "entrano in vigore l'1 marzo 2006".
La soluzione si distacca da quella prevista[76] per le altre modifiche al processo esecutivo, dichiaratamente di immediata applicazione anche alle procedure esecutive pendenti alla data di entrata in vigore della legge, con le due sole eccezioni rappresentate, da un lato dall'applicazione ultrattiva delle vecchia disciplina sulla vendita, quando essa è già stata ordinata, dall'altro dalla conservazione di efficacia all'atto di intervento senza titolo già depositato alla data dell'1 marzo 2006 [77].
Diversamente dalle altre modifiche al processo esecutivo, per le quali esiste una disciplina transitoria, quanto al titolo esecutivo la legge s'è quindi limitata a indicare la data di entrata in vigore della riforma, lasciando all'interprete di individuare l'efficacia nel tempo della nuova normativa e, in sintesi, la sua applicabilità o meno anche agli atti formati prima dell'1 marzo 2006.
Il criterio dell'immediata applicazione ai processi esecutivi pendenti, valido per la generalità delle altre modifiche, è peraltro irrilevante nella materia che ci occupa: infatti il titolo esecutivo, poiché è presupposto processuale dell'esecuzione forzata, deve necessariamente preesistere all'inizio dell'esecuzione. Ne segue che l'esecuzione illegittimamente iniziata prima dell'1 marzo 2006 in forza di un atto (scrittura privata autenticata) sprovvisto ab origine della qualità di titolo esecutivo non potrebbe riuscire a posteriori sanata neppure se si ammettesse l'immediata applicabilità dell'art. 474 c.p.c.[78].
6.3. Art. 11 preleggi
La mancanza di una disposizione transitoria non è motivo sufficiente per ritenere ipso facto dimostrata l'inapplicabilità della riforma agli atti formati in data anteriore all'entrata in vigore.
La legge è bensì di regola irretroattiva (art. 11 preleggi), ma la questione è per l'appunto stabilire se la norma che attribuisce valore di titolo esecutivo a un determinato atto-documento debba applicarsi nel tempo, avuto riguardo: (a) alla data in cui l'atto è stato formato; (b) alla data in cui l'esecuzione in base a tale atto viene minacciata (con la notificazione del precetto) o iniziata (col pignoramento).
Le conclusioni nelle due ipotesi sono evidentemente diverse: nella prima (a), la mancanza di una disciplina derogatoria all'art. 11 preleggi implica la sicura inapplicabilità del nuovo art. 474 c.p.c. alla scrittura privata autenticata in data anteriore all'1 marzo 2006; nella seconda (b), la qualità di titolo esecutivo dovrebbe essere verificata in un momento bensì cronologicamente (o anche solo logicamente) anteriore all'inizio dell'esecuzione, ma senz'altro successivo alla formazione dell'atto, sicché l'art. 11 preleggi non osterebbe all'eseguibilità forzata della scrittura privata anteriore all'1 marzo 2006.
Per sciogliere l'alternativa, conviene quindi rivolgere l'attenzione prima ai principi che regolano la successione nel tempo delle leggi processuali e poi al fondamento dei titoli esecutivi stragiudiziali.
6.4. Successione di leggi processuali nel tempo
Benché la materia del diritto intertemporale sia tra le più complesse, con poche certezze e molte zone d'ombra in cui la risoluzione delle singole questioni è diversa secondo le diverse premesse teoriche di partenza[79], alcuni punti possono ritenersi sostanzialmente acquisiti.
Configurano applicazione retroattiva della legge sopravvenuta e quindi non possono ammettersi se non esista una disposizione che deroga all'art. 11 preleggi: (a) la diversa disciplina del fatto generatore, intesa come ampliamento o restrizione degli elementi fattuali giuridicamente rilevanti o modifica delle condizioni di validità dell'atto[80]; (b) il disconoscimento degli effetti del fatto pregresso già verificatisi; (c) l'attribuzione o privazione di efficacia a conseguenze attuali o future, in base alla sola qualificazione o riqualificazione del fatto pregresso[81].
L'ipotesi (c) è la più delicata poiché, entro una certa misura, il principio tempus regit actum tollera l'applicazione immediata alle situazioni già venute ad esistenza sotto la vecchia disciplina e non ancora esaurite alla data di entrata in vigore della legge nuova (facta pendentia), sottraendo l'applicazione immediata (talora definita "retroattività apparente") alla portata dell'art. 11 preleggi.
V. ad es. Cass. 28 aprile 1998 n. 4327: "Secondo la teoria del fatto compiuto, la legge nuova può essere applicata ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti a un fatto passato, quando essi devono essere presi in considerazione per sé stessi, prescindendo del tutto dal fatto generatore, in modo che di quest'ultimo non ne resti modificata la disciplina"[82].
Le due regole di giudizio sono evidentemente complementari: la linea discriminante tra retroattività vera e propria e applicazione immediata (retroattività apparente) consiste nell'esistenza o meno di un apprezzabile nesso causale tra il fatto passato e gli effetti attuali o futuri. Il criterio è sufficientemente ambiguo da aprire larghi spazi alla discrezionalità dell'interprete e, d'altra parte, la stessa individuazione delle situazioni cui il principio può applicarsi è materia controversa.
A titolo orientativo e in via di larga massima, esiste spazio per l'applicazione immediata della nuova legge ai facta pendentia nei casi in cui la legge sopravvenuta, senza disconoscere l'acquisto della situazione (diritto, rapporto) verificatosi nel vigore della legge anteriore né i singoli effetti già verificatisi in conseguenza dell'acquisto, detta una regolamentazione diversa del modo d'essere, del contenuto e delle tutele giuridiche apprestate, con esclusivo riguardo ad atti e fatti futuri.
Rientrano quindi nel campo dell'applicazione immediata della legge sopravvenuta le discipline delle situazioni sostanziali espressive di "interessi durevoli nel tempo", quali status e diritti della personalità, proprietà, forse anche i diritti personali di godimento e i rapporti – anche contrattuali – di durata[83].
Dato comune a queste ipotesi è che il fatto generatore o non esiste perché coincide con la nascita stessa del soggetto (diritti della personalità, taluni status) o, in tutto o in parte, non ha l'effetto di determinare il contenuto della situazione protetta (il contenuto della proprietà è indifferente allo specifico modo di acquisto; la disciplina dei doveri personali tra coniugi e della stabilità del matrimonio è interamente regolata dalla legge) o, infine, consiste in un fatto durevole nel tempo che condiziona stabilmente l'esistenza e il modo d'essere della situazione protetta (stato di bisogno nell'obbligo alimentare)[84].
Il che dà adeguato conto della possibilità di modificare per il futuro il regime giuridico di queste situazioni protette senza innovare retroattivamente la disciplina del fatto generatore.
Viceversa, il campo di rigorosa applicazione del principio di irretroattività (tempus regit actum et effectum) tende a restringersi alla materia degli atti di autonomia privata[85], in generale alle situazioni non soltanto costituite ma anche regolate nel contenuto dalla volontà delle parti, in particolare agli atti di scambio di beni o di assunzione di obbligazioni da estinguersi uno actu, in quanto espressivi di interessi c.d. "istantanei" e, come si dirà infra, agli atti processuali.
Anche in materia processuale – come comunemente s'afferma – vige il principio di immediata applicazione della legge sopravvenuta, il che peraltro non implica deroga all'art. 11 preleggi né configura un'applicazione retroattiva della legge[86].
Ciò in quanto la legge nuova s'applica bensì immediatamente – se non esiste una disciplina transitoria – ma soltanto agli atti processuali successivi alla sua entrata in vigore e non retroagisce, invece, "sugli atti anteriormente compiuti, i cui effetti restano regolati, secondo il fondamentale principio tempus regit actum dalla norma sotto il cui imperio siano stati posti in essere"[87].
In altri termini, vale come actum non l'atto introduttivo che determina la pendenza della lite, né l'atto conclusivo o comunque a contenuto decisorio del giudice, ma il singolo atto processuale individualmente considerato, sia esso atto di parte o dell'organo giudicante[88].
Ciò significa che, in mancanza di una disciplina transitoria: (a) se un processo si svolge sotto la vigenza di leggi diverse, ciascuna di esse deve trovare applicazione per gli atti compiuti nella ratio temporis sua propria; (b) la norma abrogata continua senz'altro ad avere applicazione per quanto concerne sia le condizioni di esistenza e validità sia la efficacia degli atti processuali anteriori, nel duplice senso che non può disconoscersi la validità ed efficacia di un atto anteriore compiuto in conformità alla legge vigente al tempo dell'atto, né può a posteriori ricollegarsi all'atto anteriore un'efficacia maggiore di quella che gli spettava secondo la legge vigente al tempo in cui è stato compiuto[89].
Un limite ulteriore all'applicazione immediata della legge sopravvenuta – limite immanente al processo come sequenza ordinata di atti – consiste poi nella necessità di salvaguardare l'unità e complessiva razionalità del processo senza pregiudicare posizioni e garanzie processuali già acquisite nel vigore della norma abrogata, né frustrare l'affidamento delle parti.
