Le implicazioni fiscali delle attribuzioni tra familiari
Le implicazioni fiscali delle attribuzioni tra familiari
Prime riflessioni sul trattamento del Patto di famiglia ai fini delle imposte indirette
di Ugo Friedmann
Notaio in Milano
Le prime riflessioni che seguono devono necessariamente tener conto del fatto che ad oggi non si è raggiunta tra i civilisti una identità di vedute circa la natura e le caratteristiche del "Patto di famiglia" così come normato dal legislatore, che non ha ritenuto di dotare il nuovo istituto di una autonoma disciplina dal punto di vista fiscale.
Siamo infatti di fronte ad una riforma i cui confini devono essere tracciati dall'interprete, essendo la norma nel caso di specie formulata in modo da lasciare ampio spazio alla successiva attività esegetica.
Trovandomi quindi a dovere dare indicazioni su quale possa essere il trattamento fiscale di un Patto di famiglia non posso che evidenziare in prima battuta che le considerazioni che seguiranno dovranno essere in seguito confrontate ed adeguate a quanto sia la dottrina civilistica che possibili modifiche del quadro legislativo della tassazione delle successioni e donazioni potranno portare.
Due sono i filoni di pensiero che si fronteggiano.
Uno, che inserisce il patto nel sistema delle successioni, considerandolo una sorta di "successione anticipata" le cui caratteristiche si avvicinano alla "divisio inter liberos".
Non vi è in questo filone di pensiero identità circa il verificarsi degli effetti del patto ancorchè la pressochè totalità degli autori gli attribuisca effetti immediati e non successivi alla morte del disponente.
Per altro filone di pensiero invece iI Patto di famiglia è contratto tipico inter vivos che integra una fattispecie unitaria, che produce gli effetti di una successione anticipata, integrando disposizioni liberali sia dal disponente al/ai beneficiario/i che da questi ultimi ai legittimari non direttamente destinatari del patto, ovvero ancora che integra un segmento di natura liberale tra disponente e beneficiario/i e un segmento di natura onerosa nei rapporti tra beneficiario e altri assegnatari.
Altra corrente di pensiero minoritaria poi ricostruisce il patto come atto avente interamente natura onerosa.
In questa babele, come sopra detto, il legislatore non ha al momento ritenuto opportuno dettare norme specifiche circa il suo trattamento fiscale. [nota 1]
Pur aderendo alla tesi che vede nel patto un contratto inter vivos che integra disposizioni liberali sia dal disponente al/ai beneficiario/i che da quest'ultimo/i al/agli assegnatario/i, specie per ciò che riguarda il trasferimento di tutta o parte dell'azienda o di tutte o parte delle partecipazioni da parte del disponente [nota 2] mi limiterò in prima battuta a tentare una ricostruzione del patto strettamente inteso, nonchè del trattamento della liquidazione degli eventuali legittimari sopravvenuti di cui all'articolo 768-sexies codice civile, scegliendo di andare per cenni, senza riferimenti dottrinali e giurisprudenziali essendo scopo delle brevi note che seguono di costituire uno stimolo di riflessione per future e più approfondite disamine.
