Il Patto di Famiglia: presupposti soggettivi, oggettivi e requisiti formali
Il Patto di Famiglia: presupposti soggettivi, oggettivi e requisiti formali
Il Patto di famiglia ed il suo ambito di applicazione
di Guido De Rosa
Notaio in Bergamo

Il 31 gennaio scorso, l'Aidaf, Associazione Italiana delle Imprese Familiari, per voce del suo direttore generale, salutava con il seguente comunicato la novità legislativa:

COMUNICATO

è con piacere che comunichiamo che oggi 31 gennaio 2006 alle 16.30, la Commissione Giustizia del Senato, Presidente Senatore Antonino Caruso, ha approvato in seduta deliberante la proposta di legge degli onorevoli Enrico Buemi, Giorgio Benvenuto ed altri su "Patti di famiglia e patti successori d'impresa".

Il provvedimento, originato da una ricerca Aidaf (Associazione Italiana delle Aziende Familiari) supera il principio secondo cui si eredita solo per legittima o per testamento, favorendo quindi un passaggio generazionale dell' azienda scevro da conflitti familiari.

L'approvazione del provvedimento a suo tempo già approvato in prima lettura alla Camera consentirà alle aziende familiari italiane una più serena continuità ed una maggiore competitività nel panorama mondiale.

F.to: Associazione Italiana delle Aziende Familiari

Gioacchino Attanzio

Direttore Generale

Il dibattito sull'esigenza di tutelare l'impresa nella difficile fase del passaggio generazionale si era già avviato da tempo. L'impresa ha un suo valore sociale, produce benessere, lavoro, è un bene persino protetto costituzionalmente (art. 41, primo comma, Cost.).

Il passaggio generazionale costituisce un momento estremamente delicato, nel quale - si sostiene - una buona parte delle imprese rischia la crisi, anche per le possibili divergenze di vedute, tra i successori del fondatore, sulla conduzione dell'impresa. Si era quindi ritenuto di proporre al Parlamento un ripensamento del divieto dei patti successori, idoneo a consentire una decisione condivisa in ambito familiare, che desse certezza e tendenziale stabilità, agli effetti di una trasmissione patrimoniale.

Anche la proprietà privata, e la successione, legittima e testamentaria, sono oggetto di tutela costituzionale, nel momento in cui si afferma che «la legge stabilisce le norme e i limiti della successione» (art. 42 ultimo comma Cost). Non occorre qui soffermarsi sul ben noto divieto dei patti successori (art. 458 c.c.) sulle ragioni del divieto dei cd. patti istitutivi (tutela della libertà testamentaria e quindi della revocabilità delle ultime volontà) e su quelle (assai più discutibili) dei patti rinunziativi (tutela del rinunciante dalla sua stessa prodigalità) e dispositivi (inaccettabilità del votum captandae mortis).

Daremo per scontati anche i concetti della cd. intangibilità quantitativa della legittima (art. 536 per la definizione dei legittimari e 549, ultima parte, e rinvio agli artt. 713 e ss., per mettere in luce quali siano i pesi e le condizioni sulla quota ammessi dall'ordinamento).

Si tratta oggi di comprendere quale sia l'ambito di applicazione della normativa in esame, certamente non del tutto soddisfacente dal punto di vista redazionale, e di analizzare le prevedibili prospettive di attuazione.

L'ambito di applicazione

Il primo comma dell'art. 768-bis c.c. ci fornisce una definizione del Patto di famiglia («il contratto con cui l'imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l'azienda e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote ad uno o più discendenti») puntualizzando che detto contratto deve realizzarsi «compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie». I dubbi dei primi interpreti riguardano proprio il perimetro di applicazione. Due sono le questioni principali. La prima consiste nello stabilire se si può avere un Patto di famiglia anche in presenza di trasferimenti di partecipazioni che non coinvolgano il controllo delle imprese. La seconda se possano formare oggetto del Patto di famiglia, oltre al trasferimento di aziende, imprese o partecipazioni societarie, anche altri trasferimenti di beni diversi dal genitore ai discendenti non destinatari dell'impresa.