Il che si traduce nella necessità di fare applicazione ultrattiva della norma abrogata anche ad atti processuali ancora non compiuti, quante volte l'applicazione immediata della nuova legge avrebbe per effetto di comprimere la tutela di una delle parti, inibendole l'esercizio di poteri (domande, allegazioni, deduzioni istruttorie etc.) che le sarebbero spettate secondo la legge anteriore, senza limitarsi a modificare la "mera tecnica del processo" o "le modalità di svolgimento della lite"[90].
6.5. Funzione e fondamento assiologico del titolo esecutivo (in particolare negoziale).
Chiarito quindi che in materia processuale vale il principio di irretroattività nella sua accezione più rigorosa (tempus regit actum et effectum) e che resta correlativamente ristretto l'ambito applicativo della c.d. retroattività apparente, la scelta del diritto applicabile esige – come s'è preannunciato – l'individuazione del singolo actum che funge da momento spartiacque tra la vecchia e nuova disciplina o, se si preferisce, al quale deve imputarsi efficacia esecutiva.
È conclusione ormai sostanzialmente pacifica che non sussiste alcun dato sostanziale qualificante che accomuni le diverse specie di titolo esecutivo esistenti sotto un unico concetto (v. sopra sub 2) e che i tratti comuni a tutte le specie di titoli esecutivi, siano essi giudiziali o stragiudiziali, si rinvengono quindi sotto il profilo formale e funzionale.
Sul piano formale, il titolo esecutivo è, al tempo stesso, atto giuridico – l'accertamento compiuto dal giudice nella sentenza o in altro provvedimento; la dichiarazione cambiaria o la convenzione negoziale consacrata nell'atto pubblico etc. – con un determinato contenuto, attributivo o ricognitivo di un diritto soggettivo, e documento rappresentativo (anche definito titolo esecutivo processuale) – prodotto dell'attività giuridica del giudice, dell'obbligato cambiario, del notaio etc., eventualmente spedito in forma esecutiva – del diritto soggettivo di cui si pretende la realizzazione mediante esecuzione forzata[91].
Sul piano funzionale, il titolo esecutivo è requisito necessario (presupposto processuale) e autosufficiente dell'esecuzione forzata. In quanto autosufficiente, il titolo semplifica e limita all'esame del solo documento la cognizione degli organi esecutivi (ufficiale giudiziario; giudice dell'esecuzione e suoi delegati), espungendo quindi dal processo esecutivo la cognizione diretta del rapporto sostanziale di cui si domanda il soddisfacimento.
Ne segue che l'organo esecutivo è tenuto in base al solo titolo al compimento degli atti esecutivi richiesti ancorché il diritto soggettivo rappresentato nel documento non esista, per carenza dei fatti costitutivi o per la sopravvenienza di un fatto modificativo o estintivo: qualità che si esprime negli attributi dell'autonomia e dell'astrattezza dell'azione esecutiva rispetto al rapporto sostanziale.
La ricostruzione formale funzionale del titolo esecutivo non dà ancora conto del fondamento assiologico del titolo stragiudiziale, cioè della ragion sufficiente per assoggettare all'esecuzione forzata colui che dal titolo risulta debitore in difetto di un previo accertamento giudiziale del diritto.
È osservazione comune in dottrina[92] che "il fondamento della efficacia esecutiva [del titolo stragiudiziale] differisce in radice da quello dei provvedimenti giudiziali di cui al n. 1, perché non c'è un provvedimento di autorità che legittimi l'esecuzione, ma soltanto una specie di sottoposizione preventiva e volontaria del debitore [corsivo nel testo] agli atti esecutivi, con la quale si dispensa il creditore dal percorrere un più lungo iter. In questo senso possiamo usare anche oggi la espressione tradizionale di "esecuzione parata" e di assoggettamento del debitore alla esecuzione parata … la sottoposizione volontaria del debitore non ha bisogno oggigiorno di essere espressa con una formula ad hoc, ma risulta per implicito dalla adozione di certe determinate forme solenni nel compimento del negozio o dell'atto col quale si costituisce la obbligazione o se ne riconosce la esistenza. Chi adotta quelle forme sa o deve sapere a priori quale arma fornisca al suo creditore".
Seppure, in verità, il formalismo negoziale previsto della legge sia ragione sufficiente di esistenza del titolo esecutivo, assorbendo e rendendo irrilevante l'eventuale intenzione delle parti, conforme o difforme che sia (come ammettono in definitiva gli stessi autori sopra cit.), il nucleo centrale della dottrina dell'esecuzione parata, id est predisposta dalle parti per l'eventualità dell'inadempimento dell'obbligazione assunta o riconosciuta nell'atto, merita conferma.
La scelta di impegnarsi in una forma solenne, cui la legge – per le mutevoli considerazioni di politica legislativa ricordate sub 2 – ricollega l'efficacia esecutiva implica la rinunzia del debitore alla fondamentale garanzia del previo accertamento della (venuta ad esistenza, attualità e insoddisfazione della) obbligazione tramite un giudizio di cognizione.
Conseguentemente il creditore è dispensato dall'onere di agire per ottenere un provvedimento di condanna ed è senz'altro autorizzato a intimare il precetto per l'adempimento nonché a compiere i successivi atti di esecuzione, fintantoché il titolo non sia eliminato a seguito di opposizione ex art. 615 c.p.c. del debitore o, prima ancora, l'efficacia esecutiva del titolo e/o l'esecuzione già iniziata non siano sospese nel corso del giudizio di opposizione.
Ora, poiché l'attività giuridica del debitore e quindi anche la possibilità di scelta della forma solenne s'esauriscono con l'emissione della dichiarazione negoziale, mentre il documento rappresentativo del credito perdura nel tempo e conserva rilevanza giuridica almeno finché il rapporto non sia definitivamente esaurito, è conseguente concludere che la legge rilevante ai fini dell'efficacia esecutiva non può che essere quella vigente al tempo della formazione dell'atto[93].
Soluzione questa che non privilegia alcuna delle parti del rapporto, né frustra affidamenti già formatisi o attribuisce vantaggi processuali su cui la parte non aveva ragione di fare affidamento: il creditore munito di titolo secondo la vecchia disciplina conserva l’azione esecutiva anche per il futuro; il debitore, non assoggettatosi a esecuzione forzata secondo il vecchio regime, non vede immutata in peggio la sua posizione e conserva la garanzia del previo accertamento giudiziale del credito.
6.6. Digressione: una breve ricognizione storica.
Quest'ultima – data di formazione dell'atto – è stata assunta come momento discriminante dalla disciplina transitoria dettata dal legislatore italiano, quando ha introdotto nell'ordinamento norme che hanno attribuito o negato efficacia esecutiva a categorie di atti stragiudiziali che ne erano per il passato, rispettivamente, sprovvisti o muniti.
V. ad es. art. 9 R.D. 14 dicembre 1882 n. 1113 (disposizioni transitorie cod. comm. 1882): "Le lettere di cambio e i biglietti all'ordine emessi anteriormente al nuovo Codice … sono regolati dalle leggi anteriori e non si applica ai suddetti titoli l'art. 323 del codice stesso", che ha introdotto nell'ordinamento italiano l'efficacia esecutiva della cambiale.
V. ancora, nella specifica materia in esame, l'art. 24 R.D. 30 novembre 1865 n. 2600 (disposizioni transitorie c.p.c. 1865), che ha conservato alle scritture private "firmate e riconosciute" (id est: autenticate) prima dell'1 gennaio 1866 l'efficacia esecutiva negata loro, per il futuro, dall'art. 554 n. 3 c.p.c. 1865, sostanzialmente identico all'art. 474 n. 3 del c.p.c. 1940.
La linea di tendenza ricavabile dalle soluzioni transitorie adottate inclina quindi verso la piana applicazione del principio tempus regit actum et effectum, cioè verso la conservazione all'atto del regime giuridico acquisito secondo la legge vigente al tempo della sua formazione, anziché verso l'immediata applicabilità del nuovo diritto: la cambiale, emessa prima del cod. comm. 1882, non acquista valore esecutivo; la scrittura privata autenticata, formata prima dell'entrata in vigore del c.p.c. 1865, conserva efficacia esecutiva.
6.7. Conclusioni: inapplicabilità della riforma agli atti anteriori all'1 marzo 2006.
Benché il titolo esecutivo sia presupposto dell'esecuzione e resti quindi fuori dalla sequenza di atti in cui consiste e si svolge il procedimento esecutivo, la sua natura di atto (anche) processuale non può essere seriamente messa in dubbio.
Squisitamente e soltanto processuali sono gli effetti che derivano dalla formazione, prima, e dal possesso, poi, del titolo: in sintesi, l'azione esecutiva; analiticamente: l'onere di richiedere la spedizione in forma esecutiva, se prevista; il potere di intimare il precetto, di compiere il pignoramento e gli atti esecutivi successivi, infine di partecipare alla distribuzione del prezzo o di intervenire nell'esecuzione promossa da altri.
Ne segue quindi, in mancanza di convincenti indicazioni contrarie, che il giudizio di esecutività del titolo non può che farsi, come per ogni altro atto processuale, in base alla legge vigente al tempo in cui l'atto è stato formato e che la sopravvenienza di una legge che amplia il novero delle fattispecie cui è ascritta efficacia esecutiva non può valere – in mancanza di una disciplina transitoria che faccia deroga all'art. 11 preleggi – con riguardo agli atti formati prima della sua entrata in vigore.