Le definizioni
Anche ai fini di una corretta comprensione di quanto infra si indicheranno come "disponente" il soggetto imprenditore /o titolare di partecipazioni che dispone dell'azienda e/o delle partecipazioni, come "beneficiario/i" i discendenti a favore dei quali è disposto il trasferimento dell'azienda, di parte di essa e/o di tutte o parte delle partecipazioni e come "assegnatari" i soggetti legittimari non beneficiari a favore dei quali viene disposta la liquidazione da parte dei beneficiari ovvero, ove se ne riconosca la inerenza al patto, la assegnazione di "altri beni" da parte del disponente
Una prima proposta-liberalità gravata da onere? (art. 58 IV comma D.lgs. 346/90)
Non potendosi in prima lettura prescindere dal carattere di liberalità della disposizione fatta dal disponente dell'azienda o delle partecipazioni a favore di "uno o più discendenti" e non potendosi negare che tale liberalità [nota 3] è gravata/accompagnata dal punto di vista del/dei beneficiario/i da un obbligo di compiere una prestazione a favore di terzi (la liquidazione in denaro o in natura a favore dei legittimari non beneficiari diretti del patto), pur volendo considerare il Patto di famiglia come un contratto tipico ed unitario, lo schema che ai fini tributari è parso più prossimo all'istituto in commento è quello delineato dall'articolo 58 del D.lgs. 346/90. [nota 4]
La scelta, chiaramente funzionale, non è casuale non ritenendosi applicabile allo schema delineato dal Patto di famiglia lo schema del "negotium mixtum cum donatione" mancando a mio avviso nello schema contrattuale delineato dalla norma qualsivoglia elemento di corrispettività tra la prestazione del disponente e quelle richieste ai discendenti beneficiari. [nota 5]
Sicuramente la disposizione dal disponente a favore dei discendenti rientra nella esclusione da tassazione portata dall'articolo 13 della legge 383/2001 per quanto attiene la imposta di successione e donazione. [nota 6]
La disposizione è invece soggetta alle imposte catastali ed ipotecarie ove l'azienda comprenda beni immobili, la cui valutazione può tuttavia essere fatta tenendo conto dei moltiplicatori catastali, senza peraltro potere tenere conto di eventuali passività essendo la posizione della Amministrazione Finanziaria e delle Giurisprudenza Tributaria anche della Suprema Corte al riguardo irremovibile. [nota 7]
Si passi ora ad esaminare la fase successiva, ovvero quella della liquidazione da parte dei discendenti a favore dei legittimari intervenuti al patto ma non destinatari del lascito dell'azienda o delle partecipazioni.
Si è detto che l'onere, la limitazione può consistere in un obbligo di dare, di fare o di non fare, che riduce sì gli effetti dell'attribuzione patrimoniale, [nota 8] ma non costituisce un corrispettivo e non fa rientrare la fattispecie tra quelle, anche solo parzialmente, a titolo oneroso.
A tale riguardo anche i primi autori che hanno voluto leggere in questa fase un momento "solutorio" di un obbligazione nei confronti del disponente ovvero degli assegnatari e non un ulteriore trasferimento a titolo liberale si trovano a fare i conti con la disposizione dell'ultimo capoverso dell'articolo 768-quater. [nota 9]
Si è scelto lo schema indicato dall'articolo 58 del D.lgs. 346/90 anche perchè ivi la attribuzione da parte dell'onerato ai destinatari dello stesso è qualificata come "donazione". [nota 10]
Occorre chiedersi se lo schema proposto soddisfi e possa ricomprendere la tassazione della disposizione dal disponente al beneficiario, di quella da quest'ultimo all'assegnatario, nonchè la eventuale ulteriore liquidazione dell'articolo 768-sexies c.c..
Il primo passaggio non sembra destare incertezze.
Quanto al secondo passaggio, volendolo considerare anch'esso con natura liberale, come adempimento di un "modus" la liquidazione può avvenire tanto in denaro (sembra questa la ipotesi principalmente presa in esame dal legislatore) che eventualmente "in natura" ed anche con successivi atti.
Se la liquidazione avviene in denaro non vi sarà tassazione di sorta, atteso che i destinatari di tale liquidazione ad un primo esame sembra debbano rientrare necessariamente tra i soggetti che l'articolo 13 della legge 383/2001 esenta da imposizione. [nota 11]
Se la liquidazione avviene in natura e ha per oggetto beni immobili si renderanno senz'altro dovute le imposte ipotecarie e catastali nella misura ordinaria del due e dell'uno per cento. [nota 12]
La eventuale ulteriore liquidazione agli assegnatari prevista dal 768-sexies codice civile potrebbe essere letta come un "sub modus" anche se in seguito si avrà occasione di evidenziare qualche perplessità al riguardo.
