Le implicazioni fiscali delle attribuzioni tra familiari
Le implicazioni fiscali delle attribuzioni tra familiari
Le implicazioni del Patto di famiglia. Aspetti Sistematici
di Massimo Basilavecchia
Ordinario di Diritto Tributario, Università di Teramo
Nell'approccio al tema del trattamento fiscale delle attribuzioni connesse al Patto di famiglia, la prima osservazione non può che riguardare l'assenza di qualsiasi disciplina tributaria e non può che collegarsi ad una sensazione di sorpresa, data l'evidente esigenza di "promozione" o di "incentivo" che la regolamentazione normativa di un istituto del tutto nuovo intende soddisfare. Lo spunto sarà utile in seguito, costituendo una conferma indiretta delle conclusioni che si andranno profilando come le più soddisfacenti: qui si può precisare che, a ben vedere, non è in sé la carenza di disciplina fiscale che sorprende, quanto la carenza di una disciplina che l'interprete, avvertito della genesi dell'innovazione e della sua funzione sociale, si sarebbe aspettata di natura certamente agevolativa. è possibile che un'innovazione così attesa e per tante ragioni incoraggiata dall'ordinamento, non solo nazionale ma anche e soprattutto europeo [nota 1], venga affidata alla applicazione di regimi fiscali ordinari che, per riguardare attribuzioni di beni solitamente rappresentativi di esemplare capacità contributiva, potrebbero essere anche notevolmente onerosi (anzi, più onerosi di quanto lo sarebbe un trapasso affidato agli usuali schemi successori, oggi esclusi da imposizione)?
Una seconda osservazione muove dalla consapevolezza che, per lungo tempo ancora, la valutazione degli effetti giuridici del patto, della sua natura giuridica, dei suoi limiti e delle sue connessioni con le discipline dell'impresa e del diritto successorio, resteranno incerti e dibattuti; nel frattempo, si imporranno prassi negoziali. Ciò consiglia al tributarista un approccio al tema umile, e graduale: che muova dalla considerazione degli elementi strutturali di base, direi identificativi, del Patto di famiglia - gli elementi necessari -, e li collochi in un contesto di regole preesistenti destinato a rimanere sostanzialmente invariato nel suo impianto sistematico. Si potranno pertanto indirizzare gli sforzi ricostruttivi sulle sole attribuzioni esplicitamente prese in considerazione dalla disciplina di legge, senza tentare una valutazione - necessariamente ipotetica e aleatoria, quindi in definitiva non poco arbitraria - di possibili ulteriori effetti che dal patto, o dai negozi ad esso connessi, potranno derivare. Se l'esperienza concreta rivelerà una portata assai ampia di tali effetti ulteriori, non immediatamente percepibili dalla legge, sarà sempre possibile in una fase successiva integrare le conclusioni raggiunte, se del caso correggendole.
Non è compito del tributarista fare luce sulla valenza civilistica dell'istituto, del quale peraltro è necessario cogliere i tratti essenziali, che evidenziano: a) un trasferimento di "azienda" o di "partecipazioni sociali" dal titolare -disponente- ad uno o più discendenti; b) la necessaria partecipazione all'atto (pubblico, a pena di nullità) del coniuge e dei soggetti che, in quel momento, rivestirebbero la qualifica di legittimari; c) l'obbligo, in capo al beneficiario, di liquidare in favore di costoro in denaro o in natura la quota di cui agli artt. 536 e ss., con imputazione a legittima; d) la dispensa da collazione o da riduzione, per tutte le attribuzioni patrimoniali manifestatesi nell'ambito del patto; e) la possibilità che coniuge e legittimari del momento dell'apertura della successione del disponente, che non abbiano partecipato al patto, ricevano, dai beneficiari del patto, la liquidazione della quota di cui sopra. [nota 2]
Orbene, se è vero che, anche nella sua conformazione più essenziale, il Patto di famiglia è destinato a generare una pluralità di obbligazioni, di passaggi di beni e di denaro, che possono coinvolgere molteplici soggetti; e se è altrettanto vero che si tratta di uno o più contratti destinati a produrre effetti immediatamente, e non dopo la morte del disponente, è altrettanto vero che la funzione giuridica del patto viene colta, anche sotto il profilo della imponibilità fiscale, solo se i diversi effetti sono valutati in una prospettiva unitaria - in sostanza, nel loro collegamento e nella reciproca dipendenza - e collocati nell'ambito della futura successione nel patrimonio del disponente. Si ha l'impressione in definitiva che l'accertamento del trattamento fiscale delle diverse attribuzioni può essere molto diverso, a seconda che si adotti una prospettiva analitica, nella quale ciascuna di quelle sia considerata autonoma, ovvero al contrario complessiva e globale, valorizzando l'identità funzionale e il collegamento tra atti in vista dell'unicità dell'assetto giuridico cui è funzionale l'intera operazione. Pare indubitabile che l'approccio più persuasivo sia il secondo, anche perché meglio rispondente alla funzione di anticipazione degli assetti successori [nota 3] e alla obiettiva rilevanza del collegamento -tra negozi e tra obbligazioni- nell'istituto; ed altrettanto indubitabile che la spiegazione migliore del fenomeno, una volta accolta l'impostazione "unificante", sia quella che prende atto dell'indubbia preminenza che nella disciplina assumono istituti giuridici tipici del diritto successorio: è solo in questo contesto, dunque, che il Patto di famiglia può essere spiegato, senza negare con questo la natura di atto inter vivos [nota 4] e l'immanenza ad esso di problematiche tipicamente inerenti alla funzionalità dell'impresa e alla stabilità della governance.
