Patto di famiglia e governance dell'impresa trasferita
Patto di famiglia e governance dell'impresa trasferita
Primi spunti di riflessione sulla "attrazione" nel Patto di famiglia delle donazioni anteriori alla legge 14 febbraio 2006 n. 55
di Angelo Busani
Notaio in Milano

La trasmissione generazionale dei patrimoni aziendali è tema affrontato dai giuristi e praticato nella operatività professionale da moltissimi anni [nota 1] e cioè ben prima che la legge 14 febbraio 2006 n. 55, introduttiva del "Patto di famiglia", sdoganasse queste operazioni dalla loro sottoponibilità alle azioni ereditarie: sia una motivazione fiscale (l'elevatezza dell'imposizione delle successioni mortis causa fino alla legge 18 ottobre 2001 n. 383) che una motivazione aziendale (la necessità dell'imprenditore di gestire, in "prima persona", la trasmissione del comando dell'impresa di famiglia al discendente più capace e meritevole, senza cioè attendere l'apertura della successione ereditaria) hanno invero sospinto un numero elevatissimo di imprenditori (e cioè quelli che hanno formato le loro aziende dal dopoguerra in avanti e che alla fine degli anni '90 si sono trovati alle soglie della "pensione", e quindi a dover/voler decidere a quale/quali dei loro figli - in linea di massima quarantenni - attribuire le redini dell'azienda familiare) a sfruttare gli strumenti giuridici tempo per tempo disponibili per effettuare la voluta trasmissione generazionale.

Questi strumenti sono consistiti, in sostanza, nell'effettuazione di "vere e proprie" donazioni oppure, se la fiscalità della donazione era più alta di quella della compravendita, in trasferimenti a titolo oneroso (magari con corrispettivo irrisorio, configurandosi in tal caso una donazione indiretta di valore pari alla differenza tra il valore normale del bene trasferito e il corrispettivo effettivamente pagato) dissimulanti una donazione [nota 2]: in entrambi i casi si è trattato dunque di attività giuridiche contestabili mediante azione di riduzione (previa eventualmente l'azione di simulazione) e conseguente azione di restituzione [nota 3].

Certo che se costoro avessero avuto a disposizione il Patto di famiglia (e il trattamento fiscale che esso ha attualmente), e cioè un'attività a titolo gratuito che cristallizza il trasferimento dei beni che ne sono oggetto e che non lo sottrae all'esperibilità in futuro delle azioni ereditarie, non avrebbero esitato a intraprendere questo percorso.

Orbene il tema è: queste donazioni del passato sono oggi "riqualificabili" come "Patto di famiglia" al fine di "immunizzarle" dalle azioni ereditarie ? E' in altri termini possibile [nota 4] sostituire il fascio delle regole che disciplinano quell'attività giuridica in quanto qualificata come "donazione" (e quindi ad esempio le regole circa la sua sottoponibilità alle azioni ereditarie) con il fascio delle regole che sarebbero applicabili ove quei trasferimenti fossero qualificati in termini di "Patto di famiglia"? è possibile pattuire che ciò che finora è stato "chiamato" come "donazione" d'ora in poi sia "chiamato" come "Patto di famiglia"? è sopportabile e plausibile la disparità di trattamento che indubbiamente esiste tra chi abbia effettuato un trapasso aziendale generazionale prima della legge 14 febbraio 2006 n. 55 (contestabile con le azioni ereditarie) e chi l'abbia invece effettuato dopo detta legge, con la quale il trasferimento in questione si sottrae alla contestazione dei legittimari del donante?

Anche se il problema della "riqualificazione" in termini di "Patto di famiglia" delle "donazioni" stipulate anteriormente alla legge 14 febbraio 2006 n. 55 è materia che non attiene all'ambito dei rapporti obbligatori, è inevitabile, nell'affrontare la tematica in esame, rivolgere innanzitutto la mente - al fine di rinvenire nell'ordinamento spunti di ammissibilità [nota 5] di questo negozio "riqualificativo" - all' istituto della novazione oggettiva (terminologia con la quale, come noto, si allude sia al fatto che all'effetto novativo) e cioè all'attività negoziale mediante la quale, inter easdem personas, una nuova obbligazione viene sostituita alla obbligazione preesistente [nota 6] per effetto - per quanto qui interessa - del mutamento del tipo di regolamento nel cui ambito l'obbligazione deve essere adempiuta (si pensi alla trasformazione di una obbligazione di dare ex vendito in una obbligazione di dare ex deposito o ex mutuo): la novazione per mutamento del titolo presuppone invero che il tipo della prestazione rimanga immutato [nota 7], come accade nel caso di novazione dell'obbligazione di pagare il prezzo di una vendita in una obbligazione di restituzione da mutuo e in ogni altro caso di prestazione che può rimanere identica pur se assoggettabile (e assoggettata) a regolamenti diversi [nota 8].

Se però la novazione è tradizionalmente studiata con riferimento, come detto, ai rapporti obbligatori [nota 9], e pur se parte della dottrina ha tentato di estendere l'ambito di operatività dell'istituto superando lo schema del rapporto obbligatorio per comprendere i diritti reali tra i diritti che si possono estinguere o costituire per novazione [nota 10], sicuramente ancor più interessante ai nostri fini è l'osservazione dell'istituto della "rinnovazione" del contratto [nota 12], che si distingue dalla novazione (la quale «opera mediante un raccordo di rapporti sotto il profilo della causalità») per essere un «raccordo di negozi in processo di assorbimento» [nota 13]: la renovatio contractus infatti postula una relazione tra una dichiarazione negoziale, immutabile perché fatta nel passato, e il rapporto giuridico che da essa è originato, che vive nel presente, nel senso che il rapporto rimane inalterato (nel nostro caso: la trasmissione patrimoniale disposta dal donante a favore dei donatari) ma ne muta la fonte normativa [nota 13] (nel nostro caso: da "donazione" a "Patto di famiglia").

