Giurisprudenza - Le “nuove famiglie” e la parificazione degli status di filiazione ad opera della L. 219/2012
Riferimenti normativi
Cassazione civile, sez. I, 11/09/2015, n. 17971
In presenza di figli minori nati da una relazione di
convivenza "more uxorio", l'immobile adibito a casa familiare è
assegnato al genitore collocatario dei predetti minori, anche se non
proprietario dell'immobile, o conduttore in virtù di rapporto di locazione o
comunque autonomo titolare di una situazione giuridica qualificata rispetto
all'immobile, la cui posizione, peraltro, è comunque di detentore qualificato,
assimilabile al comodatario (anche quando proprietario esclusivo sia l'altro
convivente), attesa la pregressa "affectio familiaris" che
costituisce il nucleo costituzionalmente protetto (ex art. 2 Cost.) della
relazione di convivenza.
Tribunale Palermo, sez. I, 13/04/2015
La necessità di garantire il superiore interesse dei minori
impone di procedere ad un'interpretazione evolutiva, ma costituzionalmente e
convenzionalmente conforme, dell'art. 337 ter c.c. volta ad estendere l'ambito
applicativo della norma sino a delineare un concetto allargato di
bigenitorialità e di famiglia, ivi ricomprendendo anche la figura del genitore
sociale, cioè di quel soggetto che ha instaurato con il minore un legame
familiare di fatto significativo e duraturo.
Cassazione civile, sez. I, 03/04/2015, n. 6855
Ritenuto che si ha una famiglia di fatto non quando si
conviva solo come coniugi, ma allorché vi sia un nucleo domestico stabile e
continuo, portatore di valori di stretta solidarietà anche di carattere
economico, di arricchimento e sviluppo della personalità di ogni suo componente
e di educazione ed istruzione dei figli, vale a dire allorché vi sia un
potenziamento reciproco delle personalità dei conviventi, qualora, il coniuge
divorziato, a seguito di una scelta esistenziale libera e consapevole, nonché
talora potenziata dalla nascita di figli, decida di dar vita ad una famiglia di
fatto con persona diversa dall'ex coniuge, egli assume certamente un rischio in
relazione alle successive vicende della famiglia di fatto, mettendo in conto la
possibilità che il rapporto con il convivente abbia a cessare, tanto più che il
coniuge da cui ha divorziato avrebbe ragione di confidare nell'esonero
definitivo da ogni suo obbligo di natura economia, senza che la dissoluzione della
famiglia di fatto dell'ex coniuge possa far rivivere l'obbligo, per il coniuge
divorziato, di erogare alcun assegno di divorzio.
Tribunale Treviso, sez. I, 15/12/2014
Il convivente, legato da una relazione stabile (nella specie
omosessuale) con il defunto, ha titolo per richiedere l'affidamento dell'urna
cineraria, in cui sono conservate le ceneri del partner; ove la p.a. abbia a
rifiutare la richiesta, lo stesso deve rivolgersi al g.o. e non a quello
amministrativo.
Corte appello Torino, 29/10/2014
La famiglia esiste non tanto sul piano dei partners ma con
riferimento alla posizione, allo status e alla tutela del figlio. Nel valutare
il "best interest of the child" non devono essere legati tra loro il
piano del legame tra i genitori e quello tra genitori e figli. Ciò che rileva è
dunque il diritto all’identità del minore, a cui deve essere riconosciuta una
relazione parentale al fine di riconoscere una persona esercente la
responsabilità genitoriale. In conclusione il bambino ha diritto al riconoscimento
di due figure genitoriali, benché dello stesso sesso, affinché tutelino il
minore ed esercitino nei confronti di questo tutti i diritti e i doveri
genitoriali.
Cassazione civile, sez. II, 15/09/2014, n. 19423
La convivenza "more uxorio", quale formazione
sociale che dà vita ad un consorzio familiare, determina, sulla casa di
abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere
di fatto basato su di un interesse proprio del convivente diverso da quello
derivante da ragioni di mera ospitalità e tale da assumere i connotati tipici
di una detenzione qualificata, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo
familiare. Pertanto, l'estromissione violenta o clandestina dall'unità
abitativa, compiuta dal convivente proprietario in danno del convivente non
proprietario, legittima quest'ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di
esperire l'azione di spoglio.
Corte Costituzionale, 11/06/2014,
n. 170
Sono costituzionalmente illegittimi gli art. 2 e 4 l. 14
aprile 1982 n. 164 (norme in materia di rettificazione di attribuzione di
sesso), nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione
dell'attribuzione di sesso, di uno dei coniugi, che provoca lo scioglimento del
matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione
del matrimonio consenta, comunque, ove entrambi i coniugi lo richiedano, di
mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma
di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed i doveri della
coppia medesima, con le modalità da statuirsi dal legislatore; in via
consequenziale, è costituzionalmente illegittimo l'art. 31 comma 6 d.lg. 1
settembre 2011 n. 150 (disposizioni complementari al c.p.c. in materia di
riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi
dell'art. 54 l. 18 giugno 2009 n. 69), nella parte in cui non prevede che la
sentenza di rettificazione dell'attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che
determina lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili
conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso,
consenta, comunque, ove entrambi i coniugi lo richiedano, di mantenere in vita
un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata,
che tuteli i diritti e gli obblighi della coppia medesima, con le modalità da
statuirsi dal legislatore.