Sulla rinuncia si rimanda a quanto appresso precisato.
In relazione a quanto sopra detto va poi ricordato che, ove oggetto del trasferimento iniziale dal disponente ai beneficiari siano partecipazioni, laddove si riconosca il carattere liberale e non oneroso della disposizione nulla sarà dovuto in quanto la tassa di borsa (rectius sul trasferimento delle partecipazioni) è dovuta per i soli trasferimenti a titolo oneroso e il disposto dell'art. 13 della legge 383/2001 comporta che non sia dovuta neanche l'imposta fissa di registro. [nota 13]
Una diversa prospettiva
Laddove si voglia considerare come da taluni commentatori sostenuto [nota 14] che la fattispecie in esame non può in alcun modo essere assimilata (beninteso e giova ribadirlo da un punto di vista fiscale) alla donazione modale si pone il problema di esaminare i vari segmenti che la compongono e quindi la eventuale tassazione dei vari passaggi.
Il negotium mixtum cum donatione
Diversa dovrebbe essere l'impostazione nel caso in cui si voglia ritenere non più applicabile l'articolo 58 del D.lgs. 346/90, ovvero ancora si voglia riconoscere nella liquidazione da parte del beneficiario a favore degli assegnatari un carattere di corrispettività rispetto alla prestazione del disponente.
Invero come da taluni autori adombrato laddove ad esempio la liquidazione posta a carico del beneficiario a favore degli assegnatari fosse di importo "superiore" a quello astrattamente individuato a termini dell'articolo 536 del codice civile (onde indurre detti soggetti ad accettare il Patto di famiglia così come loro proposto e soprattutto la cristallizzazione del valore dell'azienda/partecipazioni in un momento storico che potrebbe essere di anni precedente a quello della morte del disponente) ciò renderebbe riscontrabile l'elemento della corrispettività e si verterebbe con ogni probabilità nella fattispecie sopra indicata e si porrebbe quindi il problema della applicazione dell'articolo 25 del D.P.R. 131/86 che prevede la applicazione della imposta di registro per la parte a titolo oneroso fermo restando la applicazione della imposta sulle donazioni per la parte a titolo gratuito.
Si porrebbe allora il problema di un'assimilazione (anche se in linea di principio esclusa per le considerazioni sopra svolte) con il "negotium mixtum cum donatione" che aprirebbe il problema di inquadrare e qualificare la parte "onerosa" del negozio.
A seconda della parte del negozio che dovrà ritenersi onerosa si renderanno dovute le ordinarie imposte previste a seconda della natura del bene trasferito.
Il negozio complesso a causa liberale e solutoria
Tale impostazione si discosta da quelle precedentemente proposte in quanto viene a costruire l'adempimento della obbligazione di liquidazione da parte del beneficiario come una sorta di modalità compensativa tra le ragioni creditorie degli assegnatari (legittimari esclusi dal patto relativamente alla quota di patrimonio oggetto del patto) e quelle debitorie del beneficiario con conseguente assoggettamento di tale atto alla imposta di quietanza (0,50%) se lo stesso ha per oggetto solo denaro ed al 3% (art. 6 della tariffa parte prima D.P.R. 131/86) se lo stesso ha per oggetto beni in natura diversi dai beni immobili.
Se l'adempimento avvenisse con il trasferimento di beni immobili si potrebbe tentare di inquadrarlo come atto a titolo gratuito (ancorchè non liberale) e quindi di sottoporlo al disposto dell'articolo 6 tariffa parte prima del D.P.R. 131/86, non potendo evitare in ogni modo di sottrarlo al pagamento delle imposte ipotecarie e catastali .