La conclusione che precede è del tutto indipendente dal tipo di convenzione o di obbligazione rappresentata nel medesimo documento che incorpora il titolo, vista l'autonomia dell'azione esecutiva rispetto al rapporto materiale di cui si domanda il soddisfacimento.
È altresì irrilevante la data di esigibilità o di maturazione delle singole prestazioni dovute in base al contratto, se anteriore o successiva all'entrata in vigore. Ragionando in quest'ottica, ad es., un mutuo sarebbe titolo esecutivo per il pagamento delle rate scadute in data successiva all'1 marzo 2006 o un contratto di locazione per il pagamento dei canoni maturati dopo detta data, ancorché stipulati prima.
Sennonché è da osservare che ciascuno degli effetti anzidetti (rate, canoni) si riconduce pianamente al contratto, rectius alla fattispecie complessa consistente del contratto e del decorso del tempo previsto nel contratto stesso, sicché la semplice decorrenza del termine di esigibilità o di maturazione della prestazione non ha alcuna autonomia logica rispetto alla questione, primaria e fondamentale, del tempo in cui l'obbligazione è stata contratta[94].
Sono egualmente irrilevanti le date, eventualmente successive all'1 marzo 2006, in cui l'esecuzione sia minacciata o iniziata o l'atto pubblico (contenente obblighi di consegna o rilascio) sia spedito in forma esecutiva, poiché all'inapplicabilità dell'art. 474 c.p.c. al momento di formazione dell'atto non può che fare logicamente seguito l'inefficacia e illegittimità dell'apposizione della formula, dell'intimazione del precetto, degli atti di esecuzione, i quali tutti costituiscono atti di esercizio di poteri processuali derivanti da un titolo esecutivo, in specie inesistente[95].
A maggior ragione deve poi escludersi l'immediata applicabilità dell'art. 474 c.p.c. agli atti pubblici e scritture private autenticate anteriori all'1 marzo 2006 ma spediti o eseguiti dopo tale data ove si consideri (6.5.) che tale conclusione avrebbe per effetto di spogliare il debitore del previo accertamento giudiziale del credito, garanzia di cui egli non s'è affatto privato poiché la norma vigente al tempo di formazione dell'atto non imputava efficacia esecutiva alla forma prescelta per la conclusione dell'atto negoziale.
Ne segue quindi, dato e non concesso che l'esistenza del titolo debba valutarsi secondo la legge vigente al tempo in cui è rilasciata la formula esecutiva o l'esecuzione iniziata e/o minacciata, che nondimeno dovrebbe negarsi l'eseguibilità della scrittura anteriore all'1.1.2006 facendo applicazione ultrattiva della norma abrogata (secondo le considerazioni svolte in generale sopra).
Di diverso avviso è il già citato parere 24 gennaio 2006 dell'Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia il quale, sia pur in modo dubitativo, conclude per la "possibilità di far valere come titolo per l’esecuzione forzata anche le scritture la cui sottoscrizione sia stata autenticata dal notaio prima dell’entrata in vigore della legge 80/2005", in considerazione, fondamentalmente, del fatto che "la norma sull'esecutività ha una efficacia naturale nel processo e per il processo e pertanto andrebbe ascritta al diritto del processo e delle prove; in tale ambito, il principio regolatore è tempus regit actum"[96].
Il parere tralascia però di considerare – si accennano qui considerazioni già svolte sopra –che: (a) il principio tempus regit actum non deroga all'art. 11 preleggi ma ne costituisce applicazione, visto che ciascun atto tendenzialmente rinviene la sua disciplina (quanto alle condizioni di validità e al tipo di effetti) nella legge vigente al tempo in cui viene compiuto; (b) attribuire efficacia esecutiva, in base a una norma successiva, a un atto anteriore non configura applicazione del principio tempus regit actum ma rientra, al contrario, a pieno titolo nel campo applicativo della vera e propria retroattività (v. sopra 6.4.); (c) nessuna norma di diritto transitorio prevede la retroattività dell'art. 474 c.p.c. in deroga all'art. 11 preleggi.
6.8. Corollari applicativi e indicazioni operative per il notaio.
In conclusione, il nuovo art. 474 c.p.c. non si applica agli atti anteriori all'1 marzo 2006: quindi la scrittura privata autenticata non ha valore di titolo esecutivo e l'atto pubblico non vale ai fini dell'esecuzione degli obblighi di consegna/rilascio.
La scrittura privata autenticata anteriore, rilasciata in originale, non dà luogo a problemi particolari per il notaio poiché non è necessaria la spedizione in forma esecutiva.
Discorso più complesso deve farsi per l'atto pubblico anteriore e per la scrittura anteriore a raccolta di cui il creditore richieda copia esecutiva, poiché il pubblico ufficiale che rilascia la copia esecutiva è tenuto a verificare (4.7.) che l'atto sia astrattamente idoneo a valere quale titolo per l'esecuzione forzata.
Ora, l'atto pubblico anteriore all'1 marzo 2006, se non vale come titolo per la consegna/rilascio del bene, vale pur sempre quale titolo per l'obbligazioni pecuniarie in esso contenute. Può essere che l'atto generi a favore della parte richiedente la copia esecutiva obblighi di entrambe le specie (ad es.: locazione) oppure soltanto un obbligo di consegna/rilascio (ad es.: compravendita con rilascio differito nel tempo).
Nella prima ipotesi, la spedizione in forma esecutiva è sempre da ammettersi: (a) il titolo comunque esiste, sia pure soltanto per il pagamento di somme di denaro (ad es.: canoni) ed è quindi senz'altro legittima la sua spedizione in forma esecutiva; (b) formula esecutiva e formalità di spedizione sono uniche e indipendenti dal tipo di esecuzione consentita, sicché è da escludere la necessità per il notaio di delibare la possibilità di far valere il titolo anche ai fini del rilascio forzoso del bene; (c) l'uso successivo che del titolo faccia il legittimo possessore – a fini di un'espropriazione ovvero di una (illegittima) esecuzione per consegna/rilascio – è estraneo ai controlli preventivi che il notaio è tenuto a svolgere e non può naturalmente implicare una corresponsabilità del notaio per i pregiudizi recati all'esecutato.
Viceversa nella seconda ipotesi (e in ogni caso per le scritture conservate a raccolta anteriori all'1 marzo 2006) le conclusioni cui questo studio è pervenuto escludono il potere del notaio di spedire l'atto in forma esecutiva, considerata la sua radicale inidoneità a valere quale titolo esecutivo.
Quid juris se il notaio comunque rilascia la copia esecutiva ?
Merita di essere segnalato l'orientamento che ravvisa in tale condotta – non espressamente sanzionata ma pur sempre non jure – una possibile fonte di responsabilità del notaio per il danno subito dall'obbligato a seguito della messa in esecuzione dell'apparente titolo esecutivo che il notaio ha concorso a creare con l'apposizione della formula[97].
Ritengo però che, almeno fintantoché non si sia formato un orientamento stabile e, soprattutto, in presenza di un parere (Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia) e di una circolare interpretativa (Ufficio centrale degli archivi notarili) che ammettono il rilascio di copie esecutive anche per atti anteriori all'1 marzo 2006, la questione debba classificarsi tra quelle obiettivamente incerte per le quali la responsabilità professionale del notaio deve intendersi esclusa[98].
Infine, escluso il suo valore di titolo esecutivo, la scrittura privata autenticata anteriore non può neppure valere, successivamente all'1 marzo 2006, ai fini dell'intervento in un'espropriazione iniziata da altri e della conseguente partecipazione al riparto (v. i nuovi artt. 499 e 510 c.p.c.)[99]. Resta ovviamente ferma l'efficacia dell'intervento senza titolo depositato prima dell'1 marzo 2006 (v. art. 1 comma 6 della legge n. 263, cit.).
ABSTRACT
Ai sensi dell'art. 474 n. 2 c.p.c. riformato (nel testo vigente a seguito della legge 28 dicembre 2005 n. 263) la scrittura privata autenticata ha valore di titolo esecutivo relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in essa contenute.
La norma s'applica alle sole scritture private autenticate da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge italiana ad autenticare atti di autonomia negoziale (segretario comunale e provinciale, console); quanto all'ambito oggettivo di estensione dell'efficacia esecutiva, devono trovare applicazione anche alla scrittura privata autenticata la dottrina e la giurisprudenza formatesi in materia di atto pubblico.
Ai fini dell'esecuzione forzata, vale sicuramente quale titolo esecutivo l'originale rilasciato alla parte poiché l'art. 474 c.p.c. prevede, al contrario, il semplice onere del creditore di trascrivere la scrittura privata nell'atto di precetto che, sistematicamente, esclude la necessità dell'apposizione della formula.
La questione è viceversa estremamente aperta per quanto concerne la scrittura privata conservata a raccolta poiché il dato normativo non la distingue dalla scrittura rilasciata in originale, mentre ragioni di coerenza sistematica e di indole pratica indurrebbero a ritenere necessaria la spedizione in forma esecutiva, con applicazione della stessa disciplina prevista per l'atto pubblico, ivi compresi controlli e sanzioni ex art. 476 c.p.c..
