Modalità di pagamento del prezzo: menzioni e comunicazioni obbligatorie
Modalità di pagamento del prezzo: menzioni e comunicazioni obbligatorie
di Manuela Agostini
Notaio in Milano

Introduzione

Oggetto della presente relazione è l'analisi dell'ambito di applicazione, del contenuto e delle conseguenze connesse agli obblighi di segnalazione (contenuti nelle norme antiriciclaggio) delle dichiarazioni prescritte dal comma 22 dell'art. 35 del D.l. 223/2006.

La presente relazione riprende temi già affrontati nel convegno, avente analogo contenuto, tenutosi a Roma nel mese di settembre u.s.; in particolare si riallaccia agli argomenti trattati dal collega Marco Krogh, alla cui relazione, disponibile sul sito della fondazione, si rinvia, in particolare per tutti gli aspetti più propriamente teorici che, per esigenze temporali, non verranno affrontati espressamente.

La relazione si propone di fare chiarezza su di una serie di aspetti pratici connessi all'ambito di applicazione dell'obbligo di menzione introdotto dal comma 22 dell'art. 35 del D.l. 223/2006, al contenuto necessario di tali menzioni ed agli eventuali obblighi di comunicazione che possano scaturire a carico del Notaio a seguito della conoscenza di determinate modalità di pagamento del corrispettivo.

Più specificamente, il fine è soprattutto quello di riassumere le conclusioni alle quali si è giunti in vari studi e approfondimenti (oltre alla già citata relazione del Notaio Marco Krogh si vedano gli studi del Cnn n. 442-2006/C e n. 15-2006/B, entrambi intitolati «Decreto legge 4 luglio 2006 n. 223 e limitazione dell'uso del contante e dei titoli al portatore», e n. 14-2006/B, intitolato «Antiriciclaggio. Studio sull'indicazione nell'atto notarile dei mezzi di pagamento», tutti approvati il 31 luglio 2006).

Per giungere a determinate conclusioni è peraltro preliminare analizzare quale può essere stata la motivazione dell'introduzione nell'ordinamento di tale obbligo di menzione, dal momento che è possibile dedurre dalle finalità specifiche anche il perimetro di operatività della normativa.

Finalità

La finalità principale che ha spinto il legislatore ad introdurre l'obbligo di analitica indicazione delle modalità di pagamento del corrispettivo nelle transazioni immobiliari è desumibile in via diretta dal titolo della norma che impone l'obbligo: si tratta quindi di una delle numerose misure di contrasto dell'evasione e dell'elusione fiscale contenute del c.d. decreto Bersani e rivolte al settore dell'edilizia ed in senso lato dei trasferimenti immobiliari.

Dalla suddetta finalità può desumersi che primo destinatario delle notizie ricavabili dalle menzioni divenute obbligatorie sia l'Amministrazione finanziaria e che, attraverso l'inserimento delle analitiche modalità di pagamento del corrispettivo, si voglia ottenere il risultato di rendere i passaggi di denaro conseguenti al trasferimento delle proprietà immobiliari rintracciabili e tracciabili dal fisco (anche a seguito dei potenziati poteri ispettivi, per esempio attraverso l'accesso ai canali degli intermediari abilitati, ed in particolare delle banche), probabilmente nel tentativo di ricostruire reti e intrecci di trasferimenti di ricchezza in un'ottica globale che vada oltre la singola transazione.

A tal proposito è stato correttamente osservato che «la vera finalità della norma non è tanto quella di contrastare l'eventuale evasione o elusione delle imposte indirette gravanti sull'atto ... quanto piuttosto quella di contrastare l'evasione e l'elusione all'interno del più generale sistema fiscale, facendo emergere le reali consistenze patrimoniali dei contribuenti ed i reali valori economici degli immobili oggetto di contrattazione» (così Marco Krogh nella sua relazione alla quale si rinvia per un approfondimento dei motivi che portano a tale conclusione).

Vero è che, una volta introdotto l'obbligo, la ottenuta miglior tracciabilità dei pagamenti e soprattutto l'inquadramento dei singoli passaggi di denaro nell'ambito dell'operazione che li giustifica che ne è la causa hanno (ed avranno) rilevanti effetti anche nell'ambito della lotta al riciclaggio.

E' probabile che i due aspetti (finalità fiscali e finalità antiriciclaggio) siano in futuro sempre più connessi (avendo spesso le autorità preposte sistemi ispettivi analoghi e potendo usufruire delle reciproche banche dati) e che tale considerazione, nonostante il titolo dell'art. 35 del D.l. 223/2006, non sia estranea all'introduzione dell'obbligo di menzione.

