Le dichiarazioni sostitutive di atto notorio di cui all'art. 35 comma 22 del decreto Bersani, anche alla luce della normativa antiriciclaggio
Le dichiarazioni sostitutive di atto notorio di cui all'art. 35 comma 22 del decreto Bersani, anche alla luce della normativa antiriciclaggio [*]
di Marco Krogh
Notaio in Mugnano di Napoli
Finalità della nuova normativa
Le nuove prescrizioni imposte dal comma 22 dell'art. 35 nel decreto-legge 223 del 2006 costituiscono un completamento ed uno sviluppo della disciplina introdotta dal comma 497 dell'art. 1 della legge finanziaria 2006, emanata, come fu messo in evidenza dall'allora Ministro dell'Economia Giulio Tremonti, non con finalità di gettito, ma per una scelta che andava nel senso della «civiltà e della correttezza fiscale» e che avrebbe prodotto effetti molto rilevanti sul sistema. [nota 1]
Infatti, la disciplina, che con un'espressione sintetica è definita del c.d."prezzo-valore" - per evidenziare la netta separazione concettuale tra i due termini di riferimento ai fini della tassazione dell'atto - ha reso più trasparente l'assetto negoziale tra le parti contrattuali, rimuovendo l'ostacolo che, di fatto, rendeva poco frequente la dichiarazione del prezzo reale nell'atto notarile. [nota 2]
Come è noto, il legislatore, con la legge n. 154 del 1986, modificando l'art. 52 del T.U. n. 131 del 1986, disponeva, tra l'altro, al IV comma che «non sono sottoposti a rettifica il valore o il corrispettivo degli immobili, iscritti in catasto con attribuzione di rendita, dichiarato in misura non inferiore, per i terreni, a settantacinque volte il reddito dominicale risultante in catasto e, per i fabbricati, a cento volte il reddito risultante in catasto, aggiornati con i coefficienti stabiliti per le imposte sul reddito, né i valori o corrispettivi della nuda proprietà e dei diritti reali di godimento sugli immobili stessi dichiarati in misura non inferiore a quella determinata su tale base a norma degli articoli 47 e 48».
Con questa prescrizione, quindi, il legislatore, da un lato, disponeva che non si sarebbe proceduto ad accertamento di valore se il prezzo dichiarato era almeno pari alla rendita catastale dell'immobile capitalizzata secondo determinati coefficienti e, dall'altro imponeva, comunque, la tassazione del maggior valore nel caso in cui il prezzo dichiarato fosse di importo superiore al «valore dell'immobile determinato ai sensi dell'articolo 52, commi 4 e 5» T.U.R., comunemente denominato "valore catastale".
La norma, sebbene, rispondesse ad una ferrea logica fiscale e giuridica, era poco comprensibile per l'utente che non poteva che ritenerla, secondo la logica del buon senso comune, decisamente ingiusta e ciò aveva, di fatto, determinato una ricorrente dichiarazione di prezzo, negli atti relativi alle cessioni di immobili, corrispondente al valore catastale o, più precisamente al minimo valore tassabile senza rischio di accertamento di valore, con conseguente simulazione del prezzo reale.
Questo fenomeno avveniva anche perché il contribuente amplificava l'importanza della regola del c.d. valore catastale, derivante dalla disposizione dell'art. 52, commi quarto e quinto, T.U.R., trascurando il disposto degli artt. 51 e 72 T.U.R, pur vigenti, che ridimensionava la reale portata della regola stessa, all'interno di un sistema che si caratterizzava per la sua ambiguità (e ciò anche quando il Notaio, svolgendo la sua funzione di consulenza e di informazione, evidenziava il quadro normativo complessivo).
Tuttavia, dalla simulazione del prezzo, come è noto, derivano gravi conseguenze, certamente non compensate, o non sempre compensate dal minor carico fiscale sopportato dalle parti al momento del perfezionamento della cessione immobiliare.
Sotto quest'aspetto, dunque, la nuova disciplina ha eliminato all'interno delle cessioni immobiliari, ogni giustificazione al ricorso alla simulazione del prezzo, quanto meno in quei casi in cui l'occultamento di una parte di prezzo non ha altre finalità se non quella di risparmio dell'imposta di registro (ed accessorie), con sicuri vantaggi per i contraenti derivanti dall'abbandono di una situazione di illegalità e da un assetto negoziale improntato alla correttezza ed alla trasparenza. Vantaggi quest'ultimi circoscritti alle parti, ma sicuramente di grande rilevanza sociale.
Il recupero di trasparenza per le contrattazioni, che non avevano altro scopo se non quello legato alla minor imposizione fiscale, ha consentito altresì, la realizzazione di altre due finalità, di carattere più marcatamente di rilevanza pubblica:
a. una, che può sinteticamente definirsi "selettiva", consistente nell'isolamento di quelle fattispecie in cui l'occultamento del prezzo risponde non a finalità di risparmio d'imposta sull'atto di cessione, ma, più verosimilmente, all'intento di "riciclare" denaro secondo le più svariate modalità, ivi compresa l'ipotesi del c.d. auto-riciclaggio;
b. un'altra, che può definirsi di "monitoraggio", consistente nell'acquisizione, sia dei valori reali degli immobili, in un'ottica di revisione degli estimi catastali più aderente alla realtà del mercato, sia della potenziale capacità reddituale e contributiva dei protagonisti delle contrattazioni immobiliari.
La nuova disciplina costituisce un passo avanti o, forse, una messa a punto, rispetto a questa prima novità introdotta dalla finanziaria 2006.
Il legislatore, evidentemente, sulla base dei primi dati emersi dal nuovo sistema, ha riscontrato che la percentuale di atti che rispettavano il nuovo dettato normativo era ancora insoddisfacente e che, di conseguenza, occorresse, non tanto consentire una libera scelta - indifferente sul piano dell'imposizione fiscale -, all'utente in una prospettiva di allineamento spontaneo ad un nuovo concetto di "lealtà fiscale", ma occorresse imporre un obbligo espresso e testuale in tal senso e severe sanzioni, quali deterrenti alla violazione dell'obbligo stesso.
Un secondo dato emerso da questa prima fase applicativa che, molto probabilmente, ha determinato le nuove scelte contenute nel comma 22 in esame e nelle altre norme del D.l. Bersani - Visco (nella parte che ha modificato il sistema di tassazione dei trasferimenti immobiliari), è il forte divario tra i valori catastali ed i prezzi reali.
Circostanza quest'ultima che, verosimilmente, sembra confermata dall'ulteriore riduzione degli onorari notarili del 30%, per le fattispecie disciplinate dal citato comma 497, in luogo del 20% stabilito nella finanziaria del 2006, in un'ottica, non di penalizzazione della categoria notarile, quanto di alleggerimento dell'onere economico dei contribuenti in questo percorso verso la trasparenza nel settore immobiliare.