Analizzando dapprima il settore delle imposte sui trasferimenti, si osserva che, pur nell'attuale intassabilità, pressoché totale [nota 5], delle attribuzioni patrimoniali mortis causa e di quelle derivanti da atti donativi, è possibile individuare un'area di interesse fiscale nella quale ricondurre tali fenomeni, ancorché senza effetti diretti in termini di tassazione del trasferimento; è infatti opinione prevalente che, pur dopo la soppressione dell'imposta su successioni e donazioni, la disciplina normativa di cui al D.lgs. 346/90 rimanga ben ferma, quanto meno al fine di delimitare il confine con le discipline di altre imposte contermini, quali l'imposta di registro e l'imposta sul valore aggiunto, e di coordinare l'applicazione dei prelievi ipocatastali che continuano ad abbinarsi ai trasferimenti patrimoniali per successione o donazione. Al riguardo, non mancano contributi dottrinali che lucidamente hanno precisato il nuovo ambito applicativo delle imposte sui trasferimenti, dopo le ultime modifiche intervenute nel 2000, pochi mesi prima della soppressione del tributo successorio; la conclusione cui si è pervenuti assegna al tributo di registro le modificazioni qualitative del patrimonio, riservando invece all'imposta sulle successioni e donazioni la tassazione delle attribuzioni patrimoniali mortis causa o conseguenti a liberalità, dirette o indirette. [nota 6]
Se valgono le premesse poste in precedenza, non vi è dubbio che, quanto meno per le attribuzioni patrimoniali strutturalmente previste dalla fattispecie del Patto di famiglia, debba essere prescelta la collocazione tra gli atti di liberalità ricompresi nell'ambito di un'area, nella quale l'imposizione è allo stato inesistente. Se si tratta di atti funzionali all'assetto dell'anticipata successione, se si tratta di atti che accrescono, senza corrispettività alcuna, il patrimonio delle diverse categorie di beneficiari, essi non possono essere considerati produttivi degli effetti giuridici colpiti dall'imposizione di registro. [nota 7] Si avrebbe così una prima spiegazione sulla mancanza di una disciplina fiscale incentivante, semplicemente inutile in una situazione di non imponibilità.
La spiegazione "ambientale" non può peraltro essere considerata esaustiva: occorre verificare se le attribuzioni del patto abbiano effettivamente attitudine ad una qualificazione in termini di liberalità.
Per quanto attiene all'oggetto principale del patto, cioè la cessione dell'azienda o delle partecipazioni, per quanto la norma usi un termine generico [nota 8], quale quello di trasferimento, non pare azzardato ritenere che si tratterà, nella gran parte di casi, di una vera e propria donazione (della quale la legge sembra imporre, almeno in parte, anche la forma giuridica) [nota 9]. Difficoltà sorgono invece con riguardo alle cessioni di beni (di qualunque tipologia) e di denaro con le quali il beneficiario dell'azienda è tenuto per legge a liquidare, nell'entità richiesta dall'art. 536, i diritti dei legittimari compartecipi del patto.
