LA TASSAZIONE DEGLI ATTI DI DESTINAZIONE E DEI TRUST NELLE IMPOSTE INDIRETTE
LA TASSAZIONE DEGLI ATTI DI DESTINAZIONE E DEI TRUST NELLE IMPOSTE INDIRETTE
di Susanna Cannizzaro – Thomas Tassani
Consiglio Nazionale del Notariato - Studio n. 58-2010/T
Pubblicato in studi e Materiali 2/2011, 541
1. Presupposto, oggetto e soggetto passivo dell’imposta sulle successioni e donazioni: i vincoli di destinazione
Com’è noto l’art. 2 del d.l. 3 ottobre 2006 n. 262, come modificato in sede di conversione, ha “re-istituito” «l’imposta sulle successioni e donazioni, sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione».
Le innovazioni testuali più rilevanti, consistenti nella sostituzione degli “atti a titolo gratuito” alle “altre liberalità tra vivi” e nell’aggiunta “e sulla costituzione di vincoli di destinazione”, sono il risultato della trasposizione senza sostanziali modifiche, nei commi 47 e 49 dell’art. 2 l. 286/2006, delle espressioni già contenute nell’art. 6, comma 5 d.l. 262/2006, ispirato dall’originario intento di inserire definitivamente l’imposizione delle successioni e delle donazioni nella struttura e quindi nella sistematica del tributo di registro (1).
Secondo alcuni l’inserimento delle nuove fattispecie nella sistematica di un diverso tributo ha implicato una drastica limitazione della valenza normativa delle proposizioni appena individuate. In particolare, l’ampliamento del presupposto del tributo con la previsione della fattispecie “costituzione di vincoli di destinazione”, prevista come autonomo oggetto di imposizione, risulta incompatibile con qualsiasi razionale ricostruzione della ratio del tributo sulle successioni e donazioni e dei suoi presupposti (2), tanto che la stessa Agenzia delle Entrate ha adottato un’interpretazione “adeguatrice”, già proposta dalla dottrina (3), secondo cui la costituzione dei vincoli di destinazione dà luogo ad applicazione dell’imposta solo se comporta “trasferimento di beni e diritti” (4).
Quanto all’espressione normativa “trasferimento di beni e diritti” v’è da precisare che, secondo quanto sostenuto in dottrina, tale formula deve essere riferita al complesso degli effetti giuridici che determinano un incremento patrimoniale, cosicché assume rilievo, nell’individuazione del presupposto dell’imposta in considerazione, non il singolo atto nei suoi profili strutturali o per la sua causa, ma un complesso di effetti giuridici, riconducibili alle nozioni di attribuzione o di “effetto liberale”, che implicano incremento stabile, misurabile in moneta, di un dato patrimonio e correlato decremento di un altro (5).
Tale interpretazione risulta avvalorata laddove si ponga mente al disposto del comma 49 dell’articolo 2 della legge di conversione del decreto innanzi menzionato il quale prescrive che “per le donazioni e gli atti di trasferimento a titolo gratuito di beni e diritti e la costituzione di vincoli di destinazione di beni l’imposta è determinata dall’applicazione delle seguenti aliquote al valore globale dei beni e dei diritti al netto degli oneri da cui è gravato il beneficiario….”.
Le aliquote d’imposta, ai sensi del successivo comma 50, peraltro, sono modulate in funzione del grado di parentela del disponente con il beneficiario.
Pertanto, da una parte la norma riunifica nel medesimo presupposto di imposizione, le donazioni, gli atti di trasferimento a titolo gratuito di beni e diritti e la costituzione di vincoli di destinazione, dall’altra determina la relativa aliquota d’imposta in base al rapporto di parentela, di affinità o meno del “beneficiario” con il disponente, facendo intendere chiaramente che per applicare l’imposta in oggetto, debba esserci un beneficiario “finale” della disposizione, naturalmente diverso dal disponente, in ordine al quale deve essere determinato il grado di parentela e, in conseguenza, l’aliquota applicabile. Il beneficiario “finale” risulta essere, quindi, l’unico soggetto passivo dell’imposta. Solo in capo a quest’ultimo, infatti, si producono stabilmente quegli incrementi patrimoniali che costituiscono presupposto del tributo in considerazione.
Così ragionando, non possono essere incluse nella fattispecie imponibile dell’imposta sulle donazioni tutte le ipotesi di trasferimenti di situazioni giuridiche soggettive a contenuto patrimoniale con funzione solo “strumentale” alla realizzazione di assetti finali “onerosi”. Ma, anche laddove l’assetto negoziale complessivo risulti ordinato a risultati liberali, il trasferimento “iniziale” non giustifica, di per sé, l’applicazione dell’imposta, in quanto l’indice di capacità contributiva, si realizzerà solo successivamente (6).
2. I vincoli di destinazione “ puri e semplici”
A differenza delle altre fattispecie assoggettate alla “neoistituita” imposta (la disposizione di cui al comma 47 dell’art. 2 del d.l. 262/2006 si riferisce espressamente ai “trasferimenti di beni e diritti … per donazione o a titolo gratuito”) la costituzione di vincoli di destinazione sembrerebbe rilevare come autonoma fattispecie assoggettabile all’imposta. Tuttavia, s’è più sopra illustrato che il presupposto del tributo in esame risulta integrato laddove si verifichi un arricchimento effettivo e definitivo nel patrimonio di un soggetto (che, come tale, risulta essere il beneficiario) connesso ad un trasferimento di ricchezza. Simile effetto non potrebbe essere prodotto dalla mera costituzione di un vincolo di destinazione, poiché quest’ultimo è un atto di per sé neutro. Gli atti di destinazione, infatti, imprimono un vincolo di destinazione ai beni che sono oggetto di essi, senza alcuna altra ulteriore conformazione. Essi sono volti a creare tale vincolo, a prescindere dal fatto, ma senza escluderlo, che la destinazione possa integrarsi con una previa o posteriore attribuzione dei beni stessi. Quindi risulta essenziale, per la configurazione della fattispecie, solo la volontà di destinazione a un certo scopo (7).
Agli effetti fiscali, gli atti di destinazione puri e semplici – con i quali il costituente imprima un vincolo di destinazione ad un suo bene, mantenendolo di sua proprietà - non sembrerebbero quindi rivelatori di alcuna capacità contributiva. Pertanto, è possibile ritenere che tali atti siano assoggettabili all’imposta di registro in misura fissa e, qualora siano trascrivibili, scontino l’imposta ipotecaria anch’essa in misura fissa (8). Tale ricostruzione è riferibile agli “atti neutri” (9), atti, cioè, che hanno solo un effetto destinatorio con conseguente effetto segregativo del bene, il quale rimarrà nel patrimonio del conferente (10).
La “neutralità” ai fini fiscali della costituzione del vincolo, tuttavia, non sembra prospettabile in tutti i casi, ma solo in quelli in cui il vincolo medesimo sia costituito a favore dello stesso soggetto disponente.
Laddove invece la costituzione sia finalizzata al perseguimento degli interessi di un soggetto terzo rispetto al disponente e ad essa si accompagnino ulteriori “disposizioni attributive” (oltre alla mera “segregazione”) l’Agenzia delle Entrate sembra orientata a ritenere - anche nel caso in cui la costituzione del vincolo non importi il trasferimento di un bene o diritto - che con la segregazione patrimoniale, operata tramite la costituzione del vincolo, s’intenda realizzare un determinato fine, generalmente individuabile nell’arricchimento di uno o più soggetti cui sono devoluti i risultati conseguiti con la destinazione medesima. Con riferimento all’ipotesi di fondo patrimoniale costituito con beni di un terzo che se ne riserva la proprietà si è rilevato, infatti, che, sebbene non si verifichi alcun effetto traslativo della piena proprietà dei beni conferiti, dalla costituzione del fondo deriva per i coniugi il vantaggio, di carattere economico, di utilizzare i frutti prodotti dai beni che vi sono destinati, i quali, pertanto, dovrebbero essere sottoposti a tassazione con l’imposta di donazione applicando analogicamente l’art. 17 del d.p.r. 346/1990, alla stregua di una rendita (11).
2.1 (segue) I vincoli di destinazione cui si accompagna un trasferimento. I trasferimenti “strumentali” e “finali”
Una volta esaminata l’ipotesi degli atti di destinazione “puri”, cioè senza alcun trasferimento della proprietà del bene su cui incide il vincolo, dobbiamo ora occuparci, del caso in cui alla costituzione del vincolo si accompagni un negozio di trasferimento della proprietà del bene vincolato inter vivos, a titolo gratuito.
Nella complessa vicenda negoziale in cui il vincolo s’inserisce, possono essere previste attribuzioni strumentali del bene su cui incide il vincolo stesso, ad un soggetto attuatore (12).
In questi casi, tale ultimo soggetto acquista la titolarità del bene, ma non è in suo favore che il vincolo di destinazione è costituto, né l’incremento di cui s’è più volte detto si produce nel suo patrimonio con il carattere della stabilità. In tale ipotesi, infatti, egli consegue una proprietà finalizzata all’espletamento del compito che si è obbligato a svolgere (13).
In proposito occorre rilevare, in primo luogo, come già si è evidenziato in epigrafe, che i trasferimenti in questione, benché gratuiti, potrebbero non essere rilevanti ai fini del tributo in questione perché realizzativi di assetti finali onerosi. Ma anche laddove l’atto possa essere incluso nell’ambito di un negozio o di una sequenza negoziale diretta alla produzione di un effetto liberale, risulta comunque difficilmente sostenibile che l’attuatore possa considerarsi soggetto passivo del tributo successorio, poiché tale effetto non si produce nel suo patrimonio.
La costituzione del vincolo di destinazione e l’attribuzione del bene al soggetto attuatore costituiscono solo il mezzo per la realizzazione del programma voluto, che è quello di attribuire un vantaggio patrimoniale ai soggetti a favore dei quali il vincolo stesso è disposto. Il trasferimento, in questi casi, è meramente strumentale alla realizzazione di un effetto finale successivo (14) che (pure nel caso del vincolo di destinazione, oltre che nel trust) potrebbe essere rappresentato dall’attribuzione definitiva del bene ad uno o più beneficiari, a seconda del variabile atteggiarsi del negozio in concreto posto in essere. Muovendo da questo presupposto, per individuare il regime fiscale cui è soggetto l’atto negoziale in cui l’effetto dispositivo-destinatorio si accompagna ad un effetto traslativo, occorrerà in primo luogo aver riguardo alla finalità per cui lo stesso negozio (complessivamente considerato) è posto in essere.
