Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati.
Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati.
L'ordinamento successorio italiano dopo la legge 14 febbraio 2006 n. 55.
di Antonio Mascheroni
Notaio in Monza
Un nuovo tipo negoziale ma nessuna deroga al divieto dei patti successori istitutivi
È inevitabile che un commento sistematico della "legge 55" parta da un esame dei rapporti tra la nuova normativa e il divieto dei patti successori.
Non solo perchè l'art. 1 della "legge 55" introduce nel primo periodo dell'articolo 458 c.c. una specifica riserva («Fatto salvo…»), ma soprattutto perchè in tutti i documenti ufficiali inerenti i disegni di legge sul Patto di famiglia succedutisi nell'ultimo decennio il ridimensionamento del divieto appare un passaggio obbligato, se non l'obiettivo primario, e l'opinione pubblica è stata indirizzata dai "media" in questa direzione, in realtà riduttiva.
L'analisi dell'art. 2 della "legge 55", quello che introduce un intero capo V-bis dopo l'articolo 768 c.c. evidenzia che nell'ordinamento italiano è nato un nuovo tipo negoziale che trova la sua definizione negli articoli 768-bis e 768-quater c.c.: si tratta di un contratto tra ereditando e successibili, ben lontano da un patto successorio istitutivo, un contratto con efficacia immediata dotato di una disciplina particolare che vistosamente si discosta dalle regole generali successorie, anzi si discosta dai principi caratterizzanti del sistema successorio.
Il nuovo tipo negoziale è un contratto, con effetti traslativi immediati, a beneficio di un discendente (o di più discendenti) con l'intervento di tutti i legittimari attuali, compreso il coniuge [nota 1] e, si noti, un eventuale nascituro concepito il quale indiscutibilmente fa numero per la determinazione delle «quote previste dagli articoli 536 e seguenti». [nota 2] Un contratto tra vivi, con una propria causa tipica complessa, dotato di specifici effetti legali che potremmo definire di affrancamento (in vistosa deroga, come già accennato, al sistema). Nulla a che vedere con il patto successorio istitutivo, essenzialmente negozio mortis causa in quanto ha «la funzione di regolare rapporti e situazioni che vengono a formarsi in via originaria con la morte del soggetto o che dalla sua morte traggono un'autonoma classificazione». [nota 3]
Il "Patto di famiglia" non comporta alcuna deroga, dunque, al primo periodo dell'art. 458 c.c.: il divieto di patto successorio istitutivo mantiene intatta la sua precettività. [nota 4]
Si noti che nel primo Ddl presentato [nota 5] era previsto un autonomo "patto d'impresa", che consentiva di introdurre negli statuti il diritto per gli altri soci o per la società di acquistare le azioni o altre partecipazioni cadute in successione. Il riconoscimento di siffatta clausola statutaria poteva equivalere a legittimare uno speciale patto successorio istitutivo (poiché la clausola avrebbe avuto gli stessi effetti di un legato di opzione).
Il legislatore, anche a seguito della intervenuta riforma societaria [nota 6], ha ritenuto di abbandonare questa strada che avrebbe aperto appunto una deroga al divieto disposto dal primo periodo dell'art. 458 c.c.
Il fondamento giuridico di questo divieto è talmente radicato nel sistema, che il legislatore non ha voluto farvi breccia: esso si lega infatti strettamente a principi fondamentali del nostro ordinamento successorio, il principio dell'assoluta libertà testamentaria, il principio di centralità della volontà del testatore, volontà che non tollera interferenze o riferimenti esterni, e il principio della revocabilità del testamento fino all'ultimo istante di vita.
E non si pensi ad un legislatore che non abbia voluto osare. Anzi la disciplina adottata per il Patto di famiglia sconvolge altri principii del sistema, attenuando la tutela dei legittimari a beneficio della trasmissibilità anticipata dell'azienda (e delle partecipazioni sociali), per la salvaguardia e il consolidamento di questi beni privilegiati.
Una breccia nei divieti c.d. minori previsti dall'art. 458 c.c.
Passando agli altri due divieti minori contenuti nell'art. 458 c.c., è nota e va condivisa la forte tendenza maturata in dottrina a negare l'attualità ed opportunità della normativa tradizionale: la ratio del divieto dei patti dispositivi e rinunziativi è ai nostri tempi assai poco convincente. [nota 7]
Non vi sono principii fondamentali (come la revocabilità del testamento e la spontaneità e la libertà di fare testamento) che possano imporre un'assoluta immodificabilità dei due divieti che abbiamo definiti minori.
Il legislatore del Patto di famiglia ha pertanto avuto buon gioco nel prescindere dall'esistenza dell'458 c.c., si è preoccupato peraltro di avere il consenso di tutti i legittimari. Costoro in sostanza negoziano i propri diritti o vi rinunziano (contestualmente o in «successivo contratto collegato»): questa previsione è espressamente formulata nell'ipotesi paradigmatica del secondo comma dell'art. 768-quater c.c., ed appare sostanzialmente uno strappo ai due divieti minori dell'art. 458 c.c. [nota 8] oltre che al secondo comma dell'art. 557 c.c. per i beni oggetto del patto.
Vi è poi una seconda ipotesi, che può esser letta nel terzo comma dell'art. 768-quater, quella che il soddisfacimento degli altri legittimari avvenga mediante altri beni «assegnati dal disponente»: a me sembra che non si debba rifiutare questa tesi del "doppio binario" [nota 9], ossia di una duplice possibilità offerta ai protagonisti del Patto di famiglia.
Anche qui l'adesione degli altri legittimari attuali non può che equivalere ad un patto successorio rinunziativo implicito, in quanto determina l'effetto legale caratteristico del Patto di famiglia, la perdita dell'azione di riduzione (e dell'azione di collazione), anche senza una rinunzia espressa. Si deve immaginare infatti, in virtù della funzione notarile attivata per il perfezionamento del patto, che sussista sempre un "consenso informato" dei contraenti (informato a proposito dello specifico effetto privativo del patto), anzi la stessa tecnica redazionale si dovrà preoccupare di questo aspetto, con un espresso richiamo della normativa speciale in cui si inquadrano le attribuzioni patrimoniali, una sorta di expressio causae delle attribuzioni stesse.
