Imposizione tributaria delle donazioni e degli atti a titolo gratuito
Imposizione tributaria delle donazioni e degli atti a titolo gratuito
di Fabrizio Sertori
Notaio in Bologna
La nuova legislatura è cominciata sotto l'egida di una certa frenesia normativa, ma, ahimè, bisogna riconoscere che buona fetta di tale frenesia si è riversata nella normativa tributaria, e segnatamente nella normativa tributaria di preminente interesse notarile. Si nota, in controtendenza rispetto a quanto sembrava emergere nella legislazione ormai da molti anni, una nuova attenzione per il campo, tipicamente, appunto, notarile, delle imposte indirette sugli affari .
Ciò premesso, confesso il mio imbarazzo ad intervenire sull'argomento affidatomi sia perché siamo di fronte ad una legislazione fatta intervenendo con inserimenti qua e là dentro testi normativi previgenti, con le conseguenti difficoltà di lettura e di "sistematizzazione" dei testi interpolati (purtroppo il moderno legislatore non dispone delle capacità tecniche del grande Triboniano di Panfilia) sia perché le norme che andiamo a commentare sono contenute in un decreto legge, quindi in una fonte legislativa per definizione provvisoria e conseguentemente soggetta a modifiche.
Con il decreto legge 3 ottobre 2006 n. 262 il Governo ha introdotto nell'ordinamento, come recita il titolo del provvedimento legislativo, "Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria". L'art. 6 di tale D.l. è rubricato "Disposizioni in materia di imposte ipotecaria e catastale e di registro". Malgrado la genericità di tale intitolazione, l'articolo 6 in commento introduce la nuova disciplina fiscale dei trasferimenti gratuiti e dei trasferimenti a causa di morte. Il mio intervento deve occuparsi solo dei trasferimenti gratuiti per atto inter vivos.
Ma, come ben sappiamo, proprio sull'art. 6, il cui commento mi è stato affidato, interviene l'emendamento di matrice governativa che ne riformula interamente il testo ad iniziare dalla rubrica che diventa "Imposta sulle successioni e donazioni". In altre parole, mentre il testo dell'art. 6 oggi, sia pur precariamente, vigente è incentrato, per quanto ci concerne, su nuove applicazioni dell'imposta di registro, sull'aumento delle imposte ipotecarie e catastali e sull'estensione del prelievo tributario non solo agli atti di liberalità, ma anche agli atti a titolo gratuito e agli atti costitutivi di vincoli di destinazione, l'emendamento proposto ripropone puramente e semplicemente la reintroduzione dell'imposta di successione e di donazione riportando in vita, dal limbo ove tristemente era parcheggiato, il relativo T.U. sia pure con modifiche delle aliquote, delle franchigie e della normativa e mantenendo l'estensione del campo di applicazione della "nuova" imposta agli atti a titolo gratuito e agli atti di destinazione. Inoltre, in sede di passaggio parlamentare alla Camera, per motivi collegati alla richiesta da parte del Governo del voto di fiducia, il testo del decreto legge è stato accorpato in pochi articoli, onde la parte che ci interessa è costituita dai commi dal 47 al 54 dell'art. 2.
Ritengo, pertanto, di non potermi sottrarre ad un succinto esame del testo in vigore, anche perché il proposto emendamento ne salvaguarda l'applicabilità agli atti stipulati in pendenza della vigenza del testo originario del D.l., sul punto destinato a non essere convertito, salvo poi passare alle proposte modifiche. Ciò mi pare doveroso, affinché il mio sforzo odierno possa avere una qualche utilità per il paziente uditorio: vorrà dire, ed io ne sono perfettamente consapevole, che il mio elaborato non passerà alla storia come una pietra miliare della dottrina giuridica e ciò non solo per la pochezza del relatore, ma principalmente per aver commentato un testo che, al tempo stesso, in parte non c'era ancora ed in parte non c'era già più! Ma tant'è: dall'oblio si viene e nell'oblio si è destinati a ripiombare!