Conseguentemente, laddove sia già previsto nel programma negoziale il trasferimento finale di un bene ad un soggetto terzo rispetto al disponente ed anche all’attuatore, coerentemente a quanto sostenuto in ordine al presupposto del tributo in esame e seguendo la tesi che si sta profilando in parte della giurisprudenza più recente in materia di tassazione del trust (15), il trasferimento strumentale dovrebbe risultare fuori dal campo di applicazione dell’imposta di donazione, la quale dovrebbe essere applicata solo al momento dell’eventuale trasferimento al beneficiario finale ovverosia al prodursi dell’effetto liberale.
Seguendo invece la tesi proposta dall’Agenzia delle Entrate per quanto attiene al trust, laddove al beneficiario sia riconosciuto un diritto certo e determinato, il negozio, potrebbe essere immediatamente assoggettato all’imposta di donazione, da corrispondersi in via di “anticipazione” e da modularsi sull’eventuale rapporto di parentela tra disponente e beneficiario finale, senza che il trasferimento strumentale assuma alcun rilievo (16). Quest’ultima soluzione, se adottata, non rimarrebbe comunque esente da critiche. Si può infatti rilevare che nel sistema dell’imposta in discussione il meccanismo dell’“anticipazione” è previsto solo per i trasferimenti mortis causa (e non anche per quelli inter vivos), laddove il soggetto sia già in possesso dei beni e sia quindi possibile non solo l’automatico acquisto, a breve termine, della qualità di soggetto passivo dell’imposta (17), ma sia anche prevedibile la misura dell’imposta stessa. Nel nostro caso, invece, il lasso di tempo (generalmente lungo) intercorrente tra la costituzione del vincolo e l’eventuale devoluzione finale dei beni, rende incerto, perlomeno nel quantum, il diritto spettante al futuro beneficiario (18) e, pertanto, anche la misura dell’imposta da esso definitivamente dovuta, con la conseguenza che la capacità contributiva colpita potrebbe rivelarsi non più attuale al momento del verificarsi del presupposto (19). La misura della devoluzione dipenderà, infatti, dalla gestione che dei beni stessi verrà fatta durante la vita del vincolo (20).
L'amministrazione finanziaria, comunque, si è espressa nella circolare 3/E 2008 ritenendo che nell’ipotesi di vincoli di destinazione traslativi, sarà dovuta l'imposta di successione e donazione con l'aliquota determinata in riferimento al rapporto di parentela o di coniugio eventualmente esistente tra il disponente e il soggetto destinatario del trasferimento, senza che rilevi alcuna distinzione tra trasferimenti strumentali e finali né tra assetti complessivamente onerosi o liberali.
L’amministrazione ha altresì ritenuto che eventuali successivi atti di trasferimento dei beni vincolati ad altri soggetti, indipendentemente da ogni precedente imposizione, sconteranno l'imposta di successione e donazione ovvero l'imposta di registro a seconda degli effetti giuridici prodotti dall'atto stesso.
Al riguardo occorre rilevare che seguendo tale tesi si giunge all’iniquo risultato di trattare diversamente sotto il profilo fiscale i trust con beneficiario e i vincoli di destinazione “atipici” (21) che ne ricalchino lo stesso schema (22).
A ben vedere, però, l’affermazione sopra riportata benché riferita ad ogni ipotesi di vincolo di destinazione “traslativo” sembra tuttavia ricavarsi dall’esame di una fattispecie “tipica” di vincolo ovverosia del fondo patrimoniale, a cui l’amministrazione stessa si riferisce nell’indicare, a titolo esemplificativo, le ipotesi di vincoli “traslativi” (circ. 3/E 2008 par. 5.2). In particolare l’Agenzia ha riguardo all’ipotesi del fondo patrimoniale costituito con beni di un terzo o di uno solo dei coniugi che non se ne riservano la proprietà. Contrariamente a quanto sembra affermarsi nella circolare menzionata, in questi casi l’applicazione del tributo sulle donazioni appare giustificata non già in ragione del prodursi del mero effetto traslativo e della natura gratuita dell’atto, ma in funzione della realizzazione di un assetto finale e di un risultato liberale. In altri termini l’attribuzione in queste ipotesi non risulta meramente strumentale, ma determina quell’arricchimento rilevante ai fini dell’imposta in considerazione (23).
Non si giustifica, in quest’ottica, l’accomunamento, quanto al trattamento fiscale, dell’ipotesi appena esaminata con quella del trasferimento dei beni dal fiduciante al fiduciario (ipotesi anche questa ricompresa nella categoria dei vincoli “traslativi”), su cui si vedano le considerazioni dell’Amministrazione contenute nella circolare 3/E più volte menzionata, pur temperate dalla successiva circ. 28/E 2008 (24). Il trasferimento in quest’ultimo caso, non realizza un assetto finale ma sembra essere, invece, strumentale all’attuazione dell’effetto obbligatorio di gestione del bene (25).
La tesi sostenuta dall’amministrazione, quindi, potrebbe trovare un correttivo se l’imposizione proporzionale con il tributo sulle donazioni venisse limitata alle sole ipotesi, tra quelle già considerate, in cui il trasferimento realizza un effetto liberale.
L’adozione di specifiche tecniche redazionali come l’apposizione di una condizione risolutiva al negozio di destinazione traslativo, ove l’evento condizionante sia costituito dalla realizzazione degli scopi della destinazione, con la previsione di precisi indici di determinazione dell’evento, potrebbe poi escludere anche l’imposizione su eventuali attribuzioni successive a carattere restitutorio a favore del disponente (26).
3. La tassazione del trust ai fini della imposta sulle successioni e donazioni secondo l’Agenzia delle Entrate
Secondo l’Agenzia delle Entrate (circolare n. 48/E/2007, circolare n. 3/E/2008), l’atto di costituzione del trust, che realizza il trasferimento della proprietà dei beni segregati, integra la fattispecie impositiva del tributo sulle successioni e donazioni.
Qualora, invece, l’atto istitutivo di trust non sia anche atto di dotazione patrimoniale, avvenendo la segregazione dei beni in un momento successivo, lo stesso, se redatto per atto pubblico o scrittura privata autenticata, è tassato con imposta fissa di registro, ai sensi dell’art. 11, Tariffa, parte prima, allegata al TUR, in quanto atto privo di contenuto patrimoniale.
L’interpretazione fornita dall’Amministrazione finanziaria vede emergere la unitarietà causale del trust, ai fini dell’imposizione indiretta, e quindi dei diversi momenti giuridici e diversi effetti traslativi.
L’Agenzia mostra di considerare la costituzione del vincolo di destinazione quale fattispecie impositiva autonoma, in grado, quando accompagnata dal trasferimento di beni, di comportare l’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni.
Simile impostazione, insieme alla considerazione del trust quale “rapporto giuridico complesso con un’unica causa fiduciaria che caratterizza tutte le vicende del trust”, ha condotto a ritenere che il presupposto si realizzi solo nel momento della costituzione del vincolo con contestuale trasferimento della titolarità giuridica dei beni. (27)
Il supporto teorico di simile interpretazione è quello, fatto proprio anche da parte della dottrina, secondo cui il trust sarebbe idoneo, in quanto “vincolo di destinazione”, a realizzare “una prospettiva, giuridicamente inequivoca e suscettibile di tutela, di un vantaggio patrimoniale tangibile in favore del soggetto beneficiario, diverso dall'autore del vincolo funzionale”. (28)
A livello applicativo, ciò comporta l’immediata imposizione, all’atto della costituzione del vincolo, senza dover attendere i successivi atti di attribuzione, eventualmente posti in essere anche a notevole distanza di tempo. (29)
Ogni successiva attribuzione ai beneficiari risulta, infatti, irrilevante ai fini del tributo in oggetto, sia nel caso in cui il trasferimento riguardi gli stessi beni segregati, sia quando ai beneficiari vengano trasferiti gli “incrementi” del patrimonio del trust. (30)
Non solo, ma la valorizzazione del momento in cui il vincolo è costituito in funzione dell’arricchimento futuro, comporta che per la determinazione dell’imposta dovuta e, quindi, per individuare l’aliquota applicabile, le franchigie, così come le fattispecie di esenzione (31), occorre considerare il rapporto tra il disponente ed il beneficiario.
Nei casi di trust senza beneficiari diretti (come è nei trust di scopo), così come quando non vi è nessun rapporto di parentela tra i soggetti indicati, la tassazione si realizzerebbe, secondo l’Agenzia, con l’aliquota più elevata, senza applicazione di franchigie.
In modo molto chiaro la circolare n. 3/E/2008 ha affermato che il rapporto tra disponente e beneficiario deve essere considerato all’atto della segregazione del patrimonio, il beneficiario dovendo essere determinato in questo momento.
Quando, invece, all’atto della segregazione il beneficiario non sia ancora determinato (per esempio, nelle ipotesi in cui il disponente si riserva di nominare il beneficiario o quando l’atto istitutivo prevede una successiva individuazione da parte del trustee), l’imposizione non può tenere conto di alcun legame di parentela e sarà, di conseguenza, quella più elevata.
Nelle pagine che seguono, si cercherà di mettere in luce alcuni profili di criticità che possono derivare dalla interpretazione dell’Agenzia, alla luce della giurisprudenza di merito formatasi negli ultimi anni, e di valutare quali soluzioni ermeneutiche alternative siano eventualmente prospettabili. (32)
4. Problematiche derivanti dalla tassazione immediata del trust ai fini dell’imposta sulle successioni e donazione: i trust “di scopo” ed i trust “non liberali”
Con riferimento all’interpretazione della prassi amministrativa, appare certamente problematica la tassazione dei trust c.d. “di scopo” ai fini del tributo in esame.
Se il trust ha per oggetto il perseguimento di un fine e non, invece, l’arricchimento di determinati soggetti (individuati oppure no al momento della istituzione del trust), potrebbe, infatti, non realizzarsi alcun incremento patrimoniale, connesso al trasferimento di ricchezza (33).
Si pensi ad un trust in cui sia stato segregato un immobile ed una somma di denaro, che abbia come scopo quello della promozione della cultura dei diritti umani in Italia.
Il patrimonio verrà utilizzato, ed in ipotesi il bene destinato in modo permanente, per attività (didattiche, di ricerca, artistiche, ecc.) che tipicamente non prevedono la “distribuzione” di ricchezza a soggetti terzi, bensì l’impiego della stessa per il raggiungimento del fine altruistico.
E’ quindi possibile affermare che la costituzione di un trust di scopo, con segregazione dei beni, non determina normalmente la prospettiva certa, sul piano giuridico, di un futuro arricchimento patrimoniale (34).
Affermare la tassazione all’atto della segregazione dei beni, in caso di trust in questo modo connotati sul piano negoziale significherebbe, allora, una sostanziale violazione del principio di capacità contributiva, perché il momento giuridico della costituzione del vincolo (con segregazione dei beni) non coincide con nessuna manifestazione di ricchezza, attuale o futura.
Inoltre, occorre sottolineare che il rilievo della costituzione del vincolo di destinazione, in quanto collegato ad un futuro trasferimento di ricchezza, pone al di fuori del campo applicativo dell’imposta quei trust nei quali i trasferimenti si realizzano nell’ambito di sequenze negoziali onerose.