Sempre per effetto della riforma dell'art. 474 c.p.c., l'atto pubblico assume valore di titolo esecutivo anche per gli obblighi di consegna o rilascio di beni mobili e immobili, a condizione che l'obbligo di rilascio non sia previsto dalla sola disciplina legale applicabile al rapporto ma risulti in modo non equivoco dal tenore dell'atto.
Dà luogo a numerosi problemi, di difficile risoluzione, l'applicazione della riforma agli obblighi di rilascio derivanti dal contratto di locazione concluso per atto pubblico. In ogni caso, il notaio rogante appare prima facie estraneo a tali questioni e può (è in ogni caso tenuto a) rilasciare copia esecutiva del titolo al locatore che ne faccia richiesta.
In mancanza di una disciplina transitoria, la riforma s'applica alle sole scritture private autenticate (per le obbligazioni pecuniarie) e ai soli atti pubblici (per gli obblighi di consegna/rilascio) formate successivamente all'entrata in vigore della legge (1 marzo 2006).
È da segnalare che, secondo il parere 24 gennaio 2006 dell'Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia, recepito dalla circ. 3/06 del 28 febbraio 2006 dell'Ufficio centrale degli archivi notarili, le scritture private autenticate conservate a raccolta devono spedirsi in forma esecutiva e la riforma s'applica anche agli atti formati prima dell'1 marzo 2006.
[1] Il presente scritto riprende e approfondisce i contenuti del commento a mia firma all'art. 474 c.p.c. in Le nuove modifiche al processo esecutivo di cui alla legge n. 263/2005: note a prima lettura (pag. 4 ss.) a cura della Commissione Esecuzioni Immobiliari e Attività delegate in CNN Notizie n. 33 del 16 febbraio 2006. Il capitolo 5 e il paragrafo 1.4. sono nuovi. Il capitolo 4 è interamente riscritto e le conclusioni raggiunte sono più sfumate rispetto a quelle sostenute nelle note a prima lettura. I capitoli 3 e 6 e i paragrafi 1.1., 1.2., 1.3 del capitolo 1 sono ampliati e arricchiti delle novità intervenute medio tempore ma ripropongono nella sostanza le medesime conclusioni già sostenute nelle note a prima lettura. Il capitolo 2 è rimasto inalterato.
[2] Questo il testo dell'articolo 474 a seguito della legge n. 80: "(Titolo esecutivo).– L’esecuzione forzata non può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile.
Sono titoli esecutivi:
1) le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva;
2) le cambiali, nonché gli altri titoli di credito e gli atti ai quali la legge attribuisce espressamente la stessa efficacia;
3) gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli, o le scritture private autenticate, relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in essi contenute.
L’esecuzione forzata per consegna o rilascio non può aver luogo che in virtù dei titoli esecutivi di cui ai numeri 1) e 3) del secondo comma".
[3] Questo il testo conseguente alla legge n. 263: "(Titolo esecutivo).– L’esecuzione forzata non può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile.
Sono titoli esecutivi:
1) le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva;
2) le scritture private autenticate, relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute, le cambiali, nonché gli altri titoli di credito ai quali la legge attribuisce espressamente la stessa efficacia;
3) gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli. L’esecuzione forzata per consegna o rilascio non può aver luogo che in virtù dei titoli esecutivi di cui ai numeri 1) e 3) del secondo comma. Il precetto deve contenere trascrizione integrale, ai sensi dell'articolo 480, secondo comma, delle scritture private autenticate di cui al numero 2) del secondo comma".
[4] Viene così risolta l'apparente antinomia, già segnalata dai primi interpreti, tra l'art. 474 n. 2: "gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli, o le scritture private autenticate, relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in essi contenute" e il comma 3 dello stesso articolo: "L’esecuzione forzata per consegna o rilascio non può aver luogo che in virtù dei titoli esecutivi di cui ai numeri 1) e 3) del secondo comma".
[5] Cass. 18 gennaio 1983 n. 477 in Giust. civ. 1983, I, pag. 1493.
[6] Cass. 18 gennaio 1983 n. 477, cit.; nel medesimo senso, per un caso di mutuo condizionato alberghiero con previsione di versamenti rateali in corso di avanzamento lavori, v. Cass. 19 luglio 1979 n. 4293, in Banca, borsa e titoli di credito, 1981, II, pag. 5 con nota di MOGLIE, Le quietanze non aventi forma di atto pubblico non sono titoli esecutivi, la quale ha altresì escluso la possibilità di integrare le risultanze del titolo esecutivo con le quietanze dei versamenti fatti al mutuatario e degli estratti dei libri contabili dell'istituto mutuante, trattandosi di atti non rivestiti di forma pubblica. Conforme anche Trib. Roma 28 luglio 1998, in Dir. fall. 1999, II, pag. 150 con nota di D. DI GRAVIO, Il contratto condizionato di mutuo non è titolo esecutivo.
[7] Conclusione pressoché pacifica in dottrina: S. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, vol. III, Milano 1959-1971 pag. 84 s.; A. MASSARI, Titolo esecutivo, in Nss. D. I., vol. XIX, Torino 1973, pag. 385; R. VACCARELLA, Titolo esecutivo, in Enc. Giur. Treccani, vol. XXXI, pag. 5; E. FABIANI, Può il notaio rilasciare copia esecutiva di un contratto di apertura di credito ?, in C.N.N. – Studi in tema di mutui ipotecari, Milano 2001, pag. 195 ss.; contra l'isolata opinione di F.P. LOPS, Rilascio di copia esecutiva (artt. 474-475 c.p.c.) di un contratto di apertura di credito garantito ipotecariamente, in C.N.N. – Studi e materiali, vol. II, 1986-1988, Milano 1990, pag. 283 ss.. In giurisprudenza v. Trib. Pescara 11 marzo 1981 n. 143, in Foro nap. 1981, I, pag. 139; Trib. Napoli 2 febbraio 2002, in Dir. fall. 2002, II, pag. 758 con nota di D. DI GRAVIO; Trib. Mantova 22 settembre 2004, in Riv. not. 2005, pag. 347.
[8] Cass. 15 luglio 1961 n. 1730, in Foro it., Rep. 1961, voce Esecuzione forzata in genere, n. 20.
[9] Cass. 13 novembre 1965 n. 2372 in Giust. civ. 1966, I, pag. 28 e in Riv. Not. 1966, II, pag. 229.
[10] Sulla figura cfr. per tutti C. CACCAVALE, Prime note sugli atti unilaterali di mutuo, in C.N.N. – Studi in tema di mutui ipotecari, Milano 2001, pag. 107 e C. CACCAVALE - G. A. M. TRIMARCHI, Appunti sul titolo esecutivo notarile, ivi, pag. 141 s. e in Notariato, 2000, pag. 468 ss..
[11] V. per tutti G. MICCOLIS, L'espropriazione forzata per debito altrui, Torino, 1998, pag. 255 ss..
[12] Sulla questione v. M. AVAGLIANO, Appunti in tema di rilascio di copia in forma esecutiva effettuata sulla base di un atto pubblico unilaterale di costituzione di ipoteca da parte di un terzo, in C.N.N. – Studi e materiali, vol. 5.2, 1995-1997, Milano 1998, pag. 530 ss..
[13] V. R. FONTANA, Accantonamenti per tre anni, in "Il Sole 24 ore" del 6 luglio 2005 (a commento del progetto di legge n. 3439, approvato in sede deliberante dalla Commissione Giustizia del Senato): "… non è prevista l'apposizione della formula esecutiva ai sensi dell'art. 475 c.p.c., che a sua volta presupporrebbe necessariamente il deposito del documento originale presso il notaio. Questa soluzione rafforza la tesi che per la costituzione del titolo esecutivo la firma può essere autenticata non solo da un notaio ma anche dagli altri soggetti a cui la legge conferisce questo potere certificativo".
[14] B. CAPPONI, L’art. 183 c.p.c. dopo le “correzioni” della legge 28 dicembre 2005, n. 263, sul sito Internet www.judicium.it
[15] Cass. 9 ottobre 1972 n. 2937 in Giust. civ. 1973, I, pag. 28 e in Riv. Not. 1973, II, pag. 879.
[16] Vedi ad es. per il notaio gli artt. 27 e 58 legge 16 febbraio 1913 n. 89; per il segretario comunale e gli impiegati comunali autorizzati le norme attributive sopra cit. dove la competenza è rispettivamente limitata con riguardo alla partecipazione all'atto o comunque "all'interesse" dell'ente e alla materia delle sole istanze e dichiarazioni sostitutive (ovviamente non negoziali); per il difensore della parte il potere di autenticazione previsto dal nuovo art. 185 c.p.c. riguarda il conferimento della sola procura a conciliare e transigere e non s'estende ad altre eventuali convenzioni contenute nello stesso documento.
[17] La Cassazione si è trovata sorprendentemente più volte a decidere l'inammissibilità del ricorso per cassazione, per essere stata la procura speciale autenticata non già da un notaio ma da un semplice impiegato o segretario comunale: v. Cass. 3 aprile 1998, n. 3426, in Foro it., Rep. 1998, voce Procedimento civile, n. 117; Cass. 19 agosto 2004, n. 16266, id., Rep. 2004, voce cit., n. 101. Vedi ancora Cass. 24 gennaio 2002, n. 844, in Notariato, 2002, 465 con nota di Eccel (cessione di crediti nei confronti della P.A. autenticata dal segretario comunale malgrado l'ente locale non fosse parte dell'accordo).