Che un negozio del passato possa essere sottoposto a "rinnovazione" è un dato che l'ordinamento ha oggi definitivamente acquisito, dopo che una corrente dottrinaria ora superata, applicando un «metodo … logico-formale, proprio della teoria generale dei diritto» accogliendo una «definizione di negozio giuridico come precetto autonormativo, ne derivava la impossibilità della ripetizione dello stesso come atto di volontà, dopo che questo era stato compiuto» Ora invece è pacifico che «se la ripetizione è "pura", e cioè senza modificazioni rispetto al primo negozio, ci si trova di fronte a una riproduzione con "riferimento memorativo" al negozio originario; se la ripetizione è modificativa, invece, ci si trova di fronte a una nuova regolamentazione del rapporto, ferma la sua originaria matrice genetica» [nota 14]. Infatti, eguale potere di modificazione non può non competere ai soggetti che hanno posto in essere l'atto di autonomia: «la rinnovazione è un negozio di diritto materiale che prevale sul negozio precedente per quanto attiene agli effetti modificativi o accertativi che produce» e quindi «mentre la costituzione dei rapporti giuridici tra le parti dipende dalla validità e dall'efficacia del negozio originario, al quale il negozio modificativo o accertativo si collega, dalla validità ed efficacia di quest'ultimo dipendono, invece, gli effetti modificativi o accertativi che esso produce» [nota 15].

Ora, è concepibile una simile renovatio della donazione? è concepibile cioè l'assoggettamento della trasmissione patrimoniale con essa disposta a regole diverse (quelle del Patto di famiglia) rispetto alle regole che dalla donazione discendevano? La risposta positiva non appare implausibile [nota 16].

Se si abbia riguardo innanzitutto alla figura tipica [nota 17] del Patto di famiglia disegnata dalla legge 14 febbraio 2006 n. 55 (e cioè quella ove si prevede, ai sensi del nuovo articolo 768-quater del codice civile, la partecipazione al contratto del disponente e di tutti coloro che sarebbero legittimari del disponente ove si aprisse la sua successione nel momento stesso in cui il Patto di famiglia viene stipulato) non sembra impensabile una scena contrattuale nel cui ambito intervengano tutti i predetti soggetti e ove si assumono come già avvenute in passato alcune o tutte delle disposizioni patrimoniali che si vogliono "coprire" con la disciplina del Patto di famiglia; ad esempio (con riferimento a quel tipo di Patto di famiglia ove le attribuzioni siano tutte fatte dal disponente) [nota 18]:

a) si pensi al caso che, effettuata in passato una donazione avente ad oggetto immobili a favore di un figlio, si intenda ora stipulare un Patto di famiglia avente ad oggetto l'attribuzione dell'azienda all'altro figlio, la rinuncia del coniuge del disponente a qualsiasi attribuzione e la considerazione della predetta donazione quale "compensazione" del figlio non attributario dell'azienda;

b) si pensi al caso che, donata in passato l'azienda ad un figlio, si intenda ora attribuire gratuitamente un immobile all'altro figlio, sempre quale "compensazione" rispetto alla donazione dell'azienda effettuata a favore del di lui fratello, e quindi anche qui intendendosi considerare tutte queste attribuzioni nell'ambito di un Patto di famiglia.

I trasferimenti effettuati nel passato hanno compiutamente prodotto i loro definitivi effetti; "solamente" restano esposti, ove mai ne ricorreranno i presupposti, ad eventuali azioni ereditarie. Oggi, dunque, con la partecipazione di tutti coloro che sono stati parte dei contratti di donazione stipulati in passato e pure con la partecipazione di tutti coloro che la legge chiama alla stipula del Patto di famiglia (nel cui ambito sono compresi evidentemente coloro che hanno stipulato le passate donazioni), si intende raggiungere lo stesso scopo che sarebbe stato raggiunto in passato se si avesse avuto a disposizione la disciplina del Patto di famiglia: bensì effettuare quei trasferimenti, ma sottrarli alle possibili azioni ereditarie.

Cosa mai lo impedirebbe? Quali principi verrebbero violati? Quali interessi verrebbero lesi? Quali soggetti ne verrebbero pregiudicati? Ebbene, queste domande non paiono poter avere altra risposta che quella secondo cui nessuno ne verrebbe pregiudicato, alcun interesse ne verrebbe leso e che nessun principio ne uscirebbe violato.

Anzi, riflettendo sulla considerazione per la quale le donazioni del passato potrebbero anche essere risolte mediante mutuo consenso del donante e del donatario e che, una volta effettuate dette risoluzioni, i trasferimenti oggetto di quelle donazioni potrebbero essere nuovamente oggi posti in essere mediante Patto di famiglia, ne uscirebbe l'ovvia conclusione che, vietando la comprendibilità delle vecchie donazioni nell'ambito di un odierno Patto di famiglia e "costringendo" i soggetti interessati a una risoluzione dei vecchi contratti e al rifacimento dei medesimi trasferimenti mediante Patto di famiglia, si indicherebbe loro che, per raggiungere un dato obiettivo, si deve percorrere una strada più tortuosa rispetto al più agevole cammino che appare così a portata di mano e così facile da compiere.

Dalla stessa disciplina del Patto di famiglia si traggono importanti spunti che confermano la disponibilità di questo istituto ad essere "malleabile" alle esigenze che via via insorgono nella vita della famiglia nel cui ambito il patto è stato stipulato; ad esempio:

a) il nuovo articolo 768-quater, comma 3, del codice civile, ove si dispone che «l'assegnazione [agli altri partecipanti non assegnatari dell'azienda] può essere disposta anche con successivo contratto che sia espressamente dichiarato collegato al primo e purché vi intervengano i medesimi soggetti che hanno partecipato al primo contratto o coloro che li abbiano sostituiti» e si evoca pertanto chiaramente la percorribilità di una soluzione che consenta di sussumere sotto la disciplina del Patto di famiglia una pluralità di contratti tra loro collegati; e inoltre:

b) il nuovo articolo 768-septies, ove si afferma che «il contratto può essere sciolto o modificato dalle medesime persone che hanno concluso il Patto di famiglia nei modi seguenti: 1) mediante diverso contratto, con le medesime caratteristiche e i medesimi presupposti di cui al presente capo; 2) mediante recesso, se espressamente previsto nel contratto stesso e, necessariamente, attraverso dichiarazione agli altri contraenti certificata da un Notaio».

In quest'ultimo caso, ammettendosi dunque, innanzitutto, che con un contratto successivo il patto può essere sciolto o modificato, si ammette pure che le regole del patto non sono né intangibili né irrevocabili: il patto, una volta stipulato, esaurisce indubbiamente (volutamente qui tralasciandosi il tema dei legittimari sopravvenuti) i suoi effetti tra i contraenti e rende inattaccabili le pattuizioni ivi contenute sotto il profilo delle azioni ereditarie. Peraltro, anche se si tratta di una fattispecie che ha esaurito i suoi effetti, essa può in ogni tempo esser messa di nuovo in discussione, sol che lo vogliano tutti coloro che al patto hanno partecipato. E allora: se, una volta stipulato il Patto di famiglia, con il consenso di chi vi ha partecipato, possono esservi apportate ogni tipo di modificazioni (fino all'estremo limite del suo scioglimento), si vorrebbe proprio concludere che, con l'egual consenso di tutti quei soggetti, non si possano attrarre nell'orbita del patto le donazioni anteriori all'entrata in vigore della legge 14 febbraio 2006 n. 55 ? Parrebbe invero proprio di no.

