L'art. 8 D.lgs122/2005: obblighi e responsabilità notarili
L'art. 8 D.lgs122/2005: obblighi e responsabilità notarili
di Giorgio Baralis
Notaio in Casale Monferrato

Questo mio intervento è massimamente rivolto ad operatori del diritto che hanno in particolare bisogno di indicazioni precise e lapidarie. In quest'ottica volendo aprire questo mio lavoro con una specie di messaggio che sintetizzi il suo contenuto dirò che, a mio parere, per un verso la portata dell'art. 8 è stata intesa, di norma, in maniera piuttosto limitata come contenuto, per altro verso, si sono esagerati gli effetti della sanzione collegata al divieto.

Vediamo il dettaglio delle mie osservazioni; in particolare prendiamo in esame il lavoro di Rizzi [nota 1] che, sia perchè fatto proprio dal Consiglio Nazionale, sia per lo sviluppo rigoroso del ragionamento giuridico, sia per l'esame a trecentosessanta gradi delle varie ipotesi interpretative, rappresenta un eccellente punto di partenza, un lavoro sicuramente di alta qualità dogmatica. Dovrò anche tenere conto dell'ampio e profondo lavoro di Petrelli, nonché di alcuni sviluppi del suo pensiero che ho avuto il piacere di conoscere a seguito di uno scambio di comunicazioni.

Rizzi fornisce due, anzi tre, possibili letture dell'art. 8:

- quella di un divieto "generalizzato" per il Notaio di stipulare atti ove il bene dedotto (terreno, fabbricato da costruire o costruito) sia gravato da ipoteca o pignoramento (senza accollo di debito, evidentemente) sia il cedente imprenditore o meno e quale che sia l'acquirente;

- quella di un divieto mirato a braccare le cessioni di bene pignorato o ipotecato (senza accollo) effettuate dal costruttore a favore di persona fisica nell'ambito delle previsioni di "tutto" il Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122; quindi, esemplificando, la cessione del bene in esecuzione del preliminare fra costruttore e privato, o la cessione dell'immobile da costruire (art. 1 lett. d) con effetti immediati o meno rientreranno nella sfera applicativa dell'art. 8; si tratti o non si tratti di operazioni fondiarie;

- quella per cui si deve "contestualizzare" la lettura dell'art. 8 con quella del precedente art. 7. Una tale lettura congiunta potrebbe portare a concludere che «la norma ... alla luce delle motivazioni addotte nella relazione illustrativa sembrerebbe finalizzata, attraverso l'impedimento di rogito imposto al Notaio, a garantire che il diritto del promissario acquirente ad ottenere prima dell'acquisto il frazionamento del finanziamento e della relativa garanzia ipotecaria ovvero la cancellazione delle formalità pregiudizievoli (ipoteca o pignoramento) possa trovare concreta applicazione». Quindi, continuando il ragionamento, Rizzi ritiene che «si potrebbe pensare ad una norma la cui finalità sia quella di limitare la possibilità di stipula di atti di compravendita solo se gli stessi abbiano per oggetto singole unità immobiliari facenti parte di edifici o complessi condominiali gravati da ipoteca a garanzia di unico finanziamento, concesso per l'intero edificio o complesso condominiale, e ciò sino a che l'intero finanziamento non sia stato suddiviso in più quote corrispondenti alle singole unità (con frazionamento anche della relativa garanzia ipotecaria) ovvero non sia stato ottenuto titolo per la cancellazione dell'ipoteca a garanzia o dell'eventuale pignoramento (in caso di procedura esecutiva già avviata), con la conseguenza che, una volta intervenuto il frazionamento del mutuo, l'unità potrà ben essere trasferita all'acquirente, anche se gravata da ipoteca (a sua volta frazionata e quindi "concentrata" solo sull'unità trasferita) ... ne discenderebbe anche, come conseguenza, che la norma in commento non troverebbe applicazione nel caso di vendita di bene non frazionabile gravato da pignoramento o ipoteca (ad esempio villetta unifamiliare)». Dovrebbe anche dirsi che sono escluse dall'operatività dell'art. 8 le operazioni non di carattere fondiario.

Rizzi esclude esattamente la prima alternativa, trova l'ultima ragionevole, ma, prudentemente, "preferisce" la seconda.

Tutte le alternative proposte da Rizzi sono rigorose. La prima tesi viene esattamente scartata perchè irragionevolmente ampia rispetto al "progetto" della disciplina speciale e nettamente contraria al contenuto della legge delega. La terza tesi proposta è interessante, ma limita fortemente il contenuto della disciplina, senza contare che, usando un argomento interpretativo che personalmente non trovo "forte", ma che è in linea con il dogmatismo rigido di Rizzi [nota 2], non si vede perchè, se così marcato fosse il connubio fra l'art. 7 e l'art. 8, il legislatore abbia scritto tale autonomo articolo e non abbia, invece, "scritto" il comma sei quinquies dell'art. 39 T.U. 385/1993.

Rimane la tesi che chiamerò "due" e sopra esposta che per molti motivi potrebbe apparire convincente; oggi, infatti gli sviluppi della dottrina più moderna sono nel senso di collegare la contrattazione a esiti fattuali, negoziali, perlopiù multipli e collegati nel tempo, il contratto è un "affare" che si sviluppa nel tempo una "operazione economica" che ha un vero e proprio percorso [nota 3]. Persuade, quindi, questa conclusione? A mio parere no o perlomeno esprimo ampie riserve.

In primo luogo viene da osservare che la soluzione, per altri motivi, torna ad essere fortemente limitativa. Fuoriescono, infatti, dall'ambito applicativo dell'art. 8 le cessioni effettuate a seguito di preliminare relativo a immobile, ormai "finito", non conosciuto dal Notaio. Se il Notaio è deputato alla stipula dell'atto traslativo dell'immobile finito e non conosce l'esistenza pregressa del preliminare, per definizione, riterrà di avere a che fare con un immobile fuori dalla linea "procedimentale" del D.lgs.122 e quindi non sarà soggetto alla prescrizione dell'art. 8. Questa conclusione, assolutamente rigorosa nel pensiero di Rizzi [nota 4], è esatta, nella sua ottica, ma ha il difetto di isterilire la portata dell'art. 8. Può essere vero che il Notaio, come scrive Rizzi, abbia l'obbligo, di carattere deontologico, di chiedere all'acquirente se esista a monte o meno un preliminare (salvo l'ovvia ipotesi che il Notaio lo sappia in proprio), ma riesce ben strano che un obbligo di carattere generale, che dovrebbe coinvolgere la pura sfera delle conoscenze del professionista, sia invece alla mercè di una risposta che darà l'acquirente, e cioè proprio quel soggetto da tutelare e la cui risposta potrebbe essere stata "condizionata" dalla controparte. Alla fin fine, seguendo questa linea di pensiero, forse è meglio accettare la conclusione radicale di Petrelli [nota 5] che limita la portata dell'art. 8 ai soli contratti con effetti reali differiti, aventi per oggetto immobili da costruire, stipulati fra costruttore e acquirente come definiti dalla Legge 2 agosto 2004, n. 210.