Ambito di applicazione

Il comma 22 dell'art. 35 del D.l. 4 luglio 2006 n. 223 (convertito dalla L. 4 agosto 2006 n. 248) testualmente recita:

«all'atto della cessione dell'immobile, anche se assoggettata ad Iva, le parti hanno l'obbligo di rendere apposita dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà recante l'indicazione analitica della modalità di pagamento del corrispettivo».

La norma non circoscrive con chiarezza l'ambito di applicazione dell'obbligo, non esplicitando né la tipologia di atto, né la tipologia di diritto oggetto della fattispecie.

Entrambi gli elementi vanno desunti dal tenore del testo e, per esclusione, dall'inapplicabilità a determinate tipologie di cessione di immobili.

Peraltro è evidente fin dalla prima lettura che la norma non riguarda qualsiasi tipo di operazione nella quale sia previsto il "pagamento di un corrispettivo" ma esclusivamente le operazioni di tipo immobiliare (per una disamina delle considerazioni che portano ad escludere l'esistenza di un obbligo generalizzato di menzione delle modalità di pagamento si veda lo studio del Cnn n. 14-2006/B).

Partendo dall'esame della tipologia di atti coinvolti dalla nuova normativa, il riferimento alla «cessione dell'immobile» porta a desumere che si tratti degli atti "ad effetti reali" e quindi di tutte quelle fattispecie che abbiano come effetto diretto, immediatamente o anche in via differita (ad esempio perché a termine o condizionate), il trasferimento della proprietà del bene. Ulteriore e, se si vuole, ovvia considerazione è che l'obbligo si applica solo agli atti che, in vario modo come poi vedremo, abbiano per oggetto "immobili".

Sempre al fine di definire quali atti comportino l'obbligo di menzione, il riferimento al «pagamento del corrispettivo» delimita l'ambito di applicazione agli atti "a titolo oneroso" e quello all'«indicazione analitica della modalità di pagamento» porta a circoscrivere ulteriormente l'applicabilità ai negozi che prevedano un corrispettivo in denaro, non essendo possibile riferire le "modalità di pagamento" a controprestazioni diverse e tenendo conto che la prima finalità della norma, alla quale si è fatto riferimento in precedenza, è quella di rendere tracciabili i pagamenti in denaro, oltre alla considerazione che la descrizione "analitica" della controprestazione diversa dal denaro è normalmente insita nell'oggetto stesso dell'atto (si pensi alla permuta o al conferimento).

Le considerazioni sopra esposte valgono a tracciare un primo confine dell'ambito di applicazione della normativa e sono di ausilio per risolvere i dubbi connessi a varie fattispecie collaterali.

Dal punto di vista dell'oggetto del contratto, e nonostante il tenore riduttivo della terminologia utilizzata, sembra potersi desumere dallo scopo dell'introduzione dell'obbligo che questo si applichi, oltre che nel caso di trasferimento della proprietà, sia piena che nuda, anche nel caso in cui oggetto del contratto siano diritti reali di godimento minori (usufrutto, uso, abitazione, superficie), ed anche nel caso in cui non si tratti di "cessione" di tali diritti ma (come spesso accade) di "costituzione".

Al contrario parrebbe estraneo il caso di costituzione di diritti di garanzia, per la ragione assorbente che non vi è "cessione" dell'immobile (né la costituzione della garanzia è finalizzata a tale cessione, essendo il caso della vendita forzata l'aspetto patologico del rapporto) ed anche perché difficilmente esiste un corrispettivo diretto per l'ottenimento della garanzia (non essendo il credito garantito qualificabile come tale). Neppure, ma per diverse ragioni, l'obbligo è applicabile al momento della vendita forzata eventualmente delegata al Notaio, ove non sono possibili dichiarazioni di parte e che è soggetta ad una disciplina e ad un iter procedurale suo proprio.

Qualche dubbio si è posto per la costituzione di servitù, fattispecie alla quale la norma non è sicuramente applicabile in via diretta ed alla quale l'obbligo non sembra riferibile in via estensiva, tenuto anche conto della sua funzione e del fatto che l'esigenza di tracciabilità dei pagamenti è connessa al passaggio di titolarità dei beni immobili, con ciò escludendo anche altre fattispecie sicuramente più rilevanti nella lotta all'evasione (o al riciclaggio) della costituzione di servitù e senza che sia stata operata un'estensione a tutti i possibili negozi utilizzati nella prassi del settore immobiliare.