Sono, per esempio, i casi dei trust di garanzia o con funzioni solutorie oppure preordinati “alla semplice amministrazione di un pacchetto azionario al fine di dare efficacia reale alle pattuizioni contenute in una convenzione parasociale” (35).
L’estraneità di tali trust dal campo applicativo del tributo è stata affermata in dottrina (36) e dalla più recente giurisprudenza di merito.
La sentenza n. 120 del 30/10/2009 della Commissione Tributaria Provinciale di Bologna, in un caso di trust realizzato al fine di costituire una reciproca garanzia tra due soggetti disponenti, ha affermato la sola imposizione fissa di registro per l’atto di trust, data l’assenza sia dell’intento liberale sia dell’arricchimento, ritenute entrambe condizioni fondamentali per integrare il presupposto dell’imposta sulle successioni e donazioni.
Alla stessa conclusione è giunta anche la Commissione Tributaria Provinciale di Pesaro (sentenza n. 287 del 9/8/2010), in un caso di trust con finalità liquidatorie che, ad avviso del giudice marchigiano, non farebbe sussistere “alcun arricchimento patrimoniale dei beneficiari, in quanto l’attribuzione finale dei beni nei loro confronti rappresenta un adempimento del debito che il disponente aveva verso gli stessi e non un arricchimento privo di giustificazione”.
Un altro caso in buona parte analogo è quello esaminato dalla Commissione tributaria provinciale di Lodi (sentenza n. 12 del 12/1/2009), avente ad oggetto un trust istituito da una società, che aveva segregato il proprio patrimonio, affinché il trustee procedesse alla liquidazione nell’interesse dei creditori e dei soci e rispetto al quale l’Agenzia delle Entrate richiedeva la tassazione proporzionale dell’atto di segregazione dei beni in trust, ai fini della imposta sulle successioni e donazioni, con aliquota dell’8%.
La Commissione lombarda ha invece affermato la non applicabilità della imposta sulle successioni e donazioni, visto che nel caso in esame il trust “ha finalità liquidatorie del patrimonio conferito, ed al trustee è concessa la più ampia facoltà di operare con piena autonomia decisionale”. Pertanto, a giudizio della Commissione, “non si ravvisa alcun vincolo di destinazione e non è applicabile l’imposta sulle donazioni” (37).
5. Problematiche derivanti dalla tassazione immediata del trust ai fini dell’imposta sulle successioni e donazione: il beneficiario che sia titolare di una mera aspettativa e l’assenza di un beneficiario determinato
La lettura fornita dall’Agenzia pone un importante problema in tutti quei casi in cui il vantaggio per i beneficiari non si configuri in termini di sicuro arricchimento, di posizione giuridica incontrovertibile e tutelata.
Il che avviene quando il diritto dei beneficiari è sottoposto a condizione (tipico è il caso del bene attribuito al beneficiario se e quando quest’ultimo conseguirà un determinato risultato, come per esempio il diploma di laurea, il matrimonio, ecc.), come pure in talune ipotesi di trust discrezionale in cui non sia certa la futura attribuzione a beneficiari (38).
In simili circostanze, la legittimità dell’imposizione al momento della costituzione del vincolo non appare giustificabile, visto che, proprio per la specifica struttura negoziale del trust, non è possibile considerare quest’ultimo espressivo di un incremento patrimoniale certo, ancorché futuro, connesso al trasferimento di ricchezza.
Sembrerebbe invece maggiormente coerente, nelle fattispecie considerate, applicare in via analogica l’art. 58, secondo comma, d.lgs. 346/1990, e rinviare l’imposizione al momento della attribuzione al beneficiario o, quanto meno, al momento in cui è determinata la posizione giuridica del beneficiario stesso.
Tale è peraltro la soluzione accolta dalla giurisprudenza di merito.
In particolare, si segnalano le sentenze della Commissione Tributaria Provinciale di Caserta (n. 481 dell’11/6/2009) e della Commissione Tributaria Provinciale di Bologna (n. 120 del 30/10/2009, nelle quali si afferma che, quando i beneficiari del trust siano titolari di una mera aspettativa giuridica, la tassazione deve avvenire considerando il diritto del soggetto come sottoposto a condizione sospensiva, mancando del tutto l’arricchimento tassabile; con applicazione della imposta fissa di registro, ai sensi dell’art. 58, comma 2, d.lgs. n. 346/1990 ed integrazione del presupposto impositivo solo nel momento in cui il trust realizzerà il programma predisposto dal disponente (39).
Considerazioni in parte analoghe sembrano doversi fare per le ipotesi di trust con beneficiari non ancora determinati al momento della istituzione del trust e segregazione dei beni.
Secondo la prassi amministrativa, quando l’individuazione sia rimessa ad un atto successivo (normalmente, del disponente o del trustee), l’imposizione dovrà essere la più elevata, perché nessuna franchigia e nessuna esenzione potrà applicarsi, perché dovrà essere considerata l’aliquota massima dell’8 per cento.
Una simile soluzione appare però criticabile, perché non del tutto in linea con le stesse giustificazioni che stanno alla base della scelta dell’Agenzia di tassare il trust al momento della costituzione del vincolo sui beni segregati.
Scelta che, lo si è visto, si motiva, alla luce del presupposto dell’imposta ed in modo conforme all’art. 53 Cost., solo in quanto sia possibile determinare un collegamento, rilevante giuridicamente, tra la costituzione del vincolo e l’incremento patrimoniale connesso al futuro trasferimento di ricchezza. Collegamento che, nel caso del trust, si evidenzia nella struttura del negozio e che ha alla base l’unitarietà in termini causali delle diverse fattispecie negoziali poste in essere.
In questa prospettiva, l’incremento patrimoniale connesso al trasferimento futuro di ricchezza in favore del beneficiario rappresenta la capacità contributiva colpita dal tributo e la tassazione, che avviene in un momento precedente, si giustifica solo in quanto il vincolo è costituito in funzione di tale successivo trasferimento di ricchezza al beneficiario.
Da una simile ricostruzione teorica dovrebbe discendere, a nostro avviso, che la tassazione non possa prescindere dalla considerazione dei concreti caratteri negoziali del trust e, in particolare, dalla individuazione del beneficiario, che pure può avvenire in un momento successivo rispetto alla segregazione dei beni.
Affermare il contrario significherebbe spezzare quel legame tra tassazione immediata del vincolo e futuro “arricchimento” su cui si regge l’imposizione, sia in termini di costruzione del presupposto, sia in termini di determinazione della base imponibile.
Anche in queste ipotesi, sembra che lo strumento normativo più appropriato per consentire il rinvio dell’imposizione al momento dell’individuazione del beneficiario debba essere quello di cui all’art. 58, secondo comma, d.lgs. 346/90 (40), equiparando la mancata individuazione del beneficiario alla previsione della condizione sospensiva (41).
In quest’ultimo senso, ovverosia in termini contrari rispetto alla soluzione dell’Agenzia delle Entrate si è espressa la Commissione Tributaria Provinciale di Firenze (sentenza n. 30 del 12/2/2009) che ha esaminato il caso della istituzione di un trust, avente ad oggetto beni immobili, con contestuale segregazione e con scadenza definita. Il trust prevedeva che, al termine del medesimo, i beni venissero attribuiti ad un beneficiario finale che però non era già determinato al momento della istituzione del trust, ma solo determinabile.
A seconda del verificarsi di condizioni previste nell’atto istitutivo, beneficiario finale del trust poteva essere il coniuge oppure il figlio oppure altri parenti fino al IV grado.
Ad avviso del giudice fiorentino, oggetto del prelievo, nella imposta sulle successioni e donazioni, è l’incremento netto di ricchezza conseguito dal beneficiario dell’elargizione, quindi l’“effettivo arricchimento”. Tale arricchimento non si realizza con una situazione di mera “aspettativa giuridica”, come nel caso in esame. Con la conseguenza che al momento della stipula dell’atto deve applicarsi la sola imposta fissa di registro, l’imposta proporzionale di successione e donazione potendo applicarsi solo nel momento in cui si verificherà la condizione sospensiva ed il beneficiario dovrà procedere all’obbligo di denuncia di eventi successivi alla registrazione ex art. 19, d.p.r. 131/1986.
6. Problematiche derivanti dalla tassazione immediata del trust ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni: Il trust auto-dichiarato
Secondo quanto afferma la stessa prassi amministrativa l’elemento che invece deve necessariamente verificarsi al momento della costituzione del vincolo, affinché il presupposto si realizzi, è il trasferimento dei beni.
L’Agenzia ritiene, in questo senso, che la “costituzione di vincoli non traslativi non è soggetta all’imposta sulle successioni e donazioni” (Circ. 3/E/2008, par. 5.3.), valorizzando il disposto dell’art. 1, d.lgs. 346/90 che prevede l’applicazione dell’imposta sui “trasferimenti di beni e diritti”.
Ed è proprio sulla distinzione tra vincoli di destinazione non traslativi e vincoli di destinazione traslativi che la circolare da ultimo citata fonda la propria ricostruzione teorica, così come le specifiche soluzioni interpretative (42). Distinzione da cui dovrebbe conseguire l’estraneità al campo applicativo dell’imposta in esame del trust auto-dichiarato. Nella fattispecie non si realizza, infatti, alcun effetto traslativo (43), in quanto il bene rimane nella titolarità giuridica del disponente e non si trasferisce ad un terzo.
La mancata imposizione sulla costituzione del vincolo non traslativo, eventualmente rilevante ai fini del tributo di registro, dovrebbe però completarsi con l’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni in relazione alle successive attribuzioni a favore dei beneficiari [se poste in essere], in quanto atti che naturalmente rientrano nel campo dell’imposta. (44)
L’Amministrazione, invece, ritiene che l’attribuzione dei beni in trust, anche in assenza di formali effetti traslativi, debba essere assoggettata all’imposta sulle successioni e donazioni”.
Esaminando il problema dal punto di vista dell’Agenzia delle Entrate, appare chiaro come la tassazione immediata anche in ipotesi di trust auto-dichiarato riesca a soddisfare esigenze di facilità di applicazione, oltre che di certezza di gettito. Gli Uffici possono in questo modo disinteressarsi delle vicende traslative successive, formalizzate e non, visto che già si è assolta l’integrale imposizione.
Altrettanto chiaro è però che tali considerazioni non possono prevalere sulle esigenze di coerenza sistematica e sul rispetto del principio della capacità contributiva.
7. La valorizzazione del momento del trasferimento “finale” dei beni ai beneficiari come linea interpretativa alternativa a quella dell’Agenzia delle Entrate
La scelta interpretativa dell’Agenzia di considerare rilevante il trust ai fini del tributo sulle successioni e donazioni al momento della segregazione dei beni pone dunque diversi problemi interpretativi.