Certamente come scritto la portata dell'art. 8 verrebbe parecchio limitata. Tutto questo ha senso?

Ripeto esprimo le mie riserve. L'art. 8, anticipando le mie conclusioni, si estende anche, esistendo i presupposti soggettivi del decreto legislativo si badi, a tutte le cessioni di immobile finito, esista o meno il preliminare (inteso come impegno perfezionato prima o durante la costruzione dell'immobile o anche dopo la costruzione dell'immobile).

Il caposaldo della tesi di Rizzi e di altri validi autori, perlopiù di estrazione notarile [nota 6], è che una interpretazione più larga di quella numero 2 (o similare nel senso, però, di più ristretta) sarebbe da escludere per eccesso di delega. E infatti la legge delega bisogna riconoscere appare letteralmente orientata nel senso di collegare il divieto alle fattispecie, obbligatorie o traslative, "precise" del D.lgs.122, mentre, lo si è scritto prima, il testo letterale dell'art. 8 si presta a interpretazioni più late. [nota 7]

Sulla base di tale linea interpretativa si è scritto [nota 8] che poichè l'eccesso di delega darebbe luogo ad un vizio di incostituzionalità e poichè notoriamente fra varie interpretazioni possibili è da preferire quella conforme alla Carta, sarebbe senz'altro da escludere ogni interpretazione più lata rispetto alla tesi indicata come 2; anzi, come si è detto e che si dirà oltre, la tesi di Petrelli è più riduttiva della predetta tesi e per motivi, secondo l'autore, di lettura costituzionale.

Paradossalmente l'ancoraggio costituzionale, a mio parere, porta a conclusioni radicalmente diverse.

In primo luogo è parecchio discutibile il richiamo al vizio di eccesso di delega.

Il Giudice delle leggi ha sempre fatto un riscontro molto limitato di tale vizio, tant'è che si è scritto del «tradizionale atteggiamento di prudenza con cui la Corte utilizza il sindacato sul rispetto dell'art. 76» [nota 9] oppure si è scritto, anche se in epoca risalente, che la Corte più o meno consapevolmente colpisce le norme viziate per il loro intrinseco contenuto anzichè per contrasto con gli artt. 76-77 [nota 10]. Certo questo sono rilievi fattuali che hanno una importanza modesta, ma non modestissima perchè hanno un rilievo giuridico indiretto dando conto dell'improbabilità di una pronuncia di incostituzionaltà.

Invece è rilevante la circostanza che non appare corretto basarsi su una interpretazione letterale della legge delega per inferire una portata vincolante dei principi e criteri direttivi, in particolare quando i criteri direttivi sono dettagliati e analitici. Infatti si è scritto convincentemente [nota 11] che «questa soluzione tuttavia non...convince più di tanto perchè muove dalla massima, dai più ritenuta invalida, in claris non fit interpretatio». Una accurata analisi del percorso logico-giuridico della Corte dimostra che la stessa, in sede di valutazione della corrispondenza fra legge delegante e delegata, prende in considerazione la ratio (della delegatio) ora intesa in senso oggettivo, ora soggettivo, ora misto [nota 12]; da questo punto di vista, specie se si oggettiva la ratio, pare difficile negare che la tutela dell'acquirente dell'immobile debba necessariamente aprirsi a quei casi in cui comunque il costruttore cede all'acquirente (indipendentemente, cioè, dalla procedimentalità promessa/definitivo o cessione di immobile non ultimato) l'immobile finito (per comodità di discorso chiamiamo questa ipotesi: tesi 4).

Usando il fondamentale parametro costituzionale della "ragionevolezza" [nota 13] ci chiediamo se non sia sensato comprendere nella "garanzia" di cui all'art. 8 del decreto anche il caso da noi proposto: non si vede infatti la ragione per non equiparare i due casi, sostanzialmente eguali. In questo senso il legislatore delegato avrebbe semplicemente fatto buon uso della delega per estendere ad un caso ricompreso nella ratio oggettiva della legge delegante, la disciplina dell'art. 8, risolvendo cosi' un problema di costituzionalità. Su questo punto torneremo parlando della tesi di Petrelli.

Paradossalmente, come si è scritto prima, è questa interpretazione più ampia, rispetto alla 2, che si profila maggiormente aderente alla Carta e non quest'ultima.

Una riprova indiretta: ammessa per ipotesi la correttezza della tesi 2, si può estenderne estensivamente [nota 14] la disciplina sino a darle il contenuto di cui alla tesi 4? A mio parere senz'altro. Non si tratta, come per la tesi 1, di dilatare in maniera irragionevole la garanzia. La norma è speciale e riguarda la tutela degli acquirenti nell'ambito della contrattazione immobiliare nei casi in cui si contrappone un soggetto tipologicamente "debole" (l'acquirente) a soggetto tipologicamente "forte" (il costruttore); per questi casi il nesso "procedimentale" di cui alla disciplina speciale o la tipologia dei contratti di cui all'art. 2 della normativa non esaurisce la materia oggetto dell'"attenzione" del legislatore, anche se è fuori discussione che rappresenta il punto certamente più delicato e più importante. Il bilanciamento degli interessi porta, a mio parere, a ritenere corretta questa interpretazione. La disciplina, cioè, mi pare abbia senso laddove una delle parti contrattuali sia "forte" nel senso di cui sopra e in particolare, per la complessità, molteplicità, per il rischio di indebitamento venga esposto l'acquirente a pericoli che, ordinariamente si badi, sfuggono nella contrattazione con il non costruttore. Questi pericoli sono forti nella fase costruttiva, ma non indifferenti anche quando il cliente acquista l'immobile costruito, senza alcun preliminare precedente: come negare il rischio di un acquisto di immobile (finito) ipotecato, con la mera garanzia della cancellazione successiva?

In un convegno del lontano 1985 dedicato alla tutela dell'acquirente nella contrattazione immobiliare [nota 15] i punti fondamentali del D.lgs.122 erano già stati oggetto di precisa discussione, ma qualche relatore giustamente aveva anche puntualizzato l'opportunità di un incisivo intervento notarile, a trecentosessanta gradi, nella fase della contrattazione definitiva indipendentemente dalla serie procedimentale; e ciò per la ragione di fondo delle complesse conseguenze giuridiche collegate allo statuto dell'imprenditore, alla sua forza economica, alla rete di interessi facenti capo allo stesso [nota 16]. Stesso percorso e stesso approdo in un importante convegno immediatamente successivo organizzato dal Consiglio Nazionale del Notariato [nota 17].