Sempre in tale ottica, sono inoltre esclusi, in base al tenore letterale della norma, gli atti che non abbiano come effetto quello del trasferimento del diritto, anche se prodromici ed addirittura causali rispetto ad esso: in particolare non sono ricompresi i contratti ad effetti obbligatori, quali preliminari, comodati e locazioni, anche con patto di futura vendita e anche finanziarie con patto di riscatto, considerato che l'effetto traslativo richiede un atto ulteriore nel quale andranno inserite le richieste menzioni.

Si è già detto come il riferimento agli atti che abbiano per oggetto "immobili" senza specificazione del relativo diritto richieda un'interpretazione logica tale da includere i diritti reali minori di godimento, mentre nessuna applicazione analogica è possibile per atti che non abbiano un oggetto immediato riferibile a beni immobili. Restano quindi esclusi non solo i contratti che riguardino con tutta evidenza beni diversi (quali ad esempio beni mobili registrati) ma anche contratti ad effetti reali che abbiano una connessione ad operazioni immobiliari, quali la cessione di partecipazioni, magari totalitarie, in società immobiliari o che addirittura abbiano come unico cespite un singolo immobile, la cessione (ovvero "cartolarizzazione") di crediti connessi o derivanti da operazioni immobiliari, la cessione di contratto (ipotesi invero difficilmente immaginabile, salvo forse il caso della cessione - per esempio in blocco ex art. 58 D.lgs. 385/1993 - di contratti di leasing da parte della società di leasing originaria ad altra società di leasing con conseguente trasferimento della proprietà dei beni immobili oggetto dei contratti ceduti) ecc.

Parimenti, ma per motivi diversi, sono esclusi dall'ambito di applicazione della normativa atti che, pur generando come effetto diretto il trasferimento del bene immobile, non abbiano per loro natura un corrispettivo in denaro (come nel caso di fusioni, scissioni, conferimenti, permute e assegnazione ai soci in caso recesso, scioglimento, divisioni, sempre ché si ritenga di far partecipare la divisione di un qualche effetto traslativo, ecc.) ovvero non abbiano proprio corrispettivo (in tutta evidenza le donazioni, anche qualora prevedano un onere consistente nella dazione di una somma di denaro, finché questo non snaturi il negozio, ma anche i trasferimenti in sede di separazione o divorzio, fatte sempre salve le considerazioni sulla singola fattispecie che possano in qualche modo far propendere per una diversa qualificazione della fattispecie).

Qualche considerazione prudenziale va forse fatta in relazione a quei casi ove, pur non prevedendo il contratto per sua natura un corrispettivo in denaro, ci sia in effetti un trasferimento di fondi, ad esempio a titolo di conguaglio nella permuta o nella divisione: in tal caso sembra opportuno, trattandosi di parte del corrispettivo, applicare a tali pagamenti gli obblighi di menzione delle modalità di effettuazione.

Contenuto delle menzioni

Il comma 22 dell'art. 35 in esame impone che le parti, all'atto della cessione dell'immobile, indichino in modo analitico le «modalità di pagamento del corrispettivo».

Tralasciando le problematiche connesse alla natura della dichiarazione ed alle eventuali conseguenze penali in capo alle parti di dichiarazioni non veritiere (per un'attenta disamina delle quali si rinvia allo studio del Notaio Krogh già citato), preme fin da subito ribadire come la norma ponga chiaramente l'obbligo in capo alle parti, e come quindi il Notaio non debba né possa svolgere ricerche o indagini per ricostruire e recuperare i dati necessari ad integrare le dichiarazioni stesse (fatta sempre salva l'usuale diligenza nella redazione degli atti).

Tanto meno é possibile che le modalità di pagamento risultino da una attestazione fatta dal Notaio stesso a seguito dell'acquisizione della relativa documentazione, in quanto interesse primario sottinteso alla norma è che le notizie provengano dalle parti, imponendo a tal fine addirittura una forma "solenne" alla dichiarazione.

Un'attestazione notarile non è possibile neanche nel raro caso in cui le parti rendano dichiarazioni difformi ovvero entrambe od una di esse si rifiutino di rendere la dichiarazione. E' comunque opportuno ribadire che, in entrambi tali casi, l'atto è ricevibile in quanto la norma non pone alcuna sanzione di invalidità del contratto rispetto alla mancanza delle menzioni. La correttezza di tale assunto è dimostrata dal fatto che la norma si "limita" a sanzionare l'«omessa, incompleta o mendace indicazione» dei dati richiesti con una sanzione amministrativa e con l'ulteriore conseguenza dell'assoggettamento dell'atto all'accertamento di valore previsto dall'art. 52 del D.P.R. 131/1986 (sanzione in effetti di rilevanza autonoma solo nei limitati casi non coinvolti dal nuovo impianto di accertamento introdotto dal decreto Bersani), sanzioni tutte che, lungi dal rendere l'atto non ricevibile, lo presuppongono.