Una lettura anche solo affrettata delle norme in argomento evidenzia molto bene il cambio di impostazione fra la filosofia del decreto legge e la filosofia dell'emendamento. Il testo originario, e i commenti governativi su di esso lo confermano, vuole assolutamente evitare di reintrodurre l'imposta di successione e di donazione, ma, al tempo stesso, vuole introdurre, in difformità alla tendenza emergente dalla legge 18 ottobre 2001 n. 383, un prelievo sugli atti di liberalità e sui trasferimenti mortis causa. Per far ciò ricorre all'estensione dell'applicazione dell'imposta di registro alla materia degli atti liberali e gratuiti e, fatto senza precedenti, a quella dei trasferimenti a causa di morte. Si dirà che, almeno per gli atti donativi, non si tratta di una novità assoluta, perché già il legislatore della 383/2001 aveva applicato l'imposta di registro agli atti di donazione a favore dei soggetti diversi dal coniuge, dai parenti in linea retta e dagli altri parenti fino al quarto grado. Tuttavia, si converrà che la quotidiana esperienza professionale dimostra che si tratta di ipotesi residuali, anche perché il negozio di donazione, per i motivi ben noti, non è poi così frequente (ed in particolare non è così frequente al di fuori della cerchia dei prossimi congiunti).Viceversa il D.l. 262 introduce per la prima volta in via sistematica e generalizzata l'applicazione dell'imposta di registro a fattispecie che erano sempre rimaste estranee al campo applicativo dell'imposta stessa. Ciò ha creato sconcerto in dottrina, al punto che qualcuno (il prof. Enrico De Mita) ha parlato di disposizione incostituzionale per vizio di ragionevolezza, atteso che, ai sensi della corrente interpretazione dell'art. 3 capoverso Costituzione, la ragionevolezza costituisce il limite costituzionalmente censurabile alla ovvia discrezionalità del legislatore. Ecco quindi che il legislatore ha ritenuto, se il Parlamento approverà definitivamente il nuovo testo di legge in commento scaturente dall'emendamento presentato alla Camera, di abbandonare in toto la nuova strada e di ritornare sul sentiero consueto. Pertanto, emerge il ritorno alla vecchia imposta sulle successioni e donazioni, quale emendata dalla legge 21 novembre 2000 n. 342 e come ulteriormente emendata dalla norma in argomento. Naturalmente è ovvio che il ripristino di un'imposta tradizionalmente presente nel nostro ordinamento e per giunta depurata della vecchia tassazione sul valore globale netto, volgarmente definita "tassa sul morto", non può in alcun modo suscitare dubbi di costituzionalità. In ultima analisi vorrei ricordare che l'art. 42, ultimo comma, della Costituzione recita: «la legge stabilisce … i diritti dello Stato sulle eredità» e la concezione della donazione come anticipo di successione è tradizionale nel nostro diritto tributario.
Tutto quanto sopra vale come premessa di inquadramento generale: a questo punto si può passare ad una panoramica delle norme e, per quanto possibile, di quelle che andranno a sostituirle.
Le imposte ipotecarie e catastali
Il comma 1 dell'art. 6 del D.l. 262, con norma applicabile sia ai trasferimenti mortis causa che alle donazioni o altri atti a titolo gratuito, prevede l'imposta ipotecaria e catastale fissa per gli atti disposti a favore di avente causa coniuge o parente in linea retta del disponente «fino al valore di euro 180.000 per ciascun beneficiario in possesso dei requisiti». Ciò comporta alcune importanti conseguenze rispetto alla normativa fino a ieri in vigore: innanzi tutto l'apposizione di un tetto di valore, oltre il quale si applicano le normali imposte ed inoltre non solo la scomparsa del cosiddetto "beneficiario per estensione" introdotta dall'art. 69 commi 3 e 4 della legge 21 novembre 2000 n. 342, ma anche la limitazione del beneficio "prima casa" per gli atti in commento solo al coniuge ed ai parenti in linea retta. E' quindi evidente la volontà, con l'introduzione di limitazioni oggettive e soggettive, di restringere il campo di applicazione dei benefici "prima casa" nel settore dei trasferimenti gratuiti. Inoltre, si prevede, sull'onda di quanto disposto per i beni cosiddetti strumentali dal D.l. 223 (cosiddetta legge Bersani-Visco), l'aumento dell' imposta ipotecaria applicabile ai trasferimenti gratuiti dal 2 al 3 per cento.