In primo luogo, dovrebbe affermarsi il non assoggettamento al tributo per i casi di trust c.d. “non liberali”, in quanto in grado di riflettere assetti di interessi sicuramente onerosi.
Inoltre, nelle ipotesi in cui i trust non abbiano beneficiari, oppure questi non siano determinati, oppure non sia individuabile un diritto certo all’arricchimento futuro oppure si tratti di un trust auto-dichiarato, anche volendo seguire l’impostazione dell’Agenzia, dovrebbe comunque affermarsi una imposizione fissa (di registro) al momento dell’istituzione del trust con eventuale tassazione proporzionale (successioni e donazioni) in un momento successivo.
Tuttavia, è anche possibile sostenere che la tassazione al momento della effettiva attribuzione al beneficiario finale debba essere affermata in ogni caso, ossia in ogni ipotesi di istituzione di trust, in questo senso accogliendo una linea interpretativa alternativa a quella avanzata dall’Agenzia delle Entrate che pare trovare già in parte riscontro nella giurisprudenza di merito.
Occorre, in primo luogo, notare come simile impostazione riesca a riflettere le interpretazioni maturate nel sistema previgente dell’imposta sulle successioni e donazioni.
Interpretazioni che muovevano dal rilievo per cui la cessione dei beni al trustee assumerebbe una portata solo “strumentale”, essendo il mezzo per la realizzazione del programma negoziale, per la “realizzazione di un effetto finale successivo rappresentato dall’attribuzione definitiva ai beneficiari” (45). In questo senso, solo l’attribuzione ai beneficiari sembrerebbe essere la fattispecie in grado di manifestare il trasferimento di ricchezza e, dunque, il momento giuridico di realizzazione del presupposto.
Negli anni precedenti l’abrogazione dell’imposta sulle successioni e donazioni, in dottrina si era affermato (46) che, nel caso del trust, l’imposizione dovesse realizzarsi solo al momento delle attribuzioni dal trust fund ai beneficiari, divenendo definitivo ed effettivo il trasferimento gratuito di ricchezza, con rilevazione della capacità economica colpita dal tributo, cui è preordinato il complessivo meccanismo negoziale (47).
L’unitarietà giuridica dei diversi negozi che compongono il trust si fondava sull’intento liberale che è alla base dell’effetto finale dell’arricchimento non oneroso di un soggetto, realizzato per il tramite di diversi strumenti negoziali, aventi causa giuridica differente da quella del contratto tipico di donazione (48).
Si potrebbe ribattere che tale soluzione non sia conciliabile con la formulazione del comma 47 dell’art. 2, d.l. 262/2006, da cui sembrerebbe derivare l’autonomo rilievo della costituzione del vincolo (49).
Tuttavia, la persistente validità della soluzione interpretativa esposta potrebbe affermarsi considerando che la espressa menzione normativa dei vincoli di destinazione dovrebbe, quantomeno con riferimento al trust, essere letta come volontà legislativa di considerare unitariamente il programma negoziale in cui s’inserisce il vincolo e attraverso il quale si realizza l’incremento patrimoniale connesso al trasferimento di ricchezza.
Anche perché, come già rilevato, la lettera della norma non può essere di per sé significativa, visto che la mera costituzione di un vincolo di destinazione non risulta in grado di esprimere nessuna capacità contributiva, tale da giustificare l’imposizione.
Occorre poi svolgere una ulteriore osservazione, di critica all’impostazione dell’Agenzia delle Entrate e che, invece, potrebbe giustificare una tassazione del trust che si concentri (a parte la tassazione fissa di registro) sul solo, eventuale, momento dell’attribuzione ai beneficiari.
L’imposizione proporzionale immediata del trust avrebbe infatti come effetto quello di determinare la tassazione ai fini della imposta sulle successione e donazione su una ricchezza, espressa dal patrimonio segregato, che può non coincidere con il [futuro] vantaggio patrimoniale.
L’ipotesi in cui il bene è conferito in trust ed il beneficiario riceve, in termini di attribuzione, solo e proprio quello stesso bene è, infatti, la più semplice e nemmeno la più diffusa.
E’ però possibile parlare di vantaggi patrimoniali per i beneficiari anche quando si costituisce un trust, segregando uno o più beni, con lo scopo di produrre ricchezza e distribuire le utilità corrispondenti, ma con la previsione della successiva “restituzione” degli stessi beni segregati al disponente. (50)
L’imposizione, in questi casi, sembrerebbe comunque collegata ad una situazione che esprime una capacità contributiva, ossia il futuro vantaggio economico dei beneficiari.
Tuttavia, si deve considerare che l’imposta sulle successioni e donazioni non colpisce genericamente le “utilità economiche” attribuite in occasione del passaggio non oneroso di un bene, ma specificamente l’incremento patrimoniale connesso al trasferimento di ricchezza espressa dal bene trasferito, che rappresenta “il presupposto imponibile, ma anche il parametro di commisurazione del tributo” (51).
In questa prospettiva, non appare soddisfacente, in termini di coerenza logica del tributo (che rappresenta un corollario del principio di capacità contributiva), (52) una interpretazione che giunga ad affermare la tassazione in funzione di un futuro vantaggio patrimoniale, parametrando l’imposta al valore del bene segregato, quando la ricchezza successivamente trasferita non coincida con quest’ultimo.
A meno di non ritenere immediatamente rilevante, in termini impositivi, l’istituzione di trust con segregazione del bene, solo quando sia negozialmente previsto il successivo trasferimento del bene segregato (o, in generale, delle utilità economiche che ne rappresentano il valore, in cui eventualmente il bene è stato convertito) ai beneficiari (53); in tutte le altre ipotesi, quando cioè si prevede l’attribuzione di altri vantaggi ma non il trasferimento del bene, rinviando la tassazione al momento delle effettive attribuzioni ai beneficiari.
Occorre notare che la prospettiva della generalizzazione della imposizione fissa di registro per tutti i casi di trust, con rinvio della imposizione ai fini del tributo successorio al momento dell’effettivo trasferimento di ricchezza, pare emergere dalla stessa giurisprudenza di merito.
A parte le sentenze già citate, estremamente chiare sono le affermazioni della Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, con le sentenze n. 47 e 48 del 30/4/2009.
Secondo il giudice veneto, infatti, la tassazione proporzionale del trust, nelle imposte indirette, può essere affermata solo nel “momento in cui effettivamente si realizza il trasferimento definitivo del patrimonio, a conclusione e scioglimento del trust”.
Invero, “fino a quel momento … l’attribuzione comporta semplicemente una separazione di patrimonio … con una consolidazione finale ed effettiva dell’esito traslativo in quel preciso momento”.
Nel trust “assimilabile a donazione liberale, perciò e infatti solo a quel punto si concreta l’incremento patrimoniale del soggetto come era in animo del disponente, mentre prima, secondo ragione, il fisco può ambire semplicemente alla misura fissa, vista la ancora persistente mancanza di incremento patrimoniale in capo al beneficiario”.
Tali considerazioni sembrano cioè affermare che in ogni caso la costituzione di un trust deve essere tassata con imposta fissa di registro, per rinviare l’imposizione proporzionale al momento dell’effettivo arricchimento del beneficiario. Ciò non solo nelle ipotesi, prima esaminate, in cui i beneficiari siano, nell’atto istitutivo del trust, non determinati o abbiano solo una generica aspettativa.
E’ facile notare come tale soluzione comporterebbe un totale ribaltamento di quella data dalla prassi amministrativa.
Non solo con riferimento all’imposta di registro ed all’imposta sulle successioni e donazioni, ma anche alle imposte ipotecarie e catastali.
Secondo il giudice veneto, infatti, la segregazione dei beni in trust non sarebbe in grado di comportare un “effetto traslativo pieno e perfetto”, che resta invece “condizionato all’obiettivo finale”. Fino a tale momento, “rimane dunque in essere un fenomeno di separazione patrimoniale al più vario scopo e titolo, che per certo toglie provvisoriamente la disponibilità gestionale al disponente… ma non altera definitivamente consistenze e capacità degli interessati”, derivandone la non applicazione delle imposte proporzionali ipotecarie e catastali, ma la sola imposizione in misura fissa. In senso, quindi, del tutto opposto a quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate, secondo cui ogni trasferimento immobiliare dal disponente al trustee e dal trustee al beneficiario deve essere tassato secondo le ordinarie aliquote delle imposte ipo-catastali.
8. La soggettività del trust
Nella circolare n. 3/2008, l’Agenzia delle Entrate ha sostenuto la soggettività passiva del trust ai fini della imposta sulle successioni e donazioni.
La conclusione risulta però fortemente criticabile, per diversi motivi.
In primo luogo, per l’assenza di una espressa scelta legislativa nel tributo in esame e, in generale, nelle imposte indirette, che dovrebbe portare l’interprete a riferirsi proprio alle ricostruzioni civilistiche in tema di soggettività (54).
In secondo luogo, non sembra neppure possibile estendere la soluzione legislativa a favore della soggettività del trust che è stata adottata con la modifica all’art. 73, Testo Unico delle Imposte sui Redditi. Non solo perché non esiste alcun principio che imponga la uniformità delle soluzioni interpretative nei diversi tributi, ma anche perché la stessa scelta di soggettivare il trust ai fini Ires appare legata ad una “esigenza tecnica”, e quindi di “compromesso”, (55) piuttosto che ad un riconoscimento avente simile portata generale.
Come risulta dalla circostanza che il legislatore ha equiparato il trust agli altri enti, commerciali e non, e non lo ha invece espressamente qualificato come ente, mostrando di non ricomprenderlo nella definizione, questa sì generale, di cui all’art. 73, secondo comma, Tuir, delle “altre organizzazioni non appartenente ad altri soggetti passivi, nei confronti delle quali il presupposto dell’imposta si verifica in modo unitario ed autonomo” (56).
Infine, perché occorrerebbe qualificare il trust quale soggetto che, nell’ordinamento giuridico, è in grado di essere titolare di situazioni giuridiche e, quindi, di diritti su beni, mobili ed immobili. Configurazione che, allo stato della legislazione e della prevalente interpretazione di diritto civile, non risulta però prospettabile (57).
Sembrerebbe, invece, maggiormente coerente con la stessa interpretazione dell’Agenzia l’individuazione di una soggettività passiva di tipo strumentale in capo al trustee, il quale sarebbe tenuto al pagamento delle imposte (utilizzando, a questo fine, i beni ed i diritti che compongono il patrimonio segregato), pur non manifestando una propria capacità contributiva (visto che sono i beneficiari diretti a manifestare la forza economica colpita dal tributo), bensì per “fatti o situazioni riferibili ad altri”. Alla stregua, cioè, di un sostituto d’imposta (58). Tuttavia, in assenza di una opzione legislativa in questo senso, non pare la soluzione prospettabile in via interpretativa.