Resta da chiarire quale ampiezza debbano avere le dichiarazioni delle parti cioè, in concreto, quali siano gli elementi minimi che non rendano la dichiarazione "incompleta", ricordando che la norma collega anche all'incompletezza le sopra ricordate sanzioni amministrative, peraltro senza specificare, purtroppo quali mancanze la rendano tale.

Per operare una ricostruzione plausibile di quali elementi rendano "completa" la dichiarazione non ci si può che riferire alle funzioni della normativa all'interno della quale è inserita la norma esaminata, ed in particolare agli scopi di tracciabilità dei trasferimenti di denaro e della possibilità di riportarli nell'ambito di operazioni determinate, ai quali si è già fatto riferimento.

Come già accennato, la prima funzione era già in astratto perseguibile, nella maggior parte dei casi (in particolare nei casi in cui i mezzi di pagamento fossero conformi alla normativa antiriciclaggio e quindi transitassero per loro natura attraverso gli intermediari abilitati) anche prima dell'introduzione degli obblighi di menzione delle analitiche modalità di pagamento del corrispettivo negli atti di trasferimento immobiliari; ciò poteva già avvenire non solo a fini antiriciclaggio, ma anche a fini antievasione fiscale, in particolare con l'introduzione della possibilità per le autorità preposte ai controlli fiscali di avvalersi degli archivi degli intermediari stessi nonché di quelli dell'autorità preposta ai controlli antiriciclaggio.

Il valore aggiunto della normativa in esame è quindi quello di collegare i trasferimenti di denaro, ed in particolare anche più trasferimenti di denaro frazionati, ad una specifica operazione immobiliare, collegamento spesso non possibile ovvero difficilmente ricostruibile con l'utilizzo dei soli archivi bancari, e, in seconda battuta, quello di far emergere trasferimenti effettuati (anche legittimamente) in forme tali da non transitare attraverso gli intermediari abilitati stessi.

Se tale è la funzione dell'obbligo di menzione, si può desumere che lo stesso sia assolto ogni volta che nella dichiarazione siano contenuti elementi tali da rendere tracciabile il trasferimento dei fondi; a tal fine, in caso di assegni bancari l'indicazione della banca di traenza e del numero dell'assegno rende possibile ripercorrere le tappe del trasferimento; analogamente potrebbero essere dati idonei a tale scopo, qualora non sia reperibile il numero dell'assegno, il conto corrente da cui l'assegno è tratto, la data di emissione, l'importo dello stesso ed il beneficiario (che è identificativo anche se l'assegno è trasferibile); in caso di assegno circolare valgono analoghe considerazioni, mentre in caso di bonifico si potrà far riferimento, oltre che alla data di ordine dello stesso, alternativamente ai codici identificativi bancari se conosciuti ovvero ai conti correnti di addebito e di accredito; ovviamente nessuna indicazione particolare ed identificativa è possibile in caso di pagamento in contanti (in tal caso, come accennato, la semplice menzione assolve lo scopo di rendere nota tale modalità di pagamento), mentre nel caso (invero assai raro) che si utilizzino libretti di deposito al portatore si devono riportare i relativi estremi (banca o ufficio postale di riferimento e altri eventuali codici identificativi).

Non è elemento identificativo la clausola di intrasferibilità, la cui menzione, per altro, può assolvere altre funzioni connesse agli obblighi di comunicazione.

Ovviamente nessuna menzione è richiesta per i pagamenti dovuti ma non ancora effettuati in quanto rinviati a scadenze successive all'atto che determina l'obbligo di menzione, non prevedendo la norma neanche un impegno delle parti circa le relative modalità; in tale ambito si colloca l'emissione di cambiali "a garanzia" di pagamenti dilazionati.