Cassazione civile, sez. VI, 26/02/2014, n. 4539
La convivenza more uxorio del coniuge, destinatario
dell'assegno, tale da aver dato vita ad una vera e propria famiglia di fatto,
può rendere inoperante o comunque può produrre una sospensione dell'assegno
divorzile.
Cassazione civile, sez. I, 22/01/2014, n. 1277
I doveri morali e sociali che trovano la loro fonte nella
formazione sociale costituita dalla convivenza more uxorio refluiscono sui
rapporti di natura patrimoniale, nel senso di escludere il diritto del
convivente di ripetere le eventuali attribuzioni patrimoniali effettuate nel
corso o in relazione alla convivenza. (Nella specie alla cessazione di una
convivenza more uxorio protrattasi per cinque anni e svoltasi interamente in
Cina - ove l'uomo si era trasferito per motivi di lavoro, per essere poi
raggiunto dalla convivente che aveva così rinunciato a svolgere una proficua
attività lavorativa che già la occupava in Italia - le parti avevano stipulato
distinte scritture con le quali avevano regolato i loro rapporti patrimoniali,
anche in ordine al mantenimento del figlio nato dalla loro unione. Nulla
prevedendo detti accordi, in ordine alla somma di oltre 120 milioni di lire
accreditata, con bonifici periodici, dall'uomo in favore della convivente in
Italia, l'uomo ha agito in giudizio per la restituzione di tale importo.
Accolta dal giudice del merito una tale richiesta la Suprema corte, in
applicazione del principio di cui sopra, ha cassato, con rinvio ad altro
giudice, tale statuizione perché basata su rilievi incongrui e argomentazioni
non adeguate e talora contraddittorie).
Le unioni di fatto, quali formazioni sociali che presentano
significative analogie con la famiglia formatasi nell'ambito di un legame
matrimoniale e assumono rilievo ai sensi dell'art. 2 Cost., sono caratterizzate
da doveri di natura morale e sociale di ciascun convivente nei confronti
dell'altro, che si esprimono anche nei rapporti di natura patrimoniale. Ne
consegue che le attribuzioni patrimoniali a favore del convivente "more
uxorio" effettuate nel corso del rapporto (nella specie, versamenti di
denaro sul conto corrente del convivente) configurano l'adempimento di una
obbligazione naturale ex art. 2034 cod. civ., a condizione che siano rispettati
i principi di proporzionalità e di adeguatezza, senza che assumano rilievo le
eventuali rinunce operate dal convivente - quale quella di trasferirsi
all'estero recedendo dal rapporto di lavoro - ancorché suggerite o richieste
dall'altro convivente, che abbiano determinato una situazione di precarietà sul
piano economico, dal momento che tali dazioni non hanno valenza indennitaria,
ma sono espressione della solidarietà tra due persone unite da un legame
stabile e duraturo.
Corte europea diritti dell'uomo, sez. grande chambre,
07/11/2013, n. 29381
Gli Stati non hanno un obbligo di adottare misure positive
volte a riconoscere unioni civili per coppie dello stesso sesso ma, nel momento
in cui emanano una legge sulle unioni civili per coppie eterosessuali, non
possono prevedere un'esclusione per coppie dello stesso sesso. Costituisce una
violazione del diritto al rispetto della vita familiare e del divieto di ogni
discriminazione l'assoluta impossibilità per coppie dello stesso sesso di
accedere alle unioni civili anche considerando che si trovano in una situazione
analoga alle coppie eterosessuali.
Cassazione civile, sez. I, 15/03/2012, n. 4184
L'intrascrivibilità del matrimonio fra omosessuali contratto
all'estero non dipende dalla sua contrarietà all'ordine pubblico e nemmeno più
dalla sua inesistenza, ma, a seguito delle sentenze n. 138 del 20101 della
Corte costituzionale e 24 giugno 2010 della Corte Europea dei diritti dell'uomo,
dipende dalla sua inidoneità a produrre qualsiasi effetto nell'ordinamento
italiano.
I componenti della coppia omosessuale, conviventi in stabile
relazione di fatto, se - secondo la legislazione italiana - non possono far
valere né il diritto a contrarre matrimonio né il diritto alla trascrizione del
matrimonio contratto all'estero, tuttavia - a prescindere dall'intervento del
legislatore in materia -, quali titolari del diritto alla "vita
familiare" e nell'esercizio del diritto inviolabile di vivere liberamente
una condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di
specifiche situazioni, segnatamente alla tutela di altri diritti fondamentali,
possono adire i giudici comuni per far valere, in presenza appunto di
"specifiche situazioni", il diritto ad un trattamento omogeneo a
quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata e, in tale sede,
eventualmente sollevare le conferenti eccezioni di illegittimità costituzionale
delle disposizioni delle leggi vigenti, applicabili nelle singole fattispecie,
in quanto ovvero nella parte in cui non assicurino detto trattamento, per
assunta violazione delle pertinenti norme costituzionali e/o del principio di
ragionevolezza.