Prospettiva del tutto diversa alla luce dell'emendamento, che non si occupa minimamente del tributo ipotecario e catastale, onde si ritorna in pieno alla tassazione, ai fini di dette imposte, vigente anteriormente al 3 ottobre 2006 e quindi imposta ipotecaria del 2 per cento, imposta catastale dell'1 per cento ed applicazione generalizzata, ai sensi dell'art. 69 legge n. 342/2000, in presenza dei requisiti richiesti, delle imposte fisse ipocatastali per gli atti prima casa senza limitazioni a categorie di beneficiari né a prestabiliti tetti di valore.
Generalizzata applicazione dell'imposta di registro agli atti a titolo gratuito
Nel testo ancor oggi vigente dell'art. 6 del D.l. 262 al comma 5 è previsto un generale assoggettamento ad imposta di registro delle donazioni e degli altri atti che la norma ad esse equipara. Abbiamo già visto la critica che la dottrina ha fatto a tale impostazione, critica che ha indotto il legislatore a modificare totalmente la prospettiva. Tuttavia, posto che il proposto emendamento, nel disciplinare la sorte dei rapporti giuridici sorti sulla base della vigenza del decreto legge destinato alla non conversione sul punto, fa salvi gli effetti prodotti dall'applicazione del testo originario del ripetuto art. 6, occorre soffermarci ugualmente sul testo oggi in vigore per poi esaminare alcuni problemi che sono comuni sia al vecchio sia al nuovo testo della norma.
L'imposta di registro oggi prevista dalla norma per gli atti di trasferimento gratuito prevede aliquote differenziate non solo sulla base del rapporto che lega dante ed avente causa ma anche sulla base della natura dei beni trasferiti. Infatti, premesso che la liberalità a favore del coniuge e dei parenti in linea retta è esente da imposta di registro (salvo quanto sopra precisato per le imposte ipotecarie e catastali), le attribuzioni immobiliari (inclusi i vincoli di destinazione relativi) a favore di parenti collaterali fino al quarto grado, di affini in linea retta e di affini collaterali fino al terzo grado sono soggette all'aliquota del 2 per cento senza franchigie e a favore di altri soggetti all'aliquota del 4 per cento sempre senza franchigie. Il discorso cambia nel caso di attribuzioni di beni mobili, posto che in questo caso l'aliquota diventa del 4 per cento, con la franchigia di 100.000 euro a favore di coniuge e parenti in linea retta, del 6 per cento a favore di altri parenti collaterali fino al quarto grado, affini in linea retta e affini in linea collaterale sino al terzo grado e sale all'8 per cento per gli altri soggetti. Le franchigie di 100.000 euro sono previste solo per il coniuge e i parenti in linea retta. Ma c'è un altro aspetto da considerare. Non tutti i beni mobili sono soggetti a questo nuovo prelievo, ma solo quelli previsti nella norma con un'elencazione che sembrerebbe tassativa. Il testo normativo, infatti, cita espressamente «aziende, azioni, obbligazioni, quote sociali, altri titoli e denaro contante» (inclusi i vincoli di destinazione apposti a tali beni). Da tale formulazione si evince da un lato che beni diversi da quelli nominati non dovrebbero essere soggetti alla nuova imposta, ma dall'altro sorge il problema, attesa la sintetica formulazione legislativa, dell'assoggettamento a tassazione o meno dei titoli di Stato, problema che ha anche suscitato un intenso dibattito. Tuttavia, in concreto, il problema non ha grande rilevanza pratica, perché, per effetto del ripristino della situazione normativa in vigore al 24 ottobre 2001, dovrà in futuro applicarsi il T.U. n. 346/90 che era stato emendato a suo tempo dal D.l. 323/96 con il risultato di assoggettare a tassazione le donazioni di titoli di Stato.