Ecco perchè, a mio parere, la norma di cui all'art. 4 della normativa che, ex art. 5, è limitata nella sua applicazione ai soli contratti «aventi per oggetto il trasferimento non immediato della proprietà», appare, se non applicata estensivamente nel senso di cui sopra, di dubbia costituzionalità; non si vede infatti alcun motivo ragionevole per accordare la protezione ai soggetti previsti espressamente dalla legge e non all'acquirente che si limita ad acquistare un immobile già ultimato [nota 18].

Ritengo, quindi, del tutto plausibile la tesi espressa dal Ministero di Grazia e Giustizia per il quale «l'impedimento posto a carico del Notaio più che per il caso in cui l'atto definitivo di vendita abbia per oggetto un immobile da costruire, dovrebbe valere quando questo abbia ad oggetto un immobile in corso di costruzione o già costruito, in relazione al quale, solo eventualmente (corsivo nostro), le parti abbiano in precedenza stipulato un contratto preliminare». Purtroppo la tesi ministeriale subito dopo pare abbracciare significati esorbitanti. Proseguendo infatti nella lettura vien fatto di rilevare che «Rispetto all'ambito soggettivo dell'impedimento alla stipula, sempre sulla base di una interpretazione teleologica dell'art. 8, non (corsivo nostro) dovrebbero valere le restrittive definizioni di "acquirente" e "costruttore" previste dall'art. 1 del decreto».

Ora si fa un cattivo uso dell'interpretazione teleologica se si adotta una lettura amplissima di questo tipo: è punto fermo della dottrina sull'interpretazione che i vari "metodi "interagiscono fra di loro e non esiste un unico metodo interpretativo, ma una loro combinazione, in cui può prevalere un tipo, e il tutto deve condurre comunque ad una interpretazione ragionevole, la migliore possibile come persuasività [nota 19]; ora in un contesto "speciale" quale è quello di cui al nostro D.lgs. verrebbe tradito il canone dell'interpretazione logica e teleologica se si arrivasse a tale esito, oltretutto questo sì sarebbe sicuramente viziato da eccesso di delega.

Sempre a proposito della bontà della tesi 4, sottolineo, la tendenza espansiva delle discipline di protezione è ormai un dato acquisito, così in tema di subfornitura [nota 20], in tema di "consumatore" [nota 21], ma nel nostro caso, si badi, non si tratta di una dilatazione di disciplina così marcata come negli esempi fatti, bensì di un modesto adattamento contenutistico della norma sulla base di una interpretazione logico-finalistica della norma delegante e delegata.

Ovviamente i soggetti della contrattazione non possono essere che quelli previsti dal decreto delegato.

Dobbiamo, però, a questo punto, per chiudere il cerchio, dar meglio conto delle ragioni per cui non ci convince la tesi restrittiva avanzata da Petrelli [nota 22] e che già abbiamo esposto. Ripeteremo alcuni concetti già espressi sopra, ma la ripetizione gioverà ai fini di una migliore comprensione.

I capisaldi della tesi del valente collega sono i seguenti:

a. la tesi ministeriale di cui sopra è troppo estesa e sarebbe incostituzionale per difetto di delega (concordiamo);

b. ritenere che la norma si applichi anche ai contratti definitivi ad effetti traslativi immediati non convince perchè non sarebbe più «attuale la posizione di debolezza contrattuale dell'acquirente», nel senso che non sarebbe una debolezza contrattuale maggiore rispetto a quella di chi acquista da un privato. Al contrario, nel contratto ad effetti reali differiti vi e' un maggior rischio di insolvenza del costruttore, quindi un maggior pericolo per l'acquirente e ciò giustifica la delimitazione a tale fattispecie dell'art. 8 (concordiamo solo in parte);

c. è irrazionale escludere l'interpretazione lata per il caso a) e poi applicare per analogia la norma (che dovrebbe limitarsi alle cessioni con efficacia differita) ai casi in cui si stipula il definitivo da costruttore, esista o meno il preliminare. Più precisamente, estendere al definitivo ad effetti reali immediati il divieto ex art. 8 significherebbe introdurre una irragionevole disparità di trattamento tra vendite definitive da costruttori, e vendite definitive da privati (dissentiamo).

Non c'è analogia perchè manca la lacuna legis, al massimo ci sarebbe lacuna ideologica (dissentiamo);

d. verosimilmente, ha senso la fideiussione per il fabbricato da costruire; sembrerebbe invece violare il principio di eguaglianza limitare l'art. 8 ai soli contratti a effetti differiti e non ai definitivi (vi sia o meno preliminare). Non è così: l'acquirente che compra un immobile con contratto a effetti differiti è più esposto (perchè il fabbricato non è finito) ai rischi di insolvenza. Del resto se non si segue questa via il principio di eguaglianza reclamerebbe l'estensione alle vendite a società e persone giuridiche e alle vendite fra privati (dissentiamo).

Cerchiamo di dare conto delle ragioni del nostro dissenso, contrastando le sottili argomentazioni petrelliane. Mi muoverò facendo ricorso a concetti che riguardano i principi costituzionali e di teoria generale, ma per ovvi motivi, cercherò di essere molto sintetico;

a1. la posizione di debolezza contrattuale dell'acquirente è massima allorchè si acquista un immobile a effetti differiti per l'ovvio motivo che la costruzione non è finita e l'immobile non è subito trasferito, ma pericoli non indifferenti li corre anche l'acquirente quando compra con effetti immediati un immobile su cui esiste ipoteca per un debito non accollato;

a2. il discorso di Petrelli è incentrato sull'eguaglianza costituzionale, ma per la verità qui i problemi sono di ragionevolezza e cioè: è sensato escludere dalla tutela ex art. 8 la contrattazione fra privati e estendere invece la tutela all'acquirente, con effetti immediati, di immobile di nuova costruzione? Ora la Corte, con un lungo percorso, ha spostato l'asse del suo giudizio dalla eguaglianza intesa in senso molto "matematico" a un giudizio incentrato sulla valutazione di molti fattori e i cui risultati sono la verosimiglianza, plausibilità della soluzione; risultato che è il frutto di un (delicato) bilanciamento di valori. Giustamente si è scritto che la ragionevolezza (e quindi la legalità costituzionale) ormai coincide con la giustizia in concreto [nota 23].