Se si segue invece la tesi i quei primi autori che qualificano l'adempimento in natura come "datio in solutum" sostitutiva del normale modo di adempimento del modus ci si potrebbe porre il problema della tassabilità di tali trasferimenti a termini dell'articolo 1 e dell'articolo 2 tariffa parte prima D.P.R. 131/86 [nota 15], fermo ovviamente quanto già detto per le imposte ipotecarie e catastali.
Il negozio distributivo/divisionale
Una lettura radicalmente diversa della norma è quella che vuole attribuire al patto natura distributivo/divisionale alla fase della liquidazione. [nota 16]
Tale impostazione comporterebbe l'assoggettamento alla aliquota dell'1% della massa il cui valore è sicuramente quello della attribuzione dal disponente al beneficiario ( non essendo di ostacolo alla identificazione e ricostruzione della massa la mancanza di una previa comunione evocandosi a tale proposito la figura della "divisio inter liberos" e, con un salto storico la divisione d'ascendente del codice del 1865) e l'eventuale pagamento della imposta fissa ipotecaria e catastale, salvo il sorgere di conguagli.
Ove quindi si volessero e potessero superare le obiezioni nascenti dalla individuazione del patto come istituto di natura liberale attraverso tale lettura che lo riporta nell'alveo dei negozi distributivi ( a tale favore milita anche una ragione topografica data dalla collocazione della norma nell'ambito del codice civile) la tassazione non potrebbe che essere quella sopra proposta.
Un problema aperto
La rinuncia in tutto o in parte alla liquidazione
La previsione della possibilità della rinuncia sembra inequivocabilmente presupporre la esistenza di un credito cui potere rinunciare, credito certamente individuabile nei diritti determinati ex articolo 536 e spettanti agli assegnatari non beneficiari.
Se qualificata come rinuncia a titolo gratuito/liberale la stessa dovrebbe rientrare nella previsione dell'articolo 13 della legge 383/2001 e come tale essere esente da qualsivoglia prelievo.
Peraltro ciò richiederebbe a mio avviso una "expressio causae" liberale onde non rischiare di ricadere in una rinuncia al credito tassata allo 0,50%.
Ci si chiede se si possa ancora ricostruire il patto come liberalità gravata da onere nel caso in cui i destinatari della prestazione dedotta nel modus rinuncino alla stessa.
Con ogni probabilità tale rinuncia totale o parziale non dovrebbe incidere sulla qualificazione del negozio soprastante in quanto che non è il beneficiario ad essersi sottratto agli obblighi che gli facevano carico.
I lasciti di altri beni ai legittimari assegnatari
Anche se i primi interpreti sembrano escludere che la norma sul Patto di famiglia possa ricomprendere la possibilità per il disponente di effettuare "all'interno del Patto di famiglia" (con la conseguenza della non assoggettabilità a collazione e riduzione) altre disposizioni a favore degli assegnatari (legittimari non beneficiari tra cui il coniuge) la relazione introduttiva di tale modifica è esattamente nel senso opposto.
Quale che sia la conclusione cui condurrà la disamina sulla natura civilistica del patto tali disposizioni singolarmente considerate non possono che essere qualificabili come liberalità (qualora se ne volesse escludere la natura di donazioni in quanto l'animus donandi potrebbe ben essere compromesso dalla complessa natura che tali lasciti possono avere all'interno del patto considerato nel suo complesso) e come tali allo stato della normativa non soggette ad alcuna imposizione di registro in quanto rientranti a pieno diritto tra quelle regolate dall'articolo 13 della legge 383/2001. [nota 17]
La ulteriore liquidazione dell'articolo 768-sexies
Il patto prevede quale "norma di chiusura" la liquidazione dei soggetti che pur non essendo legittimari al momento della stipulazione del patto lo possono invece essere al momento della aperta successione.