La diversa strada della tassazione al momento dell’effettivo trasferimento di ricchezza (e non, invece, in quello della istituzione del trust, salva l’imposta fissa di registro), consentirebbe invece di individuare nei beneficiari i soggetti passivi dell’imposta, in modo certamente più coerente rispetto allo stesso dato normativo, che all’art. 5 individua negli “eredi”, “legatari”, “donatari” e “beneficiari” i soggetti passivi dell’imposta.
9. Trust e agevolazioni fiscali
Per ciò che attiene l’applicabilità delle agevolazioni fiscali, l’Agenzia delle Entrate, considerata la possibilità di adattare l’istituto alle molteplici esigenze del disponente, ha ritenuto che l’applicabilità delle norme agevolative vada valutata caso per caso, tenendo conto del contenuto del negozio risultante dalla legge regolatrice del trust e dalle clausole contrattuali in esso contenute (59).
Simile impostazione è senz’altro da condividersi, soprattutto alla luce della estrema eterogeneità di ratio che caratterizza le diverse norme di agevolazione nel nostro sistema tributario.
Sembra però possibile compiere una prima, preliminare ma necessaria, distinzione, a seconda che si discuta di tassazione (e di norme di agevolazione) ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni oppure ai fini dell’imposta di registro (ed ipo-catastali).
Nell’ambito di un tributo come l’imposta sulle successioni e donazioni appare coerente con la struttura e la ratio dell’imposizione che anche gli elementi in grado di incidere in termini negativi/sottrattivi sul presupposto di imposta e sulla base imponibile siano considerati valutando l’incremento patrimoniale effetto del trasferimento di ricchezza e, quindi, il soggetto che di tale incremento beneficia.
Detto in altri termini, le disposizioni di agevolazione devono trovare applicazione considerando non il trasferimento meramente strumentale dal disponente al trust, che di per sé non appare in grado di esprimere capacità contributiva, bensì il trasferimento a favore del beneficiario e le condizioni soggettive di quest’ultimo.
Tale conclusione, che si impone accogliendo l’impostazione teorica proposta nel presente studio, è in parte stata riconosciuta dalla stessa Amministrazione finanziaria in coerenza con la propria lettura secondo cui la determinazione dell’imponibile e dell’imposta deve essere valutata con riferimento alla posizione soggettiva del beneficiario individuato ed al legame tra quest’ultimo ed il disponente (60).
Diversa appare invece la prospettiva quando si tratti di applicare trattamenti agevolativi in relazione a tributi che colpiscono trasferimenti onerosi di ricchezza. Risulta infatti evidente che gli acquisti onerosi, benché strumentali, compiuti dal trustee, nello svolgimento della propria attività di gestione del patrimonio segregato, risultano già in grado di esprimere la capacità contributiva oggetto della imposizione, con la conseguenza che è agli stessi che occorre riferire eventuali fattispecie di agevolazione.
Non pare si pongano, in questo senso, particolari problemi per il godimento di agevolazioni di ordine “oggettivo”, da valutarsi in relazione al trasferimento oneroso effettuato (ed all’oggetto del medesimo), mentre più difficile è la verifica delle condizioni di tipo soggettivo. Perché, se è innegabile che gli acquisti (o le vendite) sono effettuati dal trustee, è altrettanto vero che la titolarità giuridica di tale soggetto è meramente “formale” o, meglio, “strumentale”, non accompagnandosi alla stessa la facoltà di godimento dei beni e dei diritti.
Occorrerà quindi, di volta in volta, una analisi dettagliata dei presupposti applicativi delle disposizioni di agevolazione, valutando la ratio delle medesime e considerando questi aspetti peculiari dell’istituto del trust.
10. Le imposte ipotecaria e catastale
In materia di imposte ipotecaria e catastale l’Agenzia si è espressa nel senso che le stesse debbano essere applicate in misura proporzionale tanto al momento del passaggio dei beni dal disponente al trustee quanto al momento della devoluzione finale, in quanto considerate quale “corrispettivo per l’esecuzione delle formalità”. Secondo l’amministrazione, dunque, ciò che rileva ai fini dell’applicazione delle menzionate imposte in misura proporzionale è solo la presenza o meno, nella singola fattispecie, dell’effetto traslativo.
Nonostante il testo degli artt. 1 e 10 d.lgs. 347/1990 (T.U. delle imposte ipotecarie e catastali) indichi come “oggetto” delle relative imposte, rispettivamente, le “formalità di trascrizione” e le “volture catastali”, secondo alcuni la fattispecie imponibile coincide, da tempo, con quella delle imposte di registro e sulle successioni e donazioni (61) e la “nuova istituzione” dell’imposta sulle successioni e donazioni ha confermato l’originaria correlazione fra disciplina di quest’ultima e quelle dei tributi “connessi” (62). Seguendo questa logica il presupposto delle imposte ipotecaria e catastale, nei casi esaminati, dovrebbe quindi definirsi con riferimento alla fattispecie già assunta come presupposto dell’imposta sulle successioni e sulle donazioni e la disciplina relativa a tale imposta dovrebbe definire anche i profili soggettivi della fattispecie imponibile. (63)
Muovendo da tale ricostruzione parrebbe dunque logico ritenere che l’applicazione delle imposte in considerazione possa essere effettuata, in misura proporzionale, solo all’atto del trasferimento “finale” tramite il quale si realizza il presupposto del tributo. Anche per l’applicazione delle imposte ipotecaria e catastale, infatti, è necessario che il presupposto d’imposta sia manifestativo di capacità contributiva, talché si comprende come in ipotesi di trasferimento di beni dal disponente al trustee l’arricchimento, che è presupposto del tributo fin qui considerato e, conseguentemente, anche delle imposte ipotecaria e catastale, difetti e che pertanto non appaia appropriata una imposizione della vicenda traslativa con ricorso ai criteri impositivi in misura proporzionale. (64)
11. Conclusioni
Tirando le fila del discorso che s’è fin qui articolato si ritiene, in primo luogo che non possano essere incluse nella fattispecie imponibile dell’imposta sulle donazioni tutte le ipotesi di trasferimenti di situazioni giuridiche soggettive a contenuto patrimoniale con funzione solo “strumentale” alla realizzazione di assetti finali “onerosi”. Ma, anche laddove l’assetto negoziale complessivo sia diretto a risultati liberali, il trasferimento “iniziale” non giustifica, di per sè, l’applicazione dell’imposta, in quanto l’indice di capacità contributiva, si realizzerà solo successivamente.
Il beneficiario “finale” risulta essere, quindi, l’unico soggetto passivo dell’imposta. Solo in capo a quest’ultimo, infatti, si producono stabilmente quegli incrementi patrimoniali che costituiscono presupposto del tributo in considerazione.
In quest’ottica, gli atti di destinazione puri e semplici – con i quali il costituente imprima un vincolo di destinazione ad un suo bene, mantenendolo di sua proprietà - non sembrerebbero quindi rivelatori di alcuna capacità contributiva. Pertanto, è possibile ritenere che tali atti siano assoggettabili all’imposta di registro in misura fissa e, qualora siano trascrivibili, scontino l’imposta ipotecaria anch’essa in misura fissa.
Per l’atto negoziale in cui l’effetto dispositivo-destinatorio si accompagna ad un effetto traslativo, occorrerà aver riguardo alla finalità per cui lo stesso negozio (complessivamente considerato) è posto in essere. Conseguentemente, laddove sia già previsto nel programma negoziale il trasferimento finale di un bene ad un soggetto terzo rispetto al disponente ed anche all’attuatore, il trasferimento strumentale dovrebbe risultare fuori dal campo di applicazione dell’imposta di donazione, la quale dovrebbe essere applicata solo al momento dell’eventuale trasferimento al beneficiario finale ovverosia al prodursi dell’effetto liberale.
Coerentemente con simile impostazione, il presupposto impositivo del tributo sulle successioni e donazioni, relativamente alla costituzione di trust, dovrebbe ritenersi perfezionato solo nel momento dell’effettivo ed attuale trasferimento di ricchezza al beneficiario finale.
Si è tuttavia avuto modo di vedere come tale soluzione non goda del sostegno dell’Amministrazione finanziaria, che invece ritiene perfezionato il presupposto nel momento stesso della costituzione del trust con contestuale trasferimento della proprietà del bene dal disponente al trustee.
La scelta interpretativa dell’Agenzia conduce alla conseguenza di tassare immediatamente il trust, al momento cioè della segregazione dei beni, ed una sola volta, nel senso che i successivi trasferimenti gratuiti ai beneficiari saranno al di fuori del campo applicativo dell’imposta sulle successioni e donazioni.
Il rilievo unitario della sequenza negoziale è poi completato, secondo il pensiero dell’Agenzia, valorizzando il rapporto tra disponente e beneficiario, per quanto attiene la determinazione delle franchigie, delle aliquote e delle fattispecie di esenzione.
Nello studio si è avuto modo di delimitare il campo applicativo della imposta, escludendo le fattispecie di trust “non liberali” e mettendo in luce le contraddizioni in cui cade la stessa Agenzia nelle ipotesi di trust “auto-dichiarato”.
Abbiamo, inoltre, evidenziato come la scelta interpretativa della Amministrazione finanziaria non possa essere condivisa soprattutto nei casi in cui i beneficiari non siano ancora determinati al momento della segregazione dei beni oppure non vi siano affatto (per esempio, nei trust di scopo), per ragioni attinenti alla stessa struttura del tributo.
Proprio in relazione a simili fattispecie, peraltro, la più recente giurisprudenza di merito ha scelto di percorrere strade in larga parte differenti da quelle indicate dalla Agenzia, rinviando l’imposizione ad un momento successivo e ritenendo tassabile l’atto istitutivo del trust (con segregazione dei beni) con la sola imposta fissa di registro.
A tale soluzione la giurisprudenza è giunta sia equiparando la mancata individuazione del beneficiario alla previsione della condizione sospensiva, sia condividendo la soluzione per cui il perfezionamento della fattispecie si verifica solo nel momento della effettiva attribuzione ai beneficiari.
NOTE
(1) Il decreto legge menzionato aveva inserito delle nuove fattispecie impositive nella tariffa allegata al Testo Unico dell’imposta di registro, corrispondenti in parte agli originari presupposti dell’imposta sulle successioni e donazioni. In particolare erano stati inclusi nella tariffa e quindi nel campo di applicazione dell’imposta di registro, le donazioni, gli altri atti a titolo gratuito, compresa la rinuncia pura e semplice, e la costituzione dei vincoli di destinazione. Successivamente, in sede di conversione del predetto decreto legge, il testo della disposizione menzionata è stato completamente sostituito, cosicché le donazioni, gli atti a titolo gratuito e la costituzione dei vincoli di destinazione sono stati inclusi nella sfera di applicazione di una “neoistituita” imposta, disciplinata dalle norme del d.lgs. 346/1990 (testo unico dell’imposta sulle successioni e donazioni) nella formulazione vigente al 24 ottobre 2001. In tema si veda Studio 168/2006/T, est. Friedmann, Ghinassi, Mastroiacovo, Pischetola.