Se così è a me sembra che sia ragionevole dare la tutela dell'art. 8 all'acquirente, immediato, di costruzione ultimata o non che corre il pericolo, diversamente, di farsi garantire una futura cancellazione che magari non vi sarà, per l'indebitamento del costruttore, ed escluderla invece nella cessione fra privati; ciò perchè i pericoli di indebitamento sono sostenuti solo se vi è attività d'impresa. E' chiaro che un giudizio di valore di questo tipo è affidato a criteri che risentono di una certa soggettività. Ecco perchè ormai la "verità" di una soluzione giuridica non è più, come diceva la scolastica, un giudizio di "corrispondenza" (fra norma e caso concreto interpretato), ma un giudizio di asseribilità garantita da un certo uditorio ideale che la trova "plausibile" (la più plausibile);

a3. il testo, ampio letteralmente, dell'art. 8 porta a ritenere che non vi sia problema di analogia, o di interpretazione più ristretta (sembrerebbe riguardare anche le vendite fra privati) e ciò in forza della "specialità" della disciplina. Faccio comunque presente che la lacuna o è evidente di per sé (tesi di Petrelli) o viene "creata" quando ci si interroga sulla disciplina di un caso "limitrofo" [nota 24].

Quanto all'entrata in vigore della norma (art. 8) concordo con Rizzi [nota 25] che la stessa è già entrata in vigore senza alcuna limitazione connessa alla circostanza che il permesso di costruire o altra denuncia o provvedimento abilitativo sia stato richiesto prima del 21 luglio 2005: la norma di cui all'art. 5 è del tutto chiara in tal senso [nota 26].

E veniamo agli aspetti sanzionatori a carico del Notaio.

Ritengo che sia da escludere una applicazione dell'art. 28 Legge Notarile [nota 27].

Concordo con Petrelli [nota 28] che la possibile contrarietà all'articolo riguarderebbe gli atti pubblici e le scritture private. Dall'esame della norma non risulta alcuna norma imperativa cui sia collegata la nullità dell'atto. Si badi non ritroviamo un collegamento del tipo norma imperativa=nullità; infatti, come è noto, esiste un vasto campo di norme imperative cui non è collegata l'invalidità dell'atto perchè esiste, a valle, altro rimedio "forte": basta pensare alla varietà di ipotesi in cui il legislatore prevede una prelazione legale e alla diversificazione della sanzione: a volte nullità a volte retratto, a volte anche, seppur raramente, l'annullabilità [nota 29]. In tali ipotesi l'art. 28 L.N. è fuori questione perchè l'ordinamento non "proibisce" il negozio, ma esprime rimedi esterni a tutela di determinati soggetti. Certamente sono molti i casi, la cui violazione lede rilevanti interessi di carattere generale [nota 30], ma laddove non è prevista la nullità, o la nullità non risulta da elementi inequivocabili o dal cosiddetto "diritto vivente", non scatta la sanzione di cui all'art. 28 L.N.

Il punto, però, merita un adeguato approfondimento. Non mi sembra che la violazione dell'art. 8 importi nullità assoluta; se la disciplina della legge speciale è basata sul leit-motiv della nullità relativa, mi sembra molto strano che il legislatore sia ricorso ad una sanzione maggiore. Dubiterei che si tratti di nullità relativa, perchè quest'ultima, come l'annullabilità [nota 31], non dovrebbe essere virtuale ma testuale (specie nel nostro caso dove la nullità relativa è qualificata da efficacia precaria) [nota 32]; comunque ricordiamo che la giurisprudenza della Suprema Corte ritiene applicabile, e noi concordiamo, l'art. 28 solo in presenza di nullità assoluta e inequivoca [nota 33]. E concordiamo, perchè, come già abbiamo in altra sede spiegato [nota 34], la Suprema Corte è passata dall'idea che l'art. 28 impedisca il compimento di un atto inficiato da un disvalore qualsiasi all'idea che la norma impedisca la stipula di atti qualificati da un disvalore che deve essere braccato per la sua indiscutibile contrarietà a norme o principi di interesse generale (nullità assoluta indiscutibile), mentre le altre invalidità meritano un approfondimento dialogico fra cliente e Notaio; ciò o perchè l'atto ha pur sempre una efficacia precaria ed esprime la tutela di interessi individuali, anche se in questi casi la tutela dell'interesse particolare coincide con quello generale [nota 35], o perchè la nullità non è inequivoca per cui si tratta di effettuare una complessa valutazione comparativa di interessi (nullità assoluta non certa) per la quale non può ritenersi che possa addebitarsi al Notaio una responsabilità disciplinare così grave come quella della nullità inequivoca. Quest'ultimo punto, per la verità dovrebbe essere approfondito, ma questa non è la sede; comunque: una nullità relativa non testuale, con atto precariamente efficace, ci sembra più che mai un caso di divieto "flessibile", dal punto di vista dell'approfondimento, fra Notaio e cliente, sul da farsi. Un negozio, quindi, che non incorre nel divieto di cui all'art. 28. Anzi, a mio parere, la Suprema Corte nell'attingere a questa nuova forma di controllo non ha fatto che armonizzare i compiti notarili con quelle varie forme di tutela, assistenza delle parti, organizzate con l'intervento di soggetti qualificati, che mirano a "salvare" il negozio dalle conseguenze dell'invalidità con interventi di vario tipo [nota 36]. Ovviamente non è la stessa cosa del caso nostro, ma mi sembra che esista una linea di continuità, un disegno intelligente, nell'apprestare rimedi, collegati al negozio, che in qualche modo salvaguardino gli interessi delle parti, o di una, mantenendo il contratto, con opportune variazioni,oppure dando consapevolezza alla parte interessata delle ragioni per cui il contratto può essere mantenuto e rispettato malgrado la sua invalidità.

Potrebbe ribattersi contro tale conclusione [nota 37] che questo controllo notarile verrebbe meno, con pregiudizio dell'acquirente, nell'ipotesi di scrittura privata con accertamento giudiziale delle sottoscrizioni. è vero, ma l'obbiezione prova troppo: le parti potrebbero fare la stessa cosa per qualunque testo colpito da nullità assoluta testuale non potendo l'Ago. pronunciare d'ufficio la nullità, ostandovi il principio della non corrispondenza fra il richiesto e il pronunciato [nota 38]. Comunque, a prescindere da quanto prima scritto, mi sembra eccessivo ritenere che la nullità (relativa) sia stata prevista dal legislatore per evitare che le parti (o meglio il costruttore) ricorrano alla confezione di atto privato (le cui firme saranno successivamente accertate giudizialmente) proprio per eludere l'art. 8; mi pare che sia d'obbligo ricorrere alla risalente, ma sempre attuale, osservazione bigiaviana [nota 39] per cui la ricostruzione dei fenomeni giuridici va fatta considerando come qualificanti gli aspetti normali e fisiologici, anzichè gli aspetti eccezionali.

In conclusione l'art. 28 colpisce la violazione di norma proibitiva che esprime con il massimo di disvalore dal punto di vista dell'invalidità (nullità assoluta e inequivoca).

Il problema finale, a questo punto, consiste nel chiarire se un divieto, da norma imperativa-proibitiva, cui non si colleghi la nullità assoluta, possa determinare l'applicabilità dell'art. 28 [nota 40].