La partecipazione necessaria di tutti i legittimari: plurilateralità del contratto
Prima di iniziare una breve analisi di taluni punti qualificanti della nuova normativa, nei limiti necessari per una visione d'insieme che meglio evidenzi la marginalità del rapporto con l'art. 458 c.c., occorre ricordare che il regime disegnato dalla legge n. 55 per il Patto di famiglia si allinea a quanto auspicato dall'Unione europea per la successione nelle piccole e medie imprese (comunicazione della Commissione Cee del 7 dicembre 1994 e altra più recente del marzo 1998, che si concludeva con un invito agli Stati membri a modificare la propria normativa: Italia, Spagna, Francia, Belgio, Lussemburgo erano individuati come destinatari principali dell'invito). [nota 10]
Il Patto di famiglia è configurato (art. 768-quater c.c.) anzitutto come un contratto complesso, plurilaterale, assecondando l'orientamento della Commissione circa l'utilità di "accordi" interfamiliari per l'avvicendamento generazionale nella titolarità delle imprese.
Altri relatori approfondiranno la struttura e l'ambito di applicazione dell'istituto, ma devo qui dare spazio a qualche considerazione sulla plurilateralità.
A mio avviso non sembra sostenibile la possibilità di concludere il patto senza la partecipazione di alcuno degli altri legittimari coinvolti dagli effetti negoziali: per coerenza a quanto dirò più avanti sulla natura eccezionale delle norme in esame, mi allineo dunque ad una tesi interpretativa per ora prevalente.
Il tenore letterale della nuova normativa («al contratto devono partecipare...») non sembra consentire diverse conclusioni e comunque, se anche potesse sussistere un dubbio, ritengo che il rispetto dei principii generali [nota 11], tradotti in diritto positivo nel secondo comma dell'art. 1372 c.c., conduca a negare la vincolatività del patto (ed il verificarsi degli effetti legali eccezionali che ne conseguono) qualora un soggetto legittimario esistente sia rimasto estraneo alla stipulazione. Degli eventuali legittimari sopravvenienti si preoccupa una norma specifica (l'art. 768-sexies c.c.) che per l'efficenza del microsistema, come vedremo, va considerata un rimedio esclusivo. La stipulazione del patto ha l'effetto tipico di congelare la valutazione dei beni trasferiti anche nei confronti dei sopravvenienti (in deroga al principio dettato nell'art. 556 c.c.) e può perfezionarsi anche in più riprese, per atti dichiaratamente collegati; ciò sembra confermare che il legislatore mira al soddisfacimento definitivo di tutti gli interessati (rispetto ai beni considerati), per di più l'art. 768-quinquies c.c. si preoccupa anche di restringere la possibilità ed i tempi di invalidazione del patto (l'azione di annullamento si prescrive in un anno).
Probabilmente vi sono dei casi patologici in cui la partecipazione totale non è realizzabile, e ciò renderà l'istituto meno praticabile nelle famiglie numerose, ma questo non è argomento sufficiente per immaginare che la giurisprudenza si orienti per la tesi liberistica: andrei quindi molto cauto prima di legittimare fattispecie contrattuali incomplete e ricevere (da Notaio) i relativi atti.
Si ricordi che il Patto di famiglia può produrre, solo in quanto sia valido, effetti legali specifici, rilevanti anche per i terzi (aventi causa), in particolare l'affrancamento da riduzione per i beni di cui all'art. 768-bis c.c. (o per tutti i beni assegnati dal disponente, ove prevalga la tesi del doppio binario).
La ratio dell'intervento legislativo:
rilevanza sociale degli interessi privilegiati
La legge n. 55 è certamente un cuneo inserito in una parte delle regole dell'art. 458 c.c., ma opera in modo ben più dirompente rispetto ad altri principii di fondo espressi da altre norme dell'ordinamento successorio, come vedremo in seguito.
L'intervento del legislatore, così invasivo, è giustificato dalla presenza nel patrimonio del disponente di un'azienda e di partecipazioni sociali, la cui trasmissione in un'ottica di salvaguardia funzionale è considerata degna di particolare protezione.
Le partecipazioni in realtà nell'art. 768-bis c.c. sono contemplate in modo generalizzato; non si dà rilevanza ai problemi di controllo dell'impresa che sembrerebbero, se non determinanti, i più idonei a giustificare le innovazioni introdotte. Cosicché la nuova normativa sembra andare al di là delle intenzioni, ammettendo le "società di godimento" (società senza impresa) allo stesso trattamento che sembrava avere come ratio quella di assicurare la continuità dell'attività d'impresa.
è forte la tentazione di una interpretazione riduttiva, di ispirazione teleologica, che peraltro a mio avviso aprirebbe orizzonti di incertezza applicativa poiché nel dettato legislativo mancano i riferimenti possibili per un'operazione così delicata. [nota 12] Del resto mantenere la compattezza di una partecipazione anche di modesta influenza, evitare la frammentazione, può corrispondere all'interesse dell'azienda.
è questo uno dei temi cruciali che si propongono all'interprete, e che se mai potranno indurre ad un'azione propositiva per la modifica della norma.
Ancora una volta le esigenze dell'impresa, entrate in conflitto con le regole civilistiche, hanno mosso la montagna.
I mezzi di produzione hanno fatto valere le loro ragioni rispetto ai beni di reddito, a riprova che la staticità delle regole successorie, se è appropriata per questi beni, deve cedere terreno al dinamismo che domina il mondo delle imprese ed alla funzione sociale dei mezzi di produzione.
In conclusione, secondo gli auspici sollevati quasi vent'anni or sono nel XXX nostro Congresso Nazionale, il Patto di famiglia soddisfa certamente l'interesse sociale che deve permeare anche il sistema successorio: evitare la polverizzazione dei patrimoni e favorire una destinazione dei beni che consenta la migliore utilizzazione degli stessi, pur senza trascurare le esigenze assistenziali nascenti dal vincolo familiare.
Il legislatore si era dato un obiettivo, disegnare e disciplinare uno strumento negoziale per la trasmissione anticipata e senza margini di aleatorietà dei beni produttivi, allo scopo di favorire la loro conservazione attraverso un tempestivo ricambio generazionale [nota 13], e lo ha raggiunto senza incidere (se non marginalmente) sull'assolutezza del divieto dei patti successori.
Si è aperta così la strada per una pianificazione successoria pre-concordata con i successibili, quale alternativa al testamento, strumento individuale in cui può prevalere l'improvvisazione o lo spirito autoritario, a dispetto degli interessi in gioco.
Considerazioni de jure condendo: attualità dell'art. 458 c.c.?
Nuovi percorsi contrattuali alternativi al testamento?
Se il civilista volesse domandarsi quali prospettive vi siano per la sopravvivenza dell'art. 458 c.c., dopo la legge n. 55, dovrebbe fare i conti con il fondamento delle tre disposizioni confluite nella norma.