[18] R. ORIANI, Titolo esecutivo, opposizioni, sospensione dell'esecuzione, in Le modifiche al codice di procedura civile previste dalla l. n. 80 del 2005, in Foro It. 2005, V, col. 105.
[19] Così dubitativamente R. ORIANI, op. loc. cit.. In senso contrario all'estensione dell'efficacia esecutiva v. A. BUCCI – A. M. SOLDI, Le nuove riforme del processo civile, Padova, 2006, 166.
[20] Art. 68 legge 31 maggio 1995 n. 218 – (Attuazione ed esecuzione di atti pubblici ricevuti all'estero) – "Le norme di cui all'art. 67 si applicano anche rispetto all'attuazione e all'esecuzione forzata in Italia di atti pubblici ricevuti in uno Stato estero e ivi muniti di forza esecutiva".
[21] Art. 57 regolamento C.E. n. 44/2001: "Gli atti pubblici formati ed aventi efficacia esecutiva in uno Stato membro sono, su istanza di parte, dichiarati esecutivi in un altro Stato membro conformemente alla procedura contemplata dall'articolo 38 e seguenti. Il giudice al quale l'istanza è proposta ai sensi dell'art. 43 o dell'art. 44 rigetta o revoca la dichiarazione di esecutività solo se l'esecuzione dell'atto pubblico è manifestamente contraria all'ordine pubblico dello Stato membro richiesto. L'atto prodotto deve presentare tutte le condizioni di autenticità previste nello Stato d'origine". Nel medesimo senso v. in precedenza gli artt. 50 della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni e dell'analoga Convenzione di Lugano del 16 settembre 1988.
[22] In tal senso s'è pronunciata la Corte di Giustizia C.E. nella causa n. C-260/97 (Unibank) con sentenza in data 17.6.1999, pubblicata, tra l'altro, in Notariato, 2000, 3, 217 ss. con nota di A. BARONE, L’atto autentico ai sensi dell’art. 50 della Convenzione di Bruxelles: la nozione di atto pubblico è delineata nel paragrafo 17 della motivazione. Nel medesimo senso v. anche in dottrina S.M. CARBONE, Il nuovo spazio giudiziario europeo – dalla convenzione di Bruxelles al Regolamento CE 44/2001, IV ed., Torino 2002, pag. 248 e le Modifiche al processo esecutivo: note a prima lettura dell'1 giugno 2005 a cura della Commissione Esecuzioni Immobiliari e Attività delegate in CNN Notizie 8 giugno 2005, nel commento all'art. 474 c.p.c. pag. 3.
[23] Sul titolo esecutivo europeo cfr. per tutti: P. PASQUALIS, Appunti sulla circolazione degli atti notarili nello spazio giuridico europeo, in Consiglio Nazionale del Notariato, Relazioni al XL Congresso Nazionale del Notariato – Bari 26-29 ottobre 2003, Milano, 2003, 329 ss.; C. BRUNELLI, Il nuovo regolamento CE n. 805/2004 sul titolo esecutivo europeo, Approvato dalla Commissione affari europei ed internazionali l’8 ottobre 2004; G. OLIVIERI, Il titolo esecutivo europeo e la sua attuazione nell’ordinamento italiano, in Riv. esecuz. forz., 2002, 62 ss.; F. DE STEFANO, Il titolo esecutivo europeo: forse non più un’utopia, in Quest. giust., 2002, 907; ID., Il titolo esecutivo europeo, in Riv. esecuz. forz., 2000, 422 ss.; B. CAPPONI, Una prospettiva di armonizzazione: il titolo esecutivo europeo, in Doc. giust., 1993, 1389 ss.; AA.VV. Il titolo esecutivo europeo e le problematiche di coordinamento con la normativa processuale civilistica interna e con il diritto processuale civile internazionale, in Quaderni del C.S.M., 2002, fasc. 125 ed ivi ulteriori riferimenti.
[24] Così anche G. PETRELLI, op. cit., pag. 552.
[25] V. ex multis S. TONDO, Sull'uso in Italia di scritture private autenticate all’estero, in Studi e materiali, vol. 1, Milano, 1986, pag. 96 approvato da P. BOERO, op. cit., vol. II pag. 563 ss. Conformi sull'irrilevanza del deposito ai fini dell'uso giudiziario della procura alle liti rogata o autenticata all'estero Cass. 8 maggio 1995 n. 5021, Cass. 21 febbraio 1996 n. 1340; Cass. 14 febbraio 2000 n. 1615.
[26] V. le Modifiche al processo esecutivo: note a prima lettura, cit. nel commento all'art. 474 c.p.c. pagg. 3-4; ivi in nota ampi riferimenti bibliografici.
[27] L'amplissima introduzione dell'opera di R. VACCARELLA, Titolo precetto opposizioni, in Giur. sist. dir. proc. civ. diretta da A. Proto Pisani, II ed., Torino 1993, è dedicata alla ricostruzione degli svolgimenti storici della dottrina sul concetto di titolo esecutivo. V. anche, ex multis, con trattazione assai più succinta, A. MASSARI, op. cit., pag. 375 ss.; E. GRASSO, Titolo esecutivo, in Enc. dir., vol. XLIV, Milano 1992, pag. 35 ss..
[28] Per tali rilievi v. E. GRASSO, op. cit.., pag. 689; A. PROTO PISANI, Appunti sull'esecuzione forzata, in Foro It. 1994, V, col. 305 ss.: "… quanto al requisito della certezza, non è possibile dire nulla più che i provvedimenti, atti o documenti costituenti titolo esecutivo offrono una certa qual certezza di grado notevolmente diverso in ordine all'esistenza dei fatti costitutivi dei crediti liquidi ed esigibili da essa rappresentati". Nel medesimo senso v. anche R. VACCARELLA, Diffusione e controllo dei titoli esecutivi non giudiziali, in Riv. dir. proc., 1992, spec. pag. 52 ss., nonché, con una posizione che svaluta radicalmente il valore di accertamento del titolo esecutivo, F.P. LUISO, L'esecuzione ultra partes, Milano 1984, spec. pag. 85 ss..
[29] Cfr. per tutti sul punto R. VACCARELLA, Diffusione e controllo dei titoli esecutivi non giudiziali, cit., spec. pag.52 ss..
[30] Così anche R. ORIANI, op. loc. cit..
[31] Tale è infatti il prevalente orientamento dottrinale, per cui v. le Modifiche al processo esecutivo: note a prima lettura, cit., nel commento all'art. 474 c.p.c., pag. 5 e nota 11; ivi ampi riferimenti bibliografici. Tale posizione ha infine trovato uno sbocco legislativo nella recentissima legge 28 novembre 2005 n. 246 (Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005) che, all'art. 12 co. 1 lett. a), ha esteso il divieto di cui all'art. 28 legge notarile anche all'attività di autenticazione.
[32] G. PETRELLI, Atto pubblico, scrittura privata autenticata e titolo esecutivo, in Notariato, 2005, pag. 542 ss., spec. pag. 547-548.
[33] Come finisce per ammettere lo stesso G. PETRELLI, op. cit., pag. 548. V. comunque, per acuti rilievi sulle differenze esistenti tra atto pubblico e scrittura privata autenticata, G. CASU, L'atto notarile tra forma e sostanza, Milano-Roma, 1996, pagg. 10-17.
[34] Constatazione comune. V. R. ORIANI, op. loc. cit.; G. PETRELLI, op. cit., pag. 548. Sul tema v. anche P. FAUSTI, Copia esecutiva e scrittura privata autenticata, in Federnotizie, 2005, 4, pag. 131.
[35] Sulla correlazione, implicita nella lettera dell'art. 479 c.p.c., tra spedizione in forma esecutiva e onere di notificazione del titolo v. R. VACCARELLA, Titolo precetto opposizioni, cit., pag. 197. Si sottraggono all'onere ex art. 479 c.p.c., ma non a quello della spedizione, tra i titoli esecutivi stragiudiziali il mutuo fondiario (art. 41 D.P.R. 1 settembre 1993 n. 385); tra quelli giudiziali il decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo successivamente alla sua notificazione al debitore (art. 654 cpv. c.p.c.) e la condanna esecutiva emessa a seguito di sequestro conservativo (artt. 686 c.p.c. e 156 disp. att.).
[36] Tale prassi, benché praeter legem e in apparente conflitto con l'art. 59 legge notarile, che vieta al notaio di fare "annotazioni sopra gli atti, salvi i casi specialmente determinati dalla legge", si ritiene comunemente legittima: così P. BOERO, La legge notarile commentata, Torino 1993, vol. I, pag. 366 s.; M. DI FABIO, Manuale di notariato, Milano 1981, pag. 203-204. Giova ricordare che, quando entrò in vigore la legge notarile, l'annotazione sull'originale del rilascio di copia esecutiva era prevista dall'art. 557 c.p.c. 1865. Contra, per il divieto di annotazione, ma con insuperabili problemi pratici nell'applicazione dell'art. 476 c.p.c. v. FALZONE-ALIBRANDI, Dizionario enciclopedico del notariato, vol. I, Roma 1973, pag. 826.