Da un punto di vista di teoria generale l'opinione positiva è fondata. Esempio probante può essere quello della norma penale che vieta un comportamento che si traduce in un negozio che non è invalido (nullità assoluta) perchè la contrarietà alla norma penale coinvolge un solo soggetto negoziale e non l'altro [nota 41]; l'esempio può essere, quello del negozio usurario ove l'illecito penale qualifica il comportamento dell'usuraio, non la vittima, (L'opinione espressa nel testo è per noi altamente persuasiva, ma non è pacifico che non si versi in caso di nullità assoluta, es. QUADRI, «"Nullità" e tutela del "contraente debole"», in contratto e impresa, 2001, p. 1191) oppure il negozio compiuto violando le norme penali riguardanti gli illeciti valutari (parlo ovviamente della pregressa legislazione) ove l'illecito colpiva l'autore non il negozio, salvo ovviamente l'ipotesi del motivo illecito comune [nota 42]. In questi casi (Gli esempi che si sono addotti sono collegati alla teoria per la quale se la direzione della norma penale è diretta a colpire la condotta di una sola delle parti, non ne segue l'invalidità del contratto che ne deriva -vedi esemplarmente DE NOVA, «Il contratto contrario a norme imperative», in Riv. crit. dir. priv., 1985, p. 448-. Riteniamo la tesi convincente anche se a volte sembra inadeguata. La verità è che laddove la condotta penalmente rilevante è di una sola delle parti negoziali, e tuttavia si profila una ipotesi di nullità assoluta del negozio è da ritenersi la norma penale esprima anche un disvalore civilistico; così, per chiudere il discorso su uno degli esempi fatti, era discutibile se la disciplina valutaria esprimesse un disvalore generale, una contrarietà all'ordine pubblico economico, o, come riteniamo, un comportamento penalmente rilevante da parte di chi violava con la propria condotta la norma penale) ben è invocabile l'art. 28 per il Notaio, se "consapevole" dell'illecito penale.

Il problema diventa più difficile allorchè la norma proibitiva riguardi un illecito amministrativo o fiscale. L'opinione comune per l'illecito fiscale esclude l'invalidità dell'atto [nota 43]. Un esempio per quest'ultimo caso era dato dal divieto di cui all'art. 48, secondo comma del T.U. Successioni e donazioni di cui al D.lgs.346/1990, ora abrogato, norma per la quale, per quanto ci consta, non si riteneva applicabile il disposto dell'art. 28. Per l'illecito amministrativo il collegamento fra norma proibitiva e invalidità è raro ma esiste [nota 44].

Più che mai si scolora il significato imperativo della norma allorchè si ha un divieto senza sanzione alcuna, come nel caso della lex imperfecta [nota 45].

Quid iuris? Quale la conseguenza per la violazione di tali tipi di norme proibitive quando non vi sia collegamento con l'invalidità?

Traducendo il breve discorso di cui sopra in una conclusione, mi sembra che anche per gli imperativi senza sanzione civile di invalidità e consistenti in norme proibitive, per una profonda ragione di simmetria, debba valere il principio che incappa nella sanzione disciplinare di cui all'art. 28 il Notaio che viola una norma proibitiva che, mutatis mutandis, racchiuda un grado di disvalore almeno di pari grado rispetto alla sanzione civile di nullità assoluta; ciò è senz'altro per la norma penale per i casi di cui sopra, in certi casi (soluzione casuista) per la norma amministrativa, mai per la norma fiscale.

Resterebbe l'ipotesi di un divieto specificatamente rivolto al Notaio che di per sé sia illecito disciplinare ai sensi dell'art. 28 (illecito disciplinare "diretto" e non indotto da norma violata, la quale esprima disvalore ad "altro" livello, appunto civile, penale, amministrativo).

Ipotesi questa senz'altro ammissibile. Ma in questi casi la violazione si ricollega all'art. 28 o all'art. 135 L.N.?

Non mi interessa evidentemente il problema in generale, mi interessa il caso specifico. Può essere, non lo nego, che si realizzi la fattispecie più grave dell'art. 28, ma mi sembra che vi ostino forti ragioni. Per definizione e uniforme interpretazione l'art. 28 suppone, come scritto, il compimento di atti a forte "disvalore" (nullità assoluta espressa o illecito penale come sopra scritto o perlomeno grave illecito amministrativo caratterizzato da quanto sopra). Nel nostro caso, invece, sostanzialmente la violazione del divieto si traduce in una ipotesi di (grave) negligenza cui seguono danni civili; mi sembra che siano i danni civili quelli che "colorano" il disvalore connesso al comportamento notarile; ed ecco perchè ritengo che l'art. 135 L.N. sia il richiamo congruo per la nostra fattispecie, cui ovviamente conseguirà la responsabilità civile del Notaio.

Mi pare quindi senz'altro accettabile la conclusione di Rizzi per cui la norma realizza una regola di comportamento la cui violazione dà luogo alla responsabilità disciplinare di cui all'art. 135 L.N. [nota 46]

A questo punto, però, si manifestano due problemi. Nell'ordine:

- Il Notaio che avvisa del suo obbligo l'acquirente rimane immune da sanzione, oppure no?

- La regola va rispettata in senso rigido, oppure in senso ragionevole? è il caso, ad esempio, in cui non esiste ancora formalmente la cancellazione (rectius: il consenso alla cancellazione), ma sia già stato effettuato il pagamento, comprensivo delle spese tutte, e la banca, come spesso capita, abbia già fatto conoscere per iscritto che acconsentirà all'atto notarile? Ovviamente sulla base di questo esempio si può procedere a variazioni sul tema anche per quanto concerne il frazionamento dell'ipoteca e la suddivisione del finanziamento che, esemplificando, può essere preannunciato con un impegno scritto da parte della banca.

Ad un primo esame la risposta sembrerebbe positiva in ambedue i casi, con liberazione del Notaio da responsabilità.

La materia disciplinare è nei suoi principi fondamentali retta dai principi del sistema penale, fra i quali figura in primo luogo come "scriminante" il consenso dell'avente diritto e in secondo luogo l'inesistenza del reato quando la fattispecie concreta collima con la fattispecie astratta, ma manca la lesione del bene protetto:il caso di scuola è il furto del bene di valore insignificante [nota 47]. Del resto quest'ultimo principio, mutatis mutandis, affiora anche nel diritto privato, basta ricordare l'art. 1455 c.c. e l'art. 1519 quater, ultimo comma c.c. (ora abrogato dal D.lgs. 6 settembre 2005, n. 206; codice del consumo), l'art. 1564 c.c., art. 1067 c.c., l'art. 1015 c.c. secondo l'interpretazione del diritto vivente, ecc .

