CONSIDERAZIONI SULLA RIFORMA DELLE NORME IN MATERIA DI FILIAZIONE
CONSIDERAZIONI SULLA RIFORMA DELLE NORME IN MATERIA DI FILIAZIONE
di Manuela Scalisi
Consiglio Nazionale del Notariato - Studio n.113-2013/C
pubblicato in Studi e Materiali, 3/2013, 701
Lo studio in sintesi (abstract)
Il presente lavoro si concentra sull'analisi della riforma operata con la legge 12 dicembre 2012 n. 219, entrata in vigore il 1° gennaio 2013, e, nello specifico, delle modifiche che tale legge ha apportato, sia direttamente che indirettamente al sistema vigente.
Il provvedimento in oggetto rappresenta per il nostro ordinamento l'importante punto di arrivo di un mutamento di visione della famiglia e della filiazione, che si poneva ormai come necessario non solo alla luce del sempre più crescente moltiplicarsi dei fenomeni di concepimento al di fuori del matrimonio, ma anche al fine di rendere compiutamente attuata la totale parificazione dello status di figlio, già auspicata dalla nostra Costituzione e dalla riforma del diritto di famiglia operata nel 1975.
Se, fino ad oggi questa totale parificazione non era stata realizzata in maniera compiuta, a pochi giorni dall'entrata in vigore della legge in commento è possibile affermare che finalmente ogni figlio gode dello stesso trattamento, sia sul piano dei rapporti patrimoniali che su quello dei rapporti personali, senza che sussistano più profili di differenziazione tra figli naturali e figli legittimi.
Non esistendo più le dizioni "figlio naturale" e "figlio legittimo", non potranno più riscontrarsi differenze di trattamento. La categoria è ormai unificata e, conseguentemente, deve risultare unificato il relativo regime giuridico.
Il figlio naturale, dopo essere stato considerato per decenni in una posizione deteriore rispetto al figlio legittimo, viene posto allo stesso livello di quest'ultimo, nei rapporti con i parenti, nei diritti successori, e in tutti quegli ambiti che prima costituivano aspetti discriminatori.
Naturalmente, una tale modifica importa la necessità di rivedere l'impianto codicistico attuale. Mentre l'art. 1 della legge 219/2012 dispone con efficacia immediata la sostituzione delle parole "figlio legittimo" e "figlio naturale" con quella di "figlio", l'art. 2 della stessa legge rimanda al Governo l'emissione di uno o più decreti che vadano concretamente a rimodellare il sistema, al di là e in misura ulteriore rispetto alla semplice sostituzione terminologica.
***
1. Premessa
In data 27 novembre 2012 è stata definitivamente approvata alla Camera una proposta di legge, composta da sei articoli, relativa alla filiazione naturale, in conseguenza della quale è stata emanata la legge 10 dicembre 2012 n. 219, che ha come scopo primario la modifica della disciplina del riconoscimento dei figli naturali, nonché la riforma del relativo status.
Lo status familiare e, in particolare, lo status di figlio, ha sempre assunto estrema rilevanza per il nostro ordinamento giuridico. All'interno di tale ampia categoria si distingueva tra status di figlio legittimo e status di figlio naturale. A ciascuno dei predetti status conseguivano poi determinate situazioni giuridiche soggettive.
Questa distinzione, a seguito della presente riforma, è destinata a non esistere più. Ciò si evince chiaramente dalla novellata formulazione dell'art. 315 c.c., il quale testualmente dispone che "tutti i figli hanno lo stesso status giuridico".
Non esisteranno più le distinte dizioni "figlio naturale" e "figlio legittimo" contenute nel codice vigente, in quanto, in esecuzione della presente riforma, verranno eliminate dalle norme ove sono contenute. Tutti i figli, sia che nascano in costanza di matrimonio, sia che nascano da genitori non uniti in matrimonio, saranno destinatari delle stesse norme, verranno loro riconosciuti uguali diritti e saranno soggetti a uguali doveri.
Alla base della riforma si pone l'esigenza di eliminare dal nostro ordinamento ogni residua differenza nel trattamento tra figli, esigenza che si pone come primaria per la moderna società e per il sempre crescente moltiplicarsi di "nuovi assetti familiari". Appare ormai anacronistico prevedere un trattamento differenziato a seconda che il figlio nasca o meno da genitori uniti in matrimonio.
Oggi tutti i figli sono, puramente e semplicemente, figli.
2. Approfondimento teorico
Il codice civile del 1942, riflettendo la tradizione codicistica ottocentesca, riservava ai figli nati fuori dal matrimonio un trattamento nettamente "differenziato e deteriore" rispetto a quello cui erano soggetti i figli legittimi. Ciò sulla base della convinzione che la filiazione sganciata dal matrimonio costituisse un attentato alle fondamenta della famiglia legittima. Ci si rende subito conto di come questa concezione sia oggi più che superata[1].
L'anacronismo di una tale visione si rinviene anche effettuando un confronto con il panorama europeo ed internazionale, che, da più punti di vista, ha affermato l'eguaglianza e la parità di trattamento tra figli naturali e figli legittimi.
Basti guardare alla CEDU (convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo), i cui artt. 8[2] e 14[3] attengono rispettivamente al rispetto della vita privata e familiare, e al divieto di discriminazione. Lo stesso divieto è poi sancito dall'art. 21[4] della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, divenuta vincolante per gli Stati membri in seguito all'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, cioè dal 1° gennaio 2009[5].
Gli stessi artt. 2, 3 e 30 della nostra Costituzione sono dettati in linea con tali principi sovranazionali. L'art. 30, nello specifico, al primo comma dispone che "è dovere e diritto dei genitori mantenere istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio", e al comma terzo prosegue affermando che "la legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima".
Nonostante la Costituzione avesse introdotto norme cruciali a protezione dei figli naturali, tale tutela, fino alla riforma operata con la legge oggetto del nostro studio, risultava parzialmente incompleta, a causa delle minori garanzie sostanziali e processuali persistenti in loro danno[6].
Circa l'interpretazione da attribuire al terzo comma dell'art. 30 Cost., la Corte Costituzionale si è più volte pronunciata. Inizialmente[7], ha affermato che tale disposizione avesse un duplice significato. Un significato primario, riguardante i rapporti tra il genitore e il figlio naturale, per il quale il precetto costituzionale imporrebbe di equiparare la condizione del figlio naturale a quella del figlio legittimo nei limiti di compatibilità con i membri della famiglia legittima. Un significato secondario, di natura programmatica, concernente i rapporti tra figlio naturale e parenti del genitore, con riguardo ai quali, la norma non disporrebbe una parificazione giuridica alla prole legittima, ma si porrebbe come norma di favore verso la prole naturale. Il giudizio di compatibilità con i diritti dei membri della famiglia legittima, andrebbe compiuto avendo come riferimento non la famiglia nucleare, bensì il cerchio più ampio della famiglia, definito in base alla nozione di parentela di cui all'art. 74 c.c.
Successivamente[8], però, la Corte costituzionale ha abbandonato la tesi della pluralità di significati, e ha posto l'accento sull'unico precetto ricavabile dalla norma costituzionale. Il terzo comma dell'art. 30 Cost., ad avviso della Corte, imporrebbe di parificare la condizione dei figli naturali ai figli legittimi nei soli rapporti con il comune genitore, ma non estenderebbe la sua portata anche ai rapporti tra il figlio naturale e i parenti del genitore che ha effettuato il riconoscimento. Nella stessa sentenza la Corte ha sottolineato come non fosse possibile creare un rapporto di parentela tra il figlio naturale e i parenti del genitore che lo ha riconosciuto e che, di conseguenza, non si possa creare per il figlio naturale uno status familiae, posta l'estraneità rispetto alla famiglia del genitore[9].
Il divieto di discriminazioni posto dalle norme sovranazionali, nonché dalla Costituzione stessa, comporta che la diversità di trattamento tra figli legittimi e figli naturali, che nel nostro ordinamento trovava maggiore esplicazione nella negazione dei rapporti di parentela naturale, non poteva ritenersi giustificata né da finalità legittime e ragionevoli, né, tanto meno, dalla necessaria salvaguardia della famiglia legittima. Anzi, la negazione della rilevanza giuridica della parentela naturale sembrava ledere il diritto al rispetto della vita privata e familiare del figlio naturale, e menomava altresì il diritto all'identità e allo sviluppo personale nonché quello di stabilire relazioni familiari[10].
La concezione secondo la quale la filiazione naturale si poneva su un grado deteriore rispetto a quella legittima, è stata rivista non solo grazie alla Costituzione e ai principi con essa introdotti, volti ad eliminare le più evidenti disparità di trattamento, ma anche grazie alla riforma del diritto di famiglia del 1975, che puntava a guardare alla famiglia non più come "istituzione", in quanto tale portatrice di interessi superiori, ma come "formazione sociale" orientata alla protezione dei diritti della persona[11].
Con la riforma del 1975 si è cercato di dare alla filiazione naturale la stessa dignità della filiazione matrimoniale, con l'equiparazione delle due categorie di figli e con l'abolizione di quegli istituti che, mirando a proteggere il nucleo legittimo, impedivano l'accertamento della verità biologica[12]. La riforma del 1975, infatti, ponendosi come strumento di attuazione dei principi costituzionali, aveva come scopo primario quello di realizzare una pressoché completa equiparazione della filiazione naturale e di quella legittima, sia sul piano dei rapporti personali che sul piano dei rapporti patrimoniali[13].
Nonostante l'intenzione posta alla base della riforma del 1975 fosse quella di eliminare ogni residua forma di discriminazione nel trattamento dei figli legittimi e dei figli naturali, anche all'indomani della legge rimasero alcune forme di disparità. Si pensi al diritto successorio. Se, da un lato, il trattamento dei figli veniva parificato, in quanto tutti i figli potevano vantare eguali diritti nei confronti dei genitori, dall'altro lato non si è mai arrivati a una parificazione completa. Ciò in quanto residuavano alcuni aspetti ove la differenziazione tra lo status di figlio naturale e lo status di figlio legittimo era più che evidente.
Un esempio era costituito dalla legittimazione del figlio naturale, la quale, appunto, offriva al figlio naturale la possibilità che venisse legittimato, così acquistando la qualità di figlio legittimo. Un tale istituto, quindi, rafforzava la distinzione tra filiazione naturale e filiazione legittima[14].
La contraddizione tra la parificazione dello stato di figlio e l'istituto della legittimazione si poteva comprendere a pieno considerando che nella seconda metà del '900, in Europa[15], già si delineava un orientamento riformatore volto ad annullare ogni differenziazione tra filiazione naturale e legittima, orientamento che già aveva portato ad abolire l'istituto della legittimazione. Se, da un lato, la circostanza che il figlio sia concepito da genitori coniugati o non coniugati influisce sulle modalità di accertamento della filiazione, dall'altro lato, non modifica il regime della filiazione stessa, che deve essere disciplinato in maniera unitaria. In quest'ottica, l'istituto della legittimazione perderebbe il suo presupposto, cioè l'esistenza di sensibili differenze tra il trattamento giuridico dei figli legittimi e quello dei figli naturali. La scelta operata nel 1975 di conservare l'istituto della legittimazione, però, ha riflettuto la scarsa coerenza con cui si è proceduto a riformare la disciplina della filiazione. L'equiparazione dello status, avrebbe dovuto conseguentemente portare all'uniformità del relativo regime giuridico[16].