Dunque, le prescrizioni contenute nel comma 22, così come l'espresso obbligo di indicare nell'atto il corrispettivo pattuito, costituiscono un radicale cambiamento dell'atteggiamento del legislatore rispetto alle contrattazioni immobiliari determinato, non solo dalla palesata volontà di mettere a punto, in modo più aderente alla realtà, la tassazione delle cessioni immobiliari, ma anche dalla volontà di far emergere ed isolare i casi in cui la contrattazione immobiliare può costituire un mezzo per riciclare beni o denaro di provenienza illecita ovvero che non sia giustificata dalla capacità contributiva "ufficiale" dei contraenti. Anzi, a ben vedere, il comma 22 citato, inserito nell'art. 35 che si intitola "Misure di contrasto dell'evasione e dell'elusione fiscale" appare finalizzato, per i motivi sopra esposti, in modo marcato, all'emersione di ricchezza, non solo da tassare ma anche da isolare e valutare per comprenderne la provenienza lecita o illecita. [nota 3]
Mentre l'obbligo contenuto nel comma 21 dell'art. 35 del decreto in esame appare più specificamente orientato a far emergere ed acquisire dati relativi alla capacità contributiva delle parti contraenti ed al valore reale degli immobili oggetto di contrattazione, gli obblighi imposti nel successivo comma 22 appaiono finalizzati, in modo più diretto a mettere l'amministrazione finanziaria nelle condizioni di verificare se ci sia coincidenza tra il soggetto da cui proviene il pagamento e l'acquirente e tra il soggetto che riceve il pagamento ed il venditore, in altre parole a tracciare il percorso finanziario dell'operazione immobiliare.
Ambito di applicazione
Sebbene, come accennato, il comma 22 si propone per più di un aspetto come un completamento ed uno sviluppo degli obiettivi già delineati dal legislatore con la disciplina del c.d. "prezzo-valore" contenuta nel citato comma 497, [nota 4] va evidenziato che l'ambito di applicazione delle due discipline non coincide.
La norma della finanziaria del 2006, invero, si riferisce, per disposizione espressa, alle «sole cessioni fra persone fisiche che non agiscano nell'esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze» mentre la disposizione contenuta nel comma 22 si riferisce genericamente a tutte le ipotesi di «cessione dell'immobile, anche se assoggettata ad Iva» verso il «pagamento del corrispettivo».
Già da una lettura superficiale delle due disposizioni emerge, in tutta evidenza, la maggior estensione del perimetro applicativo della seconda disposizione, che si riferisce genericamente agli "immobili" e non solo «agli immobili ad uso abitativo e relative pertinenze» e che non contiene alcuna limitazione relativamente ai soggetti del contratto, che non devono necessariamente essere «persone fisiche che non agiscano nell'esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali».
Il motivo di questo diverso ambito di applicazione delle due norme va, a mio avviso, individuato nelle diverse finalità che, allo stato attuale, realizzano le due norme. Le disposizioni contenute nel comma 497 (dell'art. 1 della finanziaria 2006) intendono "agevolare" la tassazione di una certa tipologia di atti tra determinati soggetti, avendo notevolmente ridimensionato, questa norma, con l'entrata in vigore del comma 22 (dell'art. 35 del D.l. Bersani Visco) altre finalità di carattere più generale; quest'ultima disposizione, invece, non ha alcun riferimento alla tassazione dello specifico atto (se non in via sanzionatoria) avendo, al contrario, la finalità di acquisire dati ed informazioni "sensibili" riferite alle parti contrattuali, all'oggetto del contratto ed agli intermediari immobiliari, da utilizzare nell'ambito del più generale sistema fiscale per contrastare l'evasione e l'elusione fiscale.
Passando ad un esame più specifico dell'ambito di applicazione delle disposizioni contenute nel comma 22 citato, va innanzitutto precisato che il legislatore, nel prescrivere il contenuto delle dichiarazione che le parti devono rendere all'atto della cessione di un immobile, si propone due diverse e distinte finalità: una prima dichiarazione attiene alle modalità di pagamento del prezzo e si propone finalità di trasparenza nel mercato immobiliare con propositi antievasione ed antielusione riferiti alle parti contrattuali; la seconda dichiarazione, invece, riguarda aspetti che riguardano i contratti conclusi mediante l'opera del mediatore e coinvolge pertanto un soggetto estraneo all'atto con la finalità di contrastare l'evasione e l'elusione fiscale nel settore della mediazione immobiliare.
I diversi obiettivi e l'assenza di ogni legame tra una dichiarazione e l'altra consentono di ritenere che sia possibile circoscrivere un'area applicativa della norma diversificata per le due tipologie di dichiarazione, laddove non ci sia coincidenza tra gli elementi minimi richiesti per poter rendere una dichiarazione rispetto all'altra.
Area applicativa della norma relativamente all'indicazione analitica
delle modalità di pagamento del corrispettivo
Per quanto attiene l'ambito di applicazione relativo alla dichiarazione riguardante l'indicazione analitica delle modalità di pagamento del prezzo, una prima riflessione va fatta sulla terminologia usata dal legislatore: come primo elemento identificativo della fattispecie è usata la locuzione «cessioni di immobili». Il riferimento, dunque, non è ad un atto o contratto tipico, ma ad una prestazione (ed al suo oggetto) che può essere contenuta in più contratti e, nel periodo immediatamente successivo, la norma pone, implicitamente, il secondo elemento identificativo della fattispecie, legato in modo sinallagmatico al primo: «il pagamento del corrispettivo».
Più precisamente la prima parte del comma 22 prescrive: «all'atto della cessione dell'immobile, anche se assoggettata ad Iva, le parti hanno l'obbligo di rendere apposita dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà recante l'indicazione analitica delle modalità di pagamento del corrispettivo».
Riguardo alla «cessione dell'immobile» va osservato che il legislatore definisce l'oggetto diretto della prestazione: "l'immobile" ma non il diritto che può essere riferito all'oggetto stesso, il termine cessione, inoltre, lascia spazio all'interrogativo se la norma si riferisca alle sole fattispecie traslative in senso stretto o anche a quelle di tipo derivativo-costitutive.
Seguendo l'impianto letterale della norma, vanno, pertanto, innanzitutto esclusi i diritti personali che, come è noto, hanno ad oggetto "comportamenti" e non res, anche se i comportamenti possono avere come riferimento beni immobili. Seguendo questo ragionamento, di conseguenza, non rientra nel novero della nuova norma il contratto preliminare, avendo ad oggetto non la cessione di immobili ma un obbligo a contrarre, così come il contratto di locazione immobiliare. Rientrano, invece, il patto di opzione, la proposta irrevocabile e più genericamente gli atti pre-negoziali (proposta ed accettazione) essendo elementi direttamente coinvolti nel perfezionamento della fattispecie contrattuale.
Vanno del pari esclusi i diritti di garanzia, in quanto l'eventuale cessione dell'immobile, a seguito dell'espropriazione forzata, costituisce un effetto eventuale della costituzione del diritto di garanzia e, quindi si pone, al di fuori della previsione normativa che fissa anche il dato temporale preciso in cui rendere le relative dichiarazioni: «all'atto della cessione».
Restano, oltre alla proprietà, i diritti reali di godimento. Infatti, se nessun dubbio sussiste relativamente al trasferimento della proprietà (sia piena che nuda), non pochi dubbi sussistono relativamente all'inclusione all'interno della fattispecie dei diritti reali di godimento e, quindi del diritto di usufrutto, di superficie, di uso, di abitazione e delle di servitù.
Le possibili interpretazioni della disposizione, mancando un dato testuale espresso, sono due:
1. una prima, che valorizzi il dato testuale ed interpreti, quindi, il termine "cessione" come dismissione che un soggetto compie della res; evento che si verifica solo con il trasferimento della proprietà dell'immobile: in tal caso, dunque l'ambito di applicazione del comma 22 dell'art. 35 andrebbe circoscritto esclusivamente a queste ipotesi. Come argomento a favore di questa interpretazione, va evidenziato che il legislatore allorquando ha inteso includere all'interno dell'area applicativa di una norma, oltre al diritto di proprietà anche i diritti reali di godimento lo ha prescritto espressamente (si pensi, ad esempio, alla legislazione urbanistica [nota 5] laddove si fa espresso riferimento agli atti di "trasferimento" e di "costituzione" di diritti reali);
2. una seconda che, al contrario, interpreti il dato testuale impreciso dando rilievo all'insieme sistematico delle norme che disciplinano la base imponibile dei contratti traslativi o costitutivi di diritti reali ed i presupposti per l'accertamento di valore relativi a questa tipologia di contratti, [nota 6] ritenendo irragionevole creare una frattura e, quindi, separare fattispecie che, all'interno della normativa fiscale sono normalmente disciplinate in modo unitario per identità degli interessi (fiscali) protetti.