Questione connessa all'obbligo di indicazione delle modalità di pagamento è quella relativa alla possibilità che la dichiarazione sia contenuta in un documento a parte e che tale documento non venga formalmente allegato all'atto di cessione dell'immobile. Al di là delle ovvie ragioni di opportunità che suggeriscono di inserire la dichiarazione nel corpo dell'atto (o comunque di allegarla allo stesso), dal tenore letterale della norma, e dal suo confronto con altre norme (in particolare con quelle relative alle note menzioni urbanistiche e ancor più specificamente, in tale ambito, con quelle che prevedono dichiarazioni sostitutive di atto notorio) che impongono espressamente tali inserimento o allegazione, potrebbe desumersi una non assoluta tassatività dell'obbligo di inserimento o allegazione della dichiarazione ex art. 35 D.l. 223/2006 all'atto di trasferimento ed una ricostruzione del concetto di "omissione" che consenta di non incorrere nelle conseguenze sanzionatorie qualora, contestualmente alla conclusione dell'atto, sia formata, e conservata per eventualmente essere prodotta agli uffici preposti alla registrazione (ai quali è presumibilmente demandata la verifica circa l'osservanza dell'obbligo), la dichiarazione delle parti nella forma e col contenuto richiesti dalla norma in esame. D'altra parte, anche nel caso di allegazione formale, la procedura di registrazione telematica degli atti attraverso "unico" è strutturata in modo che gli allegati non vengano inviati all'Agenzia delle Entrate contestualmente all'atto stesso, ma possano eventualmente essere richiesti in seguito ai fini della verifica da parte degli uffici fiscali della loro esistenza e correttezza.

Sembra altresì ragionevole ritenere che, in caso di omissione o incompletezza della dichiarazione, sia possibile "sanare" la mancanza in un momento successivo, tenuto conto della facoltà di "ravvedimento" e delle recenti aperture dell'Amministrazione fiscale in materia di omissione delle dichiarazioni necessarie (pena "decadenza") per ottenere i benefici "prima casa".

Connesso al problema del contenuto minimo della dichiarazione è quello della conseguente emersione di rapporti fra una delle parti e terzi, sottostanti al pagamento: ciò in particolare quando il pagamento provenga o sia destinato a soggetti diversi dalle parti stesse.

In tali casi, l'obbligo di specificazione delle analitiche modalità di pagamento imposto alle parti non comporta un parallelo obbligo di giustificare a che titolo il trasferimento delle somme dovute coinvolga terze persone. Neanche sembra sussistere un obbligo del Notaio di giustificare la non coincidenza fra soggetti del trasferimento dei fondi e parti dell'atto e di far menzione del rapporto sottostante.

Qualora si ritenga opportuno far emergere, o comunque emerga nel contesto dell'operazione la causa giustificatrice di tali pagamenti "anomali", e quindi il relativo rapporto sottostante - spesso legato ad uno spirito di liberalità (quale il classico caso del pagamento del prezzo da parte dei genitori dell'acquirente ... ) ovvero a fattispecie di altro genere assolutamente legittime (si pensi alle delegazioni di pagamento con scopo solutorio di precedenti obbligazioni ... ) - potranno eventualmente trovare applicazione:

- le norme relative all'enunciazione (se le parti del rapporto sottostante fossero anche parti dell'atto);

- quella relativa all'obbligo del Notaio di citare «gli estremi della registrazione degli atti soggetti a registrazione in termine fisso menzionati negli atti stessi» (art. 64 D.P.R. 131/1986) e quindi a controllare la regolarità fiscale del rapporto del quale si fa menzione (ricordando che numerose fattispecie negoziali, se riportate in un atto formato "mediante corrispondenza", sono soggette a registrazione non in termine fisso ma solo "in caso d'uso");

- o ancora la disposizione che rende fiscalmente irrilevanti i casi di «donazioni o altre liberalità collegate ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ... qualora per l'atto sia prevista l'applicazione dell'imposta di registro, in misura proporzionale, o dell'imposta sul valore aggiunto». (Comma 4-bis dell'art. 1 del D.lgs. 346/1990), ferma restando l'eventuale rilevanza che la conoscenza del rapporto sottostante potrebbe avere per valutare l'anomalia dell'operazione in relazione alla normativa antiriciclaggio.

Obblighi di segnalazione

Il problema che maggiormente coinvolge il Notaio a seguito dell'entrata in vigore degli obblighi di indicazione analitica delle modalità di pagamento è quello dell'emersione, e quindi della conoscenza diretta (in passato meno frequente, data la prassi di non procedere a tale indicazione), di una pluralità di casi limite e di fattispecie complesse, il cui inquadramento nell'ambito della disciplina antiriciclaggio e dei conseguenti obblighi di segnalazione è tutt'altro che agevole.

è ovvio che già prima dell'entrata in vigore del D.l. 223/2006 le stesse tipologie di pagamento potevano ingenerare dubbi di "legittimità" rispetto alla normativa dettata dal D.l. 143/1991 e dalle successive norme in materia di lotta al riciclaggio.