Oltre al caso della legittimazione, le più indicenti differenze attenevano poi al concetto di parentela. Instaurandosi rapporti di parentela esclusivamente tra il figlio naturale e il genitore che aveva effettuato il riconoscimento, venivano completamente esclusi i rapporti con i collaterali. Mentre il figlio legittimo instaurava rapporti di parentela con tutti i componenti della famiglia, il figlio naturale era legato da una relazione di parentela nei soli confronti del genitore che lo aveva riconosciuto[17].
A tal proposito, la Corte Costituzionale si era pronunciata affermando la sussistenza di una distinzione tra la "consanguineità", esistente tra i figli naturali e i parenti collaterali (fratelli, zii, cugini) e il vero e proprio vincolo di "parentela", esistente, quest'ultimo, solo con il genitore che ha riconosciuto[18]. Per questa ragione, il figlio naturale non avrebbe potuto vantare diritti successori nei confronti dei collaterali.
Questo principio, però, ha avuto come logica conseguenza quella di circoscrivere l'eguaglianza tra figli naturali e figli legittimi al solo profilo del rapporto genitore-figlio[19].
Mentre la Corte Costituzionale ha portato avanti questa interpretazione restrittiva del vincolo di parentela, occorre sottolineare che, anche prima della riforma operata dalla legge in commento, parte della dottrina[20] abbia adottato un'interpretazione estensiva. Non pochi autori, infatti, hanno cercato di intravedere, nel nostro ordinamento giuridico, degli "spiragli" che permettessero di arrivare al risultato (tanto sperato) della parificazione, anche, e soprattutto, con riferimento alla linea collaterale[21].
Se, quindi, tradizionalmente, si è sempre sostenuto che il figlio naturale non instaurasse alcun vincolo di parentela con la famiglia del genitore che effettuava il riconoscimento, sulla base di un'interpretazione restrittiva del dettato di cui agli artt. 74 e 258 c.c., negli ultimi decenni questa affermazione ha subito una significativa erosione[22].
Coloro che arrivavano a sostenere la rilevanza della parentela naturale muovevano dall'assunto che l'art. 74 c.c., nel definire la parentela come il "vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite", non specificava che la procreazione dovesse avvenire all'interno del matrimonio. Da ciò, un'interpretazione estensiva si prospettava come possibile, soprattutto alla luce del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, con il quale, solo una definizione di parentela comprensiva sia della parentela legittima che di quella naturale poteva concordare[23]. Il terzo comma dell'articolo 30 Cost., nel fare salvi i diritti della famiglia legittima, non andava poi interpretato nel senso di essere d'ostacolo al riconoscimento della rilevanza giuridica della parentela naturale, dato che i rapporti giuridici tra figlio naturale e parenti del genitore che ha effettuato il riconoscimento non potevano mai pregiudicare i valori, almeno da un punto di vista spirituale, dell'unità e della coesione dell'eventuale nucleo familiare che quel genitore avesse creato. Era più probabile che una siffatta ipotesi determinasse effetti di natura patrimoniale, che però non potevano giustificare alcuna discriminazione della filiazione naturale[24].
La riforma relativa alla filiazione naturale rappresenta quindi l'atteso approdo di un mutamento della coscienza e della visione della famiglia e della filiazione, alla luce dei principi di eguaglianza (art. 3 Cost.) e di solidarietà sociale (art. 2 Cost.), che non può prendere avvio se non dal nucleo primario di ogni società, vale a dire la famiglia.
Da questo punto di vista, la nuova formulazione dell'art. 315 bis c.c. sottolinea come la relazione tra genitori e figli si ponga adesso su un piano paritetico, e non più assoggettato al concetto di "potestà"[25]. Si noti, infatti, che i diritti dei figli non si desumono più, a contrario, dall'elenco dei doveri dei genitori nei loro riguardi, ma vengono dettati in maniera esplicita. Non dovrà più concepirsi la famiglia sul modello patriarcale, ma dovranno essere rinvenuti anche nella famiglia i criteri di democraticità dei rapporti, nei quali i figli saranno trattati come soggetti deboli. Alla luce di ciò, sarebbe contrario ai principi fondamentali trovare dei limiti nel trattamento giuridico dipendenti dalle situazioni nelle quali i figli nascono[26].
L'unificazione dello stato di figlio costituisce un'innovazione che potrebbe essere definita come una "svolta epocale", che prende atto delle mutate realtà sociali e che riesce a portare all'applicazione della disciplina della filiazione e dei diritti fondamentali della persona senza alcuna distinzione[27]. L'importanza di una tale riforma si coglie a pieno proprio per la sua trascendenza rispetto a qualsiasi epoca storica o a confini territoriali determinati[28].
3. Novità normative
L'art. 1 si occupa di novellare numerose disposizioni del codice civile relative alla disciplina della filiazione naturale; dalla lettura di tali disposizioni, come modificate e sostituite, il principio di unificazione dello status di figlio, che costituisce il cardine della presente riforma, emerge immediatamente.
La modifica del testo dell'art. 74 c.c. è infatti chiara nell'evidenziare che il vincolo di parentela sussiste tra persone che discendono dallo stesso stipite, sia nel caso di discendente legittimo, sia nel caso di discendente naturale. Logico corollario di questa disposizione è la nascita di rapporti di parentela tra il figlio naturale e la famiglia del genitore. Mentre, infatti, la precedente formulazione dell'art. 258 c.c. prevedeva che il riconoscimento producesse effetti solo con riguardo al genitore che lo avesse effettuato, la nuova formulazione della stessa norma stabilisce che il riconoscimento produce effetti non solo nei confronti del genitore, ma anche con riguardo ai parenti di esso.
Conseguenza di questa modifica è il sorgere, anche per il figlio naturale, dei legami di parentela, non solo con il genitore che ha effettuato il riconoscimento, ma anche con gli altri parenti, come nonni e zii. Il figlio naturale potrà succedere, nella linea collaterale, anche a questi ultimi, come prima avveniva per il solo figlio legittimo.
Nel disegno di legge è stata quindi opportunamente prevista l'abrogazione della Sezione II del Capo II del Titolo VII del libro primo, relativa appunto alla "legittimazione dei figli naturali", in quanto, l'attribuzione della qualità di figlio legittimo, alla luce di queste modifiche, e cioè alla luce della suddetta equiparazione tra filiazione legittima e filiazione naturale, non ha più ragion d'essere, come evidenziato nel paragrafo precedente.
Ulteriori variazioni hanno investito l'atto del riconoscimento. In particolare, all'art. 250 c.c., è stato previsto l'abbassamento ad anni quattordici dell'età del figlio che deve prestare assenso al riconoscimento, nonché dell'età al di sotto della quale il riconoscimento non può avvenire senza il consenso dell'altro genitore. Sempre lo stesso articolo, a seguito della riforma, oggi prevede una più compiuta disciplina processuale per il caso di rifiuto del consenso al riconoscimento da parte del genitore.
Importante modifica, proposta e approvata dal Senato, introduce una sostanziale innovazione in tema di riconoscimento dei figli incestuosi. Il previgente art. 251 c.c. prevedeva che non fosse consentito il riconoscimento di figli incestuosi, salvo il caso di inconsapevolezza dei genitori – al momento del concepimento – del legame di parentela tra essi esistente; inoltre, continuava la norma, il riconoscimento doveva essere autorizzato dal giudice, avuto riguardo all'interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio. La nuova formulazione di tale articolo, invece, permetterebbe il riconoscimento di figli incestuosi, previa autorizzazione del giudice, sempre con riguardo all'interesse del figlio e alla necessità di evitargli pregiudizio. Si consente così che i figli nati da una relazione tra persone tra cui esiste un vincolo di parentela, ossia i figli nati da incesto, possano essere riconosciuti, sempre tramite l'intervento dell'autorità giudiziaria, senza che la buona fede costituisca più condizione necessaria per l'autorizzazione al riconoscimento.
L'importanza di tale modifica consiste nel mutamento di visione in relazione alla vicende relative ai figli incestuosi. Da un atteggiamento punitivo nei confronti genitori che procreavano pur essendo legati da vincoli di parentela, perfettamente in linea con l'obiettivo di promuovere la famiglia come istituzione basata sul matrimonio di cui all'art. 29 Cost., si è passati a un atteggiamento premiale nei confronti dei figli nati da queste relazioni, i quali, secondo l'attuale visione, non possono più risentire delle scelte dei loro genitori.
Il Senato ha proposto e approvato altresì la modifica dell'art. 276 c.c., in tema di legittimazione passiva alla domanda di dichiarazione giudiziale di paternità naturale. Rispetto alla formulazione precedente, la riforma regola il caso in cui, morto il genitore, siano venuti meno anche i suoi eredi, anch'essi legittimati passivi rispetto alla domanda. In una siffatta ipotesi, il figlio naturale potrà proporre l'azione nei confronti di un curatore nominato dal giudice davanti al quale il giudizio deve essere promosso. Grazie a tale modifica, oggi si riesce ad evitare ciò che in passato accadeva, e cioè che in mancanza di eredi l'azione non potesse essere proposta a causa della mancanza di legittimati passivi[29].
In seguito alla sostituzione dell'art. 315 c.c., come sopra riportata, è stata prevista l'introduzione di un successivo articolo, il 315-bis, rubricato "diritti e doveri del figlio". In tale articolo, da un lato, viene integralmente riportato il vecchio testo dell'art. 315 c.c., riguardante esclusivamente i doveri del figlio verso i genitori, e dall'altro vengono elencati diritti che i figli possono vantare nei confronti dei genitori stessi. Il figlio avrà infatti diritto ad essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sua capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio avrà altresì diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti; di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano, se ha compiuto i 12 anni o anche di età inferiore, se capace di discernimento[30].
Lo stesso art. 1 introduce poi l'art. 448-bis c.c., in tema di "cessazione per decadenza dell'avente diritto dalla potestà sui figli", statuendo la dispensa, per i figli, dall'obbligo di prestare gli alimenti nei confronti del genitore decaduto dalla potestà, nonché la possibilità di escluderlo (si badi, non senza eccezioni) dalla successione. Tale articolo, in particolare, dispone che "il figlio, anche adottivo, e, in sua mancanza, i discendenti prossimi non sono tenuti all'adempimento dell'obbligo di prestare gli alimenti al genitore nei confronti del quale è stata pronunciata la decadenza dalla potestà e, per i fatti che non integrano i casi di indegnità di cui all'articolo 463, possono escluderlo dalla successione".