Questa seconda interpretazione, sebbene non convinca del tutto per l'equivocità del dato letterale che sembra urtare anche con il disposto dell'art. 2 del D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 («le sanzioni amministrative previste per la violazione di norme tributarie … possono essere irrogate solo nei casi espressamente previsti»), trova, tuttavia, solidi argomenti sistematici all'interno della normativa fiscale, dove spesso situazioni disomogenee civilisticamente sono considerate, al contrario, omogenee in un'ottica impositiva e contributiva. [nota 7]
D'altronde non si deve trascurare che le prescrizioni contenute nel comma 22 hanno finalità antielusive ed antievasive riferite non all'atto di cessione immobiliare (come meglio si preciserà in seguito) ma al più generale sistema fiscale all'interno del quale le dichiarazioni contenute nell'atto di cessione costituiscono un mezzo per monitorare il mercato immobiliare dal punto di vista della capacità contributiva delle parti contraenti, del reale valore degli immobili oggetto di contrattazione e per contrastare il fenomeno dell'evasione all'interno del settore dell'intermediazione immobiliare.
E' evidente che queste finalità che il legislatore intende perseguire con l'inserimento all'interno degli atti di cessione immobiliare di determinate dichiarazioni sostitutive di atto notorio, trovino una loro radice omogenea sia all'interno di trasferimento della proprietà che in quelli di costituzione dei diritti reali di godimento, con una forte riserva per le servitù la cui inclusione all'interno della fattispecie in esame, per l'eccessiva distanza che le separa dal concetto di «cessione immobiliare», è al confine tra un'interpretazione del dato letterale "estensiva" ed "analogica", quest'ultima preclusa dalla tipologia (eccezionale) della norma stessa (ex artt. 12 e 14 delle disp. sulla legge in generale).
Giova ricordare, in proposito anche quanto affermato dalla Suprema Corte nella recente sentenza in data 4 novembre 2003 n. 16495, in tema di interpretazione del termine "trasferimento" ai fini dell'applicazione della maggior aliquota del 15% prevista dal T.U.R. agli atti di costituzione di servitù sui terreni agricoli.
La Suprema Corte giunge alla conclusione che «il termine "trasferimento" contenuto nell'art. 1, della tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986 è stato adoperato dal legislatore per indicare tutti quegli atti che prevedono il passaggio da un soggetto ad un altro della proprietà di beni immobili o della titolarità di diritti reali immobiliari di godimento e non può essere riferito agli atti che costituiscono diritti reali di godimento come la servitù, la quale non comporta trasferimento di diritti o facoltà del proprietario del fondo servente ma compressione del diritto di proprietà di questi a vantaggio di un determinato fondo (dominante)». [nota 8]
D'altronde, va considerato che anche un'interpretazione della norma sulla base di un'analisi "costi-benefici" ci porterebbe ad escludere dal novero dei diritti reali, da includere nell'area applicativa del comma 22 in esame, i diritti reali di godimento. Invero, tenuto conto che le vere finalità della norma non riguardano la tassazione dello specifico atto di «cessione immobiliare» ma riguardano l'acquisizione da parte dell'Amministrazione finanziaria di dati ed informazioni, da utilizzare in via più generale, riguardanti il reale valore degli immobili e la capacità contributiva delle parti contrattuali, riterrei che dagli atti di costituzione di servitù, in concreto, l'Amministrazione finanziaria stessa non otterrebbe alcun dato significativo tale da bilanciare gli adempimenti imposti alle parti negoziali e giustificare un'interpretazione così estensiva (o più verosimilmente analogica) del dato letterale.
Dunque, riguardo all'oggetto della prestazione descritta nella prima parte del comma 22 si può affermare che la nuova disposizione includa, nel suo insieme, oltre al trasferimento della proprietà anche la costituzione ed il trasferimento di diritti reali di godimento (salvo quanto sopra detto per le servitù), mentre escluda i diritti personali, anche se riferiti a beni immobili ed i diritti reali di garanzia. [nota 9]
Rispetto, invece, alla controprestazione indicata nel punto successivo del comma 22, la disposizione si riferisce al pagamento del corrispettivo, qualificando, in tal modo anche il profilo causale dei contratti che rientrano nella prescrizione della nuova norma, includendo quelli a prestazioni corrispettive ed escludendo gli altri.
Se è vero che nel termine "corrispettivo" può essere, astrattamente, ricompresa qualunque controprestazione posta in relazione sinallagmatica con la cessione dell'immobile, anche se diversa dal prezzo, il termine "pagamento" usato dal legislatore e la successiva richiesta di indicazione analitica delle modalità di pagamento non possono non far ragionevolmente ritenere che la norma si riferisca esclusivamente alle obbligazioni pecuniarie. [nota 10]
Peraltro, l'indicazione analitica delle modalità di pagamento ha un suo preciso significato se riferita alle obbligazioni pecuniarie, nella più ampia prospettiva di far emergere e rendere trasparenti gli spostamenti finanziarie legati alle cessioni immobiliari, poco significativa, al contrario, sarebbe la prescrizione normativa se riferita ad una prestazione di fare o alla dazione di una res infungibile: in entrambi i casi l'oggetto della prestazione deve comunque essere descritto in modo determinato.
Dunque, nel perimetro della nuova disciplina rientrano, senza alcun dubbio, le compravendite, le assegnazioni di alloggi da cooperativa; possono rientrare le transazioni, e, più genericamente, ogni altro contratto, con causa tipica o atipica, a prestazioni corrispettive in cui una delle prestazioni abbia ad oggetto la cessione d'immobili e l'altra un'obbligazione pecuniaria.
Sono, di conseguenza, escluse le permute (salvo che per l'eventuale conguaglio in denaro), sia quelle tipiche che quelle atipiche, le divisioni senza conguaglio, le donazioni (anche se fosse previsto un onere accessorio non potendo, quest'ultimo in nessun caso essere qualificato come corrispettivo, salvo a snaturare il profilo causale della donazione stessa), le rinunce pure e semplici a diritti reali immobiliari. Ipotesi particolare è rappresentata dal negozio misto con donazione di cui fa cenno l'art. 25 del T.U. n. 131 del 1986 [nota 11] che, per la parte a titolo oneroso, è soggetto all'imposta di registro ed è, pertanto, da assoggettare anche alla nuova disciplina prevista dal comma 22.