Con il proposto emendamento, reintroducendosi l'imposta di donazione in senso tecnico, la segnalata distinzione fra beni mobili e beni immobili viene meno. Ritornandosi, se pur non del tutto, all'antico, i beni, indipendentemente dalla loro natura, ferma l'applicazione delle imposte ipotecarie e catastali sugli immobili ma senza alcun aumento, scontano l'aliquota del 4 per cento se trasferiti al coniuge o ai parenti in linea retta, del 6 per cento se trasferiti ad altri parenti fino al quarto grado, ad affini in linea retta o ad affini in linea collaterale fino al terzo grado e dell'8 per cento in ogni altra ipotesi. Solo per le donazioni al coniuge o in linea retta viene prevista una franchigia di un milione di euro per ogni beneficiario. Di conseguenza, non viene confermata la franchigia speciale disposta per i beneficiari portatori di handicap e si ripristinano integralmente le agevolazioni "prima casa" quali erano state introdotte dall'art. 69 legge n. 342/2000.
Ben altri e più complessi problemi dà invece l'estensione fatta dal D.l. 262, e confermata dall'emendamento, del campo di applicazione dell'imposta agli atti a titolo gratuito e ai vincoli di destinazione. Questa sì è un'autentica novità di grande rilievo. Infatti, il testo dell'art. 1 del T.U. 346/90, sulla base di un'antica tradizione legislativa e interpretativa, dichiara espressamente applicabile l'imposta sulle donazioni ai «trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalità tra vivi». Pertanto, ed accantonando per un attimo la problematica dei vincoli di destinazione, l'estensione della tassazione agli atti a titolo gratuito non può non essere letta che come un allargamento, rompendo, come accennato, un'antica tradizione, del campo di applicazione dell'imposta in argomento. E questo, ripetesi, sia sulla base del testo dell'art. 6 del decreto vigente sia su quella dell'emendamento modificativo.
Tale problematica non può non avere riflessi sull'attività negoziale e, quindi, sul concreto, quotidiano campo di intervento dei Notai. Riterrei, pertanto, attratti nella nuova imposta, in conformità con le prime opinioni espresse sul punto (Petrelli) gli atti a titolo gratuito non liberali che oggi scontavano in via residuale, a seconda dei casi, l'imposta di registro o nella misura del 3 per cento o addirittura in misura fissa. Oserei affermare che, in base al principio di specialità, non possano essere attratte nella nuova imposta quelle fattispecie che abbiano un proprio espresso e specifico regime di tassazione (ad esempio, i contratti di comodato di beni immobili assoggettati all'imposta fissa di registro dall'art. 5 n. 4 Tariffa parte prima allegata al D.P.R. n. 131/86 (T.U. dell'imposta di registro). Sarei, invece, propenso a ritenere assoggettati alla nuova imposta di donazione, ad esempio, i contratti di comodato di beni mobili, mentre ritengo più problematica la fattispecie evocata dallo stesso Petrelli in ordine agli atti gratuiti posti in essere da società facenti parte del medesimo gruppo, atteso che, a mio parere, raramente tali fattispecie sono veramente gratuite, in quanto l'apparente gratuità quasi sempre, a ben vedere, sottende una causa onerosa da ricercare nella logica imprenditoriale del gruppo stesso. Ma non si può escludere che alcune fattispecie, invece, vi rientrino. La modifica normativa in commento, pertanto, in quanto vengano posti in essere atti a titolo gratuito, (e, come vedremo fra breve, anche vincoli di destinazione gratuiti), attrae nell'ambito dell'imposta di donazione anche operazioni poste in essere da soggetti, come le società commerciali, che per antico retaggio culturale ritenevamo estranee all'area della liberalità, atteso lo scopo lucrativo sussunto nella loro causa negoziale. Certo, nulla è mutato sul piano civilistico, ma occorrerà abituarsi all'idea che l'imposta di donazione non è più limitata, appunto, agli atti di pura liberalità.