[37] Conclusione sostanzialmente pacifica tra i primi commentatori: R. ORIANI, op. loc. cit.; G. PETRELLI, op. cit., pag. 550; P. FAUSTI, op. cit., pag. 132.
[38] Art. 475 c.p.c.: "Le sentenze e gli altri provvedimenti dell'autorità giudiziaria e gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale, per valere come titolo per l'esecuzione forzata, debbono essere muniti della formula esecutiva, salvo che la legge disponga altrimenti".
[39] Così esattamente G. PETRELLI, op. cit., pag. 550.
[40] G. PETRELLI, op. cit., pag. 550.
[41] R. ORIANI, op. loc. cit.: "se la scrittura è stata depositata presso il notaio, si applicano gli artt. 475 e 479 c.p.c. potendosene spedire copia in forma esecutiva (arg. art. 2715 c.c.). Ove invece la scrittura non sia stata depositata, si apre un'alternativa. In base al primo capo, non potendosi spedirla in forma esecutiva né, per altro verso, essendo prevista dalla legge la sua trascrizione nel precetto (art. 480 2° comma c.p.c.), non occorre portare detta scrittura a conoscenza del debitore, al quale è lecito intimare direttamente l'atto di precetto … L'altro capo dell'alternativa vuole evitare una grave disarmonia, ed un trattamento ingiustificatamente privilegiato per una certa categoria di creditori; a tal fine, forzando la lettera della legge, si potrebbe pretendere una trascrizione del titolo esecutivo certificata da parte dell'ufficiale giudiziario, pur in mancanza di una norma ad hoc da parte del legislatore, o comunque imporre l'indicazione degli estremi del titolo esecutivo nel precetto, onde permettere al debitore di comprendere perché gli è stato intimato precetto".
[42] Giustamente Oriani (op. loc. cit.) ricorda che le irregolarità attinenti a formula esecutiva e notificazione del titolo sono materia di opposizione agli atti e restano sanate se l'opposizione non è proposta in termini.
[43] L'art. 63 comma 3 legge cambiale recita: "il precetto deve contenere la trascrizione della cambiale o del protesto e degli altri documenti necessari a dimostrare la somma dovuta". L'art. 55 comma 3 legge assegno è identico, salva la sostituzione di "cambiale" con "assegno bancario".
[44] In tal senso s'è espresso anche R. FONTANA, Accantonamenti per tre anni, in "Il Sole 24 ore" del 6 luglio 2005, senza peraltro distinguere le due species, in sintonia con il trattamento unitario previsto dal legislatore. Successivamente alla legge n. 263, l'Ufficio centrale degli archivi notarili con circolare n. 3/06 del 28 febbraio 2006 ha tenuto distinte le due species, escludendo la spedizione in forma esecutiva per le sole scritture private rilasciate in originale.
[45] Così A. MASSARI, op. cit., spec. 386-387: "la parte a cui si spetta la prestazione e che si appresta a chiederne l'esecuzione, deve prima di tutto ottenere il possesso del titolo esecutivo; come infatti si insegna il possesso del documento è condizione necessaria per chiedere gli atti esecutivi… la spedizione, e quindi il possesso che da questa è procurato, è attività necessaria che condiziona il diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata…"; nello stesso senso v. E. REDENTI, Diritto processuale civile, vol. III, Milano, II ed., 1957, pag. 146.
[46] R. VACCARELLA, Titolo precetto opposizioni, cit., pag. 197.
[47] Prima della legge n. 80, s'era pronunciato per l'assimilazione della scrittura privata conservata a raccolta all'atto pubblico anche R. ORIANI, op. loc. cit., ipotizzando in tal caso necessaria la spedizione in forma esecutiva. In verità, come già s'è ricordato, Oriani s'è pronunciato sulla legge n. 80 che, come sopra s'è ricordato, non regolava neppure in nuce la disciplina esecutiva della scrittura privata autenticata, lasciando all'interprete di rintracciarla faticosamente nel sistema. Le sue conclusioni devono quindi essere sottoposte a un nuovo esame che tenga conto della riforma. Dopo la legge n. 263 v., nel senso dell'applicazione estensiva dell'art. 475 c.p.c. alla scrittura conservata a raccolta R. NAPOLEONI, Il titolo esecutivo e il precetto, in AA.VV. Il nuovo processo di esecuzione, Milano, 2006, 6.
[48] In tal senso anche la cit. circolare 28 febbraio 2006 dell'Ufficio centrale degli archivi notarili.
[49] Tale è, per communis opinio, la funzione dell'apposizione della formula esecutiva: S. SATTA, op. cit., pag. 93; A. MASSARI, op. cit., pag. 386; R. VACCARELLA, Titolo precetto opposizioni, cit. pag. 186.
[50] Così, in modo estremamente perspicuo e tuttora attuale, G. CHIOVENDA Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli 1960 (ristampa), vol. I, pag. 269-270. La prassi ricordata da Chiovenda è probabilmente all'origine della presunzione (art. 1237 cpv. c.c.) secondo cui la consegna volontaria al debitore della copia spedita in forma esecutiva fa presumere la liberazione, salvo prova contraria. È peraltro innegabile che il procedimento di autorizzazione ex art. 476 c.p.c., venuto meno il contraddittorio col debitore previsto dal codice di rito previgente, tende oggi a ridursi nella pratica a una vuota formalità.
[51] Valgono però oggi a temperare questi inconvenienti sia il potere attribuito al giudice dell'opposizione a precetto di sospendere l'efficacia esecutiva del titolo (v. art. 615 comma 1 c.p.c. nel testo modificato dalla legge n. 80) inibendo l'inizio dell'esecuzione, sia il potere del debitore opponente di provocare l'estinzione "del pignoramento" nel caso in cui la sospensione sia stata concessa in corso di esecuzione con ordinanza divenuta definitiva (v. art. 624 comma 3 c.p.c. nel testo modificato dalla legge 24 febbraio 2006 n. 52). È poi fuori discussione che, se l'esecuzione viene iniziata nonostante l'esistenza di una prova liquida e certa dell'avvenuto pagamento (ad es. una quietanza), sussistono tutti i presupposti per la responsabilità aggravata del (sedicente) creditore ex art. 96 cpv. c.p.c..
[52] Sul tema v. L. MENGONI, L'argomentazione orientata alle conseguenze, in Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, 1996, 91.
[53] Non vorrei fare torto ad alcun notaio ma tale funzione di controllo, anche per gli stretti limiti in cui se ne ammette l'esercizio (v. nota che segue), non ha mai impedito che venissero spediti in forma esecutiva e messi in esecuzione titoli intrinsecamente inidonei, come aperture di credito ipotecarie, fideiussioni omnibus etc. come attesta la, per vero non copiosa, giurisprudenza in materia.
[54] In giurisprudenza v. Cass. 5 luglio 1990 n. 7074 (in Foro it., Rep. 1990, voce Esecuzione in genere, n. 13): "la spedizione del titolo in forma esecutiva non comporta l'accertamento dell'efficacia del titolo esecutivo, né dell'inesistenza di fatti impeditivi o estintivi della azione esecutiva, ma una verifica formale per il debitore dell'esistenza dello stesso titolo esecutivo". Non spetta quindi al pubblico ufficiale che spedisce la copia verificare l'attuale esistenza dell'azione esecutiva, per l'inesistenza di condizioni, né che il diritto alla prestazione oggetto dell'atto sia attualmente provvisto dei requisiti ex art. 474 c.p.c. per far luogo all'esecuzione forzata. In dottrina v. E. GRASSO, op. cit., pag. 696: "Il controllo sulla perfezione del titolo esecutivo riguarda dunque la stessa rilevanza dell'atto, appunto come titolo esecutivo"; A. MASSARI, op. cit., pag. 388; R. VACCARELLA, op. cit., pag. 188; C. CACCAVALE – G. A. M. TRIMARCHI, op. cit. pag. 146.
[55] Nel senso che l'ufficiale giudiziario non è idoneo a compiere valutazioni che vadano al di là della semplice lettura delle risultanze estrinseche del titolo esecutivo v. per tutti F. P. LUISO, op. cit., spec. pagg. 33-34, 40 n. 48 e ivi ampi riferimenti bibliografici.
[56] Per tale rilievo v. E. REDENTI, op. cit., pag. 147: "Quanto alle cambiali e agli altri titoli di credito equiparati, il possesso ne è legittimato, di solito, dal tenore stesso delle dichiarazioni negoziali, che vi sono scritte e incorporate e da i documenti accompagnatori (protesto o altri atti equivalenti). Ed anche qui gli uffici esecutivi non debbono e non possono guardare più in là".
[57] È degno di nota che, ai sensi dell'art. 41 D.P.R. 1 settembre 1993 n. 385 (T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia), "nel procedimento di espropriazione relativo a crediti fondiari è escluso l'obbligo della notificazione del titolo contrattuale esecutivo". È quindi verosimile che, data l'identità della funzione, debba anche escludersi la necessità della trascrizione integrale nel precetto del contratto di mutuo fondiario fatto per scrittura privata autenticata.