Fattispecie contrattuali che meritano qualche ulteriore riflessione sono:
a. le divisioni con conguaglio [nota 12] le quali, tuttavia, tenuto conto che nel sistema fiscale il pagamento del conguaglio segue la stessa disciplina dei trasferimenti a titolo oneroso, a tutti gli effetti, è sicuramente preferibile, ritenere che rientri nella disciplina del comma 22 anche questa fattispecie contrattuale;
b. il mandato irrevocabile con dispensa dall'obbligo di rendiconto che a norma dell'art. 33 del T.U. n. 131 del 1986 è assoggettato all'imposta stabilita per l'atto per il quale è stato conferito: in questo caso, se è vero che esiste una presunzione assoluta di onerosità, ai fini della tassazione dell'atto, è anche vero che il corrispettivo non rientra nello schema causale del contratto stesso, o più precisamente, l'eventuale corrispettivo potrebbe essere riferito al mandato, ma non alla cessione dell'immobile. Non sembrano, pertanto, applicabili né le disposizioni relative alle dichiarazioni sostitutive né quelle relative alle sanzioni amministrative da euro 500,00 ad euro 10.000,00 per il caso di omessa, incompleta o mendace dichiarazione. Il mandato, tuttavia, nei casi in cui si riferisca - indirettamente - proprio ad una di quelle "cessioni" disciplinate dal comma 497 art. 1 legge n. 266 del 2005, sarà escluso dal potere di rettifica del valore, ex commi 4 e 5 art. 52 T.U. n. 131 del 1986, in quanto risulterebbe inapplicabile alla fattispecie il nuovo comma 5-bis aggiunto al citato art. 52 dalla legge n. 248 del 2006;
c. i contratti di cessione d'immobile a prezzo indeterminato, i quali, ai fini dell'applicazione dell'imposta di registro sono disciplinati dall'art. 35 del T.U. 131 del 1986 il quale dispone che laddove il corrispettivo debba essere determinato posteriormente alla stipulazione del contratto «l'imposta è applicata in base al valore dichiarato dalla parte che richiede la registrazione, salvo conguaglio o rimborso dopo la determinazione definitiva del corrispettivo, da denunciare a norma dell'art. 19» (del T.U. n. 131 del 1986); nulla osta a far rientrare quest'ipotesi nella disciplina del comma 22 in esame. Le dichiarazioni sostitutive di atto notorio, conterranno gli elementi noti al momento del perfezionamento dell'atto: relativamente alle modalità di pagamento del prezzo, si riferiranno agli acconti già pagati e per la parte eventualmente ancora da pagare (all'esito della esatta determinazione del prezzo) la fattispecie presenterà gli stessi aspetti e problematiche di una normale cessione immobiliare con prezzo dilazionato (o in parte dilazionato); per quanto attiene, la mediazione, l'atto potrà contenere tutti i dati richiesti se non è intervenuta la mediazione o se è intervenuta ed è stata interamente già pagata la provvigione, nel caso in cui la provvigione non è stata ancora determinata o pagata interamente potranno essere indicate le percentuali di riferimento e gli acconti già pagati; non sembra che sia necessario allegare una specifica dichiarazione sostitutiva di atto notorio alla denuncia da presentare ai sensi dell' art. 19 T.U. 131 del 1986, in quanto non sembra che il comma 22 prenda in considerazione eventi che si verificano successivamente «all'atto della cessione dell'immobile» unico momento qualificante preso in considerazione dalla norma stessa;
d. i contratti sottoposti a condizione sospensiva (sia juris che facti), per i quali, al momento della loro conclusione non può aversi pagamento del corrispettivo, in quanto gli effetti sono sospesi. Inoltre la norma in esame espressamente prevede che la dichiarazione sia resa «all'atto della cessione dell'immobile», quindi, in un momento ben preciso che non coincide, in questo caso, con il perfezionamento del contratto, ma con l'avveramento (o il mancato avveramento) della condizione. Le dichiarazioni sostitutive, pertanto, dovranno essere contenute nel successivo atto di avveramento (o mancato avveramento) . Al contrario, nel caso la cessione di immobile sia sottoposta a condizione risolutiva, producendosi tutti gli effetti sin dal momento del perfezionamento del contratto (salvo la successiva risoluzione) le relative dichiarazioni dovranno essere rese nel contratto stesso. Queste conclusioni, riterrei, sono confermate anche per la dichiarazione relativa all'eventuale mediazione dalla lettera dell'art. 1757 c.c. che espressamente prevede:
i. «Provvigione nei contratti condizionali o invalidi.
ii. Se il contratto è sottoposto a condizione sospensiva, il diritto alla provvigione sorge nel momento in cui si verifica la condizione.
iii. Se il contratto è sottoposto a condizione risolutiva, il diritto alla provvigione non viene meno col verificarsi della condizione.
iv. La disposizione del comma precedente si applica anche quando il contratto è annullabile o rescindibile, se il mediatore non conosceva la causa d'invalidità»;
e. le vendite obbligatorie e le vendite con patto di riservato dominio dando luogo ad effetti traslativi rientrano certamente nell'ambito di applicazione della nuova norma. L'unico interrogativo che può sorgere è relativo al momento in cui vanno rese le dichiarazioni sostitutive di atto notorio. Il criterio, a mio avviso, deve prescindere dalle problematiche relative alla natura giuridica delle singole figure contrattuali, per privilegiare, invece, una soluzione che sia aderente alle finalità delle prescrizioni imposte: se al momento della sottoscrizione del contratto è già avvenuto un principio di pagamento del corrispettivo ovvero il corrispettivo è interamente pagato, le parti dovranno rilasciare la relativa dichiarazione sostitutiva di atto notorio relativa all'indicazione analitica delle modalità di pagamento del corrispettivo, così come quella relativa all'eventuale intervento di un mediatore, astrattamente configurabile al momento della conclusione del contratto;
f. le cessioni di azienda, qualora tra i beni aziendali siano compresi immobili: a seconda che si privilegi la sua natura giuridica di universalità ovvero di insieme di beni che mantengono una loro specifica individualità (soprattutto ai fini fiscali) si dovrà optare per la sua inclusione o esclusione dalla disciplina prevista dal comma 22 in esame. Sicuramente in una prima fase applicativa della norma, in attesa di specifici chiarimenti (ed interpretazioni consolidate), sarà opportuno, in via prudenziale, far rendere le suddette dichiarazioni all'interno dei relativi atti.
Sono, invece, esclusi i contratti costitutivi di rendita, i conferimenti di immobili in società, le assegnazioni di beni immobili in natura da parte di società ai soci, nei quali può riscontrarsi una prestazione avente ad oggetto la cessione di un immobile, un corrispettivo come controprestazione, ma non il pagamento (attuale o pregresso) di una somma di denaro.
Non rientrano, a maggior ragione, nel paradigma previsto dalla norma le operazioni di trasformazione, le fusioni e le scissioni societarie tenuto conto, per queste ultime, sia del particolare schema causale che richiama la successione universale e non la cessione immobiliare verso corrispettivo e sia per considerazioni di carattere sistematico all'interno dei principi ricavabili dal T.U. n. 131 del 1986, in quanto si tratta di fattispecie nelle quali è assente qualunque elemento sintomatico di una qualche capacità contributiva da parte dei soggetti protagonisti della vicenda negoziale.
L'uso della locuzione, generica «cessione dell'immobile» potrebbe far ritenere che rientrino nella fattispecie disciplinata dal comma 22 in esame, anche le operazioni di vendita, all'incanto e senza incanto, delegate dall'autorità giudiziaria al Notaio (o agli altri professionisti abilitati), tuttavia un esame ragionato della norma ed una sua lettura logico-sistematica non può che portare alla conclusione che le operazioni di vendita di cui all'art. 591-bis c.p.c., non siano soggette ai nuovi obblighi attinenti il rilascio delle dichiarazioni sostitutive di atto notorio di cui al comma 22 in esame.