Nonostante il carattere legale dell'obbligo del beneficiario, e la sua apparente autonomia dal trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni, pare condivisibile l'assimilazione, già tempestivamente proposta, [nota 10] del complesso di attribuzioni ad una donazione modale, nella quale l'onere corrisponde alla liquidazione delle quote ex art. 536; e pure condivisibile ragionare alla stregua dell'art. 58 del D.lgs. 346/90, che come noto considera donazioni in favore dei beneficiari gli oneri che gravano la donazione e che consistono in prestazioni a favore di soggetti terzi. Va solo qui precisato che, sotto un profilo rigorosamente civilistico, si può anche discutere dell'effettiva natura liberale (o addirittura della stessa gratuità) dell'attribuzione assegnatario-legittimari; così come è certamente lecito sottolineare, in prima battuta, la funzione solutoria di tale passaggio. Certo è che se, fiscalmente, va giocoforza ricercata una disciplina applicabile in via di interpretazione estensiva, non essendo codificata la disciplina fiscale del patto, e se tale ricerca deve essere guidata da un criterio che privilegi la connessione tra le (e la funzione unitaria delle) diverse attribuzioni, non si riscontra modello più idoneo a rappresentare la vicenda di quello della donazione modale, nel quale soltanto viene recuperata la funzione essenzialmente liberale di ciascun passaggio confermata dalla imputazione, per ciascuna di tali attribuzioni, alla legittima, con dispensa da collazione e riduzione (istituti notoriamente applicabili proprio alle disposizioni testamentarie e alle donazioni) [nota 11]. Vero è che, nella legge, il beneficiario riceve i beni o il denaro - la liquidazione della quota - dal soggetto assegnatario del bene produttivo "principale": ma è evidente come tale passaggio abbia una finalità compensativa, assimilabile o all'esecuzione di un accordo (sia pure preventivo) che assolve funzione analoga ad un accordo per la reintegra dei legittimari, ricompreso anch'esso nell'ambito della tassazione delle successioni (vs. art. 30 lett. d), e 43, D.lgs. 346/90), del quale in sostanza produce gli stessi effetti giuridici, ovvero ad una liberalità del disponente, eseguita per il tramite di un soggetto diverso (quindi in modo soggettivamente indiretto) [nota 12]. Sotto quest'ultimo aspetto, va emergendo, come uno dei principali aspetti controversi della nuova disciplina, quello della ammissibilità di una liquidazione diretta del disponente in favore dei legittimari, che tenga luogo della liquidazione da parte dell'assegnatario del bene produttivo. In linea di principio, viene riconosciuta tale possibilità anche se si discute se in tal caso possano permanere le garanzie di stabilità proprie del Patto di famiglia [nota 13]. Ora, pare corretto riconoscere che, se la liquidazione da parte dell'assegnatario svolge la medesima funzione che sarebbe garantita dalla attribuzione diretta da parte del disponente, la qualificazione tributaria delle due fattispecie non possa essere diversa, e se certamente è liberalità la seconda [nota 14], la stessa natura deve riconoscersi alla prima.
Quanto a quest'ultima, infatti, si può certamente comprendere un margine di incertezza nel qualificare come liberale un atto di trasferimento di denaro o di altri beni che costituisce sostanzialmente l'adempimento di un obbligo di legge e che non ha, soggettivamente, la stessa "direzione" successoria evidente invece nel trasferimento del bene produttivo: se si considera isolatamente tale attribuzione, si possono ravvisare ragioni per ricondurla nell'area dell'imposta di registro, e, in tale ottica, avviare una discussione sull'applicabilità degli artt. 1 e 2 della tariffa parte prima, in caso di cessione di beni, dell'art. 6, in ipotesi di cessione di crediti o di sussistenza di un atto di quietanza, dell'art. 9, ravvisando più genericamente nell'atto un contenuto patrimoniale. Ma sul piano metodologico osta a tale impostazione non tanto una difficoltà applicativa delle disposizioni tariffarie richiamate, quanto, più radicalmente, il rilievo che la sottoposizione a imposta di registro presuppone una valutazione separata dell'atto di liquidazione, avulsa dal contesto complessivo negoziale del patto, in definitiva incongrua a realizzarne una compiuta interpretazione della portata effettuale [nota 15]. Sul piano della politica fiscale, poi, resta a mio avviso decisivo osservare quanto sia paradossale il risultato di tale impostazione: il legislatore, avrebbe introdotto un istituto di riconosciuta utilità economica e sociale, ma strutturato in una forma complessa che, se sottoposta a tassazione con riguardo alla separata considerazione di ciascun elemento della fattispecie, avrebbe dato luogo a un regime fiscale nettamente più gravoso di quello che si realizza a seguito della successione ereditaria; non essendo state previste apposite norme agevolative l'istituto risulterebbe quindi penalizzato dalla disciplina fiscale ordinaria, con la conseguenza che di fatto non sarebbe conveniente farvi ricorso.
Naturalmente, modificandosi l'approccio civilistico al nuovo istituto, possono derivarne conseguenze interpretative sul piano fiscale, con la prospettazione di ipotesi di tassazione su basi diverse da quelle della donazione modale. Senza compiere qui un'analisi di tutte le alternative possibili, va però segnalato che a sommesso avviso di chi scrive resta comunque prioritario, sul piano metodologico, privilegiare quelle ricostruzioni che possano condurre ad un inquadramento unitario dell'istituto. Si segnala pertanto come principale alternativa qualificatoria quella della valutazione del patto come negozio distributivo divisionale [nota 16], nel cui contesto la massa virtualmente [nota 17] divisa costituisce la base imponibile cui applicare l'art 3 (?) della tariffa parte I allegata al T.U. 131/86.