Il divieto dei patti istitutivi ha infatti un solido fondamento dogmatico che ha dissuaso sinora il legislatore dall'operare brecce, dopo la codificazione del 1942.
Occorre peraltro valutare se sul piano politico-legislativo sia da condividere la tendenza di qualche autore ad ammettere de jure condendo la validità del patto istitutivo. Secondo il collega Raffaele Lenzi il divieto attuale si fonderebbe infatti su una mera scelta tecnica del legislatore che ha ritenuto di tutelare la libertà del volere solo attraverso l'assoluta previsione di revocabilità.
Lo stesso Autore non vede perchè l'ordinamento, accanto al riconoscimento della più ampia libertà del testatore, non possa anche ammettere una maturazione nella coscienza dei singoli, offrendo alla loro autonomia la possibilità di assicurare giuridica protezione all'impegno contrattuale con efficacia mortis causa. [nota 14]
A mio avviso il problema, de jure condendo, può essere affrontato solo in una revisione globale del sistema. [nota 15]
Anche la normativa concernente i legittimari, così drastica nell'ordinamento italiano, andrebbe forse ridisegnata allargando la porzione disponibile; la tutela di interessi individualistici assicurata dalla legittima nel sistema attuale, nell'ambito del nucleo familiare, ed ancor più la tutela di una pseudo-eguaglianza formale di tutti i discendenti, anche a prescindere dalle attitudini o dai bisogni individuali [nota 16] (quasi che il patrimonio dell'ascendente, come suggeriva un'antica dottrina, fosse assimilabile ad un patrimonio della famiglia), appaiono un'esigenza affievolita nel terzo millennio, in ispecie per i grandi patrimoni.
Un'esigenza addirittura contraddittoria con l'interesse sociale alla compattezza ed alla conservazione dell'azienda, in campo agricolo [nota 17] ed artigianale (oltre tremilionicinquecentomila sono le ditte individuali sul territorio nazionale, anche se solo in parte interessate per dimensione alla speciale disciplina della legge n. 55), o con l'interesse dell'economia nazionale alla conservazione del "pacchetto di controllo" nelle società industriali, ed in genere alla conservazione di partecipazioni forti nella compagine sociale delle piccole e medie imprese.
La traduzione in norme legislative delle tendenze, che da tempo si manifestano per una rivisitazione dell'ordinamento successorio, appare lenta e faticosa proprio perché non si può prescindere da un disegno unitario, ed un disegno unitario riformatore non può prescindere dalle ulteriori istanze sociali (finalità assistenziali in primo piano) che ne complicano il cammino.
In tale quadro complessivo potrà dunque valutarsi se un'apertura all'autonomia negoziale, necessariamente temperata da norme di tutela di tutti i discendenti, possa rappresentare una linea di tendenza così spinta da portare a risultati estremi, come l'eliminazione del divieto dei patti successori istitutivi, o la derogabilità della legittima in natura (un piccolo passo è stato mosso proprio dalla legge n. 55).
L'esperienza internazionale, l'esperienza di quei paesi che già attualmente li ammettono, non è del tutto confortante poiché il contenzioso legato ai patti successori è abbastanza elevato.
Più facile è il discorso a proposito dei c.d. divieti minori, che il legislatore ha facilmente superato con la legge n. 55 in considerazione del valore sociale dei particolari beni "protetti".
Il declino di tali divieti, non sorretti da stringenti ragioni giuridiche, è evidente. Siamo anzi di fronte a norme che un tempo corrispondevano motivazioni prevalentemente emozionali, ma fortemente condivise (oggi, come sappiamo, fortemente obsolete). Tali norme ormai ostacolano la crescente esigenza di elaborare sistemazioni successorie preventivamente accettate da tutti i successibili, quell'esigenza che la legge n. 55 ha voluto soddisfare per i beni produttivi, spingendosi sino ad incidere su numerosi altri istituti tradizionali.
Con la riforma del diritto di famiglia, ad esempio, che ha modificato il trattamento successorio del coniuge superstite, questi è oggidì spesso impedito dal contrarre nuove nozze per non innescare un possibile conflitto tra ciascuno dei due coniugi e i figli di primo letto dell'altro.
Perchè al binubo non può essere consentito rinunziare ai propri diritti sulla successione del nuovo coniuge?
Altri esempi potrebbero essere fatti ma non usciamo dal seminato.
Per concludere va rilevato come il notariato abbia attivamente partecipato all'iter legislativo, forte dell'attività di mediazione che svolge nella famiglia e nell'impresa, portatore autorevole delle istanze della coscienza collettiva nel lento processo di evoluzione dell'ordinamento.
La strada intrapresa dal legislatore per la disciplina del Patto di famiglia, oltre i profili di opportunità già segnalati, appare apprezzabile anche sotto il profilo tecnico-giuridico ossia del coinvolgimento di numerosi istituti in senso derogatorio.
Per la conservazione dell'efficienza dei mezzi di produzione, è prevalso il forte stimolo di ordine sociale verso una deregulation, mirata ma ad ampio raggio, realizzata con polso fermo anche se l'accelerazione finale ha lasciato qualche lacuna e qualche imprecisione nel dettato dispositivo, particolarmente accentuate nelle norme-corollario dell'indirizzo riformatore.
è da auspicare che le prime esperienze applicative portino ad individuare gli aggiustamenti legislativi necessari per una diffusa praticabilità dell'istituto. Istituto che potrebbe rivelarsi un modello espansibile, se in futuro gli accordi familiari anticipati (con la partecipazione di tutti i legittimari) dovessero dimostrarsi un'alternativa apprezzabile al testamento.
Nella legge 55 una deregulation a beneficio dell'impresa, che coinvolge principii caratterizzanti del nostro ordinamento successorio; la deroga all'unità del regime successorio ed effetti sulla riunione fittizia
L'analisi delle norme del capo VI-bis, introdotte con la legge n. 55 ci ha condotto a considerare abbastanza marginale l'impatto con il divieto di patti dispositivi e rinunziativi.
Ben più invasivo è stato l'intervento legislativo rispetto ad altri principii dell'ordinamento successorio, disapplicati dalle nuove norme in presenza di un'azienda o di partecipazioni sociali. Come già detto, le esigenze dell'impresa hanno mosso la montagna. E quale montagna!