Ci si interroga su quali siano i "fatti" cui fa riferimento l'articolo introdotto.
Conducendo una disamina delle ipotesi in cui il nostro ordinamento tratta della decadenza dei genitori dalla potestà, possono distinguersi tre categorie di norme.
In primis, si richiama l'art. 330 c.c., il quale dispone che il giudice può pronunciare la decadenza dalla potestà quando il genitore violi o trascuri i doveri ad essa inerenti o abusi dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio.
Tale disposizione va poi riconnessa all'art. 463 c.c., relativo ai casi di indegnità, che, al punto 3-bis), annovera proprio "chi, essendo decaduto dalla potestà genitoriale nei confronti della persona della cui successione si tratta a norma dell'art. 330, non è stato reintegrato nella potestà al momento di apertura della successione della medesima".
Quindi, a rigor di logica, i casi di cui all'art. 330 c.c. devono essere esclusi dal novero dei "fatti" citati dall'art. 448-bis introdotto dalla legge di riforma[31] in quanto, per tali casi, il legislatore ha già previsto l'esclusione dalla successione in seguito alla pronuncia di indegnità.
Deve conseguentemente concludersi per la non applicabilità dell'art. 448-bis a tali fattispecie.
Vi sono poi altre ipotesi in cui è lo stesso ordinamento ad accompagnare alla pronuncia di decadenza dalla potestà l'esclusione dalla successione della persona offesa. Ci si riferisce, in particolare, alle norme del codice penale contenute nel Capo III ("Dei delitti contro la libertà individuale") Sezione I ("Dei delitti contro la personalità individuale"), e Sezione II ("Dei delitti contro la libertà personale"), e cioè all'art. 600-septies.2 c.p. (articolo aggiunto dalla lettera m) del comma 1 dell'art. 4, l. 1°ottobre 2012, n. 172) e all'art. 609-nonies c.p. [32]. In particolare, si fa riferimento ai seguenti reati: riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù, prostituzione minorile, pornografia minorile, detenzione di materiale pornografico, pornografia virtuale, iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile, impiego di minori nell'accattonaggio, tratta di persone, acquisto o alienazione di schiavi, plagio, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (contenuti nella Sezione I), nonché istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia. L'art. 609-nonies c.p. richiama poi i seguenti reati: violenza sessuale, atti sessuali con minorenne, corruzione di minorenne, violenza sessuale di gruppo, adescamento di minorenni.
Nelle suddette ipotesi, alla pronuncia di condanna per i reati ivi previsti (nonché in seguito al patteggiamento) conseguono, in via automatica, sia la decadenza dalla potestà genitoriale, che l'esclusione dalla successione della persona offesa.
Di conseguenza, anche per questa seconda categoria di norme, e quindi per le fattispecie da esse contemplate, essendo già prevista da parte del legislatore penale la sanzione dell'esclusione dalla successione, non troverà applicazione l'art. 448-bis c.c.
Residuano, infine, nel nostro ordinamento, fattispecie nelle quali il legislatore prevede sì la sanzione della decadenza dalla potestà, ma senza ricollegarvi un'eventuale esclusione dalla successione del figlio.
Può quindi coerentemente sostenersi che l'introduzione dell'art. 448-bis c.c. miri a contenere, proprio in virtù della sua generica formulazione, tutte quelle fattispecie tutt'oggi esistenti e non ricomprese né nel disposto di cui all'art. 330 c.c. (e quindi richiamate dall'art. 463 c.c. in tema di indegnità), né tra le ipotesi per cui espressamente alla condanna penale pronunciata dal giudice si ricolleghino la decadenza dalla potestà e l'esclusione dalla successione.
In tale ultima categoria rientrerebbero le seguenti disposizioni: art. 19 c.p., art. 32 c.p., art. 34 c.p., art. 564 c.p., art. 569 c.p., art. 583-bis c.p.[33]
La determinazione dei fatti che, ai sensi dell'art. 448-bis c.c., permetterebbero al figlio di escludere dalla successione il genitore decaduto dalla potestà, non è l'unico profilo di incertezza che emerge da tale norma.
Altro profilo problematico, in particolare, attiene alle modalità con le quali tale esclusione deve essere attuata. Si tratta di un'esclusione che può essere ricollegata a una manifestazione negoziale predisposta dalla parte, oppure è necessario l'intervento del giudice? In altri termini, potrebbe la clausola di esclusione essere contenuta in un testamento, in modo da legittimare un'eccezionale clausola di diseredazione del genitore, cioè di un soggetto legittimario (eventuale) permessa dal nostro ordinamento giuridico?
Inoltre, la dizione "e, in sua mancanza, i discendenti prossimi", può essere riferita anche all'esclusione dell'ascendente ormai decaduto dalla potestà?
Una prima risposta potrebbe consistere nella possibilità di predisporre una disposizione testamentaria diseredativa, ricordando, però, che per fare testamento occorre essere capace, ex art. 591 c.c., e cioè maggiorenne e non interdetto o incapace naturale. Tale soluzione andrebbe a svantaggio del minorenne, il quale non potrebbe validamente escludere il genitore decaduto dalla potestà dalla propria successione, in quanto non potrebbe fare testamento.
Se si considera, invece, l'art. 448-bis c.c. come un "raccoglitore" dei casi di decadenza non ricollegabili a un'eventuale pronuncia di indegnità, non può che considerarsi tale norma come un'indegnità sui generis richiedente, come tale, il necessario ricorso al giudice, esattamente come accade per i casi di cui all'art. 463 c.c. Non potrebbe evidentemente parlarsi di un'esclusione ex lege, ma dovrebbe presupporsi che anche l'art. 448-bis c.c. sancisca un'esclusione dalla successione ope iudicis.
Residuerebbe, però, il dubbio relativo al soggetto legittimato al ricorso. Non può evidentemente ricorrere il figlio, che è deceduto, ma potrebbero farlo i suoi discendenti. Da qui un ulteriore interrogativo: se stiamo discutendo della successione del figlio che ha discendenti, come potrebbe venire alla successione il suo genitore decaduto dalla potestà?[34]
La generica formulazione della norma, purtroppo non consente di assumere una posizione precisa in relazione ai punti sopra esposti.
L'art. 2 contiene una delega al Governo per la modifica delle disposizioni vigenti relative alla filiazione e alla dichiarazione dello stato di adottabilità, proprio al fine di realizzare lo scopo perseguito dall'intera riforma. Il termine di esercizio della delega è stabilito in 12 mesi dall'entrata in vigore dalla legge.
I numerosi punti previsti nella delega prevedono la sostituzione, in tutta la legislazione vigente, dei riferimenti ai figli legittimi e ai figli naturali.
Nello specifico, sono destinate ad essere riformate le materie relative al possesso di stato e della prova della filiazione fuori dal matrimonio, alla presunzione di paternità del marito rispetto ai figli comunque nati o concepiti durante il matrimonio, all'inserimento del figlio riconosciuto nella famiglia dell'uno o dell'altro genitore in maniera conforme alla valutazione di cui all'art. 30, comma terzo, Cost., all'abbassamento dell'età del figlio a quattordici anni ai fini di alcune azioni giudiziarie che lo interessano, all'unificazione delle disposizioni relative ai diritti e ai doveri dei genitori nei confronti dei figli nati nel matrimonio o al di fuori di questo[35], al coordinamento con la disciplina di diritto internazionale ad oggi vigente, alla legittimazione degli ascendenti a far valere il diritto a mantenere significativi rapporti con i nipoti minori.
Di particolare interesse per l'ambito del notariato è la lettera l) della presente delega, la quale demanda l'adeguamento della disciplina delle successioni e delle donazioni al principio di unicità dello stato di figlio, prevedendo, anche in relazione a giudizi pendenti, una disciplina che assicuri la produzione degli effetti successori nei confronti dei parenti anche per gli aventi causa del figlio naturale premorto o deceduto nel corso del riconoscimento, con conseguente estensione delle relative azioni petitorie per il riconoscimento del diritto all'eredità.
La delega al Governo richiede altresì la modifica e l'integrazione della normativa di attuazione del codice civile e delle disposizioni transitorie al fine di assicurarne il necessario coordinamento con i principi e i criteri direttivi.
L'art. 3 della presente legge di riforma, predisposto integralmente dal Senato, introduce poi una nuova formulazione dell'art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile. Tale novellata formulazione mira a sottrarre al Tribunale per i Minorenni la competenza sulle controversie relative all'esercizio della potestà e all'affidamento anche dei figli naturali, al fine di attribuirla al Tribunale Ordinario. Viene altresì riconosciuta al Tribunale Ordinario (anziché al Tribunale per i Minorenni), la competenza su diverse materie. Il Tribunale Ordinario sarà quindi l'autorità chiamata a decidere su una serie di controversie: il riconoscimento dei figli naturali e il loro affidamento e inserimento nella famigli legittima; l'assunzione del cognome del minore, l'autorizzazione all'impugnazione del riconoscimento del figlio naturale; le decisioni nell'interesse del figlio in caso di contrasto tra i genitori; l'esercizio della potestà dei genitori; la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità.
Sono quindi di competenza del Tribunale per i Minorenni i giudizi relativi a: autorizzazione a contrarre matrimonio per l'ultrasedicenne (art.84 c.c.); nomina di un curatore speciale al minore che lo assiste nella stipulazione di convenzioni matrimoniali (art. 90 c.c.); decadenza dalla potestà per violazione o trascuratezza dei doveri ad essa inerenti o per abuso dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio (art. 330 c.c.); reintegrazione nella potestà (art. 332 c.c.); adozione di provvedimenti per condotta pregiudizievole del genitore, fuori dai casi di decadenza (art. 333 c.c.); mala amministrazione del patrimonio del minore, rimozione dall'amministrazione e privazione dell'usufrutto legale (art. 334 c.c.); riammissione all'amministrazione, cessati i motivi (art. 335 c.c.); autorizzazione alla continuazione dell'esercizio di impresa (art. 371, ultimo comma, c.c.).
Sono di competenza del Tribunale Ordinario, e non più del Tribunale dei minorenni, le seguenti materie: norme per l'amministrazione del fondo patrimoniale (art. 171 c.c.); costituzione in favore di uno dei coniugi dell'usufrutto su una parte dei beni spettanti all'altro coniuge (art. 194, comma secondo, c.c.); riconoscimento figli naturali e loro affidamento e inserimento nella famiglia legittima (artt. 250, 252 c.c.); assunzione del cognome (art. 262 c.c.); autorizzazione per l'impugnazione del riconoscimento del figlio naturale (art. 264 c.c.); le decisioni nell'interesse del figlio nel caso di contrasto tra i genitori (art. 316 c.c.); l'esercizio della potestà genitoriale (art. 317 bis c.c.);la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità (art. 269, comma primo, c.c.).