Sulla base di un primo esame verrebbe fatto di concludere che è esente da sanzione il Notaio che avverte l'acquirente della situazione giuridica di cui all'art. 8, ma che comunque è positivamente sollecitato da quest'ultimo a stipulare l'atto, magari anche per motivi comprensibili o ragionevoli e non consistenti nella pura fiducia del comportamento del costruttore che "promette" la successiva cancellazione o il successivo frazionamento (In questo senso RE-SCALITI, La nuova disciplina degli acquisti degli immobili da costruire, Torino, 2006, p. 128). Del resto, simmetricamente, viene spontaneo ricordare che la giurisprudenza è orientata nel senso di escludere da sanzione il Notaio che positivamente fa presente al compratore l'esistenza di una invalidità, che non sia nullità assoluta testuale [nota 48], nell'ipotesi in cui quest'ultimo "voglia" comunque la stipula dell'atto; il discorso e la conclusione sembrerebbe valere anche nel nostro caso.

Per quanto concerne il consenso dell'avente diritto, per la verità, qualche dubbio comincia ad insinuarsi quando la dottrina, a proposito della disponibilità del diritto che è alla base della scriminante del consenso, nega che esista una equazione fra diritto disponibile e diritto patrimoniale [nota 49]. E se si approfondisce il problema i dubbi diventano più fitti. Esemplare può riuscire il confronto fra l'art. 1519 ter, terzo comma c.c. (pur se recentissimamente abrogato dal D.lgs.206/2005) e gli artt. 1469 ter, ultimo comma e 1469 quinquies, secondo comma c.c.: pur dando atto della diversità della materia, affiora chiaro il concetto che in tema di disciplina di protezione vi sono casi in cui l'effetto protettivo è "insuperabile", altri in cui è superabile e altri in cui il consumatore subisce le conseguenze di un suo comportamento che deve essere "responsabile". Una lettura dell'art. 1469 quinquies c.c., che mi pare assai persuasiva, porta a ritenere che il testo della norma preveda un dovere di consiglio da parte del Notaio che non si limiti, come nel caso dell'annullabilità, a dare atto e a spiegare il contenuto dell'invalidità e le sue conseguenze, avvertendo del pericolo il compratore. Mi sembra esatto che in tali casi il Notaio debba consigliare "con forza" [nota 50] al fine di dissuadere la parte debole. E allora si può compiere un passo ulteriore: in certi casi la tutela della parte debole è ancora più marcata (evidentemente in ragione dei notevoli rischi di carattere patrimoniale) e il legislatore, d'autorità, proibisce al Notaio di collaborare con l'acquirente anche quando esista il suo consenso, specifico (su richiesta del Notaio) e motivato. Questa mi sembra la conclusione più equilibrata e che tiene conto dello sviluppo del sistema [nota 51] .

Con il che dobbiamo ancora alla fine interrogarci sul primo quesito.

Ebbene ritengo che non vi sia ragione per discostarsi dai principi generali del sistema. Da un esame anche sommario della materia disciplinare, ad esempio il pubblico impiego [nota 52] emerge, pur frammista anche ad altre considerazioni, l'idea che se non vi è violazione "sostanziale" dell'interesse leso non vi è illecito disciplinare [nota 53], pur essendovi astrattamente gli estremi della fattispecie tipica. Naturalmente ogni fattispecie concreta è "a rischio e pericolo" del Notaio il quale dovrà valutare il suo comportamento con una specifica analisi casuista e con l'intesa che sarà ben opportuno che dia conto in atto notarile del perchè non sia realizzabile una violazione "in concreto"(in questo senso anche RE-SCALITI, op. cit.). Per completezza di informazione non posso fare a meno di ricordare che una applicazione di principi sistematici di questo tipo è negata da Petrelli [nota 54] che ritiene "inevitabile" l'illecito disciplinare.


[nota 1] D.lgs.122/2005: assicurazione indennitaria, frazionamento del mutuo, revocatoria fallimentare e altre novità legislative. Studio 5812/C del 20 luglio 2005, in CNN notizie 22 luglio 2005, n.139.

[nota 2] Sono dell'idea che oggi il sistema suggerisca di usare un dogmatismo di tipo attenuato; ho cercato di esporne le ragioni in: Vendita di partecipazioni sociali e garanzie convenzionali (in particolare riguardo all'indebitamento). Studio 5689/c «Problemi vari specialmente di prescrizione e di tecnica notarile», in Consiglio Nazionale del Notariato, notiziario 6 maggio 2005, p. 7, di prossima pubblicazione su Riv. dir. comm.; v. pure il risalente, ma sempre efficace, studio di FOIS - «Le società per azioni fra c.c. e legislazione speciale. Preliminari ad una indagine esegetica», in Riv. soc., 1985, p. 62 e ss., ove si parla di "pragmatismo concettuale" - ivi, p. 136 -; in genere sulla ricerca di un esito plausibile e convincente del ragionamento giuridico in luogo di argomentazioni more geometrico v. per tutti CAVALLA, in AA.VV., Retorica processo verità, Padova, 2005, p. 93 e ss.

[nota 3] V. bene E. GABRIELLI, «Il contratto e l'operazione economica», n Riv. dir. civ., I, 2003, p. 93 e ss.

[nota 4] E v. anche PAOLINI-RUOTOLO, risposta a quesito n.5997/c «Tutela acquirenti di immobili da costruire, divieto ex art. 8 e valutazione dello stato ultimazione lavori», - Consiglio Nazionale del Notariato; non ci sembra che colga il punto la massima, anzi la motivazione, espressa dal Comitato Regionale Lombardo, Ambito di applicazione del divieto contenuto nell'art. 8 del D.lgs.122/2005 in http://bdn.notartel.it/.

[nota 5] Gli acquisti di immobili da costruire, Milano, 2005, p. 314.

[nota 6] V. PETRELLI, op. cit., p. 312, FAUSTI, «La modifica dell'art. 39 T.U.B. introdotta dal disegno di legge in attuazione della L.210/2004». Atti Paradigma, Milano, 15 aprile 2005.

[nota 7] Oblitera troppo facilmente il problema il recentissimo parere del ministero di Grazia e Giustizia -20 ottobre 2005, prot. FB4 4/1-44 - per il quale non si riscontrerebbe eccesso di delega «atteso che, mancando nella legge delega la definizione di immobili da costruire, l'utilizzo di tale espressione da parte dell'art. 3 lett. n) della legge (delegata) non andrebbe letto nel senso più restrittivo secondo la definizione contenuta nell'art. 1 del d.lgs, ma in un senso più ampio e tenendo presente che l'espressione utilizzata rifletteva l'ipotesi nella pratica più ricorrente in cui il rogito segue il preliminare di un immobile da costruire».

Non è così: l'art. 1 della legge delega in relazione all'art. 3 lett a) è sufficientemente chiaro nel delimitare (interpretazione letterale) la tutela a quegli acquirenti che seguono un certo (solito) percorso fattuale che va dal preliminare al definitivo o che (circostanza insolita) acquistano l'immobile non completato. Esiste, quindi, davvero un problema prima facie di eccesso di delega - se si volesse seguire un percorso interpretativo più ampio - che va risolto con criteri di interpretazione logica e teleologica.