Nulla è cambiato, da tale punto di vista, con l'entrata in vigore del D.l. 223/2006. Nessun dubbio che l'obbligo di menzione delle modalità di pagamento non abbia inciso in via diretta sulla normativa antiriciclaggio. Non può d'altronde neanche ritenersi che la conoscenza delle specifiche modalità di pagamento da parte del Notaio, quale soggetto tenuto (in forza D.lgs. 20 febbraio 2004 n. 56 e del D.M. 3 febbraio 2006 n. 141) a collaborare con le autorità preposte alla lotta al riciclaggio e professionista in grado, per la funzione che gli è propria, di ricollegare passaggi di denaro frazionati ad una singola operazione, determini per ciò solo una diversa interpretazione delle norme e dei divieti previsti dalla disciplina antiriciclaggio, "in funzione" dell'obbligato alle segnalazioni.

Peraltro non si può negare che il coinvolgimento diretto del Notaio (e degli altri professionisti) quale soggetto attivo nell'impianto normativo diretto a contrastare il riciclaggio del denaro di provenienza illecita abbia riguardo alla conoscenza che il Notaio stesso può avere dell'operazione nel suo complesso (conoscenza spesso preclusa o limitata agli altri soggetti già destinatari degli obblighi oggi estesi ai Notai).

E' altrettanto scontato che il coinvolgimento diretto ed attivo del Notaio nella lotta al riciclaggio e la maggior frequenza con la quale, a seguito dell'entrata in vigore del D.l. 223/2006, egli viene a conoscenza delle modalità di trasferimento di denaro richiedono una particolare attenzione e padronanza della materia, onde inquadrare con esattezza le fattispecie irregolari ed i relativi obblighi di comunicazione.

Preliminarmente è utile ricordare che la normativa antiriciclaggio contempla due tipi di segnalazione a carico dei soggetti coinvolti in ruolo attivo:

- un obbligo di comunicazione al Ministero dell'Economia e delle Finanze delle infrazioni alle disposizioni dell'articolo 1 della legge antiriciclaggio (D.l. 143/1991) delle quali abbiano notizia, imposto dall'art. 7 del D.lgs. 56/2004;

- un obbligo di segnalazione all'ufficio italiano cambi delle "operazioni sospette", imposto dal secondo comma dell'art. 2 del D.lgs. 56/2004 e che trova il suo fondamento nell'art. 3 del D.l. 143/1991.

Entrambe le segnalazioni rientrano in senso lato nella disciplina della lotta al riciclaggio, ma non vi è dubbio che abbiano presupposti non omogenei da considerare separatamente.

E' il caso di ribadire che non rientra fra gli obblighi imposti al Notaio dalla normativa antiriciclaggio quello di inserire nell'archivio unico antiriciclaggio le modalità di pagamento, dato che il D.M. 141/2006 (e di conseguenza il Provvedimento dell'Uic del 24 febbraio 2006), in esecuzione della facoltà attribuita dal secondo comma dell'art. 3 del D.lgs. 56/2004 al Mef di «stabilire con regolamento ... il contenuto e le modalità di esecuzione degli obblighi» imposti dallo stesso D.lgs. 56 avuto riguardo «alle peculiarità operative dei soggetti obbligati» e «all'esigenza di contenere gli oneri gravanti sui medesimi», ha espressamente previsto fra i dati da inserire solo il «valore dell'oggetto della prestazione professionale» (per un'attenta disamina del problema si rinvia allo specifico studio del Cnn n. 14-2006/B).

La norma che detta obblighi e divieti in materia di trasferimenti economici e che per prima viene in considerazione al fine di valutare se il comportamento delle parti in ordine al pagamento del corrispettivo violi o meno le disposizioni dettate ai fini di lotta al riciclaggio è l'art. 1 del D.l. 3 maggio 1991 n. 143, nel quale è previsto che:

«è vietato il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in lire o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore da trasferire è complessivamente superiore a 12.500 euro … I vaglia postali e cambiari e gli assegni postali, bancari e circolari per importi superiori a 12.500 euro devono recare l'indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità … ».

Ai sensi dell'art. 7 del D.lgs. 56/2004, i soggetti destinatari degli obblighi imposti dalla normativa antiriciclaggio ed elencati nell'art. 2 del suddetto D.lgs. 56/2004 (tra cui i Notai) che «hanno notizia di infrazioni alle disposizioni di cui all'articolo 1 della legge antiriciclaggio ne riferiscono entro trenta giorni al Ministero dell'economia e delle finanze … ».

A normativa antiriciclaggio invariata, al fine di qualificare ed interpretare i casi dubbi non può prescindersi dalle interpretazioni e dalle prese di posizione ufficiali anche precedenti all'entrata in vigore del D.l. 223/2006.