In secondo luogo, come detto, il Patto di famiglia può essere modificato e sciolto mediante l'esercizio della facoltà di "recesso" che sia concessa, nell'ambito del contratto, a uno dei contraenti o ad alcuni di essi, se non a tutti. Ciò significa che può essere attribuito all'unilaterale volere di taluno dei contraenti di far cessare gli effetti che il patto ha fino a quel punto prodotto, con la conseguenza del ritrasferimento ai danti causa dei beni che furono oggetto delle attribuzioni disposte nel patto [nota 19].

Peraltro, accanto a questo tipo di recesso, che in sintesi denominerei "ad efficacia reale", potrebbero ipotizzarsi [nota 20] anche altre specie di recesso; ad esempio:

a) un recesso "ad efficacia obbligatoria" (nel senso che, ferme restando le attribuzioni fatte con il patto, in capo agli aventi causa dei trasferimenti disposti dal patto sorgerebbe "solo" un obbligo di riversare al dante causa di quelle attribuzioni una somma di denaro di valore pari alle attribuzioni ricevute, salvo poi verificare se tale valore vada riferito all'attualità del recesso o al momento in cui il patto venne stipulato); e:

b) un recesso per così dire "riqualificativo" (che perfettamente attiene alla materia che qui stiamo trattando), e cioè per effetto del cui esercizio le attribuzioni fatte con il Patto di famiglia non si dovrebbero ritenere più come soggette alla disciplina degli articoli 768-bis e seguenti del codice civile ma dovrebbero considerarsi alla stregua di "normali" donazioni, con il che si fuoriuscirebbe dall'ombrello predisposto dall'articolo 768-quater, ultimo comma, del codice civile «quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione» per assoggettare quelle attribuzioni alla possibile loro contestazione mediante le azioni di riduzione e di restituzione.

Ebbene, se si ipotizza come plausibile un'attività giuridica che assoggetti ex post al fascio di regole della donazione un negozio che nacque come regolamentato da un fascio di regole diverse da quelle della donazione (e cioè quelle del Patto di famiglia), come sarebbe mai possibile che, viceversa, ciò che nacque come donazione non sia oggi altrettanto riqualificabile in termini di Patto di famiglia?

Il discorso fin qui condotto, infine, non muta se alle spalle della stipula dell'odierno Patto di famiglia non vi sia una donazione "vera e propria" ma una donazione indiretta o una donazione dissimulata "dietro" una formale compravendita: «nulla impedisce ai legittimari di riconoscere l'idoneità, ai fini del Patto di famiglia, di tali attribuzioni liberali, previa ricognizione del loro carattere simulato». [nota 21]


[nota 1] Cfr. RESCIGNO, «Trasmissione della ricchezza e divieto dei patti successori», Vita not., 1993, p. 1281; RESCIGNO, Attualità e destino del divieto di patti successori, in AA.VV., La trasmissione familiare della ricchezza. Limiti e prospettive di riforma del sistema successorio, Padova, 1995, p. 1; ROPPO, «Per una riforma del divieto dei patti successori», Riv. dir. priv., 1997; BONILINI, «Le successioni mortis causa e la civilistica italiana. La successione testamentaria», Nuova giur. civ. comm. 1997, II, p. 223; CACCAVALE, TASSINARI, «Il divieto dei patti successori tra diritto positivo e prospettive di riforma», Riv. dir. priv., 1997, p. 74; IEVA, «Il trasferimento dei beni produttivi in funzione successoria: Patto di famiglia e patto di impresa. Profili generali di revisione del divieto dei patti successori», Riv. not., 1997, p. 1371; BORTOLUZZI, La successione nell'impresa, in Digesto discipline privatistiche, sez. comm., aggiornamento, II, Torino, 2003, p. 897; FORMICHIELLI, «Riflessioni sulla qualificazione del contratto di attribuzione dopo la morte», Quadrimestre, 1993, p. 478.

[nota 2] La impugnabilità delle donazioni "indirette" (cfr. ad esempio Cass., 29 settembre 2004, n. 19601, in Rep. Foro it., 2004, voce Donazione, n. 9, per la quale «nel c.d. negotium mixtum cum donatione, la causa del contratto ha natura onerosa, ma il negozio commutativo stipulato dai contraenti ha la finalità di raggiungere, per via indiretta, attraverso la voluta sproporzione tra le prestazioni corrispettive, una finalità diversa e ulteriore rispetto a quella dello scambio, consistente nell'arricchimento, per puro spirito di liberalità, di quello dei contraenti che riceve la prestazione di maggior valore, con ciò realizzando il negozio posto in essere una fattispecie di donazione indiretta; ne consegue che la compravendita ad un prezzo inferiore a quello effettivo non integra, di per sé stessa, un negotium mixtum cum donatione, essendo, all'uopo, altresì necessario non solo la sussistenza di una sproporzione tra prestazioni, ma anche la significativa entità di tale sproporzione, oltre alla indispensabile consapevolezza, da parte dell'alienante, dell'insufficienza del corrispettivo ricevuto rispetto al valore del bene ceduto, funzionale all'arricchimento di controparte acquirente della differenza tra il valore reale del bene e la minore entità del corrispettivo; incombe poi alla parte che intenda far valere in giudizio la simulazione relativa nella quale si traduce il negotium mixtum cum donatione l'onere di provare sia la sussistenza di una sproporzione di significativa entità tra le prestazioni, sia la consapevolezza di essa e la sua volontaria accettazione da parte dell'alienante in quanto indotto al trasferimento del bene a tali condizioni dall'animus donandi nei confronti dell'acquirente») o "dissimulate" ("dietro" un atto non donativo: si parla qui evidentemente della simulazione "relativa", com'è nel caso della compravendita - dotata dei requisiti di forma della donazione - che simula una donazione. In mancanza di detti requisiti di forma, si avrebbe invero un negozio nullo, fattispecie nella quale, come in quella della simulazione "assoluta" - si è posto in essere un dato negozio, mentre in realtà non se ne voleva alcuno -, si verte non in un caso di disposizione lesiva, ma di un'attività per effetto della quale il bene oggetto del contratto non è invero mai uscito dal patrimonio del soggetto alienante) mediante azione di riduzione è pacifica e non abbisogna di particolari considerazioni. Maggiore riflessione merita invece il tema della esperibilità della azione di restituzione qualora sia accertata (con azioni, volta a volta, di accertamento, di simulazione e di riduzione) la lesività della donazione "indiretta" (sulla soggezione a riunione fittizia anche delle donazioni indirette cfr. MENGONI, Successione per causa di morte. Successione necessaria, in Tr. Cicu-Messineo, XLIII, 2, Milano 2000, p. 213) o "dissimulata"; e quindi il tema di ritenere l'articolo 809 del codice civile capace di comprendere anche l'azione di restituzione tra quelle norme «sulla riduzione delle donazioni» che l'articolo 809 medesimo estende alle «liberalità» che «risultano da atti diversi da quelli previsti dall'articolo 769».