[nota 8] PETRELLI, «Prime considerazioni sul decreto legislativo in tema di tutela degli acquirenti di immobili da costruire o in corso di costruzione», Paradigma, Milano, 28 giugno 2005, p. 22; Idem, op. cit. p. 312.

[nota 9] PITRUZZELLA, «Corte costituzionale e governo», in Foro it., 2000, V, 28 e ss., spec. 30-31.

[nota 10] V. BRANCA, «Quis adnotabit adnotatores?», in Foro it., 1970, V, 17 e ss., spec. 28-29.

[nota 11] D'ELIA, «Sulla determinazione ratione delegationis dei principi e criteri direttivi secondo la giurisprudenza costituzionale», in Giust. cost. 2000, 3, 1461.

[nota 12] Ancora D'ELIA, op. cit.

[nota 13] V. ampiamente e bene RUGGERI-SPADARO, Lineamenti di giustizia costituzionale, Torino, 1998, p. 158 e ss.

[nota 14] La letteratura in tema di distinzione fra interpretazione estensiva e analogia è sterminata e, ai fini del presente lavoro, ci sembra eccessivo darne conto. A meri fini di sommaria informazione preciso che mi sembrano molto persuasive ed efficaci queste due distinzioni, sostanzialmente collimanti. Per la prima l'interpretazione estensiva è una analogia "facile" - GIANFORMAGGIO, «Analogia», in Dig. discipl. priv., sez. civ., I, Torino, 1987, p. 327-; per la seconda l'interpretazione sarebbe estensiva allorchè la ratio della norma estesa opera come criterio sussidiario rispetto ad altri criteri ermeneutici e mai costituisce «un peso prevalente rispetto ad altri criteri ermeneutici, giungendo in certi casi a modificarne i risultati univoci», CARCATERRA, «Analogia», in Enc. giur. Treccani, II, Roma, p. 17.

[nota 15] Organizzato a Palermo dal Comitato notarile regionale della Sicilia a Palermo il 22-23 marzo 1985 e i cui risultati furono pubblicati in AA.VV., «La tutela dell'acquirente nella contrattazione immobiliare», Palermo, s.d.

[nota 16] Autorevolmente RESCIGNO, in AA.VV., La tutela cit., p. 108 e ss.

[nota 17] V. in particolare la relazione di REALMONTE che esattamente individua la notevole medesimezza di problemi - in particolare in tema di garanzie - nella vendita imprenditoriale di immobili a costruirsi e costruiti, in quest'ultimo caso anche al di fuori di ogni sequenza procedimentale, AA.VV. «La casa di abitazione fra normativa vigente e prospettive», IV, Milano, 1987, p. 149 e ss.

[nota 18] RIZZI - op. cit., p. 13 - ritiene che «probabilmente il legislatore ha voluto subordinare ... la consegna di questa polizza agli stessi presupposti previsti per la fideiussione di cui all'art. 2»; poi, sorprendentemente, afferma che «si vogliono così tutelare coloro che hanno acquistato un bene quando il bene ancora non esiste e che devono quindi confidare sulla correttezza e professionalità del venditore nell'esplicazione dell'attività edificatoria». Ma devono contare sulla correttezza e professionalità del venditore anche coloro che comprano, senza preliminare precedente, l'immobile finito poichè la garanzia avverso la rovina parziale o totale riguarda difetti di costruzione che solitamente sono non facilmente controllabili e comunque richiedono particolari conoscenze tecniche, che certo non ha il compratore usuale (ed è davvero anomalo che prima dell'atto traslativo faccia periziare il bene); da questo punto di vista, quindi, le due diverse categorie di acquirenti sono su un piede di parità e non si capisce la differenza di trattamento. D'altra parte poiché la polizza decennale verrà consegnata a immobile finito, quando ogni verifica è quindi possibile, francamente non riusciamo a capire che differenza vi sia, dal punto di vista dell'obbligo di consegna della polizza, fra immobile di cui all'art. 2 della normativa e immobile ceduto finito senza che vi sia stato preliminare.

[nota 19] V. per tutti ottimamente LOMBARDI VALLAURI, Corso di filosofia del diritto, Padova, 1981, p. 189 e ss. Una esposizione critica di questa metodologia si legge in DICIOTTI, Interpretazione della legge e discorso razionale, Torino, 1999, p. 516 e ss. con ampie citazioni, ove, però, l'autore ritiene che tale scelta metodologica supponga una specie di "a priori" di risultato per il quale, appunto, si dovrà ricercare una adeguata giustificazione. Invece la scelta dei risultati si conforma ad una specie di trial and error, per cui la scelta metodologica è sempre a posteriori. Impossibile qui, comunque, approfondire il discorso.

[nota 20] V. LOPILATO, Questioni attuali sul contratto, Milano, 2004, p. 314 e ss.

[nota 21] Ove è nota la tendenza a superare il concetto sociologico di contraente debole, v. per tutti con ampia informazione E. GABRIELLI, «Autonomia negoziale dei privati e regolazione del mercato: i contraenti», in Giust. civ., 2005, II, p. 183 e ss.

[nota 22] Gli acquisti cit., p. 312.

[nota 23] Su questo lungo percorso si veda molto bene RUGGERI-SPADARO, Lineamenti cit., p. 164 e ss.; eguale percorso in tema di riflessione etica, v. ,per una prima informazione, MORDACCI, Una introduzione alle teorie morali, Milano, 2003, p.59 e ss.

[nota 24] Discorso complesso; rinvio per forza di cose a GUASTINI, «Le fonti del diritto e l'interpretazione», in Tratt. di dir. priv. diretto da Iudica e Zatti, Milano, 1993, p. 423 e ss.

[nota 25] Op. cit. p. 11.

[nota 26] Contra Comitato Regionale Notarile Lombardo, op. cit., in quanto collega necessariamente l'art. 8 al doveroso rilascio della polizza di cui all'art. 2, con il conseguente spostamento temporale di cui all'art. 5. Francamente non è agevole comprendere perchè «il trasferimento della proprietà, ancorchè in presenza dell'ipoteca, realizza solo effetti positivi per l'acquirente» mentre nel caso di doveroso rilascio della fideiussione di cui all'art. 2, «all'effetto positivo si accompagna l'effetto negativo della perdita di efficacia della fideiussione». Al di là di ragioni che ci sfuggono, mi sembra che non sia comunque "positivo" il trasferimento di un immobile con una ipoteca che non garantisce un debito proprio dell'acquirente.

[nota 27] Conforme RIZZI, op. cit., p. 28.

[nota 28] Gli acquisti cit., p. 326.

[nota 29] V. l'esaustiva documentazione in proposito di A. CORSI, «Le prelazioni legali», in Notariato, 1998, p. 72 e ss.