Prima di passare, poi, alla problematica altrettanto scottante dei vincoli di destinazione, vorrei sottolineare un ultimo punto sul problema della gratuità. E' l'antica questione, che occorre riprendere da ottica parzialmente diversa, della tassabilità degli atti di rinuncia. Sino ad ora, premesso che l'abrogazione dell'imposta di donazione, aveva in qualche modo fatto svaporare il problema, si riteneva comunemente che, mentre la rinuncia con causa liberale trovasse la propria sedes materiae nel T.U. dell'imposta di successione, la rinuncia pura e semplice o abdicativa, e comunque non liberale, la trovasse invece nel T.U. dell'imposta di registro e precisamente nell'art. 1 della Tariffa parte prima. Ora l'ottica è diversa, attesa l'equiparazione della causa gratuita a quella liberale. Il problema è certamente delicato e non mi sento di poter dare soluzioni certe in attesa di un auspicabile chiarimento ufficiale da parte dell'Agenzia delle Entrate. Mi sembra, però, percorribile, come prima ipotesi di lavoro, la tesi di sostenere che sia intervenuta da parte delle nuove norme una parziale abrogazione tacita di quanto stabilito nel T.U. dell'imposta di registro, in quanto si tratterebbe di norma che non ha più un proprio autonomo campo di applicazione.
Atti costitutivi di vincoli di destinazione
Ancor più complesso e tale da richiedere un'approfondita meditazione che non può certo essere compiutamente affrontata in queste brevi note è la problematica della tassazione, comune ad entrambi i testi sia dell' art. 6 qui sotto esame sia dell'emendamento, degli atti costitutivi di vincoli di destinazione. Mentre pacifico è l'assoggettamento ad imposta del trust, probabilmente anche il trust "autodichiarato", e dei vincoli di cui al nuovo art. 2645-ter c.c., vi sono nella prassi negoziale altri vincoli - che a questo punto occorrerà attentamente valutare se costituiscano "vincoli di destinazione" in senso tecnico o no - quali ad esempio, importanti per la loro frequenza, gli atti unilaterali d'obbligo edilizi. Si ricorderà come qualcuno avesse collocato gli atti d'obbligo in parola fra i vincoli di destinazione ex art. 2645-ter allo scopo di garantirne la trascrivibilità, contestata da molte Conservatorie ma continuamente chiesta dalle Amministrazioni comunali. Ora questa potrebbe rivelarsi un'arma a doppio taglio. Petrelli, nel suo primo breve studio sul decreto 262, nega la tassabilità degli atti d'obbligo sulla base della considerazione che essi sono «privi di contenuto patrimoniale». Tale affermazione, per la verità, non mi appare del tutto perspicua; preferirei, invece, pervenire alla medesima conclusione di intassabilità sulla base del diverso ragionamento che l'atto d'obbligo, in realtà, non ha nulla di gratuito, ma fa parte di un procedimento di rilascio del richiesto titolo abilitativo edilizio nel cui disegno complessivo è dato reperire la causa autentica, e certo non gratuita, dell'atto posto in essere.
Ma, sempre su questa scottante materia degli atti costitutivi di vincoli di destinazione, altri interrogativi si affacciano. Ad esempio, quid iuris in ordine alla tassazione dei fondi patrimoniali? Da tali atti certo sorge un vincolo di destinazione imposto ai beni che ne sono oggetto (art. 167 c.c.: «destinando determinati beni … a far fronte ai bisogni della famiglia»). La gratuità, inoltre, c'è, come dimostra la giurisprudenza che, in tema di azione revocatoria, ha equiparato gli atti costitutivi di fondo patrimoniale posti in essere in fraudem creditorum agli atti a titolo gratuito. Si potrebbe, tuttavia, seguendo il Petrelli, ipotizzarne l'intassabilità in quanto atti posti in essere non a favore di "qualcuno", ma per soddisfare i bisogni della famiglia, soggetto indeterminato nella sua composizione al momento dell'atto e certamente non personificato.