Vi sono inoltre ipotesi di tassazione che possono derivare da peculiari conformazioni del trasferimento principale che costituisce la parte essenziale del Patto di famiglia. Definito infatti in termini di trasferimento, il passaggio dell'impresa o delle partecipazioni al discendente potrebbe in taluni casi avvenire attraverso una vendita, ovviamente ad un prezzo inferiore a quello di mercato, con la quale finanziare l'attribuzione diretta, da parte del disponente, di quote di denaro ai legittimari [nota 18]. La cessione principale avrebbe dunque i requisti del negozio misto con donazione, con conseguente applicazione dell'art. 25 del D.P.R. 131/86. che contempla atti in parte gratuiti e in parte onerosi [nota 19]. Ove invece, tornando allo schema più lineare della donazione al discendente, si verifichi la rinuncia dei legittimari all'attribuzione compensativa da parte del beneficiario, se ne dovrà accertare la natura liberale o meno, alla stregua dei consueti parametri tipici della valutazione degli atti di rinuncia; tuttavia, l'inerenza del comportamento del legittimario ad una più complessa fattispecie di sistemazione del patrimonio produttivo induce a ritenere che, in mancanza di contrarie indicazioni desumibili dal contesto del Patto di famiglia, la rinuncia debba essere considerata di natura liberale [nota 20].
Anche collocata nell'attuale area di intassabilità propria delle successioni e delle liberalità, la fattispecie Patto di famiglia può dare luogo al trasferimento di beni immobili, nelle diverse direzioni previste dalla norma. Dovranno essere applicate allora le imposte ipotecarie e catastali, secondo le aliquote ordinarie, e con i consueti criteri (e problemi) nella determinazione del valore da assumere quale base imponibile. è stata suggestivamente proposta [nota 21], proprio in considerazione della unitarietà delle sistemazioni patrimoniali derivanti dal patto, l'ipotesi di una tassazione sul valore più elevato, in caso di trasferimenti di una pluralità di immobili, con il ricorso all'art. 21 del D.P.R. 131/86, ma l'impostazione non pare condivisibile, poiché le imposte ipotecarie assumono pur sempre a presupposto l'esecuzione delle singole formalità previste dalla legge, e non gli effetti giuridici complessivi derivanti dalle disposizioni contenute nel negozio sottoposto a tassazione [nota 22].
La natura liberale delle attribuzioni che avvengono all'interno dello schema strutturale necessario del Patto di famiglia non è di per sé idonea ad escluderne la rilevanza sotto il profilo delle imposte sul reddito; queste, come noto, nell'attuale sistema possono talora colpire anche incrementi patrimoniali a titolo gratuito, qualificabili come reddito entrata, ed in mancanza di una definizione unitaria è solo l'esame delle singole categorie di reddito, e delle fattispecie tassabili enucleate all'interno di ciascuna di esse, che consente di stabilire la possibilità di tassazione.
Dal punto di vista del disponente, non sembrano in ogni caso emergere plusvalenze; in caso di partecipazioni sociali, perché si verifichi la fattispecie tassabile di cui all'art. 66 T.U.I.R. l'onerosità della cessione è esplicitamente richiesta; nel caso di cessione di azienda, appare evidente l'applicabilità dell'art. 58 T.U.I.R. che garantisce neutralità al trasferimento, imponendo però la conservazione del valore fiscale dell'azienda in capo al cessionario [nota 23]. Quanto alle attribuzioni di riequilibrio previste a carico del beneficiario e in favore dei legittimari, mancando in linea di massima l'onerosità del trasferimento non dovrebbero generarsi plusvalenze imponibili in capo al primo, salvo che i beni assegnati provengano dal patrimonio dell'impresa trasferita o da quello di altra impresa di proprietà del beneficiario, né dovrebbero manifestarsi ipotesi di reddito tassabile in capo ai percipienti [nota 24].
Quanto agli effetti reddituali dell'ingresso dei beni nel patrimonio dei "donatari" (penso soprattutto al beneficiario principale, ma potrebbe accadere anche per i legittimari compensati), va peraltro esaminata distintamente l'ipotesi in cui il bene gratuitamente ceduto vada direttamente a confluire in un preesistente patrimonio d'impresa di titolarità del beneficiario. Infatti, da un lato nell'ambito del reddito d'impresa l'acquisizione a titolo di liberalità di un bene costituisce una sopravvenienza attiva [nota 25], e dall'altro si creano i presupposti per la deduzione, nelle modalità consentite a seconda dei casi, del costo sostenuto per l'acquisizione del bene donato: costo sostenuto che, per il beneficiario discendente, tiene conto dell'attribuzione compensativa ai legittimari finalizzata a liquidare la loro quota. In ogni altro caso, cioè quando l'attribuzione gratuita confluisce in un patrimonio personale, a mio avviso non si verifica alcuna sopravvenienza tassabile riconducibile alle categorie reddituali, ma d'altra parte la liquidazione delle quote o comunque ogni altro onere connesso all'acquisto non può costituire costo deducibile o spesa di produzione del reddito.