Le persone dello stesso sesso conviventi in stabile
relazione di fatto sono titolari del diritto alla "vita familiare" ex
art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo; pertanto,
nell'esercizio del diritto inviolabile di vivere liberamente la condizione di
coppia, esse possono adire il giudice per rivendicare, in specifiche situazioni
correlate ad altri diritti fondamentali, un trattamento omogeneo a quello
assicurato dalla legge alla coppia coniugata.
Il matrimonio civile tra persone dello stesso sesso,
celebrato all'estero, non è inesistente per l'ordinamento italiano, ma soltanto
inidoneo a produrre effetti giuridici; anche ai sensi dell'art. 12 della
convenzione europea dei diritti dell'uomo, come evolutivamente interpretato
dalla Corte di Strasburgo (sentenza del 24 giugno 2010, "Schalk e Kopf c.
Austria"), la diversità di sesso dei nubendi non costituisce presupposto
"naturalistico" di "esistenza" del matrimonio. (Fattispecie
relativa a cittadini italiani dello stesso sesso, i quali, unitisi in
matrimonio nei Paesi Bassi, avevano impugnato il rifiuto di trascrizione
dell'atto, opposto dall'ufficiale di stato civile italiano; la S.C., in
applicazione del principio, pur respingendo il ricorso degli sposi, ha corretto
la motivazione del decreto della Corte territoriale, che aveva legittimato il
rifiuto di trascrizione dell'atto in difetto della sua "configurabilità
come matrimonio")
Cassazione civile, sez. I, 21/12/2012, n. 23713
In linea di principio, i c.dd. accordi prematrimoniali o gli
accordi stipulati in sede di separazione consensuale e in vista del futuro
divorzio sono nulli per illiceità della causa, in quanto contrastanti con il
principio di indisponibilità degli status e dell'assegno divorzile. Tuttavia,
l'accordo patrimoniale stipulato dai nubendi in relazione ad un eventuale
"fallimento" dell'unione matrimoniale e valido purché non riguardi
diritti indisponibili (quale quello all'assegno di divorzio) e non si sia in
presenza di un coniuge economicamente debole. Tale accordo - con cui uno dei
futuri coniugi si obbliga a trasferire all'altro, in caso di fine del
matrimonio, la proprietà di un immobile a titolo di corrispettivo per le spese
affrontate per la ristrutturazione di altro locale da adibire a casa familiare
- non e in realtà un accordo prematrimoniale in vista del divorzio (nullo per
illiceità della causa), ma una sorta di datio in solutum, un contratto atipico
(caratterizzato da prestazioni proporzionate tra loro), espressione
dell'autonomia negoziale dei coniugi e diretto a realizzare interessi
meritevoli di tutela, ai sensi dell'art. 1322, comma 2, c.c., il cui scopo è in
concreto collegato "alle spese affrontate" per la futura famiglia da
uno dei nubendi (ed è quindi quello di riequilibrare i rispettivi rapporti
economici) e la crisi del matrimonio non rappresenta la causa genetica dell'accordo,
ma degrada a mero evento dedotto in una lecita condizione.
Corte Costituzionale, 15/04/2010, n. 138
Non è fondata, in riferimento agli art. 3 e 29 cost., la
q.l.c. degli art. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143 bis e 156 bis c.c., nella
parte in cui, sistematicamente interpretati, non consentono che le persone di
orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso
sesso. Pur non potendosi ritenere i concetti di "famiglia" e di
"matrimonio" cristallizzati con riferimento all'epoca in cui la
Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei
princìpi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non
soltanto delle trasformazioni dell'ordinamento, ma anche dell'evoluzione della
società e dei costumi, l'interpretazione delle norme costituzionali non può
spingersi fino al punto d'incidere sul nucleo della norma, modificandola in
modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in
alcun modo quando fu emanata (la questione delle unioni omosessuali rimase del
tutto estranea al dibattito svoltosi in sede di Assemblea costituente); di
conseguenza, non è possibile superare il significato di matrimonio inteso dal
precetto costituzionale come unione tra due persone di sesso diverso per via ermeneutica,
perché non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di
abbandonare una mera prassi interpretativa, bensì di procedere ad
un'interpretazione creativa. Né la censurata normativa del codice civile, che
contempla esclusivamente il matrimonio tra uomo e donna, può considerarsi
illegittima sul piano costituzionale sia perché essa trova fondamento nell'art.
29 cost. sia perché la normativa medesima non dà luogo ad una irragionevole
discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute
omogenee al matrimonio (neppure ove le persone ammesse al matrimonio siano
transessuali).
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