Ma anche sui trust esistono gravi problemi interpretativi. Mi appare pacifica la volontà di risolvere in via legislativa la vexata quaestio della tassazione del trust ai fini delle imposte indirette che aveva dato luogo a risposte diversificate nel tempo da parte dell'Amministrazione finanziaria e che, malgrado un recente tentativo di mettere un punto fermo in via amministrativa sul problema (Risoluzione 28/9/2004 su il fisco n. 16/2005 fasc. 2 p. 6754 in risposta ad un interpello) continuava ad essere risolta in maniera difforme dai vari uffici dell'Agenzia delle Entrate. Si potrebbe ipotizzare l'intassabilità dei trust di scopo, in quanto in essi manca un beneficiario del vincolo. Ma sorgono anche ulteriori problemi. In altre parole, il momento di tassazione del vincolo è quello del passaggio fra disponente e trustee o quello successivo fra trustee e beneficiario? E, ai fini della tassazione, occorre tener conto del rapporto di parentela esistente fra disponente e beneficiario - che è spesso un rapporto di parentela stretta - o quello esistente fra disponente e trustee, tenendo conto che il trustee è sovente un estraneo o addirittura un soggetto imprenditoriale (la cosiddetta trust company) che lo fa di mestiere? E non sarà per caso che la tassazione avvenga in entrambe le ipotesi? (tesi quest'ultima che ritengo assai dubbia, in quanto portatrice di un'evidente doppia tassazione di un singolo presupposto contributivo, con certa violazione dell'art. 53 Costituzione in tema, appunto, di capacità contributiva).
Esiste poi la necessità che noi Notai, ma anche i contribuenti, si attrezzino culturalmente sul delicatissimo problema della tassazione: appare, infatti, evidente che occorrerà inserire negli atti la valutazione che si intende dare al vincolo di destinazione e che tale vincolo ha natura e valore diversi rispetto al valore della proprietà.
Ma credo che su tutti questi problemi occorrerà innanzi tutto attendere un pronunciamento ufficiale da parte dell'Agenzia delle Entrate e, meditato adeguatamente tale parere, cui comunque gli uffici fiscali si adegueranno, verificare quale poi sarà l'atteggiamento della giurisprudenza su tale problematica nuova di zecca.
Questioni varie
Per evidenti ragioni di concisione, posso solo accennare ad alcuni problemi che il ripristino del T.U. 346, sia pur riadattato, certamente pone. Senza alcuna pretesa di completezza vorrei porne alcuni.
Reviviscenza dell'art. 26 del D.P.R. n. 131/1986 (T.U. dell'imposta di registro).
Il testo originario della norma prevedeva un caso di praesumptio iuris et de iure nell'ipotesi di trasferimenti immobiliari posti in essere fra coniugi o fra parenti in linea retta o vincoli equiparati (la presunzione si è poi trasformata in relativa da assoluta che era per effetto della sentenza n. 41/99 della Corte Costituzionale, in il fisco n. 10/99 p. 3483). L'art. 69 della legge n. 342/2000 ha poi esteso la disciplina ed il conseguente obbligo di menzione nell'atto ai trasferimenti di partecipazioni sociali. L'intervenuta abrogazione dell'imposta di donazione, pur senza prevedere l'espressa abrogazione dell'art. 26 in argomento e conseguentemente dell'obbligo di menzione in atto, aveva reso di fatto inapplicabile la normativa e la maggior parte dei Notai aveva espunto dal loro formulario la ripetuta menzione. Ovviamente, il ripristino dell'imposta di donazione - e già il testo ora vigente dell'art. 6 del D.l. interviene limitatamente agli atti di trasferimento di beni mobili, atteso che nella logica dell'estensore del decreto-legge non vi era imposta di registro applicabile ai trasferimenti gratuiti immobiliari in linea retta o a favore del coniuge -, rende di nuovo integralmente applicabile l'art. 26 del T.U. Registro e chi l'avesse espunta non solo farà bene a ripristinare la menzione nei propri atti, sia immobiliari sia di trasferimento di partecipazioni, ma ciascun Notaio dovrà prestare la massima attenzione ai casi in cui la presunzione in argomento possa scattare. Ricordandoci sempre che, comunque, essa è diventata presunzione relativa e, quindi, da questo punto di vista, l'obbligo che il D.l. n. 223 impone di citare in atto i mezzi di pagamento può risolvere un bel po' di problemi, almeno negli atti di trasferimento immobiliare.
Problema del coacervo di precedenti donazioni.