Nella ratio del Patto di famiglia la cessione dell'azienda o del pacchetto di controllo al discendente è finalizzata proprio a dare continuità alla gestione, per cui non dovrebbero essere frequenti i casi in cui il beneficiario ceda o conceda in affitto l'azienda ricevuta.
La natura delle operazioni che intercorrono tra i partecipanti al Patto di famiglia ne comporta la piena ricomprensione nell'ambito di applicazione della norma antielusiva di cui all'art. 37-bis D.P.R. n. 600/73, applicabile anche alle imposte indirette sui trasferimenti dopo l'abolizione dell'imposta sulle successioni e donazioni [nota 26]. Si sono già sollevati degli interrogativi ben precisi su tale aspetto, ipotizzando ad esempio l'alienazione gratuita (da parte del donatario che non continui l'impresa) di singoli beni aziendali a terzi o l'autoconsumo dei beni stessi, che non generano plusvalenze tassabili come redditi diversi, ovvero la canalizzazione della cessione a terzi dell'azienda attraverso la preventiva donazione della stessa a familiare con bassa aliquota marginale, ovvero ancora la cessione di un pacchetto poco significativo di partecipazioni societarie per trasferire, mediante un patto "pretestuoso", beni immobili a terzi sotto forma di liquidazioni compensative in esenzione da imposte [nota 27].
Premesso che, per questa seconda ipotesi, la soluzione si trova già in sede civilistica, se si accoglie l'impostazione che richiede, per l'applicazione del patto, che il pacchetto di partecipazioni societarie trasferite al discendente abbia una consistenza quantitativa tale da giusitifcare il ricorso ad un istituto introdotto per assicurare continuità gestionale su beni produttivi [nota 28], si osserva in linea generale che la qualificazione di elusività dell'operazione non dovrebbe risultare di regola possibile, dato che l'anticipazione della successione che il patto intende realizzare costituisce di per sé un tipo di "valida ragione economica" che è in grado di proteggere anche da sola l'operazione dal sindacato antielusivo. In sostanza il patto può anche concretizzare un notevole risparmio d'imposta, ma, anche ammesso che sia riscontrabile il conseguimento di un vantaggio fiscale "indebito", la sussistenza delle valide ragioni economiche comporterebbe la impossibilità di qualificare la fattispecie come elusiva, e certo è valida ragione economica - anche perché tipizzata come attività negoziale meritevole di tutela anche in deroga ad altri fondamentali principi del diritto delle successioni – l'esigenza di dare un assetto stabile alla conduzione delle attività produttive in previsione della scomparsa dell'imprenditore.
Un cenno finale sugli effetti di una probabile reintroduzione dell'imposta sulle successioni. è ragionevole ritenere che l'assetto futuro riprenda, in larga parte, quello uscito dall'ultima novella del D.lgs. 346/90 (L.342/2000), sostanzialmente rimasto privo di una concreta applicazione. In tale contesto, il passaggio generazionale non godeva di una detassazione, ma di una disciplina incentivante, che escludeva dalla base imponibile il valore d'avviamento. Con il ritorno dell'imposta, quest'ultima non potrebbe non applicarsi anche alle attribuzioni di cui al patto; quest'ultimo non sarebbe incentivato, ma neppure penalizzato, come accadrebbe oggi se se ne postulasse una tassazione con il tributo di registro. In tale eventualità, si può esprimere l'auspicio che il passaggio generazionale dell'impresa sia escluso (o, quanto meno, radicalmente agevolato) dalla imposizione anche indiretta, e direi che proprio l'esistenza di una disciplina come quella del patto è idonea a dimostrare l'interesse extra fiscale che può giustificare l'introduzione di una norma agevolativa; la quale come è ovvio non potrebbe investire solo i trasferimenti conseguenti al Patto di famiglia, ma dovrebbe più ampiamente garantire l'esclusione dalla imposizione sulle liberalità e sulle successioni di tutti i trasferimenti nell'ambito familiare aventi ad oggetto aziende. Per le partecipazioni sociali, potrebbe invece limitarsi l'agevolazione a quelle sole cessioni che garantiscano, per la loro attitudine a consentire un controllo gestionale, il raggiungimento di effetti equivalenti a quelli connessi al trasferimento di azienda.