Impresa familiare

Il riferimento all'impresa familiare conduce al rinvio all'art. 230-bis, penultimo comma, per il quale «in caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell'azienda i partecipi di cui al primo comma (e cioè coniuge, parenti entro il terzo grado e affini entro il secondo) hanno diritto di prelazione sull'azienda. Si applica, nei limiti in cui è compatibile, l'art. 732.

Poiché al Patto di famiglia devono partecipare l'imprenditore (o titolare di partecipazioni) e i suoi legittimari (quelli che tali sarebbero ove la successione si aprisse nel momento in cui il patto è stipulato, cfr. 768-quater), mentre i partecipanti all'impresa familiare possono essere anche altri parenti ed affini, il Notaio richiesto di agire per il Patto di famiglia, in ipotesi di impresa familiare, dovrà:

1. far risultare dall'atto pubblico l'esistenza o inesistenza di accordi per la partecipazione dei familiari;

2. far partecipare anche questi soggetti (i partecipi ex 230-bis) all'atto;

3. far risultare la liquidazione nei loro confronti dei crediti ad essi spettanti;

4. far risultare la loro rinuncia alle prelazioni;

5. ricordare che il diritto di prelazione spetta anche a coloro che prestano il loro lavoro in ambito familiare (il prevalente riferimento è al coniuge, cfr. art. 230-bis primo comma c.c., ma il concetto è estensibile anche agli altri familiari) e che deve ritenersi che tale attività sia considerata dalle parti non come semplice esplicazione dei doveri istituzionalmente connessi col matrimonio, ma come «assunzione in via esclusiva e preponderante, dei compiti familiari, normalmente divisi col coniuge, il quale, sollevato da essi, è messo in condizione di dedicarsi totalmente all'accrescimento della produttività d'impresa.» (Cass. Sez. Lavoro 7223/2004, conforme Sez. Lavoro 11007/98);

6. per Cass. Sez. Un. 89/4 gennaio 1995, «Ai sensi dell'art. 230-bis c.c., la concreta collaborazione del partecipante all'impresa familiare - istituto la cui costituzione non può essere automatica, senza alcuna volontà degli interessati, "ma al contrario, quando non avvenga mediante atto negoziale, deve sempre risultare da fatti concludenti, e cioè da fatti volontari dai quali si possa desumere l'esistenza della fattispecie", ben potendo l'imprenditore rifiutare la partecipazione del familiare all'impresa, opponendosi all'esercizio di attività lavorativa nell'ambito di essa -, se, in mancanza di accordi convenzionali, non può ridursi, nel caso del coniuge, all'adempimento dei doveri istituzionalmente connessi al matrimonio, non viene tuttavia meno qualora l'attività dallo stesso svolta, sebbene diretta, in via immediata, a soddisfare le esigenze domestiche e personali della famiglia, assuma rilievo nella gestione dell'impresa, in quanto funzionale ed essenziale all'attuazione dei fini propri di produzione o di scambio di beni o di servizi. Infatti, se è vero che l'art. 230-bis c.c. considera titolo per partecipare a detta impresa la prestazione, in modo continuativo, dell'attività di lavoro nella famiglia, tuttavia, dovendosi tale attività tradurre (in proporzione alla quantità e qualità di lavoro prestato) in una quota di partecipazione agli utili ed agli incrementi dell'azienda, tale quota non può che essere determinata in relazione all'accrescimento della produttività dell'impresa, procurato dall'apporto dell'attività del partecipante»;

7. tener presente che, per orientamento condivisibile di Cassazione, è da escludersi l'impresa familiare nelle ipotesi di "famiglia di fatto" e che, secondo una autorevole opinione dottrinale (Oppo, Commentario alla riforma del diritto di famiglia, Padova 1977, I, 1, p. 489 e ss.) la prelazione spetta a ciascun partecipe;