Il secondo comma dello stesso articolo detta poi alcune disposizioni in materia di adempimento dell'obbligo alimentare. Il giudice, infatti, a garanzia dei provvedimenti in materia di alimenti e mantenimento della prole, può imporre al genitore obbligato di prestare idonea garanzia personale o reale, se sussiste il pericolo che possa sottrarsi all'adempimento di tali obblighi. Il giudice può anche disporre il sequestro dei beni dell'obbligato, secondo il dettato di cui all'art. 8, settimo comma, legge 10 dicembre 1970 n. 898. I provvedimenti giudiziali, ove definitivi, costituiscono titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale ai sensi dell'art. 2818 c.c.
L'art. 4 statuisce poi che ai processi sull'affidamento e mantenimento dei figli, in corso alla data di entrata in vigore della legge in esame, si applica la disciplina sul procedimento camerale di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c., nonché quella in materia di garanzie sull'adempimento degli obblighi alimentari e di mantenimento di cui all'art. 3, comma secondo, di cui sopra.
L'art. 5 demanda a un regolamento governativo le necessarie e conseguenti modifiche della disciplina dettata in materia di ordinamento dello stato civile dal regolamento di cui al D.P.R. 3 novembre 2000 n. 396. Il comma secondo sostituisce direttamente l'art. 35 del suddetto decreto presidenziale.
L'art. 6, infine, reca la clausola di invarianza finanziaria.
4. Prime riflessioni relative alle conseguenze di tali modifiche sul sistema vigente
La legge n. 219 del 2012 è entrata in vigore il 1° gennaio 2013, ma il processo di adeguamento delle norme del codice alla nuova disciplina è stabilito in tempi diversi.
Mentre alcuni interventi sul codice civile, e, in particolare, le modifiche sopra elencate, sono immediatamente operativi dal 1° gennaio 2013, altri interventi, invece, sono destinati ad operare quando saranno emessi dal Governo – entro il termine di dodici mesi dall'entrata in vigore della legge – uno o più decreti legislativi di modifica delle disposizioni vigenti in materia di filiazione e di dichiarazione dello stato di adottabilità per eliminare ogni discriminazione tra i figli, anche adottivi, nel rispetto dell'art. 30 Cost.
Appare quindi opportuno sottolineare che, oltre alle modifiche espressamente previste e già puntualmente disciplinate, gran parte del diritto di famiglia, e del diritto successorio nello specifico (settore di particolare interesse per il notariato), siano destinati a subire rilevanti incidenze, in virtù dell'unificazione tra lo status di figlio legittimo e lo status di figlio naturale. Da ciò, la necessità di una delega al Governo avente ad oggetto proprio la ridefinizione degli aspetti della filiazione ormai non più in linea con l'unificazione dello stato di figlio.
A questo punto, l'aspetto "critico", su cui occorre operare un chiarimento, è il seguente: che rapporto intercorre tra l'ultimo comma dell'art. 1 della presente legge e la delega al Governo di cui all'art. 2?
Ad avviso di chi scrive, sembra potersi affermare che l'ultimo comma dell'art. 1, nel disporre la sostituzione delle parole "figli legittimi" e "figli naturali" (sia al plurale che al singolare) "ovunque ricorrano nel codice", sia già di per sé idoneo ad incidere sul senso e sulla conseguente interpretazione da attribuire a una serie di norme del codice civile. Tale sostituzione "terminologica", in altre parole, è da considerarsi immediatamente efficace.
La delega, in quest'ottica, verrebbe ad assumere una caratterizzazione prevalentemente compilativa; avrebbe, cioè la funzione di riordinare e riorganizzare le disposizioni del vigente codice civile, ormai già modificate dalla scomparsa di ogni residua distinzione tra status e status da un punto di vista sia sostanziale che letterale.
Compito del Governo sarebbe quindi quello adeguare le disposizioni del codice civile all'unicità dello stato di figlio da un punto di vista sistematico, volto cioè al coordinamento e alla revisione di tutti quegli istituti che, prevedendo un trattamento differenziato tra figli legittimi e figli naturali, adesso devono essere totalmente riorganizzati. I suoi decreti chiariranno quindi, in via definitiva, la questione della vigenza di una serie norme che, risultando comunque modificate immediatamente, in conseguenza della sostituzione delle dizioni "figli naturali" e "figli legittimi" con la parola "figli", rischiano di perdere ogni senso logico[36].
L'eliminazione di ogni elemento distintivo tra filiazione legittima e filiazione naturale, comporterà (in attuazione della delega) il mutamento degli ambiti di applicazione, nonché della sostanza stessa di alcuni istituti, specialmente attinenti al diritto delle successioni. Sebbene non puntualmente modificate dalla legge in commento, infatti, esistono ad oggi diverse materie che, alla luce delle novità introdotte, risentono dei principi posti alla base della novella legislativa, i quali incidono profondamente anche sull'attività notarile. Nell'attesa dell'intervento del Governo, ci si propone di ragionare proprio su tali materie, al fine di comprendere quale sia il regime transitorio ad esse applicabile e, di conseguenza, quale sia il comportamento da adottare al presentarsi di fattispecie nelle quali, all'indomani della riforma, siano presenti sia "figli legittimi" che "figli naturali".
Seguono quindi alcune esemplificazioni.
Si pensi al diritto di commutazione, il quale consiste nella facoltà concessa ai coeredi figli legittimi di soddisfare, in denaro o in beni immobili ereditari, la porzione spettante ad altri coeredi, figli naturali. Tale facoltà è prevista dall'art. 537, comma terzo, c.c., il quale testualmente dispone che "i figli legittimi possono soddisfare in danaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai figli naturali che non vi si oppongono. Nel caso di opposizione decide il giudice, valutate le circostanze personali e patrimoniali".
Il diritto di commutazione rappresenta, nel nostro ordinamento, uno dei pochi elementi di forte differenziazione di trattamento tra figli legittimi e figli naturali. Proprio a causa della natura di tale istituto, alla luce delle sopra citate novità legislative, occorre interrogarsi sulla sua sorte a seguito della riforma. Da un punto di vista prettamente logico, una volta parificata la posizione dei figli legittimi e dei figli naturali, non esistendo più alcun discrimen tra loro, non avrebbe più ragion d'essere una facoltà come quella riconosciuta dall'art. 537, comma terzo, c.c., soprattutto dato che la ratio di questo istituto è stata sempre rinvenuta nella volontà di riconoscere un privilegio ai figli legittimi, a discapito di quelli naturali. Privilegio che, oggi, non è più neanche astrattamente concepibile in quanto contrario al principio guida della novella legislativa stessa.
Come sembra legittimo attendersi, la legge delega dovrà cancellare, definitivamente, il diritto di commutazione, altrimenti non si realizzerebbe quell'unitario statuto successorio che la legge di riforma mira a creare.
Il notaio cui venga richiesto di applicare il diritto di commutazione ad oggi si troverebbe in una situazione di incertezza. Sebbene tale articolo non sia stato oggetto di diretta abrogazione, ad esso si ritiene immediatamente applicabile la disposizione di cui all'ultimo comma dell'art. 1 della presente legge, dato che le dizioni "figli legittimi" e "figli naturali" vi ricorrono entrambe.
Volendo direttamente applicare tale sostituzione terminologica, l'articolo relativo alla facoltà di commutazione verrebbe ad assumere il seguente tenore letterale: "i figli possono soddisfare in danaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai figli che non vi si oppongono. Nel caso di opposizione decide il giudice, valutate le circostanze personali e patrimoniali". Vista così, la norma appare priva di senso logico.
Appare verosimile, quindi, considerare la norma come implicitamente abrogata, in quanto contraria ai principi alla base della riforma.
Per questo si consiglia molta prudenza al notaio che si trovi di fronte all'esercizio di tale facoltà nell'attesa dell'emanazione dei decreti legislativi di cui all'art. 2 della presente legge[37].
Particolari problemi si pongono con riferimento alla disciplina intertemporale. Si pensi al caso di successione apertasi nel dicembre 2012. Tra gli eredi di questa successione vi sono sia figli legittimi che figli naturali. Dato che la successione si è aperta ed è stata accettata a dicembre, cioè prima dell'entrata in vigore della presente legge, la facoltà di esercitare il diritto di commutazione di cui all'art. 537, comma terzo, c.c., è già sorta in capo ai figli legittimi.
Possono, oggi, i figli legittimi esercitare il diritto di commutazione nei confronti dei figli naturali, oppure questa loro facoltà è venuta meno in conseguenza dell'entrata in vigore della legge 219/2012?
A questa domanda non sembra potersi dare risposta univoca. Se si considera che un diritto sorto resta tale e non viene intaccato dall'entrata in vigore della nuova legge, visto anche il principio di irretroattività delle leggi di cui all'art. 11 delle preleggi, dovrebbe concludersi per la possibilità di esercitare tale facoltà. I figli legittimi, quindi, anche dopo l'entrata in vigore della legge di cui sopra, resteranno titolari del diritto potestativo di esercitare la commutazione, poiché lo erano già divenuti all'apertura della successione. Naturalmente, presupposto di ciò, è che l'accettazione dell'eredità sia avvenuta prima dell'entrata in vigore della legge, cioè prima del 1° gennaio 2013.
A ciò, però, si potrebbe obiettare che occorre distinguere tra titolarità del diritto e possibilità del suo esercizio. Accettando l'eredità prima dell'entrata in vigore della legge, i figli legittimi sono divenuti titolari del diritto potestativo di esercitare la commutazione. Però, a far data dal 1° gennaio 2013 è venuta meno la possibilità concreta di esercitare tale diritto. Quindi, anche se in capo ai figli legittimi è sorto il diritto potestativo di esercitare la facoltà di cui all'art. 537, comma terzo, c.c., e oggi il diritto continua a sussistere, esso non può più essere esercitato, pena la contrarietà a norme imperative e a principi ormai entrati a far parte del nostro ordinamento. In altre parole, qualora i figli legittimi oggi chiedessero di esercitare la facoltà di commutazione, eserciterebbero un diritto divenuto contra legem ed altresì contrario a un principio fondamentale dell'ordinamento giuridico, quale quello di assoluta parità dello status giuridico dei figli.
Altrettanta incertezza denota la fattispecie dei giudizi aventi ad oggetto il diritto di commutazione instauratisi prima dell'entrata in vigore della presente legge e non ancora conclusi.
Altro ambito su cui incide la presente novella legislativa è costituito dalla successione legittima. L'instaurazione di rapporti di parentela non solo con il genitore che ha effettuato il riconoscimento, ma anche con i parenti di lui, importa conseguenze anche sul piano dell'individuazione dei successori legittimi, nonché delle quote cui essi sono chiamati a succedere.