Quando la norma prevede che «i soggetti ivi indicati» (i legittimari sopravvenuti quali ad esempio il coniuge di seconde-terze nozze...) possono chiedere ai «beneficiari del contratto stesso il pagamento della somma prevista dal secondo comma dell'articolo 768-quater secondo comma maggiorata degli interessi legali»...non pone sicuramente alcun dubbio circa la individuazione dei soggetti attivi, ma lascia certamente qualche perplessità relativamente alla individuazione dei soggetti passivi.
Occorre preliminarmente chiedersi se tale liquidazione possa avvenire in natura ovvero se la stessa possa avvenire (come parrebbe ) solo in denaro.
Se si volesse ritenere anche qui possibile (anche se la norma non lo dispone espressamente) una liquidazione "in natura" dovrebbero valere le considerazioni sopra esposte sia per il caso in cui la si voglia considerare fattispecie liberale (e quindi inquadrabile come una sorta di sub-modus) sia per il caso in cui la si voglia considerare fattispecie "solutoria" allorchè soggetto/i passivo/i sia soggetto diverso dal beneficiario.
Superata tale incertezza interpretativa occorre chiedersi, come parrebbe a tutta prima evidente, se tra i soggetti passivi, per effetto della mutata devoluzione (si consideri che la primigenia liquidazione aveva a base il calcolo matematico scaturente dalla applicazione dell'articolo 536 del codice civile alla situazione al momento del patto) ivi sia necessariamente l'originario beneficiario del patto o se soggetti passivi siano solo gli assegnatari in allora liquidati.
Occorre ancora chiedersi come ci si debba comportare allorquando gli originari assegnatari, cui il disponente, utilizzando lo strumento sopra indicato, abbia assegnato"altri beni" abbiano in tutto rinunciato alla liquidazione.
Gli stessi possono essere lo stesso considerati "beneficiari del contratto stesso"?
In tale ultima ipotesi la liquidazione graverà solo ed esclusivamente sul solo originario beneficiario?
E a questo punto giova chiedersi se il trattamento fiscale di tale "liquidazione" (atteso che la stessa possa avvenire solo in denaro) sarà il medesimo in tutti i casi sopra evidenziati?
Alla luce delle considerazioni sopra esposte, nel caso in cui si rendesse difficile ipotizzare che tale "ulteriore liquidazione" possa essere qualificabile come una appendice dell'onere posto a carico del/dei beneficiari (essendo come detto soggetti passivi potenziali della liquidazione a favore degli assegnatari sopravvenuti potenzialmente anche soggetti diversi da quello/i originariamente gravati dall'onere) e che quindi anche tale liquidazione possa rientrare nel trattamento previsto dall'articolo 58 del D.lgs. 346/90 come ci si dovrà regolare?
Si potrà ipotizzare un'applicabilità della norma sulla donazione modale per la parte eventualmente ancora da liquidare dal beneficiario/i e invece prevedere una semplice tassa di quietanza dello 0,50% per gli altri soggetti per chiudere al momento opportuno la vicenda fiscale del Patto di famiglia?
Una prospettiva diversa. La reintegra dei legittimari
è necessario chiedersi se le considerazioni sopra svolte valgano e si applichino anche là dove si voglia inquadrare il Patto di famiglia nella prospettiva funzionale di una anticipata successione.
Se in sostanza si giunge a sostenere che al Patto di famiglia si applicano regole e canoni delle successioni non si dovrà anche pensare di applicare allo stesso anche fiscalmente le norme previste dal D.lgs. 346/90 per una (per quanto "anticipata") successione?
Ciò comporterebbe oggi, alla luce del disposto della legge 383/2001 una totale sottrazione a tassazione di tale fattispecie,salva ovviamente la applicazione delle imposte ipotecarie e catastali ove dovute.