A prima vista, quest'ultima posizione appare francamente eccessiva, specie se osservata dall'angolo visuale della stabilità delle contrattazioni (per CACCAVALE, «Riducibilità del titolo di provenienza e distribuzione del rischio contrattuale nella compravendita immobiliare», Giust. Civ., 2001, II, p. 459, «non appare condivisibile» la tesi «secondo la quale potrebbe risentire pregiudizio dall'azione di riduzione anche l'avente causa dal donatario indiretto dell'immobile e così, ad esempio, chi comperi da colui che, a sua volta, aveva compiuto l'acquisto con denaro pagato al venditore direttamente da un terzo per spirito di liberalità ovvero l'acquirente dal beneficiario di un contratto a favore di terzo avente ad oggetto un bene immobile»; cfr. pure MAGLIULO, «L'acquisto dal donatario tra rischi ed esigenze di tutela», Notariato, 2002, p. 93; e ancora CACCAVALE, «La circolazione degli immobili con provenienza successoria e la trascrizione dell'accettazione dell'eredità», Familia, 2002, p. 1029): se è vero che per una compiuta tutela dei legittimari è ben concepibile che i loro diritti non vengano "traditi" mediante attività giuridiche che, pur non avendo la "forma" della donazione (cfr. Cass., 16 marzo 2004, n. 5333, in Guida al dir., 2004, fasc. 15, p. 60, per la quale «la donazione indiretta è caratterizzata dal fine perseguito di realizzare una liberalità, e non già dal mezzo, che può essere il più vario, nei limiti consentiti dall'ordinamento; realizzazione dunque che può venire attuata anche mediante un collegamento tra più negozi, ossia un preliminare e il pagamento del prezzo, procurando in tal modo al destinatario della liberalità il diritto di rendersi intestatario del bene, non essendo necessaria la forma dell'atto pubblico prevista per la donazione, ma bastando l'osservanza della forma richiesta per l'atto da cui la donazione indiretta risulta»), ne abbiano tuttavia la "sostanza" (di modo che le sorti del beneficiario di una donazione "formale" non possano essere differenti da quelle del beneficiario di una donazione "sostanziale" sotto il profilo dell'esposizione alle possibili riprese del legittimario leso), è pur anche vero che quando si verte in tema di azione di restituzione si va a "movimentare" la sfera giuridica di un soggetto che, con il beneficio ottenuto dal "donatario" ("formale", "indiretto o "simulato" che sia) non ha nulla a che fare (a meno di ritenere una sua fraudolenta collusione, come invero di frequente può accadere in ristretti contesti familiari) e che, quando ha acquistato (dal "donatario" stesso o dai suoi aventi causa), non si è imbattuto, controllando i Registri Immobiliari, in nulla di allarmante (come invece sarebbe se nella "storia" del bene si fosse trovato un "passaggio" per donazione): allora, se già è "duro" assistere alla "scena" dell'avente causa del donatario "formale" che subisce l'azione di restituzione, ma essendo consapevole di aver "trattato" un bene oggetto di una donazione "formale", la scena dell' "esproprio" dell'avente causa ignaro (della pregressa donazione, mascherata dietro un negozio formalmente oneroso) assume evidenti e non contestabili connotati di intollerabilità.