Lo status quo ante, non permettendo l'instaurazione di rapporti di parentela tra figli naturali e altri parenti del genitore che effettuava il riconoscimento, non prevedeva che i fratelli legittimi e i fratelli naturali potessero considerarsi parenti. La normativa ante riforma impediva che, alla morte di un "fratello legittimo", il "fratello naturale" potesse essere ricompreso nel novero degli eredi legittimi di costui, mancando appunto un legame di parentela tra gli stessi.
A fini di completezza è opportuno richiamare due pronunce[38] della Corte Costituzionale in materia, la quale, già in passato, aveva affermato che i fratelli naturali del de cuius potessero ereditare qualora al defunto non sopravvivessero coniuge, figli o altri parenti entro il sesto grado. In altre parole, il fratello naturale avrebbe potuto ereditare prima dello Stato e in mancanza di parenti congiunti entro il sesto grado. La Corte Costituzionale aveva quindi già allargato l'orizzonte relativo alla successione del "fratello naturale", ma oggi, una modifica in tal senso, si pone come obbligatoria, alla luce della delega contenuta nel disegno di legge, nonché al fine di garantire il coordinamento dei principi successori con le modifiche recentemente introdotte.
In conseguenza della legge di riforma, la quale direttamente afferma l'instaurarsi dei rapporti di parentela "sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso", alla morte di un fratello legittimo, il fratello naturale potrà succedergli, anche per l'intero. Ciò, naturalmente, qualora non sopravvivano al defunto prole, genitori, né altri ascendenti, come espressamente previsto dall'art. 570 c.c.
Si pensi anche al caso in cui al defunto sopravvivano il coniuge e il fratello naturale. Se prima della riforma era indubbio che, ai sensi dell'art. 583 c.c., al coniuge si devolvesse l'intera eredità, adesso, in virtù dei legami di parentela che interessano anche i fratelli naturali, verrà applicato (al caso di specie), l'art. 582 c.c., relativo al concorso del coniuge con ascendenti legittimi, fratelli e sorelle del defunto. Di conseguenza, la quota riservata al coniuge superstite, qualora sopravviva al de cuius anche il fratello naturale, sarà diminuita.
Stesso discorso può farsi per la fattispecie nella quale al defunto sopravvivano più fratelli. I "fratelli legittimi" vedranno ristretta la quota di loro spettanza in quanto anche il "fratello naturale" sarà da considerarsi destinatario di una quota ereditaria.
Altra ripercussione che la predetta riforma avrà sui principi propri della successione legittima è costituita dall'esclusione dalla chiamata di parenti di gradi successivi rispetto al grado dei fratelli.
Altro aspetto che merita di essere sottolineato riguarda la dizione, presente in diversi articoli del codice civile, di "ascendenti legittimi". Nonostante essa non sia stata toccata in maniera espressa dalla riforma, si ritiene che, alla luce delle novità introdotte, tale formula sia ormai priva di senso. Instaurandosi rapporti di parentela non solo con il genitore che ha effettuato il riconoscimento, ma anche con i parenti di lui, il figlio potrà avere rapporti con i fratelli del genitore e i nonni. Non avrà più alcun senso, in quest'ottica, distinguere tra ascendenti legittimi e ascendenti "non legittimi"[39].
Ulteriore punto sul quale la novella incide (ancora in via indiretta) è quello relativo alla rappresentazione, la quale, ai sensi dell'art. 467 c.c. "fa subentrare i discendenti legittimi o naturali nel luogo e nel grado del loro ascendente, in tutti i casi in cui questi non può o non vuole accettare l'eredità o il legato". La norma successiva, l'art. 468 c.c., relativa ai soggetti della rappresentazione, statuisce che, nella linea collaterale, la rappresentazione opera a favore dei discendenti dei fratelli e delle sorelle del defunto. Posto che nella previgente normativa fra "fratelli legittimi" e "naturali" non si instaurava alcun legame di parentela, non poteva trovare applicazione l'istituto della rappresentazione per i "fratelli naturali". I discendenti di questi ultimi non potevano succedere ai loro ascendenti per rappresentazione. Oggi, invece, "fratelli legittimi" e "fratelli naturali" sono parenti a tutti gli effetti, e sarà da considerarsi applicabile l'art. 468 c.c. ai discendenti del "fratello naturale" caso in cui questi premuoia al "fratello legittimo" o rinunci alla di lui eredità.
Questi sopra elencati sono i principali punti che, sebbene non puntualmente contemplati nel disegno di legge oggetto di approvazione, saranno interessati da successive modifiche, data la loro attuale "incompatibilità" con le ragioni e le finalità della riforma[40].
Per quanto attiene alla disciplina intertemporale, il legislatore non ha dettato norme transitorie in relazione alle disposizioni della presente legge; conseguentemente, esse dovranno trovare applicazione per le successioni apertesi a far data dal primo gennaio 2013, cosicché, "con riferimento alle successioni apertesi in precedenza, resta precluso ogni diritto dei parenti «naturali» sulla base delle previgenti disposizioni che regolavano la chiamata legale all'eredità"[41].
Dunque, troverà piena applicazione il principio secondo il quale la legge regolatrice della successione è quella vigente al tempo dell'apertura della stessa.
Le nuove norme che hanno creato rapporti di parentela tra soggetti che prima ne erano esclusi, inserendoli di conseguenza tra le categorie di successibili "non hanno carattere retroattivo e quindi non consentono a quei soggetti di essere chiamati alle successioni apertesi prima del gennaio 2013"[42].
5. Casistica
Poniamo l'esempio in cui Tizione, vedovo, abbia due figli: Tizio, legittimo, e Caio, naturale. Tizio, coniugato con Tizia, a sua volta, ha due figli: Tizietto, legittimo e Caietto, naturale.

Attraverso l'analisi di diverse fattispecie, il presente studio cerca di focalizzare l'attenzione sulle ripercussioni concrete della riforma, provando ad anticipare in parte ciò che sarà affermato dal Governo nei decreti legislativi.
5.1 Istituto della rappresentazione
· Muore Tizione.
Tizio non vuole o non può accettare l'eredità. Chi succede per rappresentazione?
Ieri e oggi: Tizietto e Caietto succedono per rappresentazione, ai sensi dell'art. 467 c.c., nella quota di eredità spettante al padre Tizio.
· Muore Caio.
Tizio non vuole o non può accettare l'eredità. Chi succede per rappresentazione?
Ieri: Tizietto e Caietto non potevano succedere per rappresentazione, dato che l'art. 468 c.c. ammetteva la rappresentazione nella linea collaterale a favore dei discendenti dei fratelli e sorelle del defunto. Tizio non aveva alcun rapporto di parentela con Caio, quindi i suoi figli non potevano succedere per rappresentazione.
Oggi: Tizietto e Caietto succedono per rappresentazione nella quota di eredità spettante al padre Tizio, dato che fra Tizio e Caio può considerarsi esistente un rapporto di parentela. I figli di Tizio rientrano a pieno titolo nel novero dei soggetti in favore dei quali può operare la rappresentazione.
· Muore Tizietto.
Possono succedere i figli di Caietto, nel caso in cui questi non possa o non voglia accettare l'eredità?
Vale il discorso fatto per la precedente fattispecie.
Ieri: i figli di Caietto non potevano succedere per rappresentazione.
Oggi: i figli di Caietto succedono per rappresentazione in luogo del padre, nella quota di eredità a lui spettante.
5.2 La successione dei legittimari
· Muore Tizione.
Gli sopravvivono i figli. A quali quote avranno diritto in quanto legittimari?
Ieri e oggi: Tizio e Caio avranno diritto alla quota di 2/3 del patrimonio, da dividersi in parti uguali, come dispone l'art. 537, comma secondo, c.c.
· Muore Tizione.
Gli sopravvive solo Caio. A quali quote avrà diritto in quanto legittimario?
Ieri e oggi: Caio avrà diritto alla quota di ½ del patrimonio, come dispone l'art. 537, comma primo, c.c.
· Muore Tizione.
Gli sopravvivono Caio e i figli di Tizio (Tizietto e Caietto). A quali quote avranno diritto in quanto legittimari?
Ieri e oggi: Caio e Tizio, in quanto figli, come visto prima, hanno diritto alla quota di 2/3 del patrimonio da dividersi in parti uguali (art. 537, comma secondo, c.c.). Dato che Tizio non può più accettare l'eredità (essendo premorto a Tizione), avranno diritto alla sua quota i figli Tizietto e Caietto, che subentreranno al padre per rappresentazione. Ad essi, in virtù di quanto disposto dall'art. 536 ultimo comma, c.c., sarà riconosciuta la stessa quota che spettava al padre.
Quindi Caio, da un lato, e Tizietto e Caietto, dall'altro, avranno diritto alla quota di 2/3 del patrimonio, da dividersi in parti uguali (Caio per 1/3 e Tizietto e Caietto per 1/3).
· Muore Tizione.
Gli sopravvivono i nipoti Tizietto e Caietto. A quali quote avranno diritto in quanto legittimari?
Ieri e oggi: Tizietto e Caietto avranno diritto alla stessa quota di spettanza del padre Tizio, dato che succedono per rappresentazione in luogo di quest'ultimo (ai sensi combinato disposto degli artt. 467 e 536, ultimo comma, c.c.). Avranno quindi diritto a una quota pari a ½ del patrimonio, si sensi dell'art. 537, comma primo, c.c.
· Muore Caietto.
Gli sopravvivono tutti. Chi avrà diritto a una quota del suo patrimonio in quanto legittimario?
Ieri e oggi: dato che Caietto non ha discendenti né coniuge, l'unico soggetto che ha diritto a una quota del patrimonio in quanto legittimario è Tizio. La moglie Tizia, inoltre, avrà anch'essa diritto a una quota del patrimonio solo se ha riconosciuto anch'ella il figlio. In questo caso gli ascendenti, ai sensi dell'art. 538 c.c. avranno diritto alla quota pari a 1/3 del patrimonio.
· Muore Caietto.
Gli sopravvive solo Tizia. Chi avrà diritto a una quota del suo patrimonio in quanto legittimario?
Ieri e oggi: dato che soggetti legittimari sono la madre Tizia (se ha effettuato il riconoscimento) e il padre Tizio, avranno diritto alla quota di 1/3, da dividersi in parti uguali. In luogo di Tizio, però, succederà Tizietto, per rappresentazione. La quota di 1/3 sarà quindi da dividersi in parti uguali tra Tizia e Tizietto (combinato disposto degli artt. 536 ultimo comma c.c. e 538 c.c.).
5.3 La successione legittima
· Muore Tizione.
Gli sopravvivono tutti. Non avendo Tizione redatto alcun testamento, in che quote erediteranno i successori legittimi?
Ieri e oggi: Tizio e Caio, ai sensi dell'art. 566 c.c., succedono in parti uguali. Succederanno in una quota parti a ½ del patrimonio ciascuno.
· Muore Tizione.
Gli sopravvivono Caio, Tizietto e Caietto. Non avendo Tizione redatto alcun testamento, in che quote erediteranno i successori legittimi?