[nota 30] Giurisprudenza costante, ad esempio, in tema di prelazione agraria, v. Cass. 2591/1981, Idem 4157/1982, Idem 7414/1983, Idem 2724/1985, Idem 11909/1990.

[nota 31] Per quanto concerne l'annullabilità v. IUDICA-ZATTI, Linguaggio e regole del diritto privato, Padova, 2002, p. 328, STOLFI, Teoria del negozio giuridico, Padova,1961, p. 77; contra SALANITRO, «Violazione delle norme imperative nei contratti della pubblica amministrazione e legittimazione ad agire del terzo pretermesso», in Nuova Giur. Civ. Comm., 1997, I, p. 523.

[nota 32] Nel senso che la nullità relativa non possa essere virtuale v. VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, Milano, 1993, p. 121, favorevole invece SCALISI, «Contratto e regolamento nel piano d'azione delle nullità di protezione», in Riv. dir. civ, 2005, I, p. 462, nonchè PETRELLI, Gli acquisti, cit. p. 188 con amplia bibliografia.

Il problema dovrebbe essere approfondito, ma in questa sede non è possibile; ci limitiamo ad osservare che probabilmente la soluzione è casuista in ragione della circostanza che non esiste "la", ma esistono "le" nullità relative: si rifletta: esistono nullità relative rilevabili d'ufficio e non, con efficacia precaria e non, si discute se siano convalidabili (vi è, ad esempio, convalida nel caso di consegna tardiva -accettata- della fideiussione di cui all'art. 2 del decreto) oppure no, soggette a prescrizione o meno (riferimenti in ALBANESE, Violazione di norme imperative e nullità del contratto, Napoli, 2003, p. 76 e seg). Il massimo di "ibridazione", poi, si raggiunge in tema di nullità per quanto concerne la materia della nuova società a responsabilità limitata, per la quale la nullità certo è relativa, ma può seriamente discutersi se le due categorie dogmatiche di nullità-annullabilità ancora abbiano senso oppure debba parlarsi di una generica facoltà di invalidazione diversificata (v. BARALIS-FERRERO, «L'invalidità delle decisioni collegiali e non, con particolare riguardo alle società a responsabilità limitata», in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi sulla riforma del diritto societario, Milano, 2004, I, p. 278 e ss.).

[nota 33] Cass. 11 novembre1997, n.11128; Cass. 7 aprile1998, n. 3560 – in motivazione -, in Riv.not. 1999, p. 184,in senso favorevole ANGELONI, «Gli atti "espressamente proibiti dalla legge" di cui all'art. 28 L.N. sono dunque solo gli atti nulli in quanto contrari a norme proibitive», in Contratto e impresa, 1998, p. 1013 e seg; contra PETRELLI, Gli acquisti cit., pp. 327-328 (ma la tesi dell'aut. cit. in materia è risalente), ZANELLI, «La nullità "inequivoca"», in Contratto e impresa, 1998, p. 1259 e ss.

[nota 34] V. il nostro: «Notariato e concorrenza: un esperienza giuridica», in Riv.not., 2005, p. 757.

[nota 35] è il caso delle nullità relative di protezione, v. per tutti PUTTI, «L'invalidità nei contratti del consumatore», in Tratt. di dir. priv. europeo a cura di Lipari, III, Padova, 2003, p. 378.

[nota 36] L'esempio paradigmatico è quello dell'art. 45 L.203/1982, ma una più ampia casistica legislativa si legge proficuamente in SCALISI, Contratto e regolamento cit., pp. 472-473.

[nota 37] è il rilievo di PETRELLI, Gli acquisti cit., pp. 327-328.

[nota 38] Questo è ormai l'atteggiamento della Suprema Corte, v. Cass. 8 settembre 2004, n.18062; impossibile qui un approfondimento.

[nota 39] BIGIAVI, «"Normalità" e "anormalità" nella costruzione giuridica», in Riv. dir. civ., 1968, I, p. 518 e ss.

[nota 40] Sviluppiamo qui di seguito un percorso che è in linea con la tesi rigorista di PETRELLI e che l'aut. cit., in scambio privato di corrispondenza, sembra anche coltivare e comunque si veda dell'aut. cit., Gli acquisti cit., p. 326 e ss.

[nota 41] V. per tutti OPPO, «Finanziamento dei partiti e diritto privato», in Riv. dir. civ., 1974, II, pp. 582-583, ancora OPPO, «Lo "squilibrio" contrattuale fra diritto civile e diritto penale», in Riv. dir. civ., I, 1999, p. 542 e ss.

[nota 42] Ipotesi anche questa non pacifica nel senso che venne pure affacciata l'ipotesi della nullità assoluta v. VILLA, Contratto e violazione di norme imperative cit., p. 217; una congrua esposizione del dibattito si legge anche in CASELLA, «Considerazioni civilistiche sulla recente disciplina valutaria», in Quadrimestre, 1988, p. 275 e ss.

[nota 43] V. VILLA, Contratto e violazione di norme imperative cit., p. 64 e ss. è fatto salvo il caso, particolare, in cui sia prevista una nullità testuale, v. Cass. 7 marzo 2002, n. 3328 (violazione degli artt. 62 e 72 D.P.R.131/1986).

[nota 44] V. ad esempio l'art. 6, quinto comma, L. 82/1994.

[nota 45] Sul concetto v. per tutti F. FERRARA sen., Teoria del negozio illecito nel c.c. italiano, Milano, 1902, p. 23.

[nota 46] RIZZI, op. cit., p. 27.

[nota 47] V. con ampia esposizione di dottrina PAGLIARO, Principi di diritto penale, Milano, 1987, p. 435 e ss.; l'aut.cit. non segue l'impostazione dogmatica di cui al testo - e che risale a GALLO -, ma perviene a risultati sostanzialmente eguali, seguendo altra linea di pensiero.

[nota 48] V. sul punto la fondamentale, già citata, Cass. 11 novembre 1997, n.11128, v. pure diffusamente BARALIS, «Notariato e concorrenza: un esperienza giuridica», in Riv. not., 2005, p. 757.

[nota 49] GALLO, Appunti di diritto penale, Torino, 2000, p. 186.

[nota 50] L'espressione, molto convincente, è di MONTICELLI, «Atto pubblico e clausole vessatorie», Notariato, 1998, p. 89.

[nota 51] Conforme PETRELLI, Gli acquisti cit., p. 320.

[nota 52] Anteriore alla riforma del D.lgs. 29/1993.

[nota 53] V. Cons. Stato, sez. V, 13 ottobre 1988, n.560, in Cons. Stato, 1988, I, 1207; T.a.r. Sicilia, sez. I, 29 maggio 1992, n.234, in Giur. amm. sic., 1992, 369.

[nota 54] Sempre per scambio di comunicazioni.

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