Allora, probabilmente, la soluzione di questo dilemma si ottiene (in ciò seguendo l'idea del CARRESI, «Accertamento e interpretazione del contratto», Contratto e impresa, 1989, p. 941, per il quale «noi crediamo che, per principio, il contratto debba valere nei confronti di tutti per quello che le parti hanno effettivamente convenuto fra di loro e che perciò chiunque, parte o terzo che sia, possa sempre provare che il senso letterale delle parole con cui le parti si sono espresse non corrisponde alla loro comune intenzione. A questa regola si dovrà però derogare … a vantaggio di coloro che in buona fede abbiano acquistato diritti da chi o nei confronti di chi ne appariva titolare sulla base dell'interpretazione testuale del contratto che costituiva il titolo del suo acquisto (arg. art. 1414 e 1415)» con l'ausilio della norma di cui al primo comma dell'articolo 1415 del codice civile, occorre tuttavia dare conto di una posizione della Suprema Corte, che invero, riguardata con riferimento alla nostra materia, non appare accettabile, in quanto fare salvi i diritti dei terzi acquirenti in buona fede nel solo caso di simulazione assoluta, significa che, in caso di simulazione relativa - com'è nel caso della donazione mascherata da una compravendita stipulata con i requisiti formali prescritti per la donazione - chi acquistasse in buona fede diritti dal simulato acquirente potrebbe poi essere travolto dall'azione di restituzione; ebbene secondo la Suprema Corte l'art. 1415, comma 1, va inteso riferito alla sola simulazione assoluta e non sarebbe pertanto applicabile alla simulazione relativa: «in tema di simulazione, il primo comma dell'art. 1415 c.c., nel sancire l'impossibilità per le parti contraenti, e per gli aventi causa o creditori del simulato alienante, di opporre la simulazione ai terzi, si riferisce, a differenza del secondo comma, non ai terzi in qualche modo pregiudicati dalla simulazione stessa ma solo a quelli che, in buona fede, abbiano acquistato diritti dal titolare apparente (salvi gli effetti della trascrizione della domanda di simulazione; il che, implicando la presenza di un titolare apparente e di uno effettivo al momento dell'acquisto da parte del terzo, limita il campo di applicabilità della norma alle ipotesi di simulazione assoluta e di interposizione fittizia di persona, ad esclusione di ogni altro tipo di simulazione relativa non comportante apparenza del diritto in capo ad un soggetto diverso dal titolare»: Cass., 11 agosto 1997, n. 7470, in Foro it., 1997, I, p. 3576; nello stesso senso cfr. anche Cass., 26 settembre 1996, n. 8500, in Fallimento, 1997, p. 79; e in Dir. fall., 1996, II, p. 997; e Cass., 4 marzo 1985, n. 1798, in Fallimento, 1985, p. 1030; e in Giur. comm., 1985, II, p. 727), che dichiara la inopponibilità della simulazione (ma identico concetto non può non ripetersi con riguardo alle donazioni indirette) ai terzi che in buona fede hanno acquistato diritti dal titolare apparente (è contrario a questa ricostruzione MENGONI, Successione per causa di morte. Successione necessaria, in Tr. Cicu-Messineo, XLIII, 2, Milano 2000, p. 322, nota 220, il quale - affermando di riferire «l'opinione largamente prevalente», i cui sostenitori egli elenca nella nota medesima, e citando in materia solo due pronunce di giurisprudenza, che egli peraltro riferisce essere entrambe contrarie al suo assunto - sottolinea che non si può «distinguere tra terzi di buona o di mala fede nel caso che la donazione fosse stata dissimulata sotto forma di alienazione a titolo oneroso. Contro il legittimario, che fa valere l'art. 561 o l'art. 563, il terzo acquirente di buona fede non può invocare la tutela dell'art. 1415, comma 1», di modo che coloro che acquistino dal donatario - dissimulato dietro un negozio oneroso - «sono acquirenti a domino, soggetti, secondo i principi generali, alle vicende retroattive del titolo del loro autore»; sulla stessa linea di pensiero del Mengoni, cfr. anche MARICONDA, «L'inutile riforma degli artt. 561 e 563 c.c.», Corr. giur., 2005, p. 1176; in senso contrario, e cioè nel senso sostenuto nel testo cfr. invece GABRIELLI, «Tutela dei legittimari e tutela degli aventi causa dal beneficiario di disposizione lesiva: una riforma attesa, ma timida», Studium Iuris, 2005, p. 1134), salvi gli effetti della trascrizione della domanda di simulazione: cosicché, prima della novella del 2005, una volta esperita vittoriosamente l'azione di riduzione e avendo constata l' incapienza del beneficiario della disposizione lesiva, il legittimario che avesse agito in restituzione verso colui (attuale titolare del bene oggetto della disposizione lesiva) il quale avesse ignorato la natura donativa dell'alienazione intervenuta tra il proprio dante causa e il de cuius si sarebbe sentito appunto eccepire dall' attuale titolare del bene a suo tempo "donato" che l'accertamento della simulazione (o dell'indiretta natura donativa del negozio esteriormente non donativo) non è a lui opponibile (cfr. AZZARITI, MARTINEZ, AZZARITI, Successione per causa di morte e donazioni, Padova, 1979, p. 302, secondo cui «riteniamo…che nell'ipotesi di donazione mascherata sub specie venditionis la buona fede dei terzi, che abbiano contrattato col donatario, il quale appariva essere l'acquirente degli immobili, sia sufficiente a tutelarli dall'azione di riduzione, sperimentata contro di loro dai legittimari lesi». Nel senso dell'applicabilità della norma di cui all'articolo 1415, comma 1, all'avente causa di un soggetto che abbia acquistato il diritto poi alienato mediante un contratto formalmente oneroso, simulante una donazione, cfr. pure App. Napoli, 27 agosto 1946, citata da AZZARITI, IANNACONE, Successioni dei legittimari e successioni dei legittimi, in Giur. sist. dir. civ. e comm., Torino, 1997, p. 315), a meno che ovviamente l'acquisto del terzo avente causa fosse stato trascritto dopo la trascrizione della domanda di simulazione.

[nota 3] La reintegrazione dei diritti del legittimario si compie dapprima attraverso l'esperimento dell'azione di riduzione delle disposizioni testamentarie (sul presupposto che le disposizioni testamentarie sono tutte lesive in pari grado, esse si riducono proporzionalmente indipendentemente dal fatto che siano disposizioni a titolo universale o a titolo particolare: cfr. FERRI, Dei legittimari, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 215; tuttavia, il testatore può derogare a detto criterio di riduzione proporzionale disponendo che si accordi preferenza ad una disposizione sulle altre, di modo che la disposizione testamentaria "preferita" si riduce solo in caso di insufficienza delle altre a reintegrare la legittima: Cass., 24 febbraio 1955, n. 563, in Giust. Civ., 1955, I, p. 1333) e delle donazioni (nel caso in cui i beni presenti nell'asse ereditario non siano sufficienti a integrare la quota di legittima, la riduzione si rivolge alle donazioni compiute dal de cuius, ad iniziare dalla più recente e proseguendo all'indietro in ordine cronologico fino a che ve ne sia la necessità: e ciò in quanto la legge presume la maggior lesività delle donazioni più prossime alla morte rispetto a quelle più remote; si tratta di una regola inderogabile dal donante: FERRI, Dei legittimari, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 219; AZZARITI, Le successioni e le donazioni, Napoli 1990, p. 321; CATTANEO, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, in Tr. Rescigno, V, Torino 1982, p. 416. Quindi, le donazioni non si riducono in concorso con le disposizioni testamentarie e neppure in concorso fra loro, ma singolarmente, dall'ultima fino alle più remote, e cioè fino a quando è necessario per integrare la legittima lesa: Cass., 17 novembre 1979, n. 5982, in Riv. Not., 1980, 575; Cass., 29 ottobre 1975, n. 3661, in Foro It. Mass., 1975, 868. Si opera invece mediante un criterio di riduzione proporzionale nel caso di donazioni coeve o di una pluralità di donazioni disposte con un unico atto: FERRI L., Dei legittimari, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1981, 220; Cass., 22 giugno 1961, n. 1495, in Giust. Civ., 1961, I, 1811) che provocano la lesione della legittima, e poi con l'esperimento dell'azione di restituzione nei confronti dei beneficiari delle disposizioni ridotte e dell'azione di restituzione nei confronti dei loro aventi causa (cfr. MENGONI, Successione per causa di morte. Successione necessaria, in Tr. Cicu-Messineo, XLIII, 2, Milano 2000, p. 235; MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, III, p. 2, Milano, 1951, p. 241; PALAZZO, Le successioni, I, in Tr. Iudica-Zatti, Milano, 1996, p. 557; PINO, La tutela dei legittimari, Padova, 1958, p. 78; PUGLIESE, «Opponibilità dell'usucapione al legittimario che agisce in riduzione», Giur. Compl. Cass. Civ., 1952, II, 1, p. 376; TAMBURRINO, Successione necessaria (dir. priv.), in Enc. Dir., XLIII, Milano, 1990, p. 1375).