[nota 1] Per l'analisi delle linee guida comunitarie (delle quali la legge 55/2006 costituisce in sostanza attuazione) e delle diverse agevolazioni fiscali concesse nei principali paesi europei, MARONGIU, «La riforma dell'imposta sulle successioni e donazioni», Cnn, L'imposta sulle successioni e donazioni tra crisi e riforme, Milano, 2001, p. 16 e 18.
[nota 2] Nel valutare l'inquadramento civilistico del patto si è tenuto conto essenzialmente dei seguenti saggi, tutti consultati (e citati) in bozza, grazie alla cortesia degli autori: ZOPPINI, Profili sistematici della successione anticipata (note sul Patto di famiglia), in Studi in onore di Giogio Cian, in corso di pubblicazione; CACCAVALE «Appunti per uno studio sul Patto di famiglia» - Notariato n. 3/2006; MERLO «Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati» - in questo volume; TASSINARI, «Il Patto di famiglia: presupposti soggettivi, oggettivi e requisiti formali» - in questo volume; BARALIS, «Le attribuzioni ai legittimari non assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni sociali» - in questo volume; RIZZI, «Compatibilità con le disposizioni in tema di impresa familiare econ le differenti tipologie societarie» - in questo volume; DE ROSA, «Il Patto di famiglia: presupposti soggettivi, oggettivi e requisiti formali» - in questo volume, MANES, «Prime considerazioni sul Patto di famiglia nella gestione del passaggio generazionale della ricchezza familiare», Contratto e impresa, p. 539 e ss.; IlSole24Ore 30 marzo 2006, Guide del professionista. I Patti di famiglia e il trust, p. 1; MOGOROVICH, «Prime riflessioni sul cosiddetto "Patto di famiglia"», Impresa 2006, p. 221 e ss.; BOLOGNESI, «La continuità generazionale dell'impresa: codificazione del Patto di famiglia. Ma non sarà una deroga al divieto di patti successori», ivi 2006, p. 450 e ss.; IANNIELLO, «Patti di famiglia: successione "anticipata" in aziende e partecipazioni sociali», Corr.trib. 2006, p. 1572 e ss.
[nota 3] Per la valorizzazione di tale funzione del nuovo istituto, cfr. in particolare ZOPPINI, op. cit., e TASSINARI, op. cit. In tale ottica, la successione nei beni interessati dal Patto è non solo anticipata ma anche definitiva, poiché si forma una massa distinta da quella ereditaria in senso proprio.
[nota 4] In questo senso sostanzialmente unanime la qualificazione: v. MANES, op. cit., p. 556; RIZZI, op. cit.; con motivazioni particolarmente articolate, CACCAVALE, op. cit.
[nota 5] Il comma 2 dell'art. 13 della L. 383/2001, come è noto, prevede che donazioni e liberalità - compresi gli atti di rinunzia - siano assoggettate alle imposte ordinarie sui trasferimenti a titolo oneroso, se effettuate in favore di soggetti diversi da coniuge, parenti in linea retta, altri parenti fino al quarto grado.
[nota 6] Si allude in particolare al contributo di FEDELE, «Riforma dell'imposta sulle successioni e sulle donazioni come esito dell'evoluzione storica del tributo», Riforma dell'imposta sulle successioni e sulle donazioni come esito dell'evoluzione storica del trubuto, in Cnn Collana di Studi, vol. 16, Giuffrè, 2001, p. 57, il quale in particolare, a conclusione di una lunga analisi, osserva che «l'evoluzione del tributo del registro ha trasformato un'imposta d'atto in un'imposta sulla modificazione qualitativa del patrimonio in occasione di una vicenda traslativa non riconducibile ad una causa liberale». Se le due imposte tendono entrambe a colpire variazioni del patrimonio, la tassazione delle liberalità e delle successioni ha riguardo alle variazioni di carattere quantitativo, quella imperniata sul tributo di registro colpisce variazioni qualitative del patrimonio. L'impostazione è poi ripresa e sviluppata dall'autore in «Struttura generale del tributo: aspetti comuni a trasferimenti mortis causa e inter vivos», ivi, p. 63 e ss. e p. 81e ss., precisando il nesso di alternatività e complementarietà tra tributo di registro (o Iva) e prelievo sulle donazioni e successioni, chiarendo la riferibilità di questa seconda forma di imposizione anche ad atti collegati e non soggetti a registrazione, ma sempre sul presupposto della esplicitazione della natura liberale dell'attribuzione.
[nota 7] Per le aziende o complessi aziendali, la teorica concorrenza dell'Iva è da ecludere, dato che l'art. 2 del D.P.R. 633/72 non considera i relativi atti traslativi come cessioni di beni; per le partecipazioni o quote sociali, in teoria si può porre il problema della imponibilità Iva, quando esse siano detenute nel contesto di un'attività d'impresa. In tal caso, infatti, perderebbe rilievo il dato della natura liberale dell'atto, essendo preminente il dato strutturale della necessaria applicazione del tributo, in caso di uscita dal regime d'impresa di beni per i quali, all'atto dell'acquisto, era stata operata la detrazione. Peraltro, a norma dell'art. 10 n. 4 del D.P.R. 633/72, le operazioni aventi ad oggetto partecipazioni sociali o quote sono esenti da Iva.