Quanto detto è diverso dalla ulteriore lettura proposta da taluni autori che, laddove il/i beneficiario/i sia/no legittimari (e quindi con il beneficio del dubbio nel caso si ritenga possibile che il beneficiario sia un non legittimario - si pensi al caso del nipote ex filio) propongono una lettura del patto alla stregua del negozio transattivo previsto dall'articolo 43 del D.lgs. 346/90 che regola i cosiddetti "accordi per la reintegra dei diritti dei legittimari" che vedrebbero le disposizioni in essi contenute assoggettate alla imposta di successione (e pertanto esenti da qualsivoglia prelievo a seguito della soppressione di detta imposta), fermo ove del caso il tributo ipotecario e catastale.
Tale lettura cozza per taluni autori con la considerazione che presupposto del patto sembra essere il fatto che si rispettino in modo matematico gli apporzionamenti previsti dall'articolo 536 del codice civile e che, salvo il caso previsto, della rinuncia "in tutto o in parte" presupposto stesso del patto è la inesistenza di una lesione, obiezioni peraltro superabili nella logica di una "sistemazione" di una posizione del "microsistema successorio" che il patto verrebbe a creare e del fatto che la liquidazione del beneficiario agli assegnatari è parte integrante di tale sistema.
Ecco allora che tale impostazione potrebbe servire a dare risposta a molti quesiti ed incertezze.
La patologia o i rimedi volontari
La norma sul Patto di famiglia prevede poi che a fronte del verificarsi di determinati presupposti il patto possa essere travolto ovvero ancora che le parti possano pattuire il "recesso" dal patto.
Anche qui l'interprete fiscale si trova in difficoltà atteso che non risulta una posizione univoca dei primi commentatori su come debba/possa atteggiarsi detto recesso.
Se lo stesso ha natura reale può essere visto come una sorta di clausola risolutiva espressa e quindi comportando "l'annichilimento" del negozio portare a una tassazione indifferente.
Non pare che tale possa essere la corretta lettura della fattispecie, specie laddove si pensi che il recesso può essere previsto ad nutum ed esercitabile anche da una sola delle parti.
Dato quindi che non di risoluzione consensuale si tratta, pare ipotizzabile un complesso problema di tassazione delle retrocessioni dei beni che sono stati oggetto del patto che integrerebbero una serie di nuovi trasferimenti in senso contrario.
Per ora si preferisce lasciare aperto il problema riservandosi un successivo approfondimento, ma non si può che suggerire prudenza nella previsione di tali clausole.
Il futuro incerto
Si parla con sempre maggiore insistenza della reintroduzione della imposta di successione le cui modalità applicative non è oggi dato di conoscere
è chiaro che tale ipotesi comporterebbe una quasi sicura tassazione del patto letto come liberalità modale ed allora si renderebbe necessario valutare con grande attenzione la opportunità di verificare quale sia la base imponibile dei due passaggi (al netto della liquidazione ovvero al lordo...) ovvero ancora se non possa rendersi utile (sempre che compatibile con il patto e ove non venisse modificato il testo attuale del D.lgs. 346/90) riesumare la norma dell'articolo 1 comma 4-bis del D.lgs. 346/90 che esenta da tassazione liberalità anche indirette collegate ad atti concernenti il trasferimento…di aziende qualora per l'atto sia prevista la applicazione dell'imposta di registro in misura proporzionale o dell'Iva.
Ovviamente tale reintroduzione non avrebbe influenza sulla tassazione qualora si acceda alla lettura come negozio divisionale, mentre sarebbe da valutarne l'impatto ove lo si voglia trattare alla stregua di reintegra dei diritti dei legittimari.
Conclusioni
Difficile è trarre delle conclusioni, anche se, sicuramente da un punto funzionale e senza che si voglia da ciò derivare un inquadramento civilistico dell'istituto nella struttura della donazione modale, la assimilazione per quanto concerne il trattamento fiscale a quello previsto dall'articolo 58 D.lgs. 346/90 pare dare risposta a molti interrogativi e ricondurre ad unità una fattispecie altrimenti destinata a perdersi in una quantità di rivoli di difficile inquadramento e altrettanto difficile tassazione.