Nel testo oggi vigente dell'art. 6 si trova al comma 5 un nuovo comma 2-ter aggiunto all'art. 13 della legge 383/2001 (testo che verrà travolto con l'approvazione del più volte citato emendamento). In detta norma si prevede l'obbligo di indicare negli atti di donazione di beni mobili soggetti ad imposta «gli estremi delle donazioni e degli altri atti a titolo gratuito anteriormente fatti dal dante causa a favore del coniuge, dei parenti in linea retta o di alcuno di essi, nonché i relativi valori alla data degli atti stessi». Naturalmente, tale menzione viene resa obbligatoria per i soli atti donativi di beni mobili e a favore del coniuge e dei parenti in linea retta, perché solo in tali casi opera un meccanismo di franchigia. Infatti per gli atti fatti a favore di altri soggetti non opera alcuna franchigia e per le donazioni immobiliari a favore del coniuge e dei parenti in linea retta vi è esenzione dall'imposta. A dire il vero, per le donazioni immobiliari a favore del coniuge e dei parenti in linea retta, vi è un problema di soglie di valore ai fini delle imposte ipocatastali, qualora ricorrano le condizioni "prima casa", ma sul punto la norma non parla di obblighi di menzione, posto che, per definizione, la "prima casa" non ammette ripetizioni o reiterazioni. In realtà si potrebbero ipotizzare casi, ad esempio, di acquisto separato di pertinenze dopo l'acquisto (beninteso, a titolo gratuito) della prima casa, ma, in tale ipotesi, e a prescindere dalla questione di fondo se sia applicabile la norma sul coacervo alle imposte ipotecarie e catastali, basterà solo usare un pò di buon senso nell'interesse sia delle parti sia del fisco e comunque l'attuale testo della norma non dovrebbe sopravvivere a lungo.
Come si ricorderà, nel testo originario del T.U. n. 346/90 l'obbligo di menzionare le precedenti donazioni era previsto nell'art. 57 «ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili»; poi, con l'entrata in vigore della legge n. 342/2000, le parole come sopra virgolettate furono soppresse, perché la menzione delle precedenti donazioni rimase ai soli fini della consumazione delle franchigie. Soppressa l'imposta di donazione con la legge 383/2001, cessò ogni obbligo di menzione, ad eccezione delle ipotesi residuali di cui all'art. 13 stessa legge per le donazioni ai cosiddetti "estranei". Ora, con la reintroduzione, per effetto del noto emendamento, dell'imposta di donazione tornano gli obblighi di menzione delle precedenti donazioni sia negli atti di donazione immobiliare sia in quelli di donazione mobiliare, ai sensi del citato art. 57 del T.U., ma naturalmente tali menzioni, da fare ai fini della verifica della nuova franchigia di un milione di euro, operano solo nel caso di trasferimento gratuito a favore del coniuge e dei parenti in linea retta, non esistendo nelle rimanenti ipotesi franchigia alcuna.