(2) In questi termini si esprime FEDELE, Il regime fiscale di successioni e liberalità, in Trattato breve delle successioni e donazioni, diretto da P. Rescigno coordinato da M. Ieva, Padova, 2010, 593 ss.
(3) È apparso difficile, infatti, “ravvedere, nella costituzione di vincoli di destinazione, una manifestazione di capacità economica, in assenza di un profilo traslativo e di un arricchimento a favore di una determinata sfera patrimoniale” STEVANATO, La reintroduzione dell’imposta, cit., 251.
(4) Cfr. circ. 3/E 2008.
(5) In questo senso FEDELE, op. cit., 596 e 611, che richiama GATT, La liberalità, I,Torino, 2002, 167 ss. L’A. ritiene altresì che se si ammette che l’espressione normativa abbia un tale significato risulta necessariamente ridotta (se non totalmente esclusa) anche la valenza normativa del riferimento alla mera gratuità del “titolo” dei trasferimenti stessi. L’area dell’onerosità eccede, infatti, quella della corrispettività, sia nel contesto di singole strutture negoziali, sia in ragione di complessi collegamenti o procedimenti cosicché non dovrebbero considerarsi rilevanti ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle donazioni i trasferimenti strumentali alla realizzazione di assetti finali onerosi, che rientrano nell’area di operatività dell’imposta di registro. Di diverso avviso sembra STEVANATO, Imposta sulle successioni e donazioni dove eravamo rimasti?, Dialoghi, 2006, 1664 ss. secondo il quale, l’espressa previsione della tassazione degli atti a titolo gratuito e dei vincoli di destinazione, evidenzierebbe la scelta legislativa di ritenere non [più] essenziale l’elemento dello spirito di liberalità nel trasferimento, divenendo rilevante l’oggettivo arricchimento del soggetto beneficiario, in fattispecie caratterizzate dall’assenza di onerosità. In quest’ottica si è evidenziato come il legislatore, nell’individuazione degli arricchimenti rilevanti ai fini dell’imposta in esame, abbia inteso prescindere dall’accertamento dell’animus donandi dettando una disciplina in cui la gratuità dell’atto tiene il luogo dell’accertamento di una liberalità indiretta.
(6) Pertanto l’immediato prelievo del tributo al prodursi del trasferimento strumentale, secondo alcuni, potrebbe costituire al più un’“anticipazione” rispetto al perfezionarsi della fattispecie imponibile, in questo senso FEDELE, op. loc. ult. cit., GAFFURI, Note riguardanti la novellata imposta sulle successioni e donazioni, Rass. trib., 2007, 441 ss. il quale ritiene che proprio in ragione della costituzione del vincolo, con il quale viene preservato il bene e destinato ad un determinato fine, si può giustificare l’imposizione immediata, prima che si determini effettivamente l’arricchimento tassabile.
(7) CONFORTINI, Vincoli di destinazione, in Dizionari del diritto privato, a cura di N. Irti, Milano, 1980, 871 ss.; FUSARO, Destinazione (vincoli di), Dig.IV, Disc. priv., sez. civ., 321. La destinazione patrimoniale opponibile ai terzi, prima della introduzione dell’art. 2645 ter c.c. era limitata ai casi rigorosamente tipici: si andava dalla destinazione dei beni realizzata attraverso la creazione di un nuovo soggetto di diritto (fondazioni o altri enti dotati o meno di personalità giuridica) a quella che si traduceva in un patrimonio separato dal rimanente patrimonio di un altro soggetto (fondo patrimoniale, patrimoni destinati ad uno specifico affare) fino ad arrivare al vincolo di destinazione impresso a beni determinati, ma non assistito dalla separazione patrimoniale. In questo senso di esprime STEFINI, La destinazione patrimoniale dopo il nuovo articolo 2645-ter c.c., in Giur. It. 2008, 1823 ss. Il nuovo articolo 2645 ter, sembra aver introdotto, anche una ipotesi di destinazione “atipica”, secondo alcuni fornendo ai privati uno strumento di diritto interno che possa concorrere con il trust. In questo senso fra gli altri si esprimono STEFINI, op. cit, 1824; LENZI, Le destinazioni atipiche e l’art. 2645-ter c.c., Contr. e impr., 2007, 229 ss.; FALZEA, Riflessioni preliminari, in AA.VV., La trascrizione dell'atto negoziale di destinazione (L'art. 2645-ter del codice civile), a cura di M. Bianca, Milano, 2007, p 3 ss. Fin dalla sua introduzione la disposizione ha suscitato comunque una serie di opinioni discordanti in dottrina, pressoché tutti gli autori che si sono dedicati all’esegesi della norma non hanno mancato di rilevarne l’infelice tecnica legislativa e l’errata sedes materiae. Senza pretesa di completezza si rinvia a PETRELLI, La trascrizione degli atti di destinazione, Riv. dir. civ., 2006, II, 161 c.c.; LUPOI, Gli atti di destinazione nel nuovo art. 2645-ter quale frammento di trust, Riv. Not., 2006, I, 467 ss, GAZZONI, Osservazioni sull’art. 2645 ter, Giust. Civ., 2006, I, 165 ss., QUADRI, L’art. 2645-ter e la nuova disciplina degli atti di destinazione, contr. e impr., 2006, 1717 ss.; VETTORI, Atto di destinazione e trust; prima lettura dell’art. 2645 ter, Obbl. e contr., 2006, 775 ss.; GENTILI, Le destinazioni patrimoniali atipiche, Esegesi dell’art. 2645-ter c.c., in Rass. dir. civ., 2007, 1 ss.; GABRIELLI, Vincoli di destinazione importanti separazione patrimoniale e pubblicità nei registri immobiliari, Riv. dir. civ., 2007, I, 321 ss.; LA PORTA, L’atto di destinazione di beni allo scopo trascrivile ai sensi dell’art. 2645-ter c.c., Riv. not. 2007, I, 1069 ss.
(8) Cfr. circolare 3/E 2008.
(9) Così definiti da SPADA, I negozi di destinazione ex art. 2645-ter c.c. nella dottrina: opinioni a confronto, relazione al convegno “I negozi di destinazione nei principali settori dell’attività notarile”, Catania, 11 novembre 2006.
(10) Tra le ipotesi di destinazione tipiche l’amministrazione include il fondo patrimoniale costituito con beni di proprietà di entrambi i coniugi e con beni di proprietà di uno solo dei coniugi che se ne riserva la proprietà Circ. 221/E 2000; Circ. 3/2008.
(11) cfr. Circ. 221/E 2000. In senso contrario si veda GAFFURI, L’imposta sulle successioni e donazioni, trust e patti di famiglia, Padova, 2008, 167, il quale ritiene che la destinazione vincolata, la quale consista solo nella distribuzione del frutto proveniente dal cespite, sfugge al prelievo sugli atti gratuiti, ovvero non sinallagmatici.
(12) I primi commentatori dell’art. 2645-ter hanno pressoché unanimemente riconosciuto che il vincolo di destinazione può sostenere anche un effetto traslativo a favore di un terzo, funzionale alla realizzazione degli scopi della destinazione. Sul punto LENZI, I vincoli di destinazione ex art. 2645 ter: casi pratici, in Analisi interpretative e novità della circolare 3/E 2008 dell’Agenzia delle Entrate, Atti del Convegno di Roma, 1 marzo 2008, ed ivi i riferimenti in dottrina.
(13) In questo senso cfr. BUSANI, Imposta di donazione su vincoli di destinazione e trust, Corr. Trib., 2007, 362
(14) Si vedano in proposito le considerazioni di FEDELE, Destinazione patrimoniale: criteri interpretativi e prospettive di evoluzione del sistema tributario, in Destinazione di beni allo scopo (Strumenti attuali e tecniche innovative), Milano, 2003, 293 ss., il quale ritiene che solo in quanto realizzi un assetto finale, l’atto in quanto tale, potrà dirsi oneroso ovvero liberale; quello che produce effetti solo “strumentali” è in sé, atto neutro. Si veda anche ID, Il regime fiscale di successioni e liberalità, cit.
(15) Per cui si rinvia al succ. par. 5.
(16) In questo senso GAFFURI, op. ult. cit., 471. L’Autore da un lato ritiene che l’oggetto del prelievo è l’incremento netto di ricchezza conseguito dal beneficiario, dall’altro nota che il fatto imponibile non è il trasferimento che attua la destinazione e quindi l’arricchimento fisico conseguito dal destinatario del patrimonio vincolato, ma, già prima, il diritto certo di conseguirlo. Si è rilevato al riguardo che se il presupposto imponibile non è il “trasferimento” di un bene o diritto ma la mera “destinazione”, allora potrebbe porsi un problema di determinazione della base imponibile, che la legge non disciplina e che spetta quindi all’interprete individuare. Si è altresì condivisibilmente osservato che pur ammettendo la tesi secondo cui il “presupposto imponibile” è la mera apposizione del vincolo e che pertanto il “fatto imponibile” è il diritto certo del beneficiario di conseguire l’“arricchimento fisico” - ne dovrebbe discendere che, se invece tale diritto è incerto, non si genera alcun “fatto imponibile”, cfr. MURITANO –PISCHETOLA, Trust liquidatori e relativi profili impositivi, in Fisco, 2010, 6966 ss.
(17) Il meccanismo dell’anticipazione, consente di operare il prelievo a carico del patrimonio ereditario, prima che si verifichi il presupposto imponibile, nei limiti in cui questo sia già in possesso di quei soggetti, i chiamati, cui la qualifica di soggetto passivo dell’imposta potrebbe competere automaticamente, senza che sia necessaria alcuna altra attività, in seguito all’acquisto della qualità di erede ai sensi dell’art. 485, comma 2 c.c.
(18) Cfr. le considerazioni di Muritano–Pischetola, riportate alla nota precedente.