Ieri e oggi: sempre ai sensi dell'art. 566 c.c., i figli succedono nell'intero al padre e alla madre. Dato che Tizio è premorto a Tizione, l'eredità si devolverà per ½ in favore di Caio, e per la parte restante, in favore i Tizietto e di Caietto, che dovranno dividere tale quota in parti uguali.
· Muore Tizione.
Sopravvive solo Tizio. Non avendo Tizione redatto alcun testamento, in che quote erediteranno i successori legittimi?
Ieri e oggi: a Tizio sarà devoluta l'intera eredità, ai sensi dell'art. 566 c.c.
· Muore Tizione.
Gli sopravvivono Tizietto e Caietto. Non avendo Tizione redatto alcun testamento, in che quote erediteranno i successori legittimi?
Ieri e oggi: Tizietto e Caietto succedono per rappresentazione al padre Tizio a cui, qualora non fosse premorto a Tizione, sarebbe stata devoluta l'intera eredità. Tizietto e Caietto avranno quindi diritto alla quota di ½ del patrimonio ciascuno (combinato disposto artt. 467 c.c. e 566 c.c.).
· Muore Tizio.
Gli sopravvivono moglie e figli. Non avendo Tizio redatto alcun testamento, in che quote erediteranno i successori legittimi?
Ieri e oggi: ai sensi dell'art. 581 c.c., in caso di concorso del coniuge con più figli, al coniuge verrà devoluto 1/3 dell'eredità, mentre ai figli verrà devoluta la quota pari a 2/3, da dividersi tra loro in parti uguali.
· Muore Tizio.
Gli sopravvivono Tizia e Caio. Non avendo Tizio redatto alcun testamento, in che quote erediteranno i successori legittimi?
Ieri: a Tizio succedeva solo la moglie Tizia. L'art. 583, infatti, dispone che in assenza di figli legittimi o naturali, ascendenti, fratelli o sorelle, al coniuge si devolve l'intera eredità. Non essendosi instaurato alcun rapporto di parentela tra Tizio e il fratello naturale Caio, soltanto Tizia poteva considerarsi successore legittimo.
Oggi: non deve applicarsi l'art. 581 c.c., ma l'art. 582 c.c., che si occupa della fattispecie del concorso del coniuge con ascendenti legittimi, fratelli e sorelle. A Tizia saranno quindi devoluti i 2/3 dell'eredità e la parte residua (1/3) sarà devoluta a Caio, oggi fratello a tutti gli effetti del defunto Tizio.
· Muore Tizio.
Gli sopravvivono Tizia, Caio e Tizione. Non avendo Tizio redatto alcun testamento, in che quote erediteranno i successori legittimi?
Ieri: ai sensi dell'art. 582 c.c., a Tizia venivano devoluti i 2/3 dell'eredità e a Tizione, ascendente di Tizio, veniva devoluta la quota residua di 1/3. Caio non era annoverato tra i successori legittimi in quanto non si era instaurato alcun rapporto di parentela con il fratello Tizio.
Oggi: anche Caio sarà da considerarsi come successore legittimo. Si applicherà sempre l'art. 582 c.c., ma la quota che prima veniva devoluta a Tizione (ascendente), deve essere oggi divisa con Caio (fratello del defunto).
· Muore Caio.
Gli sopravvivono tutti. Non avendo Caio redatto alcun testamento, in che quote erediteranno i successori legittimi?
Ieri: l'unico soggetto a succedere era il padre Tizione, in quanto solo con lui si era instaurato un rapporto di parentela. Si applicava quindi l'art. 568 c.c. e a Tizione veniva devoluta l'intera eredità.
Oggi: il padre Tizione concorre con il fratello Tizio, con il quale Caio ha rapporti di parentela. Trova applicazione l'art. 571 c.c. e Tizione e Tizio avranno diritto ciascuno alla metà del patrimonio.
· Muore Caio.
Gli sopravvivono Tizione, Tizietto e Caietto. Non avendo Caio redatto alcun testamento, in che quote erediteranno i successori legittimi?
Ieri: come nel caso precedente, trovava applicazione l'art. 568 c.c. e succedeva a Caio solo il padre Tizione.
Oggi: si applica l'art. 571 c.c. Tizione succederà nella quota di ½ del patrimonio. La restante metà sarà devoluta ai figli di Tizio che succederanno per rappresentazione.
· Muore Caio.
Gli sopravvivono Tizietto e Caietto. Non avendo Caio redatto alcun testamento, in che quote erediteranno i successori legittimi?
Ieri: Caio non avrebbe avuto successori legittimi.
Oggi: Tizietto e Caietto succedono nell'intero per rappresentazione del padre Tizio. Sarà devoluta la quota di ½ del patrimonio a ciascuno dei nipoti.
6. Conclusioni
Come scrisse Rosario Nicolò[43]: "in materia di filiazione illegittima si deve proprio dire che il legislatore non ha avuto fortuna. Quand'anche esso si sforzi di seguire criteri di benevola larghezza, succede sempre che i limiti e le cautele, che sono pure indispensabili per la difesa della famiglia legittima, appaiono, in qualche situazione, eccessivi, sicché, a torto o a ragione, giudici e parti dimostrano per essi una tale insofferenza da arrivare alla pura e semplice disapplicazione delle norme positive".
L'autore già nel 1943 evidenziava l'esistenza di un sentimento di insofferenza verso i limiti e le cautele posti a difesa della famiglia legittima, che finivano conseguentemente per ledere i diritti e le spettanze dei figli naturali. Questo sentimento di insofferenza, durante gli ultimi decenni ha trovato qualche tentativo arginatore, sia in provvedimenti legislativi, che in alcune pronunce giurisprudenziali, ma, come più volte ripetuto, fino all'emanazione della legge in commento, non si è mai riusciti a realizzare una parificazione organica e completa.
Ciò dimostra che le parole di Nicolò sulla sfortuna del legislatore, nonostante risalissero al 1943, fossero caratterizzate da una perdurante attualità[44], soprattutto se si pensa che potevano essere considerate attuali fino al 31 dicembre 2012.
Oggi, grazie alla legge 219/2012, la parificazione dello status di figlio è compiutamente attuata, e può pacificamente affermarsi che l'unicità dello stato di figlio sia entrata a far parte in maniera definitiva dei principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico. Sebbene occorra attendere i decreti governativi al fine di conoscere ulteriori modificazioni all'assetto vigente, in via sostanziale può dirsi che tali mutamenti siano già operativi.
La casistica sopra riportata serve infatti a far comprendere alle categorie interessate che, nonostante alcuni articoli del codice civile ancora oggi riportino le dizioni "figli naturali" e "figli legittimi", e non siano stati modificati testualmente dalla riforma, l'introduzione della parità tra i figli ha comunque già cambiato la sostanza di diversi istituti. Il notaio che calcolasse le quote ereditarie non tenendo conto della parificazione tra i figli compierebbe un atto contra legem ed altresì contrario a principi fondamentali dell'ordinamento giuridico.
Appare opportuno sottolineare che, in seno ai lavori della Commissione, nella predisposizione dei diritti da riconoscere ai figli, sia stato proposto un particolare diritto, cioè il diritto del figlio ad essere amato dai propri genitori. Tale previsione però, in sede di Consiglio dei Ministri, non è stata accolta. Sebbene il riconoscimento della dignità della persona umana implichi anche il riconoscimento del bisogno innato di avere relazioni affettive con i propri cari, è stato osservato che la legge non può imporre i sentimenti. Il ricorso al "diritto all'amore", però, sottolineava l'importanza dell'interesse del figlio a non venire pregiudicato nel suo sviluppo ed equilibrio psico-fisico; a tal fine, assumevano grande rilevanza le relazioni affettive del minore, che, secondo i sostenitori del "diritto all'amore", dovevano essere considerate dall'ordinamento come espressione di un interesse meritevole di tutela[45]. Anche la Corte di Cassazione[46] aveva affermato che il "calore affettivo" costituisse l'oggetto di un diritto fondamentale della persona, specifico e diverso rispetto a quello dell'assistenza morale.
Sebbene, quindi, fosse riconosciuta la rilevanza giuridica dell'interesse del minore di ricevere l'affetto della propria famiglia, resta tutt'oggi la difficoltà di tradurre in termini positivi tale diritto, dato che l'amore trascende il mondo della giustizia[47].
Anche se non si è giunti a sancire per i figli il "diritto all'amore", non può non sottolinearsi che la riforma delle norme in materia di filiazione costituisca un fondamentale punto di innovazione che, per il nostro ordinamento, rappresenta segno della volontà che il diritto si "adegui" a un'evoluzione della società che, alla luce dei principi di giustizia e di coerenza dell'ordinamento, non può essere assolutamente ignorata dal legislatore.
[1] R. CARRANO, Lo stato giuridico di figlio e il nuovo statuto dei diritti e doveri, in Giustizia civile, 2011, 184.
[2] Art. 8: "Diritto al rispetto della vita privata e familiare"
1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.
[3] Art. 14: "Divieto di discriminazione"
Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l'origine nazionale o sociale, l'appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.
[4] Art. 21: "Non discriminazione"
1. È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali.
2. Nell'ambito d'applicazione del trattato che istituisce la Comunità europea e del trattato sull'Unione europea è vietata qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza, fatte salve le disposizioni particolari contenute nei trattati stessi.
[5] R. CARRANO, Lo stato giuridico di figlio, op. cit., 184.
[6] G. MORANI, L'inadeguata tutela giuridica della prole nata fuori dal matrimonio nel nostro ordinamento, in Il diritto di famiglia e delle persone, Vol. XLI – gennaio-marzo 2012, 478.
[7] Corte Cost. 7 novembre 1994 n. 377: "La questione di legittimità costituzionale degli art. 565, 572 e 468 c.c. - proposta, in riferimento agli art. 3 e 30 Cost., nella parte in cui non prevedono la successione legittima di fratelli e sorelle naturali del "de cuius" e, per rappresentazione, quella dei discendenti degli stessi, in mancanza di membri della famiglia legittima restrittivamente intesa - è inammissibile, essendo al riguardo prospettabile una pluralità di soluzioni, non esclusa l'introduzione di nuovi casi di concorso, tra le quali la scelta appartiene alla discrezionalità legislativa".
[8] Corte Cost. 23 dicembre 2000 n. 532: "[…] un ampio concetto di «parentela naturale» non è stato recepito dal legislatore costituente, il quale si è limitato a prevedere la filiazione naturale e a stabilirne l'equiparazione a quella legittima, peraltro con la clausola di compatibilità. Tale equiparazione, pertanto, riguarda fondamentalmente il rapporto che si instaura tra il genitore che ha provveduto al riconoscimento del figlio naturale (o nei cui confronti la paternità o maternità sia stata giudizialmente accertata), e il figlio stesso. I rapporti tra la prole naturale e i parenti del genitore, invece, non trovano riferimenti nella Carta fondamentale e restano quindi estranei all'ambito di operatività dell'invocato paramento".