[58] Così Cass. 29 maggio 1976, n. 1964, in Foro it., Rep. 1976, voce Titoli di credito, n. 59 e Cass. 10 settembre 1986, n. 5531, id., Rep. 1986, voce Esecuzione in genere, n. 16.
[59] V. in materia di spese di protesto e conto di ritorno Cass. 28 settembre 1977, n. 4139, in Foro it., Rep. 1977, voce Esecuzione in genere, n. 15.
[60] Così Cass. 13 gennaio 1976, n. 95, in Foro it., Rep. 1976, voce Titoli di credito, n. 60; Cass. 29 maggio 1980, n. 3549, id., Rep. 1980, voce Esecuzione in genere, n. 21; Cass. 9 maggio 1985, n. 2895, id., Rep. 1985, voce cit., n. 13.
[61] Cass. 24 aprile 1974 n. 1181 in Giur. it. 1975, I, 1, 506.
[62] Cass. 18 ottobre 1974 n. 2931, in Foro it., Rep. 1974, voce Esecuzione per consegna e rilascio, n. 1
[63] Così Cass. 5 settembre 1994 n. 7650. In motivazione, la Cassazione assai perspicuamente osserva che la sentenza di accertamento costituisce "solo la premessa logica e giuridica per quella ulteriore attività che sta alla base della pretesa esecutiva".
[64] G. PETRELLI, op. cit., pag. 554 ritiene giustamente che "detti obblighi di consegna possono essere espressamente previsti dal contratto, o comunque desumersi con certezza dal contesto complessivo dell'atto": sennonché non indica che cosa intenda con quest'ultima espressione. Nel medesimo senso del testo sembra orientato R. NAPOLEONI, op. cit., 7.
[65] Accenna al problema R. ORIANI, op. cit., col. 106: "Si porrà del pari la problematica, già presentatasi con riguardo al mutuo, della possibilità per il locatore, in presenza di una clausola risolutiva espressa e della morosità del conduttore, di avvalersi del diritto potestativo con conseguente risoluzione del contratto ed insorgere dell'obbligo di rilascio a carico del conduttore". Sulla clausola risolutiva espressa nel contratto di mutuo v. App. Firenze 19 dicembre 1964 in Giur. tosc., 1965, 199 (è titolo esecutivo idoneo per la restituzione dell'intero capitale mutuato) nonché App. Catania 17 febbraio 1962 in Giur. it., 1962, I, 2, 412 e App. Palermo 17 febbraio 1961, in Foro it., 1961, I, 1245 (entrambe contrarie).
[66] Secondo G. PETRELLI, op. cit., l'obbligazione deriva dalla legge, e quindi il titolo negoziale non può valere ai fini esecutivi, "anche nel caso in cui disposizioni specifiche prevedano una speciale procedura per il rilascio, improntata a specifiche esigenze di tutela di interessi oggetto di particolare protezione". Il giudizio al riguardo probabilmente deve essere più sfumato e distinguere secondo le diverse cause di rilascio. Ad es. A. PROTO PISANI, Premessa in Le modifiche al codice di procedura civile previste dalla l. n. 80 del 2005, cit., col. 90 ammette che il titolo negoziale potrà essere utilizzato dal locatore "solo per la restituzione del contratto alla seconda scadenza".
[67] Cass. 6 dicembre 1993 n. 12057.
[68] Cass. 19 luglio 1979 n. 4293, cit..
[69] Così in giur. Cass. 24 agosto 1978 n. 3955; Cass. 20 marzo 1985 n. 2034; Cass. 8 agosto 1995 n. 8692. In dottrina v. per tutti E. GARBAGNATI, I procedimenti d'ingiunzione e per convalida di sfratto, Milano, 1979, pag. 295; C. MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, X ed., Torino 1995, vol. III pag. 210.
[70] Rileva R. NAPOLEONI, op. cit., 8 che "l'obbligo di rilascio non è previsto in sé, ma è subordinato al verificarsi di alcune circostanze, costituite dal mancato pagamento dei canoni. Ed il mancato controllo del verificarsi di tali circostanze fa venir meno il carattere di esigibilità del credito": l'opinione tralascia però di considerare che non spetta al creditore provare il mancato adempimento della prestazione pecuniaria da cui dipende l'obbligo di rilascio.
[71] Secondo il più recente orientamento il diritto ex art. 55 del conduttore a sanare la morosità non s'applica alla locazione di immobile a uso non abitativo (Cass. ss. uu. 28 aprile 1999 n. 272; Cass. 23 gennaio 2002 n. 741), né a quelle ad uso abitativo per fini transitori, diversi da motivi di studio o lavoro (Cass. 29 gennaio 2003 n. 1264).
[72] Cass. 27 novembre 1986 n. 6995.
[73] Cass. 7 maggio 1991 n. 5031; Cass. 16 novembre 1993 n. 11284.
[74] Per tale rilievo v. A. PROTO PISANI, op. loc. ult. cit..
[75] Per comodità espositiva, nel prosieguo della trattazione si farà riferimento alla sola scrittura privata autenticata. Mutatis mutandis, le conclusioni possono estendersi anche all'atto pubblico quale titolo per la consegna o rilascio. Allo stato, si registrano in dottrina due sole prese di posizione, tra loro discordanti. P. FAUSTI, op. loc. cit., apparentemente favorevole ("È probabile che, quantomeno limitatamente al rilascio di copie, si tratti di un provvedimento ad efficacia permanente, cosicché, a partire da detta data …, potranno rilasciarsi copie in forma esecutiva anche di contratti per scrittura privata autenticata perfezionati prima di tale data"); G. PETRELLI, op. cit., spec. pag.561 ss., senz'altro contrario.
[76] "Le disposizioni di cui ai commi 3, lettera e), numeri da 2) a 43-bis), e 3-ter, lettere a-bis), b), c), c-bis), d), e) ed f), [della legge 14 maggio 2005 n. 80] entrano in vigore il 1º gennaio 2006 e si applicano anche alle procedure esecutive pendenti a tale data di entrata in vigore. Quando tuttavia è già stata ordinata la vendita, la stessa ha luogo con l’osservanza delle norme precedentemente in vigore. L’intervento dei creditori non muniti di titolo esecutivo conserva efficacia se avvenuto prima del 1º gennaio 2006". Come già s'è detto nel testo, il termine del 1° gennaio è stato prorogato al 1° marzo 2006.
[77] Sul punto è d'obbligo il riferimento allo studio di E. FABIANI, L’entrata in vigore delle modifiche al processo esecutivo e l’applicabilità o meno delle stesse ai processi esecutivi pendenti, in Le nuove modifiche al processo esecutivo di cui alla legge n. 263/2005: note a prima lettura, cit., pag. 100 ss.. Dello stesso Autore v. anche, seppure anteriori alla legge n. 263, Entrata in vigore delle modifiche al processo esecutivo di cui alla legge n. 80 del 2005, in CNN Notizie del 6 luglio 2005 e Ancora novità in tema di entrata in vigore delle modifiche al processo esecutivo di cui alla legge n. 80 del 2005, in CNN Notizie del 25 agosto 2005.
[78] Per giurisprudenza e dottrina pacifiche è infatti irrilevante che il titolo, inesistente all'inizio dell'esecuzione, si formi o acquisti efficacia esecutiva in corso di processo, poiché la sopravvenienza non vale a sanare l'originaria illegittimità dell'esecuzione senza titolo. In tal senso v. ex multis R. VACCARELLA, Titolo precetto opposizioni, op. cit., pag.132 ss..
[79] Constatazione comune. V. per un quadro generale dei problemi di diritto intertemporale: N. COVIELLO, Manuale di diritto civile italiano, II. ed., Milano – Roma – Napoli, 1915, pag. 108 ss.; R. QUADRI, Dell'applicazione della legge in generale, artt. 10-15 , in Comm. c.c. diretto da Scialoja e Branca, Bologna-Roma 1974; R. CAPONI, La nozione di retroattività della legge in Giur. cost., 1990, pag. 1332; ID. L'efficacia della legge processuale nel tempo in Italia, all'indirizzo Internet www.judicium.it.; A. GIULIANI, La retroattività della legge, in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, vol. I, II ed.., Torino 1998 pag. 471 ss.. Tendono a mancare ampie trattazioni organiche della successione di leggi processuali nel tempo; v. comunque S. LA CHINA, voce Norma (dir. proc. civ.) in Enc. dir., vol. XXVIII, Milano 1978, ivi al par. 6, pag. 433 ss.; V. ANDRIOLI, Diritto processuale civile, Napoli, 1979, 30; A. PROTO PISANI, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, 404; B. CAPPONI, L'applicazione nel tempo del diritto processuale civile, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1994, pag. 431 ss. e il già citato R. CAPONI L'efficacia cit…
[80] Così in giur. ex multis Cass. 28 maggio 1979 n. 3111; Cass. 3 aprile 1987 n. 3231; Cass. 29 novembre 1999 n. 13339; Cass. 3 marzo 2000 n. 2433; Cass. 18 luglio 2002 n. 10436; Cass. 17 luglio 2003 n. 11200. Data una norma che imputa al verificarsi del fatto A + B l'effetto giuridico X, pone quindi un problema di conflitto di leggi nel tempo da risolvere ai sensi dell'art. 11 preleggi ad es. una norma che restringa l'effetto X al verificarsi del solo fatto A, introduca quale causa di X la fattispecie A+B+C o introduca un ulteriore fatto (D) come causa idonea al verificarsi di X.