Il futuro peraltro resta incerto mentre concludo queste brevi note e quindi mi si farà venia se le stesse risulteranno superate da un successivo inquadramento normativo, certo auspicabile.
[nota 1] Diversamente da quanto ad esempio ha fatto il legislatore francese a proposito dell'istituto della "donation partage"
[nota 2] Non entrerò qui nella diatriba circa la necessaria qualifica di "imprenditore" del disponente, essendo peraltro la stessa indifferente ai fini fiscali trattandosi di disposizioni per le quali non può scattare la presunzione di onerosità in eccedenza alla franchigia di euro 180.759,91 che potrebbe attrarre la disposizione in campo Iva con conseguenze già trattate nello studio 90/2001/T del Consiglio Nazionale del Notariato.
[nota 3] Con la conseguente attrazione di questo passaggio nel campo della imposta sulle successioni e donazioni specie a seguito delle modifiche portate da D.lgs. 346/90.
[nota 4] Il problema circa la vigenza dell'articolo 58 del D.lgs. 346/90 dopo la legge 383/2001 è affrontato nello studio del Cnn 8/2004 a cura di Annarita Lomonaco di cui si riportano alcune conclusioni.
Con riferimento, infine, all'attuale vigenza dell'art. 58, comma 1, in esame, essa sembra potersi affermare ove si ritenga di aderire alla tesi secondo la quale l'applicazione dell'imposta di registro alle fattispecie di liberalità tra vivi, ex art. 13, comma 2, cit., non implicherebbe «una sostanziale modificazione dei criteri di identificazione e di qualificazione elaborati con riferimento al precedente assetto sistematico» intendendosi perciò «interamente richiamata (o presupposta) e comunque applicabile la disciplina "sostanziale" dell'imposizione delle liberalità tra vivi quale risulta dal testo unico n. 346/1990 e successive modificazioni», senza che possa trarsi «dall'espresso richiamo (…) di cui all'art. 14, comma 1, della stessa legge n. 383/2001, alcun limite implicito all'operatività di norme (…) tuttora in vigore…» .
[nota 5] Trattando della donazione modale un orientamento che non pare modificato nella Suprema Corte (sentenza 22 dicembre 71 - 15 marzo 72 n. 748), (nel caso di specie si trattava di una donazione con accollo di mutuo) ha riconosciuto tassabile alla stregua dei trasferimenti mortis causa il solo valore del bene libero dall'onere del mutuo argomentando che l'attribuzione patrimoniale, da parte di un disponente, volta a produrre trasferimenti di diritti, può avere, come causa, lo spirito di liberalità, oppure una controprestazione, ed, in tal caso, il contratto è a titolo oneroso; ma lo spirito di liberalità è perfettamente compatibile con l'apposizione di un peso, al beneficato, se tale peso non assuma carattere di corrispettivo, ma costituisca, invece, una modalità del beneficio, mediante riduzione del valore, attribuito al destinatario della liberalità.
[nota 6] I destinatari sono letteralmente esclusi da imposizione in quanto discendenti del disponente.
Può essere utile qui fare un breve cenno ai diversi scenari che potrebbero aprirsi ove fosse reintrodotta la imposta di successione e donazione secondo le modalità vigenti prima della abrogazione portata dalla legge 383/2001.
Se la imposta fosse reintrodotta con le stesse modalità da ultimo in vigore, una volta esaurita la franchigia scatterà la tassazione con il problema della detrazione di eventuali passività da suddividersi sui vari elementi da cui l'azienda è composta.
[nota 7] Nonostante la argomentata posizione contraria di buona parte della dottrina.
[nota 8] In presenza di una eventuale reintroduzione della imposta di successione e donazione sarà di sicura utilità riprendere in esame il dibattito circa il fatto se la donazione debba essere tassata al netto ovvero al lordo dell'onere; anche qui si rimanda allo studio 8/2004 T della commissione Studi tributari del Cnn per una disamina approfondita della materia.