Oltre i due divieti minori dell'art. 458 c.c. ricordiamo i principii generali cui la normativa fa eccezione:
a. l'intangibilità della legittima, intangibilità quantitativa, assicurata ordinariamente con la riunione fittizia delle liberalità effettuate in vita e con la revisione al tempo dell'apertura della successione dei valori delle liberalità stesse, e potenziata con l'obbligo di soddisfacimento di tutti i legittimari mediante beni ereditari (è questo l'orientamento consolidato della Cassazione che argomenta dall'art. 549 c.c. e dall'art. 536 c.c.: la legittima come "quota di eredità") [nota 18];
b. la soggezione delle donazioni ed altri atti di liberalità (art. 809 c.c.) all'azione di riduzione e restituzione;
c. l'obbligo di collazione nella futura divisione ereditaria.
Particolare pregio della nuova normativa è quello di aver assicurato la definitività delle attribuzioni in vita, anche attraverso il blocco dei valori in campo [nota 19] e di aver liberato i beni protetti (azienda e partecipazioni) e gli altri beni del patto [nota 20] dalla spada di Damocle dell'efficacia reale della (disinnescata) azione di riduzione.
La legge n. 55 completa il tessuto normativo prevedendo una speciale tutela per i legittimari sopravvenienti (art. 768-sexies), una tutela attenuata e legata al principio nominalistico; è conseguenza ovvia che resti esclusa l'applicabilità al Patto di famiglia della revocazione per sopravvenienza di figli (art. 803 c.c.). Quanto alla revocazione per causa d'ingratitudine (art. 801 c.c. espressamente esteso a tutte le liberalità dall'art. 809 c.c.) appare difficilmente compatibile con il Patto di famiglia, considerata la plurilateralità dello stesso.
Lo sforzo del legislatore è stato grande, dunque, per uno scopo primario evidente: assicurare la stabilità del Patto di famiglia e del trasferimento dell'azienda (e delle partecipazioni societarie), a costo di piegare norme storiche di tutela degli altri legittimari presenti e futuri, che saranno sì soddisfatti ma con un credito determinabile in base a valori cristallizzati alla data del patto. Cosicché gli incrementi successivi andranno meritocraticamente a beneficio del solo discendente assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni. è evidente l'opportunità che almeno per i valori opinabili e mutevoli nel tempo (quali appunto il valore dell'azienda o di una partecipazione societaria) le parti si avvalgano di una relazione di stima.
In sostanza la legge n. 55 rompe il principio di unità del regime successorio [nota 21], poiché consente al disponente di isolare nel proprio patrimonio una certa massa di beni e di sottrarli alle regole ordinarie, anzi a regole caratterizzanti del sistema.
Questa conclusione prelude ad un problema sin qui poco evidenziato [nota 22] forse perchè destinato a proporsi concretamente dopo la morte del disponente.
L'esclusione di tutti i beni del patto da riduzione e da collazione significa anche esonero dalla futura riunione fittizia (art. 556 c.c.)?
L'intenzione del legislatore a me sembra proprio questa, se si considera che la legge n. 55 viene a creare un "microsistema" [nota 23] a disciplina speciale, e per valori definitivamente concordati, ed estende questo regime ai legittimari che non hanno partecipato al patto (art. 768-sexies c.c.). Un sistema autosufficiente, nel quale è postulato il rispetto immediato delle «quote previste dall'art. 536 c.c. e seguenti» (le quote che sui beni del patto la legge a quel momento riserverebbe ai legittimari) [nota 24] e, come detto, è prevista una particolare tutela per i sopravvenienti, ancorata al trattamento dei partecipanti all'epoca del patto: ai sopravvenienti infatti viene riconosciuto un mero credito, e questa scelta si rivela un effetto legale differito del patto di forte rottura con i principii (e in particolare con il principio della legittima in beni ereditari). Un sistema autosufficiente, dunque, anche sotto il profilo delle risorse necessarie per il soddisfacimento di tutti i legittimari in relazione ai beni assegnati con il patto: i beni rimasti estranei non potranno essere aggrediti dai sopravvenienti per recuperare il valore delle proprie quote di legittima ex art. 768-quater secondo comma (non considerate in quella sede per inesistenza dei soggetti).
Se all'apertura della successione si dovrà procedere a riunione fittizia, per i fini di cui all'art. 556 c.c., (e cioè per la determinazione dei diritti dei legittimari sul relictum) si dovranno pertanto conteggiare in aggiunta al relictum solo le donazioni estranee al Patto di famiglia (a valore attualizzato). Sarebbe davvero irrazionale, e nessuna norma ne offre lo spunto, sommare anche il valore (bloccato ad una data anteriore) delle attribuzioni patrimoniali realizzate con il Patto di famiglia, delle quali si presuppone la congruenza con i diritti dei legittimari all'epoca del patto.
Anzi proprio questo presupposto, che l'accordo in vita sia stato raggiunto con un equo soddisfacimento di tutti i legittimari, fa sì che la sommatoria di tutti i valori (attuali e bloccati) non dovrebbe spostare apprezzabilmente il risultato, nel senso di evidenziare in sede successoria lesioni di legittima nei rapporti tra legittimari [nota 25].
La soluzione qui proposta, oltre a togliere motivi di incertezza per i protagonisti del patto, è a mio avviso la sola coerente con l'esclusione dalla collazione disposta dall'art. 768-quater [nota 26] e con la regola eccezionale dell'art. 768-sexies: se il legislatore ritenesse che la riunione fittizia debba operare a tutto campo (liberalità del Patto di famiglia incluse), perché avrebbe dettato per i legittimari sopravvenienti un rimedio speciale, da ritenere esclusivo [nota 27] malgrado la apparente ambiguità del verbo "possono"?
La riunione fittizia dovrà quindi, a mio avviso, tener conto dei "compartimenti stagni" in cui viene a suddividersi il patrimonio del disponente per effetto della stipulazione del patto (o dei patti) di famiglia.
La portata del problema qui trattato è ovviamente collegata con il problema della capienza del patto, che sarà sviluppato più avanti.
Eccezionalità della disciplina introdotta dalla legge n. 55; l'interpretazione estensiva e suoi limiti
Le considerazioni sin qui svolte conducono ad affermare la eccezionalità della legge n. 55, ed a ritenere che le norme che essa ha introdotto nel codice civile abbiano la natura di norme a fattispecie esclusiva, che non possono applicarsi "oltre i casi e i tempi in essa considerati".
è questa una linea-guida per l'interprete, che dovrà essere tenuta in considerazione per individuare:
a. il nuovo tipo negoziale consentito;
b. i soggetti e l'oggetto che ne possano usufruire;
c. i tempi e i modi in cui potrà muoversi l'autonomia negoziale, in vita del disponente e post-mortem.