(19) Oltre che effettiva la capacità contributiva deve essere attuale. Il requisito dell’attualità non è che un aspetto della effettività: il tributo, nel momento in cui trova applicazione, deve essere correlato ad una capacità contributiva in atto, non ad una capacità contributiva passata o futura. Il requisito di effettività impedisce al legislatore anche di imporre pagamenti anticipati di tributi che si collegano a presupposti d’imposta che si verificheranno in futuro; la rigorosa deduzione che si trae dalla premessa deve essere attenuata, quando, ad esempio, il prelievo anticipato non è del tutto scollegato con il presupposto, si pensi agli acconti delle imposte sul reddito dovuti nel corso del periodo d’imposta, quando il presupposto è in corso di formazione Cfr. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, Milano, 2006, 76. La giurisprudenza costituzionale in proposito si è espressa ritenendo che il legislatore possa imporre pagamenti anticipati rispetto al verificarsi del presupposto qualora: a) la fattispecie cui si collega il prelievo anticipato non sia del tutto avulsa dal presupposto (non violi il requisito di effettività); b) l’obbligo del versamento non sia incondizionato (deve essere cioè data la possibilità al contribuente di non versare se prevede di non porre in essere il presupposto); c) alla previsione del prelievo anticipato si deve saldare la previsione di meccanismi di riequilibrio. Cfr. in questo senso Corte Cost. 3 luglio 1967 n. 77, in Giur. Cost. 1967, 982. In dottrina, si dubita comunque che il principio dell’attualità della capacità contributiva venga rispettato nelle ipotesi di eccessiva anticipazione dell’acconto, in quanto un tale meccanismo non consentirebbe al contribuente alcuna affidabile previsione sul tributo che sarà definitivamente dovuto cfr. FANTOZZI, Il diritto tributario, Torino, 2003, 43-44.
(20) È stato chiarito al riguardo, ma con specifico riferimento al trust (di cui si tratterà nel prosieguo) che il diritto di credito spettante al beneficiario non ha ad oggetto il trasferimento del trustee, in favore dei beneficiari, dei beni in trust (e tantomeno dei beni inizialmente trasferiti al trustee), ma il diritto di pretendere dal trustee l’adempimento delle obbligazioni che sorgono a sua carico a seguito dell’istituzione del trust stesso. Tali obbligazioni potranno certo concretarsi nel trasferimento di beni ai beneficiari, ma ciò è solo un effetto indiretto. La regola generale che governa l’attività del trustee è nel senso che egli ha sempre pienezza di poteri, dovendo essere la sua attività volta alla massimizzazione del valore dei beni in trust. È pertanto propria del trust un’attività dinamica in capo al trustee che può condurre e di regola conduce ad una trasformazione dei beni originari in altri. Così Muritano – Pischetola, Considerazioni su trust e imposte indirette, Notariato, 2008, 325.
(21) Intendendosi per tali i vincoli costituiti ai sensi dell’art. 2645-ter.
(22) Ragionando, quindi, nei termini in cui i vincoli di destinazione “atipici” costituiscono uno strumento duttile che si adatta alle varie esigenze concrete, non sembra ragionevole trattare diversamente, sotto il profilo fiscale il negozio in cui il vincolo s’inserisce se lo stesso ricalca lo schema del trust È di questa opinione LENZI, op. cit., in senso analogo D’Errico, I profili sostanziale della circolare 3/E 2008, Fondazione italiana per il Notariato, Atti del Convegno Roma, 1 marzo 2008, 58.
(23) Secondo FEDELE, op. cit., le fattispecie menzionate nel testo sono da ricondursi a negozi tipici produttivi di attribuzioni od effetti liberali, assieme alla dotazione di fondazioni, ai “contributi” a favore di associazioni od altri enti in considerazione dei loro scopi istituzionali (trasferimenti esclusi dal campo applicativo del tributo solo a determinate condizioni, quindi imponibili laddove tali condizioni manchino), all’assoggettamento alla comunione legale dei beni già personali.
(24) Su cui si veda Denora, L'Amministrazione finanziaria torna sul nuovo ambito applicativo dell'imposta sulle successioni e donazioni in relazione ai negozi fiduciari, Segnalazioni Novità Prassi Interpretative in CNN Notizie del 09/04/2008.
(25) Cfr. in tema le considerazioni di BASILAVECCHIA, Le intestazioni fiduciarie: trattamento tributario, in Fondazione italiana per il Notariato, Analisi interpretative e novità della circolare 3/E 2008 dell’Agenzia delle Entrate, Atti del Convegno Roma, 1 Marzo 2008.
(26) Così acutamente rileva LENZI, op. cit., 12, per il quale rimane comunque dubbio se sia più opportuno ricorrere alle suddette integrazioni della fattispecie attraverso l’inserzione di clausole condizionali ovvero riconnettere al negozio di destinazione in sé un trattamento tributario più conforme alla concretezza degli effetti realizzati, considerando il profilo gestorio e il profilo restitutorio come effetti che promanano dallo stesso negozio di destinazione, secondo la configurazione che le parti hanno inteso adottare.
(27) Per la valorizzazione in termini tributari del rilievo unitario dei diversi negozi che compongono il fenomeno negoziale trust, si vedano CONTRINO, Il trust liberale e l’imposta sulle donazioni, in Dialoghi dir.trib., 2004, 461-2; MONACO, Trust: fattispecie ed effetti fiscalmente rilevanti, in Riv.dir.fin.sc.fin., 2002, I, 647 ss.; SALVATI, Profili fiscali del trust, Milano, 2004, 269 ss.
(28) GAFFURI, op.ult.cit., 458. Secondo FEDELE, Il trasferimento dei beni al trustee nelle imposte indirette, Teoria e pratica della fiscalità dei Trust: dottrina, casi e soluzioni operative (Trusts e attività fiduciarie - Quaderni, direttore scientifico M. Lupoi), a cura di FRANSONI, DE RENZIS SONNINO, Milano, 2008, 13 ss. “se limitata ai soli trusts ordinati ad attribuzioni gratuite, l’immediata applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni, laddove siano previsti successivi trasferimenti dei beni in trust ai beneficiari, si giustifica solo in funzione di questi ultimi: si tratta, dunque, in questi casi, di un’anticipazione del tributo rispetto al perfezionarsi della fattispecie che ne giustifica l’applicazione in quanto indice di capacità contributiva, fenomeno peraltro frequente nell’attuazione del tributo successorio”.
(29) GAFFURI, op. ult. cit., 460. L’Autore nota che “la vicenda può concludersi a lunga distanza - come si desume, almeno analogicamente, dall'art. 2645-ter del codice civile, il quale prevede che il vincolo duri anche 90 anni o per l'intera vita di una persona - quando matura il tempo, variamente definito, in cui avverrà la distribuzione del patrimonio e si esaurirà il progetto liberale.”
(30) Nella circolare n. 48/E/2007 si afferma: “poiché la tassazione, che ha come presupposto il trasferimento di ricchezza ai beneficiari finali, avviene al momento della costituzione del vincolo, l’eventuale incremento del patrimonio del trust non sconterà l’imposta sulle successioni e donazioni al momento della devoluzione”.
(31) Si veda la Circ. dell’Agenzia delle Entrate n. 110/E, del 23/4/2009, circa il problema della applicazione della esenzione di cui all’art. 3, comma 4-ter, d.lgs. n. 346/1990, per un caso di segregazione di una azienda in un trust irrevocabile, con coniuge o figli quali beneficiari futuri. Sulla esenzione per i trasferimenti di aziende o rami di aziende e di quote sociali ed azioni, a favore di discendenti e coniuge, si vedano, in generale, BASILAVECCHIA, Le implicazioni fiscali delle attribuzioni ai familiari, Le implicazioni del Patto di famiglia, aspetti sistematici, in AA.VV., Patti di famiglia per l’impresa, Milano, 2006, 194 ss.; MASTROIACOVO, Non è soggetto ad imposizione il passaggio generazionale dell’azienda, in Corr.trib., 2008, 326 ss.
(32) Su tali temi, si vedano anche STEVANATO, Applicabilita' dell'imposta sulle successioni e donazioni ai trusts liberali e liquidatori, in Riv.giur.trib., 2009, 6; GUFFANTI, Problemi fiscali aperti per i trust, in Corr.trib., n. 31/2009; MURITANO-PISCHETOLA, Trust liquidatori.., cit. ID., Considerazioni…, cit., 327-328.
(33) Si rinvia anche a CONTRINO, Imposizione sui vincoli di destinazione (trust commerciali e liberali) tra rilevanza sostanziale della capacità economica e legittimazione processuale del notaio, in Riv.not., 2010, II, 438 ss.; SEMINO, Concordato preventivo e trust, in Trust e att.fid., 2010, 100 ss.
(34) Qualora il trust avesse come scopo quello della erogazione del patrimonio segregato a “terzi bisognosi”, magari individuati genericamente dal disponente ma lasciati alla concreta determinazione del trustee, potrebbe affermarsi una prospettiva futura e certa di un arricchimento altrui, anche se a questa prospettiva non corrisponderebbe una posizione giuridica tutelata del terzo al momento della segregazione dei beni. Sembra però che in questo caso si debba parlare di trust con beneficiari, ancorché indeterminati al momento della istituzione del trust e della segregazione dei beni, piuttosto che di trust di scopo, quantomeno agli effetti fiscali che si stanno esaminando. Si rinvia quindi alle osservazioni svolte nel paragrafo successivo.
(35) Risulta a nostro avviso estraneo dal campo applicativo dell’imposta in esame il caso esaminato, ai fini dell’imposizione diretta, dalla RIS. n. 4/E del 4/1/2008, di trust costituito nell’ambito di una procedura di concordato preventivo di una S.p.a, al fine di destinare il ricavato della vendita alla soddisfazione della massa dei creditori della procedura del concordato preventivo.
(36) FRANSONI, Allargata l’imponibilità dei vincoli di destinazione, in Corr. trib., 2008, 650; MURITANO-PISCHETOLA, op.cit.
(37) Simile soluzione giuridica risulta interessante anche se, a ben vedere, i giudici lombardi avrebbero potuto più agevolmente motivare in base ad un diverso rilievo: il fatto, cioè, che il trasferimento patrimoniale è l’effetto di un negozio di trust che si palesa come oneroso e non liberale, finalizzato alla realizzazione di interessi patrimoniali dei soggetti coinvolti ed alla composizione di precedenti situazioni di debito/credito.
(38) Non pare invece poter avere alcun effetto, nella prospettiva evidenziata, l’apposizione di termini, così come nota FEDELE, Il trasferimento dei beni, cit., par. 5. Per quanto riguarda la problematica dei “beneficiari indeterminati” si vedano le osservazioni che saranno svolte in seguito (paragrafo sesto).
(39) Altra soluzione, teoricamente, potrebbe essere quella dell’applicazione analogica dell’art. 42, primo comma, lett. e), d.lgs. 346/90 e quindi del rimborso della maggiore imposta pagata al momento della segregazione.
(40) Sull’applicazione dell’art. 58, secondo comma, d.lgs. 346/90, si veda NAPOLITANO, Manuale dell’imposta sulle successioni e donazioni, Milano, 1998, 604 ss.