[nota 9] Laddove prevede la dispensa da collazione e riduzione.
[nota 10] Una volta di più si vuole ribadire che tale qualificazione "fiscale" prescinde dalla natura civilistica.
[nota 11] Parenti in linea retta, coniuge o parenti entro il quarto grado.
[nota 12] Ci si chiede se, ricorrendone i presupposti si potrebbero anche invocare le agevolazioni per la prima casa una volta che si ritengano equiparati la donazione e la liberalità non donativa, sempre che ovviamente ricorrano i presupposti soggettivi ed oggettivi.
[nota 13] La soluzione proposta pare essere percorribile anche ai fini delle imposte dirette ancorchè diversi siano i criteri ed i piani di tassazione tra le due imposizioni, di ciò tratterà l'amico Paolo Puri nella sua relazione, in questo volume.
[nota 14] Tra tutti GAETANO PETRELLI «La nuova disciplina del Patto di famiglia» in Riv.Not., Volume LX, Marzo Aprile 2006, p. 402, laddove l'autore esplicitamente afferma che «il Patto di famiglia non può essere qualificato come donazione modale poichè dal contratto non nasce necessariamente una obbligazione dell'assegnatario nei confronti dei legittimari (come meglio si vedrà nel prosieguo l'attribuzione patrimoniale a favore dei legittimari può essere immediata) e soprattutto l'eventuale obbligazione dell'assegnatario rappresenta "elemento necessario della fattispecie" ai fini della sua "qualificazione" (mentre il modus donativo è elemento puramente accidentale, la cui presenza non è necessaria ai fini della qualificazione del negozio giuridico)».
[nota 15] Tali atti saranno comunque soggetti ad accertamento di valore?
Non vi è alcuna ragione per escluderlo e di ciò dovrà tenersi conto soprattutto nel caso di reintroduzione della imposta di successione e donazione.
Si pone quindi l'ipotesi che le parti abbiano concordato di attribuire ai beni trasferiti un valore perfettamente rispondente al calcolo aritmetico risultante dall'articolo 536 del codice civile, ma che l'attribuzione formi successivamente oggetto di accertamento, venendo a evidenziare un'alterazione del detto calcolo.
La conseguenza al momento pare possa essere solo quella del versamento della differenza di quanto dovuto a sensi delle imposte ipotecarie e catastali.
Si può ipotizzare in diversa prospettiva, laddove la liquidazione non rispetti categoricamente la quota aritmetica determinata a termini dell'articolo 536, un accertamento da parte dell'Amministrazione Finanziaria volto a sostenere che la fattispecie non è assimilabile a quella dell'articolo 58 del D.lgs. 346/90?
Mi pare ipotesi poco probabile, anche perchè mancherebbero i presupposti.
[nota 16] Tale tesi si lega a quanto IEVA «Il trasferimento dei beni produttivi in funzione successoria: Patto di famiglia e Patto di impresa. Profili generali di revisione del divieto dei patti successori», Rivista del Notariato 1997, fasc. 6 p. 1371 e ss. sosteneva ritenendo che in presenza di legittimari non assegnatari dell'azienda il meccanismo di liquidazione degli stessi «è simile a quello previsto dall'articolo 720 c.c. per la divisione di immobili non divisibili, ciò che ha indotto a prevedere ai fini della validità del contratto la partecipazione ad esso...di tutti i discendenti (e del coniuge ) che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione; ancorchè in funzione puramente rinunciativa dei propri diritti, in analogia a quanto previsto per la divisione», di recente anche AMADIO e ZOPPINI in occasione dei convegni della fondazione, le cui relazioni sono in questo volume, si sono autorevolmente inseriti in tale linea di pensiero.
[nota 17] Resteranno ovviamente dovute le imposte ipotecarie e catastali ove si tratti di immobili fermo il possibile trattamento agevolato nel caso in cui si tratti di abitazioni e loro pertinenze destinate a "prima casa".
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