L'azione di riduzione serve al legittimario (trattasi dunque di un diritto potestativo di carattere patrimoniale e disponibile) a far accertare l'an e il quantum della lesione della legittima (le ragioni dei legittimari possono essere soddisfatte con attribuzioni di qualsiasi natura, in quanto la legittima esprime la necessità della trasmissione di un "valore" - cosiddetta intangibilità "quantitativa" della legittima -, indipendentemente da come quel "valore" materialmente si compone: CARBONE, Riduzione delle donazioni e delle disposizioni testamentarie lesive della legittima, in Dig. Disc. Priv. - sez. civ., XVII, Torino 1998, p. 615; MENGONI, Successione per causa di morte. Successione necessaria, in Tr. Cicu-Messineo, XLIII, 2, Milano 2000, p. 282; Cass., 12 settembre 2002, n. 13310, in Guida dir., 2002, fasc. 41, p. 35; Cass., 2 ottobre 1974 n. 2560, in Foro It., 1975, I, p. 82; Cass., 28 giugno 1968, n. 2202, in Foro Pad., 1969, I, p. 100; Cass., 12 dicembre 1979, n. 1403, in Foro It., 1970, I, p. 2399) e a far dichiarare, nei confronti del beneficiario delle disposizioni lesive, l'inefficacia delle disposizioni stesse: pertanto (Cass., 26 novembre 1987, n. 8780, in Riv. Not., 1988, 1397; Cass., 21 marzo 1983, n. 1979, in Foro It. Rep., 1983, voce Successione ereditaria, n. 80) è una azione di accertamento costitutivo dell'inefficacia di dette disposizioni lesive; con l'azione di riduzione infatti si consegue la declaratoria di una inefficacia relativa (perché l'inefficacia viene dichiarata nei soli confronti del legittimario agente in riduzione) e sopravvenuta (in quanto quelle disposizioni rimangono efficaci (Cass., 11 giugno 2003, n. 9424, in Rep. Foro It., 2003, voce Successione ereditaria, n. 101; Cass., 12 aprile 2002, n. 5323, in Familia, 2004, p. 173; Cass., 6 marzo 1992, n. 2708, in Vita Not., 1992, p. 1215; Cass., 10 febbraio 1983, n. 1069, in Rep. Foro It., 1983, voce Competenza civile, n. 163) fintantoché l'azione di riduzione non abbia avuto un esito vittorioso per l'attore); infine, l'inefficacia opera con effetto retroattivo in quanto il legittimario acquisisce la legittima fin dal momento dell'apertura della successione e quindi non si determina un nuovo trasferimento dall'erede, legatario o donatario al legittimario (COVIELLO, Successione legittima e successione necessaria, Milano 1938, p. 373; CARBONE, Riduzione delle donazioni e delle disposizioni testamentarie lesive della legittima, in Dig. Disc. Priv. - sez. civ., XVII, Torino 1998, p. 617).

L'azione di riduzione possiede infine una efficacia reale (MENGONI, Successione per causa di morte. Successione necessaria, in Tr. Cicu-Messineo, XLIII, 2, Milano 2000, p. 235; Cass., 5 dicembre 1968, n. 3896, in Giust. Civ., 1969, I, p. 1097), cosicché, con il passaggio in giudicato della sentenza che pronunzia la riduzione, il legittimario acquisisce il titolo in forza del quale egli consegue la quota spettantegli (Cass., 12 settembre 1970, n. 1392, in Foro It., 1970, I, p. 2403): in altri termini, la sentenza che accoglie la domanda di riduzione non produce il trasferimento al legittimario dei beni oggetto della disposizione lesiva ma opera in modo che nei confronti del legittimario essi si considerino mai usciti dal patrimonio del defunto, cosicché il legittimario li acquista non in forza della sentenza bensì della vocazione legale che, per effetto della sentenza, si produce in suo favore.

Per ottenere poi l'acquisizione materiale dei beni oggetto delle disposizioni ridotte, è necessario, una volta passata in giudicato l'azione di riduzione (l'azione di restituzione è un'azione autonoma rispetto all'azione di riduzione; il terzo convenuto per la restituzione non potrebbe opporre al legittimario le eccezioni che avrebbe potuto opporre, in sede di riduzione, il donatario o l'onorato testamentario, neppure nel caso in cui questi ultimi non le avessero mai sollevate: MENGONI, Successione per causa di morte. Successione necessaria, in Tr. Cicu-Messineo, XLIII, 2, Milano 2000, p. 301; MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, III, 2, Milano, 1951, p. 240; PINO, La tutela dei legittimari, Padova, 1958, p. 82; e, in giurisprudenza, Cass. 7 luglio 1949, n. 1705, in Giur. it., 1950, I, 1, p. 606; e, anzi, presuppone il giudicato della sentenza di riduzione. L'articolo 563, comma 1, del codice civile si esprime infatti nel senso che l'azione è proposta nei confronti dei «donatari contro i quali è stata pronunziata la riduzione» che «abbiano alienato a terzi gli immobili donati»: cfr. MENGONI, Successione per causa di morte. Successione necessaria, in Tr. Cicu-Messineo, XLIII, 2, Milano 2000, p. 301, secondo cui «l'azione di restituzione contro l'onorato testamentario o il donatario assoggettato a riduzione non ha natura di actio iudicati, non costituisce la fase esecutiva dell'azione di riduzione. Essa è una conseguenza della sentenza di riduzione nel senso che è fondata sull'inefficacia del titolo di acquisto dell'onorato o del donatario, ricollegata dalla legge all'accertamento delle condizioni di esistenza del diritto del legittimario alla riduzione; non nel senso che il titolo giuridico della pretesa di restituzione è un diritto attribuito dal giudice». Si deve pertanto escludere che il legittimario possa agire direttamente nei confronti del terzo acquirente, chiedendo che l'accertamento della disposizione lesiva avvenga incidenter tantum: Cass. 18 maggio 1957, n. 1793, in Giust. civ., 1958, I, p. 153), l'ulteriore esperimento di una successiva azione (l'azione di restituzione) contro i destinatari delle disposizioni ridotte o contro i loro aventi causa (l'azione è esperibile contro qualsiasi successivo avente causa: Cass., 22 marzo 2001, n. 4130, in Giur. It., 2001, p. 2261. Nel caso in cui il terzo acquirente dal beneficiario delle disposizioni lesive abbia a sua volta alienato a un subacquirente il bene oggetto della disposizione ridotta, l'azione di restituzione va proposta, una volta escusso il beneficiario, contro detto subacquirente, il quale, a differenza dell'avente causa dal donatario o dall'onorato testamentario, non può pretendere la preventiva escussione del patrimonio del suo dante causa. L'acquirente intermedio, alienati i beni, non è infatti più soggetto ad alcuna azione da parte del legittimario: né all'azione di riduzione, dal momento che non è il donatario o l'onorato testamentario, né all'azione di restituzione, non essendo più titolare dei beni oggetto della disposizione lesiva: cfr. MENGONI, Successione per causa di morte. Successione necessaria, in Tr. Cicu-Messineo, XLIII, 2, Milano 2000, p. 304) i quali possono tuttavia liberarsi corrispondendo una somma di denaro di equivalente valore.