A questo punto si pone un problema assai delicato e che certo nei prossimi tempi avrà una significativa ricaduta sulla pratica professionale. Il problema, certo aggravato dal gran numero di donazioni stipulate nei mesi scorsi, è se, ai fini del raggiungimento della franchigia, che, ripetesi, dopo l'approvazione dell'emendamento salirà a un milione di euro per ogni beneficiario coniuge o parente in linea retta, si debba tener conto di tutte le precedenti donazioni o solo di quelle poste in essere dopo l'entrata in vigore della nuova normativa. Il quesito è difficile e sul punto sarebbe estremamente auspicabile, anche allo scopo di evitare l'insorgere di nefaste prassi locali che costituiscono un manifesto attentato alla certezza del diritto, un pronunciamento ufficiale e formale dell'Amministrazione finanziaria. In questa sede posso solo provare ad esprimere un'opinione rigorosamente personale e suscettibile di essere poi smentita dallo sviluppo degli eventi. A mio parere, ai fini del coacervo non si può assolutamente tener conto delle donazioni effettuate nel periodo in cui l'imposta di donazione non esisteva per effetto dell'abrogazione disposta dalla legge 383/2001. Ritenere il contrario significherebbe, a mio parere, dare rilievo fiscale a fattispecie che non ne avevano alcuno e, quindi, sarebbe come dare applicazione retroattiva ad una nuova imposta (non per niente il testo dell'emendamento sull'art. 6 in commento esordisce: «e' istituita l'imposta sulle successioni e donazioni … » e non "e' reistituita"). Tale mio convincimento si fonda, innanzi tutto, sul testo degli artt. 1 e 3 della legge 27 luglio 2000 n. 212 (Statuto del contribuente) in forza del quale non solo le norme tributarie non possono essere retroattive, ma le deroghe allo statuto devono essere espresse. Ma si violerebbe anche l'art. 10 del medesimo statuto in materia di tutela dell'affidamento e della buona fede del contribuente e, in ultima analisi, si incorrerebbe in una palese violazione del primcipio di capacità contributiva sancito dall'art. 53 della Costituzione. E' ben vero che si può replicare a tali mie affermazioni che l'utilizzo del coacervo ai soli fini della franchigia non significa certo rendere tassabile ex post una fattispecie precedentemente esclusa da imposizione, tuttavia, a mio parere, il contribuente può subire, in violazione del principio di tutela dell'affidamento, conseguenze deteriori anche da una riconsiderazione ex post di effetti, comunque rilevanti tributariamente, di un atto posto in essere e che, al momento della sua confezione, tali effetti non produceva.
La presente, però, e lo ribadisco, è una mia interpretazione personale che affido alla meditazione dei miei interlocutori.
Fortunatamente un subemendamento ha apportato alla norma una chiara correzione nel senso, cui anche sopra nel testo si è più volte accennato, di prevedere la franchigia di un milione di euro applicabile ad ogni beneficiario. Il testo originario non era altrettanto chiaro, a differenza di quello previsto per la fattispecie delle successioni a causa di morte. Una normativa che non avesse parificato sul punto l'ipotesi della successione e quella della donazione sarebbe stata grandemente censurabile sul piano della logica e, forse, anche sul piano della legittimità costituzionale per violazione del principio di uguaglianza, quanto meno sub specie di violazione del principio di ragionevolezza.
Valutazione dei beni trasferiti a titolo gratuito.
Di più agevole soluzione sembra essere il problema dei criteri da adottare nella valutazione dei beni trasferiti e dei relativi poteri spettanti in capo all'Amministrazione finanziaria.
Innanzi tutto è opinione pacifica, anche allo stato presente, che il recente ridimensionamento del criterio di valutazione catastale effettuato dal nuovo comma 5-bis dell'art. 52 del Testo Unico dell'imposta di registro, introdotto dalla recente legge 4 agosto 2006 n. 248 portante conversione del D.l. n. 223, più volte citato, non si applica ai trasferimenti gratuiti. Ciò emerge in modo ancora più chiaro dal proposto emendamento che, rimettendo in vigore l'intero testo del T.U. 346 rende applicabile senza dubbio alcuno anche l'art. 34 del T.U. stesso in materia di valutazione catastale degli immobili trasferiti.
Per quanto, poi, attiene alla valutazione di aziende e di partecipazioni sociali, è evidente l'applicabilità dell'art. 15 del medesimo T.U. che, nel testo emendato dall'art. 69 della legge n. 342/2000, esclude ogni richiamo all'avviamento e, quindi, comporta la valutazione di tali beni sulla base del cosiddetto "valore di libro" senza procedere ad alcuna rivalutazione. In questo senso, peraltro, già sul testo ancor oggi vigente dell'art. 6 in commento, si è espresso l'Ufficio Studi del Consiglio Nazionale del Notariato nella segnalazione di novità normative del 3 ottobre 2006.
Naturalmente, qualora si acceda alla tesi per cui negli atti costitutivi di vincoli di destinazione occorre dare un valore al vincolo - che è cosa diversa dalla proprietà -, in tal caso la valutazione resa dalle parti potrà essere liberamente rettificata dall'Ufficio tassatore, non potendosi al riguardo invocare la valutazione catastale per gli immobili e il valore di libro per le aziende o per le partecipazioni sociali.
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