Occorre peraltro ricordare che il divieto di analogia sancito dall'art. 14 c.c. non esclude, a giudizio di autorevoli commentatori, un'applicazione estensiva quando l'estensione avviene entro il ristretto ambito della ratio della norma.
Vi è un passo nella relazione al Senato (seduta n. 552 del 26 gennaio 2006) in cui il relatore, consapevole dell'affrettata conclusione dell'iter parlamentare, rinvia il riempimento di eventuali lacune «ad una adeguata attività interpretativa in funzione supplettiva».
Si possono condividere le osservazioni del collega Lupetti che auspica questa attività esegetica supplettiva per l'esigenza di garantire un'interpretazione "economico sociale" delle norme. [nota 28]
Effettivamente di spazi scoperti ce ne sono, ma l'interprete sarà chiamato a muoversi con molta cautela, poiché è da escludere che altre fattispecie contrattuali, diverse dal "tipo" legale, possano godere del regime privilegiato risultante dal capo VI -bis; anzi tali fattispecie ove fossero costruite con un espresso richiamo del regime stesso, non pertinente, si porrebbero inevitabilmente in contrasto con l'art. 458 c.c. e/o con l'art. 557 secondo comma.
Altre relazioni cureranno una esatta demarcazione degli elementi del Patto di famiglia tipizzato dalla legge n. 55, per aiutarci a decidere caso per caso, con alto margine di sicurezza, se alla singola fattispecie che l'autonomia privata escogiterà competano le deroghe alla normativa successoria ordinaria.
Va comunque sin da ora segnalato che la genesi tribolata della legge n. 55 ha generato qualche improprietà, legata al sopravvivere di espressioni traslate dei progetti originali.
Questi infatti avevano una impostazione diversa, articolata in due normative distinte per l'azienda e per le partecipazioni; da ultimo nel Ddl 2002 era prevista una normativa dettagliata solo per l'azienda, con una norma finale: «... si applica anche alle partecipazioni sociali...».
Vediamo un caso particolare: i primi interpreti si sono trovati in difficoltà di fronte al terzo comma dell'art. 768-quater che appare rivolto ai «non assegnatari dell'azienda». è da condividere la lettura di Lupetti: la restrizione all'ipotesi di assegnazione dell'azienda non è certamente voluta dal legislatore anche perchè la disposizione «sono imputati alle quote di legittima» non è affatto innovativa bensì coerente con i principi generali.
La norma può pertanto ritenersi applicabile con interpretazione estensiva (perfettamente compatibile con l'art. 14 c.c.) all'ipotesi di assegnazione di partecipazioni, ipotesi che si può prevedere molto frequente ed è comunque economicamente e funzionalmente la più interessante.
(post-scriptum) considerazioni aggiuntive sui problemi cruciali che si pongono all'interprete: le attribuzioni effettuate dal disponente agli altri legittimari; le partecipazioni in società senza impresa
Il tipo negoziale, i soggetti, l'oggetto saranno ampiamente esplorati dagli altri relatori.
Dopo quanto si è detto a proposito dell'obbligo di stretta applicazione della disciplina introdotta con la legge n. 55, devo ritornare [nota 29] sui due problemi di prima interpretazione più rilevanti, indotti rispettivamente dalla cripticità e dalla genericità delle norme-chiave.
La "liquidazione" degli altri legittimari ordinariamente viene prospettata dall'art. 768-quater c.c. come operazione a carico del discendente beneficiario dell'azienda (o delle partecipazioni). [nota 30]
Sulla base del terzo comma dell'art. 768-quater c.c. e di elementi storici [nota 31] mi sono orientato ad individuare una seconda modalità, legalmente riconosciuta, per il soddisfacimento degli altri legittimari: l'assegnazione di altri beni da parte del disponente stesso.
Il verbo "assegnare" (così come il successivo ricorso al sostantivo "assegnazione") sarebbe improprio se l'unico soggetto attivo fosse il discendente beneficiario diretto; esso evoca piuttosto una funzione divisoria, nel linguaggio giuridico, di cui sia protagonista il disponente.
L'ipotesi che gli altri partecipanti rinunzino alla liquidazione da parte del discendente beneficiario (art. 768-quater secondo comma) appare a prima lettura poco probabile, al limite dell'utopia se non si tratta del coniuge del disponente...; ma trova orizzonti molto ampi proprio se i partecipanti possono ricevere dal disponente altri beni, nell'ambito del Patto di famiglia, ed essere con ciò indotti a rinunziare alla liquidazione da parte del discendente beneficiario.
Se accettiamo questa lettura "binaria" dell'art. 768-quater c.c., una lettura interpretativa del linguaggio legislativo (e collegata come già detto all'intenzione dei relatori), più che una lettura estensiva, ma compatibile con la ratio dell'istituto, si rivela plausibile la stessa collocazione del capo V-bis nel titolo IV ("Della divisione"). è vero che nel momento del patto non sussiste ancora una comunione, ma ciò si verifica anche nella divisione "fatta dal testatore" (art. 734 c.c.).
Questa duplice possibilità ha raccolto vari consensi [nota 32], anche perché rende più agevole la conclusione del Patto di famiglia, evitando l'indebitamento del discendente prescelto come continuatore nell'impresa; risorgerebbe così la divisio inter liberos del codice civile 1865.
Nel Convegno di Milano Giorgio Baralis ha peraltro evidenziato seri motivi di perplessità, che devono indurre a cautela nell'abbracciare l'idea del doppio binario; egli propende infatti per una lettura ristretta della norma (art. 768-quater) ed individua un'unica procedura tipica di liquidazione del discendente beneficiario (quella del secondo comma). La natura eccezionale della normativa impedirebbe di collegare all'art. 768-quater una deroga troppo ampia alle regole della successione necessaria, con possibili profili di incostituzionalità poiché la tutela dei legittimari è un interesse di rango superiore alla tutela dell'impresa.
In altre parole il trattamento dell'azienda (o delle partecipazioni) non può che essere diverso rispetto a quello degli altri beni donati dallo stesso disponente in un disegno globale di sistemazione del proprio patrimonio, beni per i quali dovrebbero valere le regole ordinarie (collazione, riunione fittizia, riduzione). Da ciò la necessità di ben meditare le clausole delle diverse attribuzioni patrimoniali, agli effetti del diverso regime in cui esse verrebbero a porsi: una meditazione che in molti casi ci porterà a sconsigliare la combinazione dei due negozi (Patto di famiglia e donazione ordinaria) poiché il legittimario soddisfatto con il patto conserva aspettative che potrebbero tradursi in azioni restitutorie sui beni oggetto di donazione, se estranei al Patto di famiglia... [nota 33].