[81] Cass. 28 settembre 2002 n. 14073.
[82] V. anche da ultimo, nel medesimo senso, Cass. 28 settembre 2002 n. 14073, nonché Cass. 5 maggio 1999 n. 4462 che ha ammesso lo scioglimento dei matrimoni contratti in data anteriore all'entrata in vigore della legge sul divorzio. In dottrina, v. N. COVIELLO, op. cit., pag. 108 s.; R. QUADRI, op. cit., passim e spec. 121-2; R. CAPONI, La nozione cit., passim e spec. pag. 1346-8, 1353 ss.; A. GIULIANI, op. cit., spec. pag. 477, 482-3 e ivi nota 22 con ampie citazioni di giurisprudenza.
[83] Tale è la posizione di R. CAPONI, La nozione cit., pag. 1353-5 (per la distinzione tra interessi, situazioni istantanee e durevoli nel tempo); v. anche dello stesso Autore, In tema di limiti temporali del giudicato civile sulle situazioni soggettive che proteggono un interesse durevole nel tempo, nota a Cass. ss. uu. 7 novembre 1997 n. 10933 in Foro it. 1998, I, col. 1193.
[84] Gli esempi di cui al testo sono tratti da R. QUADRI, op. cit., pag. 89 nota 8; R. CAPONI, La nozione, cit., pag. 1353 nota 60; ID., In tema di limiti temporali, cit., col. 1194.
[85] È osservazione comune che la dottrina del fatto compiuto è stata costruita a partire dal punto di vista degli atti di libera determinazione volitiva (A. GIULIANI, op. cit., pag. 473 nota 5).
[86] Vedi perspicuamente B. CAPPONI, op. cit., pag. 460.
[87] Così in giur. Cass. 12 maggio 2000 n. 6099, in Giust. civ. 2001, I, pag. 1927 con nota di M. GATTI, Riflessioni in merito alla retroattività della legge processuale civile ed atti già perfetti nella vigenza della normativa anteriore: principio del "terzo binario" e Corte cost. 4 aprile 1990 n. 155 in Giur. cost. 1990, I, pag. 952 ss. In dottrina v. B. CAPPONI, op. cit., pag. 454 s..
[88] La considerazione del singolo atto processuale ai fini dell'applicazione della regola può ritenersi un punto sostanzialmente acquisito. V. al riguardo B. CAPPONI, op. loc. cit., il quale giustamente rileva che, se il tempus regolatore del diritto processuale applicabile dovesse determinarsi nel momento in cui il giudice assume una decisione, ciò equivarrebbe a consentire un'indiscriminata applicazione retroattiva della norma processuale sopravvenuta ai processi in corso e, in particolare, agli atti già compiuti: conclusione questa manifestamente contraria all'art. 11 preleggi e non sorretta da alcuna valida razionale giustificazione. V. inoltre R. CAPONI, L'efficacia, cit., par. 4.
[89] La regola di giudizio enunciata nel testo non individua peraltro (ma presuppone già individuato dall'interprete) l'atto o fattispecie cui deve imputarsi un determinato effetto giuridico, il che, come osserva A. PROTO PISANI, op. loc. ult. cit., dà luogo in materia processuale a notevoli difficoltà, viste la "ricorrenza nella realtà di ben note figure della dommatica giuridica, quali il procedimento e la fattispecie a formazione successiva", la "esigenza di isolare in una pluralità di fatti quali siano la causa e quali l’occasione della produzione di un individuato effetto giuridico" e la "relatività delle nozioni di fatto-causa e di effetto, la quale fa sì che un fatto si profili ad un tempo come la causa di un secondo e l’effetto di un terzo".
[90] In dottrina la regola del necessario coordinamento di vecchio e nuovo rito, con conseguente ultrattività della norma abrogata è enunciata da S. LA CHINA, op. cit., pag. 433 ss. e ripresa espressamente da B. CAPPONI, op. cit., pag.455, nel testo e alla nota 56, da R. CAPONI, L'efficacia, cit., par. 5 ("In questa variante, la massima tempus regit actum significa anche tempus regit effectum e implica il rispetto degli effetti sorti alla stregua della norma anteriore, indipendentemente dal fatto che essi si siano o meno concretizzati in contegni umani conformi alla regola di condotta"). In giurisprudenza v. Corte cost. 26 gennaio 1988 n. 82 (jus novorum in appello in una controversia di lavoro), in Giur. cost. 1988, I, p. 248 ss. e in Foro it. 1988, I, c. 3215 con nota di DONATI. Applica altresì il criterio della salvaguardia delle posizioni acquisite Cass. 12 maggio 2000 n. 6099 cit. (sospensione del termine per ricorrere per cassazione in pendenza del giudizio di revocazione).
[91] V. in tal senso E. REDENTI, op. cit., pag. 129; A. MASSARI, op. cit., spec. pagg. 377 s.; E. GRASSO, op. cit., spec. pag. 688.
[92] La citazione nel testo proviene da E. REDENTI, op. cit., pag. 128; nello stesso senso v. anche A. MASSARI, op. cit., pag. 384; F. MAZZARELLA, Contributo allo studio del titolo esecutivo, Milano 1964, pag. 76; P. CASTORO, Il processo esecutivo nel suo aspetto pratico, IX ed., Milano 2002, pag. 22; G. PETRELLI, op. cit., spec. 546 e ivi nota 25. V. anche R. VACCARELLA, Titolo precetto opposizioni, cit., pag. 9 ss. e passim per l'evoluzione storica della dottrina dei titoli esecutivi stragiudiziali a partire dal brocardo "confessus pro judicato habetur" e dall'ormai superata qualificazione dell'attività notarile come giurisdizione volontaria.
[93] Vedi, per uno spunto in tal senso, riferito ai provvedimenti giurisdizionali ma estensibile anche ai titoli stragiudiziali, S. LA CHINA, op. cit., 438: « … pur nella povertà di specifiche indicazioni normative, non v'è difficoltà a ritenere che l'esecutività dei provvedimenti giurisdizionali … siano regolati immediatamente dalla legge sotto la cui vigenza vengono emanati ».
[94] Lo stesso art. 474 c.p.c. – "l'azione esecutiva non può aver luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile" – offre buona riprova di quanto sostenuto nel testo, regolando il decorso del tempo (esigibilità) quale requisito ulteriore dell'azione esecutiva che si aggiunge, senza ovviamente sostituirsi, all'esistenza e possesso del titolo. Riprendendo le indicazioni sistematiche delineate da A. PROTO PISANI, op. loc. ult. cit., potrebbe dirsi che l'atto-documento con valore di titolo è il fatto costitutivo (causa) dell'azione esecutiva (effetto), la quale può esercitarsi solo a condizione (occasione) che il tempo dell'adempimento sia decorso.
[95] È appena il caso di ricordare che l'apposizione della formula non è condizione di esistenza dell'azione esecutiva – tanto è vero che le eventuali irregolarità devono farsi valere con opposizione agli atti esecutivi e non all'esecuzione – limitandosi a sanzionare solennemente un attributo che già è inerente al titolo. A fortiori la formula non attribuisce valore di titolo a un atto che ne sia sprovvisto. Dottrina e giurisprudenza unanimi: v. ex multis A. MASSARI, op. cit., pag. 387 e R. VACCARELLA, Titolo, precetto, opposizioni, cit., pag. 186. L'unica voce dissenziente è quella di E. GRASSO, op. cit., pag. 695.
[96] Al parere aderisce, senza ulteriori approfondimenti, la cit. circolare dell'Ufficio centrale degli archivi notarili: "In assenza di specificazioni della norma stessa, si ritiene, poi, che, successivamente all'entrata in vigore della novella, possono valere come titolo per l'esecuzione forzata anche quelle scritture in cui le firme siano state autenticate prima dell'entrata in vigore della legge 80/2005, per cui possono essere rilasciate copie esecutive anche di tali titoli, ove conservati".
[97] C. CACCAVALE – G.A.M. TRIMARCHI, op. cit., pag. 148 s..
[98] In tal senso anche P. FAUSTI, op. cit., nel testo e alla nota 15, il quale rileva nel testo che "l'apposizione della formula esecutiva non è atto vietato" e in nota che anche il mancato rilascio del titolo potrebbe dare causa a responsabilità professionale nei confronti dell'avente diritto al rilascio e che la responsabilità, nei confronti di ambo le parti, deve in ogni caso ritenersi esclusa in caso di obiettive ragioni di incertezza interpretativa.
[99] Nel medesimo senso anche G. PETRELLI, op. cit., pag. 562, alla nota 118. Sull'intervento dei creditori nell'esecuzione e la distribuzione del prezzo, vedi i commenti agli artt. 499 e 510 c.p.c., rispettivamente di F. DE STEFANO ed E. ASTUNI in Le nuove modifiche al processo esecutivo di cui alla legge n. 263/2005: note a prima lettura, cit., pagg. 23 ss. e 90 ss.
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