[nota 8] Sulle conseguenze di questa genericità, si dirà più avanti.
[nota 9] Nonostante venga segnalata la diversità funzionale tra patto e donazione (TASSINARI, op. cit.), è prevalente il riconoscimento che la principale attribuzione del patto sia qualificabile in termini di donazione (MERLO, op. cit.); CACCAVALE, op. cit; discusso l'obbligo di testimoni (in senso positivo MERLO, op. cit. e CACCAVALE, op. cit.; negativo invece il parere di DE ROSA, op. cit.).
[nota 10] Nel contesto di un'analisi diretta sugli effetti tributari, da FRIEDMANN, il cui saggio, dedicato alle implicazioni fiscali del Patto di famiglia nel settore delle imposta indirette, ho avuto la possibilità di leggere ancora in bozza, grazie alla cortesia dell'autore. V. anche Angelo BUSANI, «La tassazione indiretta è a costo zero», IlSole24Ore, Guide del professionista, cit., p. 14. Più in generale, si veda MERLO, op. cit., e CACCAVALE, op. cit. (ove si parla di indiretta attribuzione dal disponente, per il tramite dell'assegnatario).
[nota 11] Richiamo qui il saggio di PISCHETOLA, «Profili dell'imposizione fiscale del Patto di famiglia», che ho pure potuto leggere in bozza, grazie alla cortesia dell'autore.
[nota 12] Lascia pertanto perplessi leggere che si tratta di negozio oneroso per l'acquirente: la verità è che la liquidazione delle quote dei legittimari appare come il classico onere che, incidendo sull'entità dell'incremento patrimoniale, ne ridimensiona in concreto la portata. Se d'altra parte si introduce il concetto di onerosità, difficile diventa spiegare il riferimento a riduzione e a collazione.
[nota 13] In senso favorevole MERLO, op. cit.; dubitativamente MANES, op. cit., p. 569; negativamente TASSINARI, op. cit. e BARALIS, op. cit.
[nota 14] Forse si potrebbe addirittura individuare una forma di doppia liberalità, che beneficia sia l'assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni, che vede eliminato il suo obbligo legale di liquidazione delle quote, sia il legittimario. Per il primo, la donazione modale diventa pura e semplice donazione.
[nota 15] Una netta scelta di campo a favore di una ricostruzione unitaria, con attrazione del patto nell'ambito della soppressa imposizione sulle successioni, in MANENTE, «I Patti di famiglia. Profili fiscali del nuovo passaggio generazionale d'azienda», ilfisco 2006, I, p. 2951 e ss. Analisi della funzione unitaria dell'isituto in TASSINARI, op. cit.
[nota 16] La funzione divisionale del patto è generalmente ammessa: v. MERLO, op. cit.; MANES, op. cit., p. 555, quanto meno sotto il profilo della finalità (TASSINARI, op. cit.; RIZZI, op. cit.).
[nota 17] In effetti, come il patto è riconducibile ad un'anticipata successione, l'attribuzione delle quote compensative ai legittimari (probabilmente, anche a quelli che sopravvengano) realizza una sorta di divisione di beni che in concreto però non hanno mai fatto parte di una comunione effettiva. è questa la più seria obiezione ad applicare un trattamento fiscale che è invece tutto imperniato sul carattere dichiarativo della divisione, e nel quale sono pur sempre trattate come atti traslativi le attribuzioni eccedenti le quote possedute; per una ricostruzione della disciplina della divisione, BERLIRI, Corso istituzionale di diritto tributario, Milano 1987, p. 99 e ss.
[nota 18] Per un accenno alla possibilità di forme di corrispettivo previste nel trasferimento principale, TASSINARI, op. cit.
[nota 19] Dubita però dell'applicazione dell'art. 25 T.U. registro al negotium mixtum cum donatione NASTRI, «Liberalità indirette e prassi negoziale», Riforma… cit., p. 327, ritenendo che la norma si riferisca ad ipotesi di coesistenza nello stesso documento di un atto oneroso e di un atto gratuito, mentre il negotium tipico consta di un atto avente entrambi gli aspetti.