Una sì ridotta efficenza del Patto di famiglia non può considerarsi soddisfacente, per cui è da auspicare che il legislatore, ove decida di riprendere l'argomento, proprio su questo punto si soffermi con approfondita riflessione e fornisca quelle certezze di cui gli operatori giuridici hanno grande bisogno. Nello stesso tempo l'intervento legislativo potrebbe offrire un segnale importante per una visione aggiornata del rapporto tra i valori protetti (impresa e aspettative dei legittimari).
Altrettanto spinoso è il secondo problema.
L'art. 768-bis c.c. comprende due fattispecie distinte:
a. l'imprenditore che trasferisce l'azienda;
b. il titolare di partecipazioni che trasferisce le stesse ("in tutto o in parte" in entrambi i casi).
Quanto all'oggetto "partecipazioni" è stata avanzata una interpretazione intesa a limitare alle partecipazioni "rilevanti", o strumentali per l'esercizio di una vera impresa, l'applicabilità della disciplina in esame; ho già manifestato perplessità per questa interpretazione di carattere teleologico di fronte al testo adottato dal legislatore, malgrado il sospetto di incostituzionalità già avanzato in dottrina.
La norma non sembra infatti consentire discriminazioni "quantitative" o "funzionali" per le partecipazioni che il titolare intende trasferire con il Patto di famiglia. [nota 34] Ho già anche osservato che il frazionamento in sede successoria di una partecipazione anche modesta può nuocere all'azienda, restando così giustificato il suo inserimento in un Patto di famiglia.
Può essere d'aiuto ricordare che alla norma attuale il legislatore è pervenuto dopo un lungo iter. Nelle proposte di legge originarie le due fattispecie erano ben distinte, ma anche nella più recente stesura (progetto Pastore 2002) non vi era traccia di una particolare "qualità" delle partecipazioni che potevano beneficiare del regime di favore. Nel testo definitivo (nato dalla riunione dei progetti Pastore-bis e Buemi) le due fattispecie sono confluite in un'unica disciplina pur restando concettualmente ben distinte e sembra arduo sostenere che la imprenditorialità debba necessariamente colorare la titolarità delle partecipazioni, per il solo fatto formale della parità di trattamento (o per i richiami nella legge n. 55 al "patrimonio dell'imprenditore" o alla "successione dell'imprenditore", che risentono di formulazioni presenti nel Ddl Pastore 2002, più precisamente presenti nel progettato art. 743-bis c.c. che concerneva l'assegnazione dell'azienda).
Se il legislatore fiscale dovesse intervenire sul Patto di famiglia, magari in una prossima revisione dell'imposta sulle successioni e donazioni, potrebbe riconoscere un regime di favore solo alle partecipazioni dotate di determinate caratteristiche, disincentivando in tal modo il ricorso al Patto di famiglia per le altre situazioni.
[nota 1] Va sottolineato che per motivi ancora incerti l'art. 768-quater c.c. menziona particolarmente il coniuge e va ricordato che in costanza di coniugio la legge prevede l'esclusione dalla successione ereditaria per il coniuge separato, solo se a lui sia stata addebitata la separazione (art. 548 c.c.). Al medesimo l'art. 548 c.c. riconosce peraltro un particolare legato ex lege (secondo comma): trattandosi di assegno «commisurato alle sostanze ereditarie», il coniuge separato con addebito è certamente interessato alla consistenza delle sostanze ed al depauperamento che può conseguire al Patto di famiglia. Torna di attualità il problema se il suo assegno abbia natura alimentare o successoria (MENGONI Successione legittima - volume XLIII, T.1 del Trattato di Diritto Civile, Giuffrè) perché nel secondo caso il coniuge separato con addebito sarebbe ancora da considerare un legittimario, seppur non successore nel patrimonio ereditario.
Quanto al coniuge divorziato nessun dubbio: è escluso dalla successione ma solo a far tempo dal passaggio in giudicato della sentenza (non dalla pubblicazione nei registri di stato civile) MENGONI, ibidem.
Si può pensare che l'art. 768-quater abbia voluto sottolineare che comunque, è richiesta la partecipazione del coniuge, senza possibilità di giustificarne l'assenza anche nella prospettiva di una imminente cessazione del rapporto.
[nota 2] La eventualità che il soggetto non venga ad esistenza dovrà essere considerata nella redazione del patto, ad esempio prevedendo un incremento della quota di liquidazione degli altri legittimari.
[nota 3] è la definizione del GIAMPICCOLO, cui si deve il primo classico approfondimento nella materia (Il contenuto atipico del testamento - Teoria dell'atto di ultima volontà, 1954).
[nota 4] In realtà già la tradizionale dispensa da collazione (e quella da imputazione ex se), se contenuta in un contratto di donazione, è considerata una clausola mortis causa, una eccezione codificata ai principii presidiati dall'art. 458 c.c.
[nota 5] Ddl 2799/1997 (proponenti Pastore e altri), maturato dopo il Convegno di Macerata di quell'anno, organizzato dal Cnn in concorso con il Consiglio Nazionale Ricerche. Gli esiti di tale Convegno dettero spunto a MARCO IEVA per un importante contributo sulla materia (Rivista del Notariato 1997, p. 1371 e ss).
Giova ricordare che nel giugno 1996 era stata presentata una diversa proposta di legge (Becchetti, Armosino e altri) che mirava alla abrogazione del divieto dei soli patti successori dispositivi e rinunziativi per ammettere la «possibilità di contrattare diritti o beni inerenti ad una successione non ancora aperta, seguendo la disciplina della vendita di cose altrui, ma obbligando il disponente a fare intervenire ed accettare tale disposizione a tutti gli eredi legittimari del soggetto dal quale proverranno i beni».
Nella relazione dei proponenti si affermava espressamente, al contrario, la opportunità di conservare il divieto dei patti istitutivi.
Avendo aperto questa ricognizione storica, dobbiamo completarla ricordando che la "legge n. 55" nasce dalla fusione del Ddl n. 1353/2002 (proponenti Pastore ed altri ; disegno che rappresenta un'evoluzione del citato Ddl 2799/1997) con il Ddl n. 3567/2005 (proponenti Buemi, Benvenuto ed altri).