[nota 4] Cfr. BUCCISANO, voce Novazione, in Enc. Giur., 1988, luogo, 1988, 1, il quale, parlando della novazione, e qualificandola come un istituto che «assolve, con il minimo dispendio, ad una funzione che in pratica può riuscire preziosa», usa una espressione assai significativa per il discorso che qui si intende sviluppare.

[nota 5] Si potrebbe anche riferirsi alla conversione del negozio nullo (articolo 1424 del codice civile) e cioè alla fattispecie nella quale, in ossequio al principio di conservazione dell'attività giuridica espresso dall'articolo 1367 del codice civile, un contratto nullo produca gli effetti di un altro contratto, del quale abbia i requisiti di sostanza e di forma, qualora, avuto riguardo allo scopo delle parti, debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità.

Ancora, un rilevante spunto lo si potrebbe desumere dall'istituto della transazione novativa (articolo 1976 del codice civile), vale a dire quella particolare figura di transazione per effetto della quale, al fine di prevenire una insorgenda lite o di comporne una già in atto, i contraenti si determinino a sostituire la situazione giuridica preesistente con altra completamente nuova (cfr. PUGLIATTI, Della transazione, in Comm. D'Amelio-Finzi. Libro delle obbligazioni, II, 2, Firenze, 1949, p. 463; PERLINGIERI; Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall'adempimento, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, IV, Delle obbligazioni, Bologna-Roma, 1975, p. 100; SEGNI, «Natura della transazione e disciplina dell'errore e della risoluzione», Riv. dir. civ., 1982, I, p. 264 e 273. In giurisprudenza cfr.: Cass., 28 febbraio 2006, n. 4455, inedita, per la quale «si ha transazione qualora sussistano contestualmente due elementi, uno di natura oggettiva, ed uno di natura soggettiva: sul piano oggettivo è necessario che le parti, onde risolvere o prevenire una lite siano addivenute ad una rinunzia reciproca…volta a modificare, estinguendola, la situazione negoziale precedente e da instaurarne una nuova in quanto tra i due rapporti…vi sia una situazione di obiettiva incompatibilità; sul piano soggettivo è necessario che sussita una in equivoca manifestazione di volontà delle parti in tal senso…»; mentre per Cass., 12 gennaio 2006, n. 421, inedita, «la transazione può avere efficacia novativa quando risulti una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello avente causa nell'accordo transattivo…»).

Infine, un rilevante profilo di riflessione potrebbe pure essere offerto dalla locazione in forma di vendita, di cui all'articolo 1526, ultimo comma, del codice civile, e cioè dalla fattispecie del contratto che, nato come locazione, diviene si "trasforma" in una vera e propria vendita con riqualificazione dei canoni pagati in rate di acconto del prezzo dovuto dal locatario/compratore al locatore/venditore.

[nota 6] Cfr. MARTORANA, La novazione nel diritto civile italiano, Palermo, 1924, p. 85; MAGAZZù, (voce) Novazione, in Enc. Dir. XXVIII, Milano, 1978, p. 801, VILLA, «Novazione», Vita not., 1986, p. 914; DI PRISCO, Novazione, in Tratt. Rescigno, IX; Torino, 1984, p. 267; nonché Cassazione, 7 marzo 1983, n. 1676, in Giust. Civ. Mass., 1983, p. 596. In senso diverso, RESCIGNO, Novazione (diritto civile) in Nss D. I., XI, Torino, 1965, p. 434.

[nota 7] Cfr. ROMANO, Introduzione allo studio del procedimento giuridico, Milano, 1961, p. 161.

[nota 8] Cfr, NICOLò, «Il riconoscimento e la transazione nel problema della rinnovazione del negozio e della novazione dell'obbligazione», Ann. Mess., VII, 1932-33, p. 542; e DI PRISCO, Novazione, in Tratt. Rescigno, IX; Torino, 1984, p. 273.

[nota 9] Cfr. SANTORO PASSARELLI, L'accertamento negoziale e la transazione, in Saggi di diritto civile, Napoli, 1961, p. 331. In giurisprudenza: Cass., 18 maggio 1972, n. 1515, in Giust. Civ. rep., 1972, voce Usufrutto, n. 3; Cass. 14 gennaio 1964, n. 82, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1964, voce Obbligazioni, p. 270.

[nota 10] Cfr. CICALA, L'adempimento del debito altrui. Disposizione «novativa» del credito ed estinzione dell'obbligazione nella teoria del negozio, Napoli, 1968, p. 164; PIRAS, «Appunti sulla novazione», Studi sass., XXI, 1, 1948, p. 16; e DI PRISCO Novazione, in Tratt. Rescigno, IX, Torino, 1984, p. 263.

[nota 11] Cfr. PUGLIATTI, Della transazione, in Comm. D'Amelio-Finzi. Libro delle obbligazioni, II, 2, Firenze, 1949, p. 462; GORLA, La riproduzione del negozio giuridico, Padova, 1933, p. 73; NICOLò, «Il riconoscimento e la transazione nel problema della rinnovazione del negozio e della novazione dell'obbligazione», Ann. Mess., VII, 1932-33, p. 443; PUGLIATTI, Nuovi aspetti del problema della causa nei negozi giuridici, in Diritto civile. Saggi, Milano, 1951, p. 98; SANTORO PASSARELLI, L'accerta-mento negoziale e la transazione, in Saggi di diritto civile, Napoli, 1961, p. 315.