Sul punto anche Corte Cost. 12 aprile 1990 n. 184.
[9] B. LENA, Il nuovo diritto di famiglia, diretto da G. FERRANDO, volume terzo - Filiazione e adozione, Bologna, 2010, 354 e ss.
[10] A. MORACE PINELLI, Il problema della rilevanza giuridica della c.d. parentela naturale, in Rivista di diritto civile, 2012, 3, 353 e ss.
[11] G. FERRANDO, Filiazione legittima e naturale, Diritto Civile – diretto da Nicolò Lipari e Pietro Rescigno, Volume I: Fonti, Soggetti, Famiglia – Tomo II. La Famiglia, Milano , 2009, 406 e ss.
[12] M. SESTA, La parità dei figli nell'opera di Rosario Nicolò, in Riv. trim. dir. proc. civ., marzo 2012, 151.
[13] B. LENA, Il nuovo diritto di famiglia, op. cit., 329 e ss.; G. FERRANDO, Filiazione naturale, in Riv. dir. civ., 1983 Parte Seconda, 748, a proposito dei principi della riforma, afferma che: "la vigente disciplina della filiazione naturale – frutto della riforma operata con la l. 151 del 1975 – poggia su due principi distinti, ma collegati. Il primo informa di sé le relazioni tra genitori e figli e consiste nella sostanziale identità di diritti (e doveri) dei figli legittimi e dei figli naturali. Il secondo principio informa la disciplina dei modi di accertamento della filiazione e consiste nella tendenziale corrispondenza tra «certezza formale» e «verità naturale» dello stato di figlio".
[14] B. LENA, Il nuovo diritto di famiglia, op. cit., 330.
[15] Spagna: art. 108, comma secondo, c.c.; Portogallo: artt. 1874 e ss. c.c.; Svizzera: artt. 252 e ss. c.c.; Germania: § 1615 e ss. BGB.
[16] M. DELLACASA, Il nuovo diritto di famiglia, diretto da G. FERRANDO, volume terzo - Filiazione e adozione, Bologna, 2010, 454 e ss.
[17] M. DELLACASA, Il nuovo diritto di famiglia, op. cit., 455.
[18] Corte Cost., 23 novembre 2000 n. 532; Corte Cost., 12 aprile 1990 n. 184.
[19] G. FERRANDO, Filiazione legittima, op. cit., 411; sul punto si veda anche: M. DELLACASA, op. cit., 460.
[20]C. M. BIANCA, Prospettive di riforma del diritto di famiglia, in Vita Notarile, 1974, 15 e ss.; ancora C. M. BIANCA, Diritto civile, II, La Famiglia – Le successioni, Milano, 2001, 20 e ss.: "In quanto la parentela ha riguardo al fatto della discendenza, essa sussiste a prescindere dalla circostanza che i discendenti siano stati generati in costanza di matrimonio, e cioè da genitori coniugati"; G. FERRANDO, Filiazione naturale, op. cit., 771 e ss.; A. SCORTECCI, La parentela naturale, in Studium Iuris, 2/2007, 224: "In dottrina, invece, sempre maggior credito trova la tesi del generale riconoscimento della parentela naturale. Essa merita piena adesione, rendendo possibile una (almeno) sostanziale parificazione tra filiazione legittima e naturale"; A. RENDA, Le incerte sorti della parentela naturale tra resistenze giurisprudenziali e prospettive di riforma, in Famiglia, Persone e Successioni, 1/2008, 21 e ss.; M. BESSONE e G. FERRANDO, Regime della filiazione, parentela naturale e famiglia di fatto, in Il diritto di famiglia e delle persone, 1979, 1312 e ss.; M. SESTA, I disegni di legge in materia di filiazione: dalla diseguaglianza all'unicità dello status, in Famiglia e diritto, 10/2012, 962 e ss.; M. DOGLIOTTI e M. SESTA, Il diritto di famiglia, Tomo III, in Trattato di diritto privato, diretto da BESSONE, Torino, 1999, 120 e ss.; A. ALBANESE, La successione legittima tra passato e futuro, in Famiglia, Persone e Successioni, 8-9/2012, 620.
Contra: A. TRABUCCHI, Natura Legge Famiglia, in Riv. dir. civ., 1977, 11, secondo il quale "famiglia e parentela sono figure giuridiche indissociabili dall'esistenza di una legittimità che è data dal matrimonio di base".
[21]C. M. BIANCA, Prospettive, op. cit., 15, che, trattando dell'argomento della parentela naturale in linea collaterale, sottolinea che: "un limite è sicuramente rimasto, invece, nei rapporti con gli altri parenti del genitore naturale. In linea retta una certa rilevanza del vincolo è stata ammessa. In linea collaterale, no. Ciò vuol dire che anche in base al progetto due figli naturali degli stessi genitori non hanno tra loro un vincolo di parentela legalmente riconosciuto. […] La preoccupazione di salvare la famiglia legittima è alla base dell'atteggiamento dottrinario che è contrario a sostanziali concessioni a favore dei figli naturali. Questo atteggiamento non può essere condiviso non perché la famiglia legittima non debba essere tutelata e rispettata, ma perché il problema della tutela dei figli nati fuori dal matrimonio non può essere identificato con quello della tutela della famiglia naturale in concorrenza con quella legittima"; A. RENDA, Le incerte sorti, op. cit., 29 e ss., il quale afferma che "occorre sottolineare il paralogismo insito nel trarre dal difetto di un trattamento successorio della parentela naturale (segnatamente, collaterale) la conclusione della sua insussistenza. […] Altro è negare che possa ricostruirsi dal codice uno statuto successorio – per esempio - dei fratelli naturali, altro è , in mancanza dello stesso, negare che i fratelli naturali siano parenti. […] Il problema in discorso consiste allora, in primo luogo, nel ribadire che la parentela in linea collaterale è parentela a tutti gli effetti nel sistema del codice e, in secondo luogo, nel giudicare la mancata erogazione nei riguardi di tali parenti di un trattamento successorio analogo a quello riservato ai parenti «legittimi» come lesiva del principio costituzionale di uguaglianza tra le persone"; M. SESTA, I disegni, op. cit., 964, il quale specifica che "coloro che ammettono un rapporto di parentela tra fratelli naturali, giungono a tale conclusione, osservando come l'art. 433, n. 6, c.c. stabilisca l'obbligo di prestare gli alimenti a carico dei fratelli dell'alimentando, senza fare alcuna distinzione fra fratelli legittimi e naturali. Si richiama, altresì, a sostegno della tesi favorevole a riconoscere la parentela naturale anche in linea collaterale, il dettato di cui all'art. 467 c.c., che attribuisce il diritto di succedere per rappresentazione anche ai discendenti legittimi e naturali di fratelli o sorelle del defunto; da qui di argomenta che, se sono parenti tra loro zio e nipote, collaterali di terzo grado, lo saranno a maggior ragione anche i fratelli naturali, collaterali di secondo grado. […] Appare comunque certo che una visione discriminante dei rapporti di parentela naturale si ponga in conflitto non solo con significativi indici normativi di indole sovranazionale, ma anche con i principi fondamentali espressi dalla Costituzione e con quelli introdotti dalla riforma del 1975"; ancora C. M. BIANCA, I parenti naturali non sono parenti? La Corte Costituzionale ha risposto: la discriminazione continua, in Giustizia civile, 2001: "Il confinamento dei fratelli naturali al'ultimo grado posto della scala dei successibili non può pertanto trovare appiglio nella norma costituzionale sulla tutela dei figli nati fuori dal matrimonio. I fratelli naturali, piuttosto, devono succedere secondo l'ordine stabilito dalle norme sulla successione legittima e, secondo tale ordine devono succedere gli altri parenti naturali"; G. FERRANDO, Principio di eguaglianza, parentela naturale e successione, in Famiglia e diritto, 4/2001, 367: "secondo l'impostazione tradizionale, la comune discendenza da uno stesso stipite non sarebbe sufficiente a stabilire un rapporto di parentela essendo tale solo quello che ha il proprio fondamento nel matrimonio. Ma una lettura di questo tipo non sembra più corrispondente ai rapporti di famiglia così come disegnati dalla riforma, né al generale principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) ed al riconoscimento della pari dignità giuridica e sociale dei figli indipendentemente dalle circostanze della nascita (art. 30 Cost.): di qui la proposta di una lettura aggiornata dell'art. 74 c.c. che, fedele al suo tenore letterale, riconosca il concetto di parentela alla comune discendenza da uno stesso stipite, vale a dire al rapporto di sangue, piuttosto che al matrimonio".
[22] M. SESTA, La parità, op. cit., 153.
[23] A. MORACE PINELLI, Il problema della rilevanza, op. cit., 347.
[24] A. MORACE PINELLI, Il problema della rilevanza, op. cit., 349.
[25] Invece che di potestà, si parlerà di "responsabilità genitoriale".
[26] R. CARRANO, Lo stato giuridico di figlio, op. cit., 186 e ss.
[27] A. SCORTECCI, La parentela naturale, op. cit., 225, specifica che "riconoscere che il figlio naturale, così come il figlio legittimo, è inserito in una trama di rapporti di parentela, risponde ad un fondamentale bisogno della persona ed a un sicuro interesse sociale. Isolarlo in due distinti rapporti con i genitori, significa invece lederne la dignità di figlio e di uomo come essere relazionale, assegnandogli un deteriore stato giuridico senza alcuna giustificazione, o la cui assurda giustificazione altro non è se non la volontà di colpire i figli per odio verso i padri che li hanno generati al di fuori del vincolo matrimoniale".
[28] R. CARRANO, Lo stato giuridico di figlio, op. cit., 190.
[29] G. FERRANDO, La legge sulla filiazione. Profili sostanziali, in Jus Civile, 2/2013, 143.
[30] G. FERRANDO, La legge sulla filiazione, op. cit., 138-139: "rispetto a quanto precedentemente disposto, i diritti del figlio vengono sviluppati e inseriti in una disposizione di carattere generale che riguarda tutti i figli. Il diritto alla famiglia, il diritto ai rapporti con i parenti, il diritto all'ascolto, fino ad ora contemplati soltanto in norme di settore – nella legge sull'adozione, il primo, in quella sull'affido condiviso, il secondo – vengono ora affermati in termini generali. […]Occorrerà coordinare la nuova disposizione con il precedente art. 147 (che non ha più ragion d'essere) e con l'art. 148 relativo all'adempimento dell'obbligo di mantenimento, che già veniva pacificamente applicato a tutti i figli, e che ora dovrebbe essere collocato immediatamente dopo l'art. 315 bis essendo ormai chiaro che il concorso negli oneri di mantenimento riguarda i genitori in quanto tali e non in quanto coniugi".