[nota 6] Con l'art. 2355-bis c.c. è stato ammesso un "obbligo di acquisto" per la società nel solo caso di mancato gradimento. Il collega IEVA «Le clausole limitative della circolazione delle partecipazioni» in Rivista del Notariato 2003 p. 1377, ritiene che dopo la riforma si debba comunque riconoscere la natura mortis causa delle clausole statutarie di predisposizione successoria, con conseguente svalutazione della natura del divieto ex art. 458 c.c. che viene a concernere il mezzo e non il risultato.
[nota 7] Vedasi l'approfondimento a cura di R. LENZI «Il problema dei patti successori» Relazione al XXX Congresso Nazionale del Notariato, 1988: l'Autore concludeva l'indagine sul fondamento dei tre divieti evidenziando che, per l'effetto dissuasivo dell'incertezza della distinzione tra negozi "post mortem" e negozi "mortis causa", il divieto dell'art. 458 c.c. in concreto assumeva una portata più ampia di quella astrattamente riconosciutagli. Notevole chiarezza sull' argomento veniva fatta dall'altro relatore MARCO IEVA che trattava appunto il tema dei "fenomeni c.d. parasuccessori".
[nota 8] PISCHETOLA, uno dei primi commentatori («Il Patto di famiglia a confronto con gli strumenti negoziali alternativi al testamento» - in questo volume) ritiene invece che il Patto di famiglia non sia ascrivibile alla categoria dei patti successori dispositivi o rinunziativi, poiché l'oggetto del Patto di famiglia è già determinato alla stipula, mentre in quelli l'oggetto della convenzione verrebbe a determinarsi solo all'apertura della successione e vi sarebbe una condizione implicita di sopravvivenza del beneficiario (così GIAMPICCOLO op. cit.).
[nota 9] Questa interpretazione non è ancora consolidata; si veda ad esempio la diversa lettura che propone BARALIS in questo stesso Convegno (Milano 31 marzo 2006) secondo la quale le attribuzioni patrimoniali del disponente agli altri legittimari seppur contestuali non godrebbero del regime di favore del trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni (non riducibilità, blocco dei valori, etc.). Per un approfondimento si veda l'ultimo paragrafo del presente scritto.
[nota 10] Un ampio commento è svolto da PISCHETOLA op. cit.
Interessanti osservazioni furono proposte da CALò «Le piccole e medie imprese: cavallo di Troia di un diritto comunitario delle successioni?» Nuova giurisprudenza civile 1997.
[nota 11] è questo l'argomento per cui nelle fasi conclusive dell'iter parlamentare è stato respinto un emendamento che ammetteva l'assenza di un legittimario, con determinate compensazioni (la previsione di un lascito a titolo particolare).
La tesi liberistica è propugnata da CACCAVALE «Appunti per uno studio sul Patto di famiglia» - Notariato n.3/2006, p. 289.
è stata anche avanzata l'ipotesi (PETRELLI «La nuova disciplina del Patto di famiglia» in Riv.Not., Volume LX, Marzo Aprile 2006) di una efficacia soggettivamente parziale del patto, ma trattasi di proposta che mi lascia perplesso, per la frantumazione del regime successorio in troppi tronconi.
[nota 12] è stato sollevato il sospetto di incostituzionalità della norma, per difetto di motivi oggettivi che giustifichino la disparità di trattamento delle partecipazioni, genericamente considerate, rispetto ad altri beni di investimento (ZOPPINI «Il Patto di famiglia non risolve le liti» IlSole24Ore, 13 febbraio 2006; PETRELLI «La nuova disciplina del Patto di famiglia» op. cit.); si può essere d'accordo su tale assunto, ma sino a che la Corte Costituzionale non intervenga a ridisegnare la norma attuale, non si vede la possibilità di una interpretazione riduttiva.
[nota 13] Le esigenze di una normativa successoria speciale per i beni produttivi fu evidenziata sin dagli anni settanta da SCHLESINGER (Successioni - Parte generale in N. Digesto Italiano).
Un approfondimento degli obiettivi del disegno legislativo è svolto da PETRELLI nelle premesse dello scritto citato. A nostro avviso merita di essere evidenziata la necessità, con l'innalzamento della vita media dell'uomo, di non ritardare l'avvicendamento dei successori nella posizione dell'imprenditore: a tale necessità ben si adatta il nuovo istituto.
[nota 14] LENZI (op. cit.): dallo studio citato sono nati tutti i più recenti interventi della dottrina notarile in argomento.
Successivamente è maturata una proposta intermedia di RESCIGNO («Trasmissione della ricchezza e patti successori» nel Convegno I.G.I. di Verona 1993, in Vita Notarile 1993 p. 1281): l'Autore auspica la soppressione del divieto dei patti successori, per accordare all'ereditando la facoltà di disporre inter vivos di beni ereditari (dal contesto si ricava la necessità dell'assenso di tutti i successibili), ma ritiene necessario far salva la revocabilità dell'attribuzione con un eccezionale potere di recesso «per cause tipicamente individuate o per fatti inquadrabili in una generale nozione di giusta causa».
Richiamiamo per una sintesi: CACCAVALE - TASSINARI «Il divieto dei patti successori tra diritto positivo e prospettive di riforma», Riv. Dir. Priv. 1997.
[nota 15] MASCHERONI «Il Notaio e la tutela della volontà del testatore» IV Convegno dei Notariati Lombardo e Ticinese, Ottobre 1999.
[nota 16] LISERRE ("Trattato di diritto privato" tomo quinto - Disposizioni generali sulle successioni, p. 28) suggerisce una preferenza rispondente alle reali necessità dei successibili, entro un certo grado di parentela, necessità che potrebbero trovare un indice concreto nel vivere a carico dell'ereditando.
[nota 17] Proprio in questo settore il legislatore è reiteratamente intervenuto per favorire la continuità: dalla successione anomala nel contratto di affitto agrario (art. 49 della legge 203/1982) alla tutela dell'integrità dell'azienda agricola, realizzata con l'obbligo di assegnazione ad un solo erede del "compendio unico", indivisibile (art. 7 del D.l. 29 marzo 2004 n. 99).
Si rinvia all'approfondita disamina di PISCHETOLA (op. cit.).
[nota 18] La stessa Unione europea accenna ad una auspicabile evoluzione verso una «riserva di valore» (nella Comunicazione del 1994 citata nel testo al terzo paragrafo), tendenza che sarei pronto a condividere solo se circoscritta a circostanze eccezionali, quali la legge n. 55 ha preso in considerazione. Non possono infatti essere trascurate la profonda ricostruzione storica del MENGONI ("Successione necessaria" Vol. XLIII, T2 Trattato di diritto civile, Giuffrè) e le ragioni di coerenza complessiva del sistema adottato dal nostro legislatore.