[nota 12] BUCCISANO, voce Novazione, in Enc. Giur., vol. XXI, Roma, 1990, p. 16.

[nota 13] Cfr. GORLA, La riproduzione del negozio giuridico, Padova, 1933, p. 46; PERLINGIERI, Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall'adempimento, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, IV, Delle obbligazioni, Bologna-Roma, 1975, p. 58.

[nota 14] CASELLA, Ripetizione del negozio, in Enc. giur., 1991, XXVII, p. 3. Cfr. pure CANDIAN, Nuove riflessioni sulle dichiarazioni riproduttive di negozi giuridici, in Saggi di diritto, Padova, 1931, p. 177. SEGRè, Ricognizione, riproduzione, e rinnovazione del negozio giuridico, in Scritti giuridici, Cortona, 1930, p. 638; NICOLò «Il riconoscimento e la transazione nel problema della rinnovazione del negozio e della novazione dell'obbligazione», Ann. Mess., VII, 1934-35, p. 311; SCOGNAMIGLIO, «Sulla rinnovazione del negozio giuridico», Giur. compl. cass. civ., 1950, III, p. 447; SANTORO PASSARELLI «L'accertamento negoziale e la transazione», Riv. Trim. dir. e proc. civ., 1956, p. 1. GRANELLI, Riproduzione ( e rinnovazione) del negozio giuridico, in Enc. Dir., XL, Milano, 1989, p. 1048; DI GRAVIO, Dichiarazione riproduttiva, in Dig. Civ., V, Torino, 1989, p. 361.

[nota 15] CASELLA, Ripetizione del negozio, in Enc. giur., 1991, XXVII, p. 4 e 5.

[nota 16] Cfr. anche PETRELLI «La nuova disciplina del Patto di famiglia» in Riv.Not., Volume LX, Marzo Aprile 2006, p. 449, secondo il quale «nulla osta al conseguimento dell'obiettivo» di precludere ai legittimari che abbiano ricevuto donazioni in passato l'azione di riduzione e la richiesta di collazione con riguardo ai beni aziendali successivamente trasferiti mediante Patto di famiglia ad altro discendente: «può attribuirsi rilevanza alla manifestazione della volontà di tutte le parti, compresi i precedenti donatari, ai fini della qualificazione delle medesime liberalità come assegnazioni da valere ai sensi dell'art. 768-quater c.c.? Non si tratterebbe, evidentemente, di novazione della preesistente causa donandi, né verrebbe in alcun modo modificato l'effetto traslativo già verificatosi: semplicemente, si manifesterebbe la volontà delle parti di "qualificare" le precedenti liberalità nel contesto del nuovo Patto di famiglia, attribuendo loro il peculiare effetto ora previsto dalle nuove disposizioni». Cfr altresì CACCAVALE «Appunti per uno studio sul Patto di famiglia» - Notariato n. 3/2006, p. 307 e 313.

[nota 17] "Tipica" nel senso che gli studiosi hanno già ampiamente indagato la stipulabilità o meno del Patto di famiglia non in presenza di tutti i soggetti dei quali l'articolo 768-quater del codice civile richiede la presenza alla stipula del patto stesso: nel senso che la partecipazione di tutti i soggetti indicati al citato articolo 768-quater c.c. non è richiesta a pena di nullità dell'atto, cfr: PETRELLI, «La nuova disciplina del "Patto di famiglia», Riv. not., n. 2/2006, p. 447; CACCAVALE «Appunti per uno studio…» cit., p. 300; FIETTA «Divieto dei Patti successori ed attualità degli interessi tutelati» - in questo volume. In senso opposto, e cioè che «l'art. 768-quater primo comma c.c. dispone che al contratto devono partecipare il coniuge e tutti gli altri legittimari potenziali, evidentemente a pena di nullità», GAZZONI, «Appunti e spunti in tema di Patto di famiglia», reperibile sul sito: www.judicium.it, all'url: http://judicium.it/news/ins_19_06_06/Gazzoni,%20nuovi%20saggi,%20dir.%20civile.html. Cfr sul punto inoltre MERLO «Il Patto di famiglia», Cnn Notizie, 14 febbraio 2006, reperibile su: http://bdn.notartel.it/Notiziario/.

[nota 18] Come noto, la legge (articolo 768-quater, comma 2, del codice civile) dispone che l'imprenditore disponga della sua azienda o delle sue partecipazioni a favore di un dato discendente e che gli assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni «devono liquidare gli altri partecipanti al contratto, ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote previste dagli articoli 536 e seguenti». Peraltro, gli studiosi di questa materia già hanno dimostrato (PETRELLI, «La nuova disciplina del "Patto di famiglia"», Riv. not., n. 2/2006, 440; FIETTA «Divieto dei Patti successori …» cit., LUPETTI «Il finanziamento dell'operazione: familiy buy out» - in questo volume che è Patto di famiglia sia quello prefigurato nel predetto articolo 768-quater del codice civile sia quello nel quale le attribuzioni provengono tutte dall'ascendente che dispone della propria azienda o delle proprie partecipazioni.

[nota 19] Qui evidentemente si pongono problemi - ma non è questa l'occasione per trattarne - di recupero di questi beni, specie quelli di attinenza aziendale, soggetti per natura alle più varie e repentine "evoluzioni"; e pure problemi di tutela dei terzi che si sono resi aventi causa di questi beni.

[nota 20] Sul punto cfr : DIENER Il contratto in generale. Manuale ed applicazioni pratiche delle lezioni del Prof. Guido Capozzi, Milano, 2002, p. 520 e 521. Negano tuttavia il recesso ad effetti reali: CARRESI, Il contratto, in Trat. CICU, MESSINEO, Milano, 1987, p. 846; LAVAGGI, «Osservazioni sul recesso unilaterale dal contratto», nota a sentenza Cassazione del 9 luglio 1949, n. 174. CICU, MESSINEO, Milano, 1962, p. 1082 e 1083; GABRIELLI, PADOVINI, voce Recesso (dir. priv.), in Enc. Dir., Milano, 1988, p. 39.

[nota 21] PETRELLI, «La nuova disciplina del "Patto di famiglia"», Riv. not., n. 2/2006, p. 449 - 450. Sulla «definitiva acquisizione…del negozio di accertamento, con la sua autonoma causa, sia pur ausiliaria rispetto a quella di altro precedente negozio», cfr. CASELLA, Ripetizione del negozio, in Enc. giur., 1991, XXVII, p. 3.

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