La regola dettata dall'art. 1 del D.l. 143/1991, in vigore ormai già da anni nel suo tenore sostanziale, è stata più volte oggetto di interpretazione da parte di varie autorità. Particolare rilevanza assume il parere del Consiglio di Stato n. 1504/1995 (ampiamente illustrato nello studio del Cnn n. 442-2006/C) ripreso dal Ministero dell'Economia e delle Finanze nello studio a cura di Armando Mengali.

Entrambi tali documenti giungono alla stessa definizione e delimitazione del concetto sottinteso al termine "complessivamente" contenuto nel primo comma dell'art. 1, partendo da due possibili alternative:

- assegnare all'avverbio un valore "temporale" e quindi quello di rendere cumulabili i pagamenti effettuati in un determinato lasso di tempo, interpretazione in linea di massima non perseguibile in assenza di "una precisa delimitazione temporale" prevista dalla legge (infatti il concetto di "operazioni frazionate" contenuto del secondo comma dell'art. 3 del D.M. 141/2006 e derivante dal secondo comma dell'art. 2 del D.l. 625/1979 rileva al fine di far scattare l'obbligo di identificazione e registrazione del "cliente" e dell' "operazione", ma non è direttamente riferita al cumulo previsto dall'art. 1 del D.l. 143/1991);

- assegnare all'avverbio un valore oggettivo e quindi quello di rendere cumulabili solo «le varie specie di mezzi di pagamento indicate nella disposizione» nell'ambito dello stesso trasferimento (cioè sommando importi pagati contestualmente con denaro contante e titoli o libretti al portatore), interpretazione preferita in assenza di diversi dati testuali.

La conclusione è che la disposizione contenuta nel primo comma dell'art. 1 vada interpretata nel senso che (salvo il potere discrezionale dell'Amministrazione di valutare se nel singolo caso via sia scopo elusivo):

«a. in via generale, il divieto in essa previsto riguarda il trasferimento in unica soluzione di denaro, di libretti di deposito al portatore e di titoli al portatore per importo superiore a 12.500 euro, anche quando tale limite viene superato cumulando le suddette diverse specie di mezzi di pagamento;

b. in particolare, nel caso di più trasferimenti singolarmente di importo inferiore a 12.500 euro, ma complessivamente di ammontare superiore, sfuggono al divieto, perché tra loro non cumulabili, quelli relativi:

- a distinte ed autonome operazioni;

- alla medesima operazione, quando il frazionamento è connaturato all'operazione stessa (ad es. contratto di somministrazione) ovvero è la conseguenza di preventivo accordo tra le parti (ad es. pagamento rateale)».

Il principio è stato da ultimo ribadito dal Dipartimento provinciale del Ministero dell'Economia e delle Finanze di Verona con nota prot. 0910/segr. del 9 ottobre 2006 rivolta specificamente al Consiglio Notarile di Pordenone, nella quale è stata riaffermata l'interpretazione che «esclude l'applicazione del divieto quando, nell'ambito della medesima operazione, si convengono più pagamenti rateali in danaro o in titoli al portatore (separatamente o cumulativamente) ciascuno di somme inferiori al limite di legge».

Così qualificata la portata del divieto previsto dal primo comma dell'art. 1 del D.l. 143/1991, va altresì verificata la valenza della regola dettata dal secondo comma del medesimo articolo, che impone l'inserimento della clausola di non trasferibilità a vaglia ed assegni di importo superiore ad euro 12.500.

Nel suddetto comma, a differenza di quanto avviene nel primo, non si fa riferimento al cumulo di tali mezzi di pagamento: è quindi pacifico che, in presenza di una pluralità di assegni o vaglia, anche utilizzati nell'ambito di una medesima operazione ed anche contestualmente, l'eventuale violazione della regola dettata dal secondo comma dell'art. 1 del D.l. 143/1991 vada valutata in relazione al singolo mezzo di pagamento.

Peraltro, anche qualora sia evidente la violazione della norma che impone l'inserimento della clausola di non trasferibilità, l'obbligo di segnalazione dell'infrazione sembrerebbe gravare, ai sensi della seconda parte del primo comma dell'art. 7 del D.lgs. 56/2004, sulla banca che accetta il versamento del vaglia o dell'assegno.