[nota 19] Questo aspetto è stato opportunamente messo in luce, come elemento essenziale e caratterizzante dell'istituto, dal collega FIETTA («Divieto dei Patti successori ed attualità degli interessi tutelati» - in questo volume).
[nota 20] Ove non si condivida la tendenza restrittiva riferita nel paragrafo "Il tipo negoziale".
[nota 21] Unità già minata dai vari legati ex lege introdotti nell'ordinamento italiano, spesso per adeguamento a principii di rango costituzionale (PANZA - "Successione in generale, tra codice civile e Costituzione" - Trattato di diritto civile del Cnn - p. 21 e ss.) che si collocano nella categoria delle vocazioni anomale. L'unità è ora compromessa dalla legge n. 55 anche nei rapporti tra eredi.
[nota 22] Lo propone con puntualità CACCAVALE («Appunti per uno studio sul Patto di famiglia» - già citato), il quale dà rilievo alla necessaria stabilità dell'assetto economico realizzato con il patto, ma individua un motivo di perplessità nell'alterazione dell'ordine di riducibilità delle donazioni, che può verificarsi se le attribuzioni patrimoniali del patto non sono coinvolte dalla riunione fittizia. Per effetto di tale alterazione potrebbero risultare compromesse donazioni precedenti, altrimenti indenni da riduzione.
[nota 23] L'espressione è di BARALIS, il quale peraltro sembra orientato per una riunione fittizia "totale" considerando la necessità di tutelare il caso-limite di rinunzia alla liquidazione da parte di un legittimario (rinunzia che si giustificherebbe solo se questi potrà "recuperare" sul relictum).
[nota 24] Mi sembra infatti che l'imputazione prevista dal terzo comma in esame («i beni assegnati agli altri partecipanti…sono imputati alle quote di legittima loro spettanti») sia disposta per i conteggi in sede di Patto di famiglia e si esaurisca in quella sede. Il prof. Giuseppe AMADIO ha coniato la definizione di "legittima relativa"; credo che da questa autorevole concezione possano scaturire le conseguenze prospettate nel testo.
Una diversa lettura propone PETRELLI (op. cit.) approfondendo l'ipotesi della rinunzia alla liquidazione di cui al comma secondo, e così pure BARALIS «Le attribuzioni ai legittimari non assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni sociali» - in questo volume.
[nota 25] Rimane il preoccupante possibile effetto riflesso, in deroga all'art. 559 c.c., segnalato da CACCAVALE: la riducibilità delle donazioni anteriori al patto qualora il relictum sia fortemente immiserito.
[nota 26] Nel dibattito di Milano il collega PENE VIDARI ha ricordato che per l'art. 564 c.c. ultimo comma ciò che è esente da collazione è pure esente da imputazione.
[nota 27] L'esclusività del rimedio non è per ora messa in discussione, e mi pare sia indiscutibile proprio perché il legislatore ha ritenuto di rafforzarlo con la (tecnicamente anomala ma) speciale forte sanzione dell'annullabilità.
[nota 28] LUPETTI («Il finanziamento dell'operazione: familiy buy out» - in questo volume).
[nota 29] Dopo il Convegno di Milano è necessario riprendere questi temi, già proposti nelle pagine precedenti, anche per segnalare le interpretazioni avanzate da altri commentatori.
[nota 30] Si è portati a vedere nella fattispecie una donazione cum onere (così MERLO «Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati» - in questo volume) e quindi una donazione indiretta a favore degli altri legittimari. Impostazione certamente interessante sotto il profilo tributario, ma l'inquadramento dogmatico è più complesso, poiché la prestazione a favore di costoro nel Patto di famiglia ha carattere essenziale, entra nella causa del negozio.
[nota 31] In tal senso è la relazione al Ddl n. 1335 (Pastore e altri) comunicato alla Presidenza del Senato il 23 aprile 2000: «Il quarto comma disciplina l'ipotesi che l'imprenditore effettui altre assegnazioni ai propri legittimari, nel qual caso i beni assegnati saranno imputati alle loro quote di legittima; tale imputazione si determina non solo nel caso di assegnazioni contenute nello stesso contratto, ma anche in un contratto successivo; etc.».
La stessa Commissione Cee nella raccomandazione 1998 immaginava una pluralità di attribuzioni patrimoniali ad opera del disponente: «la valutazione dell'impresa sarà comparata a quella di altri beni dati ai membri della famiglia come anticipo della successione. Perciò la valutazione dell'impresa dovrà soprattutto tener conto dei rischi specifici e delle potenziali debolezze di un'impresa rispetto agli altri beni trasferiti, come gli immobili, il cui valore tende ad essere meno volatile».
Inoltre appare significativo che l'on. Buemi sia nella presentazione del Ddl n. 3567 che in precedente occasione (in Commissione Giustizia) prospettasse la possibilità che il disponente assegnasse «altri beni ai figli non assegnatari dell'azienda».
[nota 32] Prima del Convegno di Milano si erano espressi nello stesso senso del testo: CONDò («Il Patto di famiglia» in Federnotizie 2/2006), LUPETTI (op. cit.) e PISCHETOLA (op. cit.) che dalla relazione al progetto di legge ricavava l'impressione che il legislatore non pensasse ad un sistema chiuso; e PETRELLI (op. cit.) che si spingeva ancora più in là, affermando che anche i beni attribuiti da un terzo (ad esempio il coniuge del disponente, che dichiaratamente agisse per conto del disponente) potrebbero entrare nel regime del Patto di famiglia. In senso restrittivo invece erano orientati (nei commenti già citati) FIETTA e MERLO.
Nella relazione svolta al Convegno di Milano BARALIS annunciava la perplessità ed i rilievi di ordine costituzionale che sono riportati nel testo.
[nota 33] La spada di Damocle riappare sul capo dei legittimari-donatari...
[nota 34] Conforme, con più ampie considerazioni, PISCHETOLA (loc. cit.).
L'Autore accenna a possib ili intenti elusivi o fraudolenti da cui potrebbe derivare la nullità del patto; l'ipotesi va condivisa ed è in linea con le osservazioni di ZOPPINI «Il Patto di famiglia non risolve le liti», ilSole24Ore, 3 febbraio 2006. Osserverei che l'intento elusivo è evidente se la società viene costruita in funzione del ricorso all'art. 768-bis c.c., mentre per le fattispecie preesistenti vi è un'alta opinabilità. Rinvio alla precedente nota 12.
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