Invero, le dichiarazioni sostitutive di atto notorio, come meglio si preciserà in seguito, sono richieste allo scopo di attribuire alla dichiarazione delle parti un valore probatorio qualificato, legato ad un preciso dovere, a carico delle parti stesse, di dichiarare il vero e come tale, soggetto a sanzioni di carattere penale ed amministrativo. All'interno delle operazioni di vendita forzata (all'incanto e non) delegata al Notaio, invece, gli elementi che attengono al prezzo ed alle modalità di pagamento dello stesso, essendo inseriti in una procedura, di tipo giurisdizionale, in cui è già tutto dettagliatamente previsto dalla legge, nel superiore interesse pubblico all'imparzialità ed alla trasparenza della procedura stessa, non c'è spazio per dichiarazioni di parte (anche sostitutive di atto notorio) che si sovrappongano o interferiscano con il rigoroso iter procedurale previsto dalla legge.
D'altronde le dichiarazioni sostitutive di atto notorio devono essere rese e sottoscritte dalle parti «all'atto della cessione dell'immobile», momento che coincide con l'emissione del decreto di trasferimento ad opera del giudice ed all'interno del quale non c'è "spazio" per l'inclusione di eventuali dichiarazioni di parte; né è sostenibile che le dichiarazioni stesse possano essere rese al momento dell'aggiudicazione provvisoria all'interno del verbale delle operazioni di vendita, in quanto il medesimo per espressa previsione di legge «è sottoscritto esclusivamente dal professionista delegato ed allo stesso non deve essere allegata la procura speciale di cui all'articolo 579, secondo comma» (art. 591-bis c.p.c.), mentre le dichiarazioni sostitutive di atto notorio richiedono, quale elemento essenziale delle stesse (e salvo i casi d'impossibilità o incapacità a sottoscrivere) la sottoscrizione delle stesse da parte dei dichiaranti.
Va, poi, aggiunto che, da un punto di vista sistematico, l'indicazione analitica delle modalità pagamento del prezzo, nelle operazioni di vendita forzata (sia all'incanto che non), è una circostanza già prevista e disciplinata all'interno della procedura da numerose norme: dall'art. 571 c.p.c. per le offerte di vendita non all'incanto, dall'art. 576 c.p.c., per le vendite all'incanto, dall'art. 585 c.p.c. che espressamente disciplina il versamento del prezzo nelle operazioni di vendita forzata. Tutte queste norme evidenziano l'esistenza di atti di natura amministrativa, inseriti in un'attività giurisdizionale, in senso lato, che godono già di fede privilegiata e che non possono subire alcuna interferenza con dichiarazioni emesse dalle parti private coinvolte nella procedura.
Alle stesse conclusioni deve pervenirsi in tutti i casi in cui la cessione immobiliare costituisce l'effetto non di un'attività negoziale in senso stretto, ma è, piuttosto, un segmento di una procedura amministrativa già legalmente disciplinata in tutto il suo iter, all'interno della quale la determinazione del prezzo e delle sue modalità di pagamento sono già acquisite dalla pubblica amministrazione in forza di atti e provvedimenti che godono di fede privilegiata. Procedure, peraltro, che precludono un'attività di mediazione in senso tecnico e che, pertanto, anche sotto questo aspetto rendono inutile qualunque dichiarazione resa dalle parti.
A conclusioni diverse deve, invece, giungersi nei casi in cui la cessione dell'immobile avvenga attraverso l'utilizzo di uno schema contrattuale privatistico, sebbene a monte di esso ci siano procedure amministrative nella scelta degli acquirenti, nella predeterminazione del "prezzo", ovvero in altri elementi che caratterizzeranno il contenuto del contratto (si pensi alle ipotesi di alienazioni ex legge n. 560/93, di dismissioni immobiliari ex D.l. 351/2001 convertito in L. 410/2001, ecc.). In questi casi, la scelta dello strumento contrattualistico obbliga le parti al rispetto di tutti i requisiti ed obblighi imposti dalla legge per questa tipologia negoziale e, di conseguenza, obbliga al rispetto anche delle nuove disposizioni previste dal comma 22 in esame, sebbene, in questi casi, la disciplina stessa avrà un'efficacia attenuata (o addirittura inutile) in quanto superata dall'iter amministrativo a monte del contratto.
Area applicativa della norma relativamente all'intervento del mediatore nella conclusione del contratto
L'ambito di applicazione della norma, relativamente all'intervento di mediatori nella conclusione del contratto, non sembra invece condizionato dalla circostanza che il corrispettivo della cessione dell'immobile sia rappresentato o meno da un'obbligazione pecuniaria.
Sebbene sarà quest'ultima l'ipotesi più frequente, potranno, in concreto, presentarsi operazioni immobiliari che si perfezionano mediante l'opera di un mediatore ed il cui corrispettivo è rappresentato da una prestazione di fare o dalla dazione di un altro bene.
Non appare ragionevole ritenere che le finalità che il legislatore intende perseguire con la prescrizione di questa seconda dichiarazione possano rimanere inattuate per l'assenza di un corrispettivo in denaro.
In tutte le ipotesi in cui interverrà una cessione immobiliare e sia astrattamente configurabile l'intervento di un mediatore sarà necessario per le parti contrattuali rendere la dichiarazione prescritta dal comma 22.
Di conseguenza, i contraenti dovranno rendere la relativa dichiarazione sostitutiva di atto notorio, oltre che nei contratti indicati nel paragrafo "Area applicativa della norma relativamente all'indicazione analitica delle modalità di pagamento del corrispettivo", anche nelle permute tipiche e nelle permute atipiche, negli atti di conferimento immobiliare in società, nelle costituzioni di rendita vitalizia e perpetua ed in ogni altro contratto in cui ci sia spazio per l'operato di un mediatore.
Rimarranno, viceversa estranee alla fattispecie disciplinata dal comma 22 in esame, oltre ai contratti che non hanno ad oggetto una cessione immobiliare (nel senso precisato nel paragrafo che precede) anche le donazioni, ravvisandosi una incompatibilità causale tra l'atto di liberalità e l'opera del mediatore e le procedure di espropriazione, all'interno delle quali non c'è spazio per attività di mediazione in senso proprio. Potrà eventualmente esserci attività di consulenza legale, finanziaria, commerciale, o attività svolta da un mandatario che, solo descrittivamente, può essere genericamente definita di «mediazione unilaterale», pur non potendosi ascrivere alla mediazione in senso tecnico, come meglio si preciserà in seguito. [nota 13]
Forma della dichiarazione - natura giuridica
Prima di passare all'esame del contenuto specifico dei nuovi obblighi imposti dal comma 22 in esame, è opportuna qualche riflessione sulla forma della «dichiarazione sostitutiva di atto notorio» scelta dal legislatore e sui motivi che hanno spinto il legislatore a scegliere questo tipo di forma che va ad incidere in modo significativo sugli obblighi imposti alle parti negoziali, rinforzando il valore probatorio del contenuto della dichiarazione stessa e, di conseguenza, sanzionando in modo più grave la mendacità delle dichiarazioni stesse.
La forma prescelta, sotto quest'aspetto, dovrebbe costituire, essa stessa già un valido deterrente a rendere dichiarazioni non conformi al vero.
In sintesi, giova ricordare, su un piano generale, che la dichiarazione sostitutiva di atto notorio fu introdotta dalla legge 4 gennaio 1968 n. 15 ed oggi è disciplinata dal D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo Unico in materia di documentazione amministrativa) che all'art. 47, al 1° comma, espressamente prescrive: «l'atto di notorietà concernente stati, qualità personali o fatti che siano a diretta conoscenza dell'interessato è sostituito da dichiarazione resa e sottoscritta dal medesimo con l'osservanza delle modalità di cui all'art. 38» e nel successivo art. 76, dispone:
1. «chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia.