[nota 20] NASTRI, op. ult. cit., p. 326, ritiene decisivo che nella rinunzia coesistano l'effettività dell'accrescimento patrimoniale e lo spirito di liberalità, del quale normalmente dovrebbe essere fornita una prova. Un'accurata disamina dei criteri distintivi degli atti di liberalità dagli atti gratuiti, condotta sulla base della premessa che per i secondi l'area impositiva si colloca nel tributo di registro, si deve a PURI, «I trasferimenti liberali di partecipazioni ed aziende», Riforma… cit., p. 151 e ss. Ad avviso dell'Autore, sussiste un'obiettiva incertezza per quei negozi che, privi di una causa predeterminata, non evidenziano i caratteri delle liberalità, ed in particolare per le liberalità indirette collegate ad atti onerosi, nelle quali il fatto imponibile, componendosi in presupposti diversi, può determinare la coesistenza dell'imposizione sulle donazioni con quella di registro. V. pure STEVANATO, «Le liberalità tra vivi nella riforma del tributo successorio», ivi, p. 245 e ss., e GAFFURI, «Le liberalità informali», ivi, p. 281 e ss.
[nota 21] Da MANENTE, op. cit., p. 2954.
[nota 22] Poiché agli atti soggetti a trascrizione ma non traslativi si applica l'imposta fissa, in caso di qualificazione come negozio divisionale a rigore potrebbe dubitarsi della applicazione dell'imposizione ipotecaria proporzionale, ma lascia perplessi il rilievo che, nel patto, in realtà l'effetto traslativo si produce in quanto i destinatari dei beni ne acquistano per la prima volta la titolarità.
[nota 23] FICARI, Reddito d'impresa e programma imprenditoriale, Padova 2004, p. 148 ss., cui rinvio anche per le ulteriori indicazioni bibliografiche.
[nota 24] In senso conforme, su tutti i profili sinteticamente indicati nel testo, MENEGHETTI, «Sul trasferimento niente plusvalenze», IlSole24ore, Guide del professionista, cit., p. 13.
[nota 25] Su tale problema, sia pure con riferimento a normativa superata, BEGHIN, I contributi e le liberalità a favore delle imprese, Milano 1997, p. 106 e ss., il quale precisa che la valutazione della sopravvenienza non assumerà le plusvalenze latenti - sterilizzate a condizione della mantenuta continuità di valori - ma il solo patrimonio netto contabile dell'azienda trasferita.
[nota 26] Infatti, dapprima la disposizione antielusiva di cui all'art. 37-bis del D.P.R. 600/73, applicabile agli atti espressamente ivi indicati, è stata estesa all'imposta sulle successioni e sulle donazioni, con il comma 7 dell'art. 69 della L. 342/2000; quindi quest'ultima norma è stata "estesa" alle imposte dovute per effetto di trasferimenti a titolo di donazione o altra liberalità (art. 16, comma 3, L. 383/2001). Quindi l'art. 37-bis sarà applicabile sia in materia di imposte sui redditi, in quanto il Patto di famiglia avrà ad oggetto le operazioni elencate nel terzo comma (lettera b), trasferimenti di aziende, lettera f), operazioni su partecipazioni societarie), sia ai fini delle imposte sui trasferimenti concernenti liberalità, dove la norma opera a prescindere dall'oggetto del comportamento elusivo.
[nota 27] Trovo questi esempi nella bozza di saggio dedicata da PURI all'analisi del trattamento fiscale del patto ai fini delle imposte sui redditi, che ho potuto consultare grazie alla cortesia dell'autore. Altro profilo di rilevanza della norma generale antielusiva deriva dall'avvenuta abrogazione, per effetto dell'art. 118 comma 4 del D.lgs. 247/2005 (c.d. correttivo Ires), dell'art. 16 comma 2 della legge 383/2001, che imponeva, per garantirsi la irrilevanza del trasferimento gratuito d'azienda ai fini della emersione di plusvalenza, la conservazione dei valori fiscali per ciascun bene o attività facente parte dell'azienda trasferita: in senso critico sul ricorso al 37-bis per questa ipotesi, BEGHIN, «La disciplina antielusiva specifica sui trasferimenti gratuiti d'azienda tra elusione e pianificazione fiscale», Corr. Trib., 2005, p. 1901.
[nota 28] Sembra infatti che, pur nel silenzio della norma, l'interesse sotteso alla stipulazione del Patto di famiglia richieda un collegamento (di non facile precisazione) tra la gestione societaria e il pacchetto di partecipazioni trasferito al discendente: cfr. MANES, op. cit., p. 556; BARALIS, op. cit.; RIZZI, op. cit.; per una lettura ampia, TASSINARI, op. cit.; dubitativamente DE ROSA, op. cit., secondo il quale non può essere esclusa l'ammissibilità di trasferimenti di partecipazioni che, pur non comportando effetti gestori, possano comunque determinarli. Viene invece generalmente superato il rilievo letterale indotto dalla norma, che, quando sostituisce il termine "partecipazioni sociali", si riferisce a quote e non ad azioni.
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