8. ricordare infine che l'impresa familiare non è incompatibile con la gestione di società di fatto, per Cass. Lav. 19116/04, che si esprime in questi termini: «Il coniuge che svolga attività di lavoro familiare in favore del titolare di impresa ha diritto alla tutela prevista dall'art. 230-bis c.c. (al pari degli altri soggetti indicati dal terzo comma di tale articolo), anche se l'impresa sia esercitata non in forma individuale ma in società di fatto con terzi, in tale ipotesi applicandosi la disciplina di cui al citato art. 230-bis c.c. nei limiti della quota societaria, atteso che la nozione di impresa familiare non comporta necessariamente l'esistenza di un soggetto imprenditoriale collettivo familiare, e che l'istituto ha natura residuale, venendo nel suo ambito regolati i diritti corrispondenti alle prestazioni svolte dal soggetto partecipante a favore del familiare che se ne avvale, anche quando questi utilizzi tale apporto per un'attività economicamente svolta quale socio di una società di fatto».

In riferimento all'inciso «nel rispetto delle differenti tipologie societarie» contenuto nel primo comma dell'art. 786-bis, occorrerà distinguere le società di persone dalle società di capitali, ed avere riguardo al contratto che le ha generate.

Società di persone: la collettiva e il necessario consenso

Quindi, iniziando l'analisi dalle società di persone, generate da un contratto plurilaterale con comunione di scopo, permeate dal principio consensualistico alla base dell'art. 2252 c.c., per il quale, salvo diverso accordo, la modifica del contratto non può avvenire che con il consenso di coloro che vi hanno partecipato, (principio di cui ha fatto un'interessante applicazione la Cassazione affermando prima - 2860/84 - che il consenso dei altri soci alla modificazione del contratto non è soggetto a forma vincolata e poi - sent. 2359/90 - nel valutare l'assoggettabilità al fallimento dell'acquirente della quota sociale in assenza di effettivo inserimento nell'organismo sociale e di patto con gli altri soci affermando che «nelle società di persone l'acquisto della quota sociale non è sufficiente a far acquistare la qualità di socio ed insorgere la responsabilità dell'acquirente per le obbligazioni sociali nonché a determinare la connessa estensione del fallimento della società all'acquirente stesso, occorrendo invece che si realizzi il suo effettivo inserimento nell'organismo sociale mediante il patto con gli altri soci che comporta, attraverso l'assunzione della qualità di socio, i connessi diritti ed obblighi verso la società, gli altri soci e i terzi») ricorderemo che il Notaio dovrà costituire in atto pubblico gli altri soci, allo scopo di far risultare il loro consenso alla modifica del contratto sociale. La contestualità è certamente possibile (l'art. 768-quater impone la partecipazione dell'imprenditore, del coniuge e dei potenziali legittimari, ma non esclude la partecipazione di altri soggetti), ma sarà possibile anche agire attraverso il collegamento di negozi: ciò che va salvaguardato, nella sostanza, è - insieme al desiderio della famiglia dell'imprenditore di attuare il trasferimento della azienda al discendente - il diritto degli altri soci a non vedere modificato il contratto sociale senza il loro consenso. Qualora ciò avvenisse (Patto di famiglia relativo a quote di società di persone, in assenza del consenso degli altri soci), oltre a dubitare dell'iscrivibilità nel registro delle imprese, ci si dovrebbe domandare se l'atto pubblico è nullo per violazione dell'art. 2252 e dell'art. 786-bis primo comma c.c., o - come sembra più verosimile - semplicemente inefficace nei confronti della società. Al di là della valutazione della responsabilità disciplinare del Notaio, ben più importante è la considerazione della inidoneità dell'atto a produrre i suoi effetti.

L'accomandita: quid juris per la quota di accomandante?