2. … omissis …
3. Le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi degli articoli 46 e 47 e le dichiarazioni rese per conto delle persone indicate nell'art. 4, comma 2, sono considerate come fatte a pubblico ufficiale.
4. … omissis …».
La forma della dichiarazione sostitutiva all'interno dell'atto pubblico, come è noto, non è una novità essendo già prevista dalla normativa in materia urbanistica ed edilizia per attestare l'anteriorità dell'inizio lavori del fabbricato al 1° settembre 1967 ed essendo stata successivamente prevista dalla legge 26 giugno 1990 n. 165, oggi abrogata, in tema di attestazione di avvenuta (o non avvenuta) dichiarazione dei redditi relativi agli immobili oggetto di contrattazione.
Il legislatore imponendo la forma della dichiarazione sostitutiva di atto notorio, realizza una precisa finalità: trasforma l'attestazione resa dal privato da mera dichiarazione con valenza probatoria semplice a dichiarazione con valore probatorio privilegiato (presunzione di verità) [nota 14] e, pertanto, impone al dichiarante, l'obbligo di attestare il vero, comminando una proporzionata sanzione in caso di falsità della dichiarazione stessa.
Invero, su un piano generale, l'art. 483 del codice penale, al 1° comma, dispone che: «chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni».
La prevalente giurisprudenza, confermata anche dalle sezioni unite della Cassazione, [nota 15] ritiene che il reato di falsità ideologica commesso dal privato in atto pubblico, ricorra quando si attestano falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti che l'attestante ha il «dovere giuridico di esporre veridicamente» e dei quali l'atto, in cui tali attestazioni sono inserite, è destinato a provare la verità.
Dunque, per dare "peso" o più precisamente, per comminare una sanzione adeguata a chi renda una dichiarazione mendace, non è sufficiente che una dichiarazione sia inserita in un atto pubblico, ma è necessario vestire la dichiarazione stessa di una forma che ne rafforzi il contenuto probatorio e la faccia rientrare tra le ipotesi sanzionate, in via generale, dall'art. 483 c.p.
La norma di collegamento tra la dichiarazione sostitutiva e l'art. 483 c.p. è data dal richiamato art. 76 del T.U. che rinvia genericamente al codice penale ed alle leggi speciali in materia, relativamente alle sanzioni in caso di rilascio di dichiarazioni mendaci.
Nella fattispecie in esame, tuttavia, il quadro normativo si arricchisce di un ulteriore dato: la previsione espressa di una sanzione amministrativa in caso di rilascio di dichiarazioni mendaci.
La nuova norma, invero, espressamente prevede: «in caso di omessa, incompleta o mendace indicazione dei predetti dati si applica la sanzione amministrativa da euro 500 a euro 10.000 e, ai fini dell'imposta di registro, i beni trasferiti sono assoggettati ad accertamento di valore ai sensi dell'articolo 52, comma 1, del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131».
Un elemento nuovo, dunque, rispetto alla precedenti previsioni normativa introdotte dalla legge n. 47 del 1985 e dalla legge n. 165 del 1990; in queste fattispecie, infatti, il legislatore non commina alcuna sanzione amministrativa espressa in caso di dichiarazione mendace, ma rinvia implicitamente alle sanzioni penali ed agli effetti civili, incidenti sulla validità dell'atto, conseguenti alla mancanza o mendacità della dichiarazione stessa.
La previsione espressa di una specifica sanzione amministrativa pone l'interrogativo se sia applicabile alla fattispecie in esame il disposto dell'art. 9 della legge n. 689 del 1981 che, nel ribadire il «principio di specialità» anche in caso di concorrenza di sanzioni amministrative con sanzioni penali, al 1° comma espressamente dispone:
«quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale».
La norma richiamata fu prevista dalla legge n. 689 del 1981 con finalità di riordino delle sanzioni amministrative e di armonizzazione del sistema penale ed amministrativo a seguito della depenalizzazione dei reati ritenuti meno gravi. All'interno di questo nuovo sistema l'art. 9 ha lo scopo di estendere i principi generali in tema di concorso tra norma speciale e norma generale del diritto penale (cfr. art. 15 c.p.) ad un ambito più vasto ricomprendente anche le violazioni amministrative, [nota 16] in una prospettiva intersettoriale tra illecito penale ed illecito amministrativo ed in ossequio al generale «divieto di duplicazione» della risposta sanzionatoria per un medesimo fatto illecito. [nota 17]
D'altronde, ripetendo le parole dell'On. Diliberto, [nota 18] va fugata «l'idea che un più ampio ricorso all' illecito amministrativo si risolva in una pericolosa operazione di bagattellizzazione della tutela. Ed infatti l'illecito amministrativo costituisce un archetipo normativo parapenale per la marcata assimilazione della sua parte generale a quella del codice penale. Sul piano dell'effettività, la sanzione amministrativa, seppure sprovvista dello stigma criminale, sortisce un notevole effetto di deterrenza a causa della inapplicabilità, contrariamente alla sanzione penale, di istituti sospensivi, oltreché in forza del progressivo arricchimento del ventaglio sanzionatorio che va da sanzioni pecuniarie spesso commisurate secondo meccanismi moltiplicatori del profitto realizzato a sanzioni di tipo interdittivo, destinate, in relazione a determinati settori di attività economica, a rivelarsi potenzialmente assai più gravose rispetto alla pena, soprattutto se pena condizionalmente sospesa o comunque elusa in virtù di meccanismi processuali».
Nella fattispecie in esame sembra che sussistano tutti gli elementi per far ritenere che la violazione della prescrizione (rectius: la mendacità della dichiarazione) ricada nella previsione normativa del citato art. 9 della legge n. 689 del 1981, diretta ad escludere il concorso di sanzioni amministrative e penali. Il disposto del comma 22, invero, prevede espressamente la comminatoria di sanzioni amministrative per la mendace indicazione dei dati richiesti, con formula che si sovrappone a quella di cui all'art. 76 del T.U. 445/2000, e si propone come norma speciale per la specificità del contenuto della dichiarazione stessa. [nota 19]
In altre parole, la fattispecie dovrebbe rientrare in un ambito depenalizzato e regolato da un'autonoma sanzione (amministrativa) espressamente prevista. [nota 20]
E' evidente che questa soluzione comporta conseguenze di non poco conto non solo per le parti del contratto, ma anche per il Notaio, sotto il profilo della sussistenza o meno dell'obbligo di rapporto ai sensi dell'art. 361 c.p. [nota 21] nel caso in cui emergano elementi che facciano ritenere che la dichiarazione resa dai contraenti sia mendace.
E' possibile, a questo punto, notare una ulteriore particolarità nella scelta del legislatore contenuta nel comma 21 rispetto alla scelta contenuta nel comma 22 del citato art. 35: nel primo, il legislatore prescrive, a carico delle parti, l'obbligo (generico) di indicare nell'atto il corrispettivo pattuito, nel secondo, prescrive la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà relativamente all'indicazione analitica delle modalità di pagamento del corrispettivo.
La scelta del legislatore è tutta giustificata sul piano delle sanzioni, in rapporto al diverso ambito di applicazione del comma 497 dell'art. 1 della finanziaria 2006 e del comma 22 in esame.
Nel primo caso, accanto alle sanzioni amministrative legate (implicitamente anche) alla violazione delle prescrizioni contenute nel comma 22, di estensione più generale, il legislatore ha fissato un'ulteriore sanzione nel successivo comma 498, che, nell'ultimo periodo introdotto dal D.l. Bersani-Visco, prescrive: «se viene occultato, anche in parte, il corrispettivo pattuito, le imposte sono dovute sull'intero importo di quest'ultimo e si applica la sanzione amministrativa dal cinquanta al cento per cento della differenza tra l'imposta dovuta e quella già applicata in base al corrispettivo dichiarato, detratto l'importo della sanzione eventualmente irrogata ai sensi dell'articolo 71 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986».