[31] M. SESTA, La riforma della filiazione: profili successori, in Atti del VIII Congresso giuridico forense per l'aggiornamento professionale: Roma, Complesso monumentale di S. Spirito in Sassia, 14-15-16 marzo 2013, 10, "Si deve pensare che il legislatore abbia inteso riferirsi a comportamenti del genitore che – pur non avendo dato adito alla declaratoria di decadenza, il che può accadere per una molteplicità di ragioni – costituiscono violazione dei doveri familiari, quali quelli oggetto di recente analisi giurisprudenziale sotto il riguardo della conseguente responsabilità del genitore ex art. 2043 c.c.".
[32] Art. 600- septies.2 c.p.: "Pene accessorie".
"Alla condanna o all'applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'art. 444 del codice di procedura penale per i delitti previsti dalla presente sezione e per il delitto di cui all'art. 414-bis del presente codice conseguono:
1) la perdita della potestà genitoriale, quando la qualità di genitore è prevista quale circostanza aggravante del reato;
2) l'interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela o all'amministrazione di sostegno;
3) la perdita del diritto agli alimenti e l'esclusione dalla successione della persona offesa. […]" .
Art. 609-nonies c.p.: "Pene accessorie ed altri effetti penali".
"La condanna o l'applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale per alcuno dei delitti previsti dagli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609.octies e 609-undecies comporta:
1) la perdita della potestà del genitore, quando la qualità di genitore è elemento costitutivo o circostanza aggravante del reato;
2) l'interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all'amministrazione di sostegno;
3) la perdita del diritto agli alimenti e l'esclusione dalla successione della persona offesa. […]".
Si richiama in questa sede anche l'art. 602-bis c.p., rubricato "pene accessorie", abrogato dalla lettera n) della stessa legge 1°ottobre 2012, n. 172, il quale sebbene prevedesse la decadenza dalla potestà per il compimento di una serie di reati, non comminava anche l'esclusione dalla successione della persona offesa.
[33] Art. 19 c.p.: "Pene accessorie: specie".
"Le pene accessorie per i delitti sono:
[…] 6) la decadenza o la sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori […]".
Art. 32 c.p.: "Interdizione legale".
"Il condannato all'ergastolo è in stato di interdizione legale.
La condanna all'ergastolo importa anche la decadenza dalla potestà dei genitori […]".
Art. 34 c.p.: "Decadenza dalla potestà dei genitori e sospensione dall'esercizio di essa".
"La legge determina i casi nei quali la condanna importa la decadenza dalla potestà dei genitori.
[…] La decadenza dalla potestà dei genitori importa anche la privazione di ogni diritto che al genitore spetti sui beni del figlio in forza della potestà di cui al Titolo IX del codice civile".
Art. 564 c.p.: "Incesto".
"Chiunque, in modo che ne derivi pubblico scandalo, commette incesti con un discendente o un ascendente, o con un affine in linea retta, ovvero con una sorella o un fratello, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
[…] La condanna pronunciata contro il genitore importa la perdita della potestà dei genitori".
Art. 569 c.p.: "Pena accessoria".
"La condanna pronunciata contro il genitore per alcuno dei delitti preveduti da questo capo (alterazione di stato) importa la perdita della potestà dei genitori o della tutela legale".
Art. 583-bis c.p.: "Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili".
"Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili è punito con la reclusione da quattro a dodici anni.
[…] La condanna ovvero l'applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'art. 444 del codice di procedura penale per il reato di cui al presente articolo comporta, qualora il fatto sia commesso dal genitore o dal tutore, rispettivamente:
1) la decadenza dall'esercizio della potestà del genitore;
2) l'interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all'amministrazione di sostegno. […]"
Comma aggiunto dalla lettera f) del comma 1 dell'art. 4, l. 1° ottobre 2012 n.172.
[34] Si ricorda, infatti, che nelle successioni legittime, in presenza di discendenti, la massa ereditaria viene tra questi ripartita, escludendo, quindi, i genitori del de cuius.
Ma potrebbe accadere che il de cuius (magari prima della decadenza del genitore dalla potestà, o ignaro della stessa) abbia disposto per testamento in favore del genitore decaduto dalla potestà. In tal caso, in mancanza di un successivo testamento che revochi l'attribuzione al genitore, i discendenti del de cuius avrebbero un valido motivo per escludere l'ascendente dalla successione.
Ancora, si pensi al caso dei discendenti del de cuius che non vogliono o non possono accettare l'eredità e che desiderano che di quella eredità non possa mai beneficiare l'ascendente ormai decaduto dalla potestà.
Si tratta ovviamente di casi di scuola che molto raramente potranno incontrarsi nella pratica.
[35] A proposito dell'unificazione delle disposizioni che disciplinano i diritti e i doveri dei genitori nei confronti dei figli nati nel matrimonio e dei figli nati fuori del matrimonio, G. FERRANDO, La legge sulla filiazione, op. cit., 139: "si rende necessario il superamento dell'attuale 317 bis specificamente dedicato alla potestà sui figli nati al di fuori del matrimonio, si cui è ampiamente discussa la perdurante vitalità dopo la legge sull'affido condiviso".
[36] Sul punto si veda G. FERRANDO, La legge sulla filiazione, op. cit., 134: "La riforma, tuttavia, circoscrive i propri orizzonti alla modifica della normativa sulla filiazione, scelta probabilmente saggia, dato che un ulteriore ampliamento dell'ambito della discussione non avrebbe consentito di giungere all'approvazione della legge in questa legislatura. Ciò non significa che la riforma delle successioni non sia necessaria e possibile, ma ad essa bisognerà lavorare separatamente".
[37] V. BARBA, La successione mortis causa dei figli naturali dal 1942 al disegno di legge recante «Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali», in Famiglia, Persone e Successioni, 10/2012, che, dopo aver sostenuto la necessaria abrogazione della disposizione di cui all'art. 537, comma terzo, c.c. in conseguenza della riforma, sottolinea che "il risultato che il disegno di legge ambisce […] non è punto rivoluzionario, perché elimina il diritto di commutazione, bensì perché toglie in radice il senso di distinguere tra i figli, a seconda di quale sia lo stato giuridico dei loro genitori. Il che rappresenta l'ultimo atto del processo riformatore e la sosta di un istante, prima di un nuovo modo di pensare la disciplina giuridica della filiazione".
[38] Corte costituzionale, 04 luglio 1979, n. 55: "Fondata è invece la questione di legittimità costituzionale dell'art. 565 cod. civ. In assenza di membri della famiglia chiamati alla eredità, infatti, l'esclusione del diritto alla successione del fratello (o della sorella) naturale del de cuius - purché la filiazione sia stata riconosciuta o dichiarata - contrasta tanto con l'art. 30 terzo comma che con l'art. 3 della Costituzione. [...] In assenza quindi di membri della famiglia legittima, trova giustificazione la successione tra fratelli (o sorelle) naturali nei casi in cui non vi siano altri successibili ex lege, ad eccezione dello Stato".
Corte costituzionale, 12 aprile 1990, n. 184: "È costituzionalmente illegittimo l'art. 565 c.c., riformato dall'art. 183 della l. 29 maggio 1975 n. 151., nella parte in cui, in mancanza di altri successibili all'infuori dello Stato, non prevede la successione legittima tra fratelli e sorelle naturali, dei quali sia legalmente accertato il rispettivo "status" di filiazione nei confronti del comune genitore".
Sul punto anche G. TRAPANI, La successione dei fratelli naturali, Studio n. 177-2008/C, in Studi e materiali, 3/2008, 1090 e ss.
[39] M. SESTA, La riforma della filiazione, op. cit., 7, "con riguardo alla successione legittima, seguendo l'ordine delle disposizioni contenute agli artt. 565 e seguenti del codice, risultano nella sostanza modificati gli artt. 565, 569, 570 e 571 c.c., non potendosi più configurare ascendenti «legittimi» e dovendosi ora ricomprendere nel loro ambito la successione tra fratelli e sorelle naturali, in precedenza come noto esclusa, nonché l'art. 572 c.c., da intendersi esteso anche a quei parenti collaterali che sino ad ora non erano tali in rapporto ai figli nati fuori del matrimonio".
[40] G. FERRANDO, La legge sulla filiazione, op. cit., 137, "ci si chiede peraltro se nelle more dell'approvazione dei decreti delegati, il figlio non possa già da ora far valere diritti successori nei confronti dei collaterali. Va infatti tenuto conto che la cancellazione dell'aggettivazione dei figli come legittimi e naturali nelle norme del codice civile è un effetto immediato della legge (art. 1, c. 11). Se noi proviamo a leggere le disposizioni sulle successioni legittime sostituendo alle parole «figli legittimi» e «figli naturali» le parole «figli», ne risulta un testo che richiede di essere interpretato nello spirito della legge e della Costituzione. Nella prospettiva dell'unicità dello stato di figlio penso che non ci siano più ragioni sufficienti per escludere che la vocazione legittima riguardi ormai tutti i figli, tutti i fratelli, tutti i parenti, senza ulteriori distinzioni".
[41] M. SESTA, La riforma della filiazione, op. cit., 7.
[42] M. SESTA, La riforma della filiazione, op. cit., 9.
[43] R. NICOLO', Legittimazione di figli non riconoscibili?, in Foro Italiano, 1943, 460.
[44] M. SESTA, La parità, op. cit., 141 e ss.
[45] A tal proposito si richiami C. M. BIANCA, in La filiazione: bilanci e prospettive a trent'anni dalla riforma del diritto di famiglia, in Il diritto delle persone e della famiglia, 2006, 211, che già sottolineava che "ai tradizionali diritti del figlio si è ancora aggiunto un diritto che si pone in primo piano tra i suoi diritti fondamentali: il diritto all'amore dei genitori. Si tratta di un diritto fondamentale, in quando esso tutela l'interesse essenziale del figlio a ricevere quella carica effettiva di cui l'essere umano non può fare a meno al tempo della sua formazione".
[46] Cass. 12 aprile 2006 n. 8527: "Perché si realizzi lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità di un minore, devono risultare, all'esito di un rigoroso accertamento, carenze materiali ed affettive di tale rilevanza da integrare, di per sé, una situazione di pregiudizio per il minore, tenuto anche conto dell'esigenza primaria che questi cresca nella famiglia di origine, esigenza che non può essere sacrificata per la semplice inadeguatezza dell'assistenza o degli atteggiamenti psicologici e/o educativi dei genitori, con la conseguenza che, ai fini della dichiarazione di adottabilità, non basta che risultino insufficienze o malattie mentali dei genitori, anche a carattere permanente, essendo in ogni caso necessario accertare se, in ragione di tali patologie, il genitore sia realmente inidoneo ad assumere e conservare piena consapevolezza dei propri compiti e delle proprie responsabilità e ad offre al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo e aiuto psicologico indispensabili per un'equilibrata e sana crescita psico-fisica".
[47] R. CARRANO, Lo stato giuridico di figlio, op. cit., 188 e ss.
|
 |
|