A fronte dei sopra riportati divieti e obblighi imposti dall'art. 1 del D.l. 143/1991 e delle interpretazioni riportate, sembra di poter affermare che, anche se riferiti ad una singola operazione, non diano di per sé luogo automaticamente all'obbligo di segnalazione al Ministero dell'Economia e delle Finanze ai sensi dell'art. 7 del D.lgs. 56/2004:

- più pagamenti non contestuali, ciascuno di importo inferiore a 12.500 euro, effettuati in contanti (ovvero coi mezzi equiparati) in tempi diversi;

- più pagamenti contestuali, ciascuno di importo inferiore a 12.500 euro, effettuati in contanti (ovvero coi mezzi equiparati) da o a soggetti diversi;

- più pagamenti, contestuali o meno, ciascuno di importo inferiore a 12.500 euro, effettuati con titoli nominativi o all'ordine non recanti la clausola di intrasferibilità;

- un singolo pagamento, di importo inferiore a 12.500 euro, effettuato in contanti (ovvero con mezzi equiparati) o anche con un titolo nominativo o all'ordine non recante la clausola di intrasferibilità, nell'ambito di un'operazione che preveda un corrispettivo complessivo superiore a 12.500 euro, essendo i restanti pagamenti effettuati con mezzi conformi al disposto dell'art. 1 del D.l. 143/1991.

Qualche dubbio in più per il pagamento, di importo superiore a 12.500 euro, effettuato con un titolo nominativo o all'ordine non recante la clausola di intrasferibilità; come sopra accennato, la comunicazione, in questo caso, dovrebbe gravare sulla banca che accetta il titolo in versamento o lo estingue, ma va segnalato come tale interpretazione non sia pacifica per le autorità preposte alla vigilanza.

Problema diverso è quello di stabilire quando ed in presenza di quali elementi il Notaio sia tenuto a segnalare all'ufficio italiano cambi l'operazione come "sospetta", ai sensi dell'art. 9 del D.M. 141/2006.

E' evidente come lo stesso concetto di "sospetto" contenga in sé un margine di discrezionalità e soggettività tale da rendere impossibile un'elencazione preventiva, oggettiva e tassativa dei casi, e tanto meno delle «informazioni ... acquisite nell'ambito dell'attività professionale prestata» (così l'art. 11, primo comma del D.M. 141) che consentano di identificare tali casi.

Lo stesso ufficio italiano cambi, nel fornire ai professionisti un'elenco di "indicatori di anomalia" delle operazioni (nell'allegato C al Provvedimento del 24 febbraio 2006) precisa che tali indici «non costituiscono un riferimento esaustivo e di per sé sufficiente per l'individuazione delle operazioni da segnalare», essendo fra l'altro necessario «valutare la rilevanza in concreto dei comportamenti della clientela».

I criteri generali per valutare l'anomalia delle operazioni (caratteristiche, entità e natura dell'operazione, capacità economica e attività svolta dal cliente, profili di rischio ... ) sono integrati da elementi più specifici direttamente collegabili alla conoscenza delle modalità di pagamento.

Così la lettera g) dell'art. 4 del provvedimento Uic del 24 febbraio 2006 fa riferimento all'«ingiustificato impiego di denaro contante o di mezzi di pagamento non appropriati rispetto alla prassi comune ed in considerazione della natura dell'operazione», mentre nell'allegato C allo stesso provvedimento, fra gli indicatori di anomalia, si ritrovano varie tipologie fra le quali il fatto che:

- il cliente rifiuta o solleva obiezioni a pagare il prezzo di vendita con bonifico o assegno bancario anche se la somma è superiore a euro 12.500;

- il cliente intende regolare i pagamenti con una somma notevole di denaro in contanti;

- il cliente intende effettuare operazioni mediante l'impiego di denaro contante o di altri mezzi di pagamento non appropriati rispetto alla prassi comune ed in considerazione della natura dell'operazione, non giustificate dall'attività svolta o da altre circostanze;

- il cliente intende comprare un bene immobile con una somma notevole di denaro in contanti;

- il cliente compie operazioni caratterizzate da un ricorso ingiustificato all'impiego di denaro contante.

Come si nota, tali indici hanno particolare attenzione per l'impiego dei mezzi di pagamento in generale e di denaro contante in particolare ed altrettanta dovrà essere l'attenzione del Notaio nel valutare la "non normalità" di operazioni che richiedano il suo intervento, anche attraverso la conoscenza di modalità di pagamento che risultino anomale non solo di per sé, ma soprattutto in relazione ad altri elementi noti al professionista; per questo va ribadito che "spetterà al Notaio, e solo al Notaio" (in assenza di indicazioni oggettive valide in assoluto) decidere se la specifica operazione risulti "sospetta" e conseguentemente attivarsi per la relativa segnalazione.

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