Da un punto di vista concettuale, dunque, abbiamo una fattispecie più generale, rappresentata dal comma 22 ed un'altra più specifica, rappresentata dalla c.d. disciplina prezzo valore di cui ai citati commi 497 e 498, con un cumulo di sanzioni in questa seconda ipotesi.
I problemi di carattere "redazionale", legati all'inserimento nell'atto notarile della dichiarazione sostitutiva di atto notorio sono i medesimi già esaminati a seguito della medesima prescrizione introdotta dalla legge n. 47 del 1985 in materia urbanistica ed edilizia e dalla legge n. 165 del 1990.
Sul punto è possibile far propri non solo gli interrogativi, ma anche le risposte contenute nello studio del Cnn che si è occupato specificamente del tema, [nota 22] con gli adeguamenti necessari all'entrata in vigore del T.U. 445/2000 in sostituzione della legge 4 gennaio 1968, n. 15.
Le problematiche emerse riguardavano, segnatamente:
se fosse indispensabile riportare in atto l'ammonimento sulle responsabilità [penali] in caso di dichiarazione mendace;
se la dichiarazione di autocertificazione, nell'ipotesi di scrittura privata autenticata, andasse inserita nel corpo della scrittura o se dovesse essere contenuta in un documento separato;
se la formula dell'autentica formale, ai sensi dell'art. 72 legge notarile, dovesse o meno fare riferimento alla dichiarazione di autocertificazione.
Sul primo punto, l'interrogativo nasce dalla constatazione che ciò che distingue la dichiarazione sostitutiva di atto notorio, resa all'interno di un atto notarile, rispetto a qualunque altra dichiarazione, è la consapevolezza, da parte del dichiarante, sia del particolare valore probatorio che la legge attribuisce a tale dichiarazione sia, soprattutto, delle rigorose sanzioni che la legge stessa commina in caso di mendacità della dichiarazione stessa.
L'art. 26 della legge 4 gennaio 1968, n. 15 prescriveva, in modo espresso, che il dichiarante, fosse previamente ammonito sulle conseguenze penali cui andava incontro in caso di dichiarazione mendace.
Le nuove disposizioni contenute negli articoli 47, 48 e 76, che hanno sostituito le norme della legge 4 gennaio 1968 n. 15 sul punto, non richiedono più l'ammonimento del dichiarante da parte del pubblico ufficiale; l'art. 48 del T.U. 445/2000 si limita a precisare che «nei moduli per la presentazione delle dichiarazioni sostitutive le amministrazioni inseriscono il richiamo alle sanzioni penali previste dall'articolo 76, per le ipotesi di falsità in atti e dichiarazioni mendaci ivi indicate».
Nella fattispecie dettata dal comma 22, l'art. 48 citato appare inapplicabile, in primo luogo per la inapplicabilità di sanzioni penali, per le considerazioni sopra svolte ed in secondo luogo per il riferimento ad una modulistica del tutto estranea all'attività notarile.
Al di là di formule sacramentali, sembra che la legge richieda che i dichiaranti siano informati del particolare valore che la legge attribuisce alla loro dichiarazione e le sanzioni che commina in caso di dichiarazione mendace. Ciò, peraltro, avviene in tutti i casi in cui la legge attribuisca ad una dichiarazione o attestazione una particolare fede privilegiata (si pensi alle formule sacramentali dei giuramenti che devono essere resi da periti, esperti, attestanti, ecc.) proprio per conferire certezza, anche rispetto ai terzi che quella resa non è una mera dichiarazione priva di particolare valore probatorio.
Tuttavia, non sembra ravvisarsi alcuno specifico obbligo di menzione dell'adempimento del dovere d'informazione da parte del Notaio nel relativo atto pubblico o nel corpo della scrittura privata autenticata, come richiesto, invece, per altri tipi di attestazioni o dichiarazioni, [nota 23] pur non potendosi disconoscere che sia sicuramente opportuno far risultare nell'atto notarile l'adempimento del dovere d'informazione da parte del Notaio e la consapevolezza raggiunta dalla parte dichiarante, anche per evitare probabili contestazioni nel caso di procedimenti penali e/o amministrativi diretti a contestare la verità delle dichiarazioni rese.
Su questo aspetto, pertanto, è possibile riproporre le conclusione del richiamato studio del Cnn, con gli adattamenti determinati dalla sostituzione della legge 4 gennaio 1968, n. 15 con il T.U. 445 del 2000. che su questo punto specifico affermava: «In ogni caso, peraltro, non va dimenticato che caratteristica saliente delle "menzioni" da apporre ad un documento notarile è che esse debbono essere espressamente previste dalla legge, tanto è vero che si afferma che esse debbono risultare, ma soltanto quando espressamente previste dal legislatore, dal documento pubblico e non da documenti estranei ad esso.
Ed è principio altrettanto affermato, da parte della dottrina che si è occupata con maggiore intensità del documento notarile, che una cosa sono gli avvenimenti che il Notaio deve verificare, altra cosa le menzioni degli avvenimenti stessi. Può pertanto accadere che il Notaio sia tenuto a realizzare un comportamento, ma che egli non debba menzionarne l'accaduto nell'atto posto in essere.
Orbene l'ammonimento di un soggetto sulle conseguenze penali cui egli va incontro allorquando abbia effettuato dichiarazioni sulla base della legge n. 15 del 1968 non veritiere, previsto dall'art. 26 della legge stessa, implica che il Notaio debba nella realtà effettuare l'ammonimento stesso, non che egli debba menzionarne nell'atto l'avvenuto accadimento.
In conclusione, stante l'assenza di norme che prevedono la sua documentazione, è necessario che l'ammonimento ad opera del Notaio avvenga nella realtà, mentre non è richiesto, anche se sarebbe opportuno farlo, che esso venga riportato in atto».
A maggior ragione, oggi, in assenza di uno specifico obbligo formale di ammonimento, si può giungere alla medesima conclusione relativamente agli aspetti formali delle dichiarazioni sostitutive prescritte dal comma 22 in esame.
Per quanto riguarda il secondo interrogativo: se la dichiarazione di autocertificazione, nell'ipotesi di scrittura privata autenticata, vada inserita nel corpo della scrittura o vada presentata con documento separato, va osservato che la prassi, ormai ultraventennale, relativa alle dichiarazioni sostitutive di atto notorio prescritte dalla legislazione urbanistica, consentono con sicurezza di affermare che entrambe le soluzioni sono possibili. Ciò che il legislatore richiede è che la dichiarazione sia resa e sottoscritta innanzi al pubblico ufficiale, nella consapevolezza del valore probatorio della dichiarazione stessa. Dunque essa può essere inserita sia all'interno della scrittura privata, sia in un documento a parte, autenticato dal Notaio ed allegato alla scrittura. Il documento da allegare, tuttavia deve essere formato contestualmente all'atto della cessione dell'immobile, infatti, il comma 22 citato, disponendo espressamente: «all'atto della cessione dell'immobile … le parti hanno l'obbligo di rendere apposita dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà … », richiede la cronologica simultaneità della dichiarazione sostitutiva e della cessione dell'immobile. Anche in questo caso, pertanto, sarà opportuno, nel caso in cui si intenda formare un documento separato da allegare alla scrittura privata autenticata, far risultare il rispetto del dato cronologico (salvo, poi, verificare la possibilità di un successivo atto di integrazione o rettifica di dati incompleti, omessi o errati contenuti nella dichiarazione rilasciata contestualmente all'atto ovvero la possibilità di rilasciare la dichiarazione in un momento successivo all'atto "in ravvedimento" all'omesso comportamento pregresso).