Quanto alla Sas, va richiamato il disposto dell'art. 2322, per il quale il trasferimento della quota sociale del socio accomandante, «salva diversa disposizione dell'atto costitutivo, può essere attuato con effetto verso la società, con il consenso dei soci che rappresentano la maggioranza del capitale sociale», per sottolineare che, se è vero che il trasferimento della quota dell'accomandatario postula la necessità del consenso unanime, è altrettanto vero che:

1. non sussistendo limitazioni nel testo della norma in esame (si parla di partecipazioni societarie) il Patto di famiglia può riguardare il trasferimento della quota di accomandante, anche se appare più probabile, ed in sintonia con le intenzioni originarie del legislatore, o di coloro che hanno sensibilizzato il legislatore, che possa formare oggetto di un Patto di famiglia il trasferimento della quota di un genitore accomandatario;

2. se l'atto costitutivo non prevede disposizioni sul punto, sarà consentita la modificazione del contratto, derivante dal trasferimento della quota dell'accomandante, anche in assenza dell'unanimità, ma con il consenso della maggioranza del capitale;

3. il Notaio dovrà dar conto del tipo societario, dell'esistenza o inesistenza di clausole specifiche sul trasferimento della quota, tenendo presente che la larghissima maggioranza delle società di questo tipo è costituita tra familiari.

Società a responsabilità limitata

Il perimetro di applicazione della normativa non emerge con chiarezza dal testo della disposizione in esame: la domanda di fondo (solo per i trasferimenti che incidono sulla futura gestione o anche gli altri?) si pone per tutte le partecipazioni, quindi anche per la società a responsabilità limitata, che - a seguito della riforma del diritto societario - si adatta particolarmente alle attività imprenditoriali connotate da tratti personalistici. Non infrequente è il caso della società già posseduta, per quote, dall'originario imprenditore e dai suoi familiari: il trasferimento della partecipazione (attuabile liberamente, sia inter vivos che mortis causa, salva contraria disposizione dell'atto costitutivo, come prevede l'art. 2469 c.c.) diventa opponibile alla società, e cioè legittima l'acquirente all'esercizio dei diritti sociali, con l'iscrizione a libro soci, che (come prevede l'art. 2470 secondo comma) a sua volta può avvenire solo a seguito dell'iscrizione nel registro delle imprese.

Com'è noto la riforma, consentendo la «contraria disposizione dell'atto costitutivo», ha sottolineato la massima apertura all'autonomia, e quindi ha riconfermato, ove ce ne fosse stato bisogno, l'ammissibilità delle clausole di prelazione e di gradimento, quasi sempre presenti negli statuti.

Ad essi, occorrerà fare riferimento per verificare se il trasferimento della partecipazione contenuto nel Patto di famiglia sarà o meno conforme agli accordi statutari, e quindi opponibile alla società.

Quindi il Notaio dovrà:

· far emergere dall'atto pubblico quali siano le limitazioni statutarie previste dallo statuto;

· se esse trovino applicazione nel patto a lui richiesto;

· dar conto delle rinunce alle eventuali prelazioni, e del gradimento, che ritengo opportuno far esprimere prima della formazione dell'atto pubblico stesso.

Società per Azioni

L'art. 2355-bis c.c., prevede - in analogia con quanto previsto dall'art. 2469 per la Srl - che lo statuto possa «sottoporre a particolari condizioni» il trasferimento delle azioni, e che possa essere inibita la circolazione per cinque anni. Anche per l'azionista, come per il titolare di partecipazione in Srl, in presenza di clausole particolarmente limitative (mero gradimento) è prevista la via d'uscita del diritto di recesso. Da sottolineare l'ultimo comma del 2355-bis, in base al quale le limitazioni al trasferimento devono risultare dal titolo.

Ove queste risultino, il trasferimento delle azioni, che formi oggetto del Patto di famiglia, non può non tenerne conto, ed il comportamento del Notaio dovrà essere simile a quello innanzi indicato per la Srl, e quindi dar conto della limitazione e dell'osservanza dei principi statutari.

è lecito chiedersi se anche l'obbligazione convertibile possa essere così trasferita. La risposta, a mio avviso affermativa, deriva non solo dalla potenziale convertibilità che potrebbe trasformare il credito in partecipazione al capitale, ma anche dall'interpretazione restrittiva o più aperta che si intende dare alle norme sul Patto di famiglia.


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