(41) Anche in questo caso potrebbe essere affermata, in via residuale, l’applicazione analogica dell’art. 42, primo comma, lett. e), d.lgs. 346/90 e quindi del rimborso della maggiore imposta pagata al momento della segregazione, rispetto a quella risultante apprezzando il legame di parentela tra beneficiario e disponente, facendo riferimento alla disciplina prevista per il “mutamento della devoluzione”. Si veda, sul punto, FEDELE, Il trasferimento dei beni, cit., par. 7. LUPOI, L’Agenzia delle entrate e i principi sulla fiscalità dei trust, in Corr.trib., 2007, 2789, ritiene che, in caso di mancata individuazione dei beneficiari al momento della segregazione, la tassazione debba essere “rinviata”, ma non in applicazione della regola sugli atti condizionati, bensì perché non sarebbe ancora “completata la fattispecie impositiva”. Sul punto anche COVINO-BARBONE, cit., 1195-6.
(42) Anche se con applicazioni non sempre condivisibili, come è per le intestazioni fiduciarie, sulle quali si vedano le critiche di FRANSONI, op.ult.cit., 647 ss. e le precisazioni interpretative fornite dalla stessa Agenzia nella Circ. n. 28/E del 27/3/2008.
(43) L’affermazione contenuta nella circolare per cui, nel caso in esame, non si avrebbero “formali” effetti traslativi, sembra presupporre una distinzione tra effetti traslativi “formali” e “sostanziali”, che però risulta priva di reale pregnanza giuridica.
(44) CANTILLO, Il regime fiscale del trust, cit., 1047 ss., afferma invece che “a fronte del chiaro disposto normativo, che assume ad autonomo presupposto del tributo il vincolo di destinazione trascritto”, l’imposta è dovuta anche nei casi di trusts auto-dichiarati. Secondo l’Autore dovrebbe però applicarsi l’art. 58, primo comma, d.lgs. 346/90, e considerare rilevante, ai fini della tassazione, l’eventuale obbligo di ritrasferimento al beneficiario, in questo modo evitando la doppia imposizione, liquidando quindi il tributo sul “valore globale dei beni e dei diritti al netto degli oneri di cui è gravato”. Pur se coerentemente esposta, a nostro avviso simile soluzione non risulta pienamente accoglibile perché comporta che in talune ipotesi, come quella descritta nella nota precedente, l’imposizione possa realizzarsi in mancanza di un trasferimento di beni.
(45) Così, COMM.TRIB.REG. di Venezia, sent n. 104, del 23/1/2003.
(46)Si esprimono per la configurabilità di una donazione indiretta nei confronti dei beneficiari finali del trust, STEVANATO, Donazioni e liberalità indirette nel tributo successorio, op. cit.,pag. 187; PISTOLESI, La rilevanza impositiva delle attribuzioni liberali realizzate nel contesto dei trusts, in Riv.dir.fin.sc.fin., 2001, I, 153 ss.; COMM. TRIB. PROV. Treviso, sent. n. 27 del 29/3/2001. Sulle liberalità indirette, si rinvia, per tutti, a SACCHETTO, La donazione nel diritto tributario, in Riv.dir.trib., 1999, I, 1006 ss.
(47) STEVANATO, Donazioni e liberalità indirette nel tributo successorio, Padova, 2000, 184 ss. Si vedano anche le considerazioni di FEDELE, Le innovazioni nella legge n. 342 del 2000. Le definizioni della ratio del tributo. I rapporti con l’imposta di registro, in AA.VV., L’imposta sulle successioni e donazioni tra crisi e riforme, Milano, 2001, 89 ss. Giunge a tale soluzione anche MONACO, op.cit., ma solo nelle ipotesi in cui l’individuazione del beneficiario non sia demandata alla scelta discrezionale del trustee. Sul tema si rinvia a FEDELE, Visione di insieme della problematica interna, in I Trusts in Italia oggi, a cura di Benedenti, Milano, 1996, 284 ss. Sulla possibile rilevanza ai fini del tributo di registro dell’atto segregativo dei beni in trust, nel regime previgente, si rinvia, anche per ulteriori riferimenti bibliografici e giurisprudenziali, a SEMINO, Prime considerazioni, cit., 691 ss.
Simile lettura è sostenuta sulla base del principio che emerge dall’art. 58, comma 2, d.lgs. n. 346/90 (PISTOLESI, op.ult.cit., 163-4; GIOVANNINI, Trust e imposte sui trasferimenti, cit., pag. 1118). Sulla possibilità di applicare la disposizione in materia di "donazione modale" (art. 58, comma 1, del d.lgs. n. 346/1990), GAFFURI-ALBERTINI, Disciplina fiscale del trust: costituzione e trasferimento dei beni, in Boll.trib., 1995, 1706; PALUMBO, Profili tributari dei"common law trusts", in Riv. dir. trib., 1995, I, 210. Occorre inoltre citare la tesi del S.e.C.I.T., Delibera 11 maggio 1998, n. 37 - La circolazione dei trusts in Italia, cit., pag. 11149, secondo cui sarebbe possibile applicare il regime previsto per la sostituzione fedecommissaria, ai sensi dell'art. 58, comma 3, del d.lgs. n. 346/1990. Su questi temi, GIOVANNINI, Trust e imposte sui trasferimenti, cit., 1119-1120; ID., Soggettività tributaria e fattispecie impositiva, Padova, 1996, 421 ss.; STEVANATO, Donazioni e liberalità indirette nel tributo successorio, cit., 181 ss.; PISTOLESI, La rilevanza impositiva delle attribuzioni liberali realizzate nel contesto dei trusts, cit., 152 ss.
(48) Su tali aspetti, in generale, si rinvia a AZZARITI, MARTINEZ, AZZARITI, Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1969, p. 719; CAPOZZI, Successioni e donazioni, Milano, 1982, p. 880; BIANCA, Diritto civile. Il contratto, Milano, 1984, III, p. 459; AVANZINI, La forma delle donazioni, in AA.VV., Successioni e donazioni, a cura di Rescigno, Padova, 1994, II, p. 337.
(49) GAFFURI, Note riguardanti, cit., 458.
(50) O si pensi al caso in cui l’atto istitutivo di trust segreghi un immobile ad uso abitativo ed attribuisca al beneficiario il diritto, reale o personale, di godimento per un determinato periodo di tempo, trascorso il quale il bene sarà ritrasferito al disponente.
(51) GAFFURI, op.ult.cit., 454. Su questi aspetti, in generale, si rinvia a BOSELLO, L’imposta sulle successioni e donazioni, in Tratt.dir.trib, diretto da Amatucci, IV, 2001, 191 ss.; GAFFURI, L’imposta sulle successioni e donazioni, Padova, 1993, 18 ss.r ; SACCHETTO, La donazione, 989 ss.; STEVANATO, Donazioni e liberalità indirette, cit., 85 ss.; GHINASSI, Imposte di registro e di successione, Milano, 1996, 83 ss.
(52) Sulla capacità contributiva come fondamento della coerenza logica delle imposte, si veda DE MITA, Principi di diritto tributario, Milano, 2007, 89-90.
(53) In questo caso sembrerebbe coerente affermare l’irrilevanza impositiva anche delle future attribuzioni ai beneficiari, ulteriori rispetto al trasferimento del bene, ma che tuttavia derivano da incrementi di valore relativi allo stesso bene, analogamente a quanto sostenuto dall’Agenzia delle Entrate.
(54) In questo senso, sul rapporto tra soggettività tributaria e civilistica, si vedano ANTONINI, La soggettività tributaria, Napoli, 1965, 106; GALLO, La soggettività ai fini Irpeg, in AA.VV., Il reddito di impresa nel nuovo Testo Unico, Roma-Milano, 1990, 662 ss.; FEDELE, Destinazione patrimoniale: criteri interpretativi e prospettive di evoluzione del sistema tributario, in AA.VV., Destinazione di beni allo scopo, Milano, 2003, 293 ss.
(55) Sottolinea come la soggettività tributaria sia spesso riconosciuta per ragioni tecniche di “riequilibrio del sistema”, SCHIAVOLIN, Natura del tributo, Funzioni e caratteri generali, in AA.VV., L’imposta sul reddito delle persone giuridiche, in Giur.sist.dir.trib., diretta da Tesauro, Milano, 1996, 20. Analogamente FANTOZZI-LUPI, Le società per azioni nella disciplina tributaria, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, 9**, Torino, 1993, 19.
(56) In questo senso, FRANSONI, La disciplina del trust nelle imposte dirette, cit., 227 ss.; ID., Allargata l’imponibilità, cit., 650. In tema di configurabilità del trust quale soggetto passivo d’imposta nelle imposte sui redditi si vedano MICCINESI, Il reddito del trust nelle varie tipologie, in Trust ed attività fiduciarie, n. 3/2000, 309 ss; PAPARELLA, Brevi riflessioni aggiornate in tema di trusts, elusione ed interposizione di persona, in Boll.trib., 2002, 485 ss.; ID., Considerazioni in tema di disciplina dei trusts nel sistema delle imposte sui redditi delineato dalla legge delega di riforma dell’ordinamento tributario n. 80 del 7 aprile 2003 e le prospettive di riforma, in Boll.trib, 2003, 1683 ss.; FICARI, Il Trust nelle imposte dirette (Irpeg ed Irap): un articolato modulo contrattuale oppure un autonomo soggetto passivo?, in Boll.trib., 2000, 1529 ss.; LUPI-CONTRINO, Riforma IRES e trust; la maggiore realità e la patrimonializzazione come ulteriori argomenti per la soggettività definitiva del trust, in Dialoghi di diritto tributario, n. 4 del 2004, pp. 579 ss ZIZZO, Note minime in tema di trust e soggettività tributaria, in "il fisco" n. 30/2003, 4658 ss.; TUNDO, Implicazioni di diritto tributario connesse al riconoscimento del trust, in Dir. e prat. trib., 1999, 1285 ss.
(57) Per tutti, LUPOI, Introduzione ai trusts, Milano, 1994, 174; ID., Trusts, Milano, 2001, passim.
(58) FEDELE, Il trasferimento dei beni, cit., par. 5.
(59) Cfr. Ris. 110/E 2009.
(60) Si veda la già citata Circ. dell’Agenzia delle Entrate n. 110/E, del 23/4/2009, che applica la esenzione di cui all’art. 3, comma 4-ter, d.lgs. n. 346/1990, per un caso di segregazione di una azienda in un trust irrevocabile, considerando il legame tra disponente e beneficiario finale, nella specie coniuge o figli.
(61) Quando, ovviamente, successioni o liberalità avessero ad oggetto diritti reali immobiliari; Cfr. Fedele, Le imposte ipotecarie, Milano 1970, 141, ove anche la dimostrazione che l’evento determinante il concorso alle pubbliche spese non è la trascrizione o la voltura catastale, la cui esecuzione è irrilevante ai fini della relativa imposta, ma il perfezionarsi della fattispecie imponibile per l’imposta di registro o l’imposta sulle successioni.
(62)Cfr. Fedele, Il regime fiscale di successioni e liberalità, cit., 40-41.
(63) Cfr. fedele, op. loc. ult. cit.
(64) Si esprimono in questi termini Muritano-Pischetola, Considerazioni su trust e imposte indirette, cit. 329
|
|
|