Tenuto conto poi che la dichiarazione sostitutiva di atto notorio deve essere resa e sottoscritta dalla parte dichiarante, non sarà possibile inserirla nel corpo dell'autentica, a meno che non si faccia sottoscrivere l'autentica stessa, contenente la dichiarazione sostitutiva di atto notorio, anche dalle parti contraenti. [nota 24]
Sull'ultimo interrogativo evidenziato, relativo alla necessità d'inserire all'interno della formula di autenticazione delle scritture private il riferimento alla dichiarazione sostitutiva di atto notorio, la conclusione è legata alle riflessioni sin qui svolte: esiste da parte del Notaio il dovere d'informare il dichiarante del valore probatorio della dichiarazione resa e delle conseguenze nel caso sia resa una dichiarazione mendace, ma non sussiste un obbligo di menzione del dovere d'informazione all'interno dell'autentica, sebbene sul piano dell'opportunità non ci sia alcun dubbio dell'importanza di far risultare nel corpo dell'autentica la consapevolezza dei dichiaranti sul punto, [nota 25] per tutte le motivazioni già sopra espresse.
Cenni sul contenuto delle dichiarazioni sostitutive di atto notorio
Passando ad esaminare il contenuto della dichiarazione sostitutiva di atto notorio, il comma 22 in esame prescrive una pluralità di obblighi a carico delle parti, alcuni principali, altri di carattere subordinato, condizionati alla conclusione o meno del contratto attraverso l'opera di un mediatore; più precisamente sono previsti i seguenti obblighi:
1. l'indicazione analitica delle modalità di pagamento del corrispettivo;
2. l'indicazione se ci si è avvalsi o meno dell'opera di un mediatore;
in via subordinata, nel caso in cui ci si sia avvalsi dell'opera di un mediatore:
I. l'indicazione dell'ammontare delle spese sostenute per la mediazione;
II. le modalità analitiche di pagamento della spesa sostenuta per la mediazione;
III. l'indicazione del numero di partita Iva o del codice fiscale dell'agente immobiliare.
Va, innanzitutto, precisato che la norma di per sé non è "autosufficiente" (rectius: auto-efficiente), nel senso che prende peso e significato dalle norme contenute nel D.l. 3 maggio 1991, n. 143 che limitano l'uso del contante e dei titoli al portatore e che impongono l'apposizione della clausola di non trasferibilità per gli assegni superiori a determinati importi.
In assenza di queste norme, le prescrizioni contenute nel comma 22 non sarebbero in grado di realizzare gli obiettivi che si propongono e sarebbero facilmente eludibili, per l'evidente motivo che, a monte di un obbligo di indicazione analitica dei mezzi di pagamento, è necessario che ci sia una norma che imponga l'utilizzo di mezzi di pagamento "riconoscibili" e "tracciabili". [nota 26]
Dunque, in quest'ottica, per indicazione analitica deve intendersi la "riconoscibilità" e la "tracciabilità" del pagamento, intendendosi, con queste espressioni, la possibilità di ricostruire il tipo di pagamento effettuato (assegno circolare, assegno bancario, postale, bonifico, ecc.), la provenienza del pagamento, la destinazione del pagamento e, ove esistente, l'indicazione dell'intermediario abilitato che ha consentito la transazione finanziaria.
A ben vedere, assistiamo ad un'operazione di estensione della possibilità di ricostruire percorsi finanziari, fino ad oggi utilizzata esclusivamente per finalità antiriciclaggio, anche a scopi di contrasto all'elusione ed evasione fiscale, in un'ottica di acquisizione più generale e completa di dati ed informazioni sensibili.
Non sarà necessario indicare qualunque dato relativo al pagamento, ma sarà sufficiente un'indicazione che consenta, in caso di verifica, di ricostruire la "provenienza" e la "destinazione" della ricchezza. Sarà sufficiente, ad esempio, per un pagamento con assegno circolare, la sola indicazione dell'istituto emittente, della somma e del numero dell'assegno, tenuto conto che, in base ai suddetti elementi, il percorso del pagamento è ricostruibile sulla base delle scritture contabili dell'istituto di credito stesso, senza che sia necessaria l'indicazione anche del beneficiario del pagamento stesso.
Le gravi conseguenze legate all'incompleta indicazione analitica delle modalità di pagamento del corrispettivo se, da un lato, dovrà suggerire al dichiarante (nel dubbio) la massima prudenza nell'eventuale indicazione anche di ulteriori elementi per la "tracciabilità" del pagamento, d'altro lato, non potrà consentire interpretazioni, da parte dell'Amministrazione finanziaria, che possano penalizzare il contribuente in misura ulteriore rispetto a quelli che sono i dichiarati obiettivi della norma.
Le indicazioni contenute nell'atto (rectius: nella dichiarazione resa dalle parti), in altri termini, dovranno consentire, all'autorità preposta di effettuare efficacemente il controllo, ove ciò sia ritenuto necessario, ma non potranno, esse sole, costituire elementi finali e definitivi di un'eventuale accertamento di regolarità o irregolarità dell'operazione posta in essere.
In concreto, se l'intento della norma è la trasparenza, nell'ottica di far emergere e monitorare gli spostamenti di ricchezza, i valori effettivi delle contrattazioni immobiliari, la finalità della norma risulterà soddisfatta ogni qual volta le modalità di pagamento consentano in modo non equivoco la ricostruzione del pagamento stesso. [nota 27]
Peraltro, è opportuno sottolineare che la vera finalità della norma non è tanto quella di contrastare l'eventuale evasione o elusione delle imposte indirette gravanti sull'atto, - così come si potrebbe essere portati a ritenere dando un eccessivo peso logico al presupposto applicativo della norma (la cessione immobiliare verso corrispettivo) -, quanto piuttosto quella di contrastare l'evasione e l'elusione all'interno del più generale sistema fiscale, facendo emergere le reali consistenze patrimoniali dei contribuenti ed i reali valori economici degli immobili oggetto di contrattazione.
Infatti, il comma 22, per gli atti che sono anche ricompresi nella disciplina del c.d. "prezzo-valore" regolata dal comma 497 (dell'art. 1 della legge finanziaria del 2006), è perfettamente neutrale rispetto all'imponibile da tassare, costituito, comunque, dal valore catastale, anche in presenza di un prezzo dichiarato notevolmente superiore e, per le fattispecie che sfuggono alla disciplina del c.d. "prezzo- valore", a ben vedere, l'esatto adempimento degli obblighi di dichiarare il prezzo reale e le modalità di pagamento dello stesso, non mettono le parti al riparo da un eventuale accertamento di valore in misura superiore al reale prezzo pagato e dichiarato, tenuto conto che l'art. 52 del T.U.R. espressamente dispone, al 1° comma, che: «l'ufficio, se ritiene che i beni o i diritti di cui ai commi 3 e 4 dell'articolo 51 hanno un valore venale superiore al valore dichiarato o al corrispettivo pattuito, prevede con lo stesso atto alla rettifica e alla liquidazione della maggiore imposta, con gli interessi e le sanzioni».
Queste considerazioni non possono non far ritenere che il vero intento del legislatore, vada ben oltre la tassazione dei singoli atti di cessione, per approdare ad una schedatura del reale reddito e patrimonio di ciascun contribuente, degli spostamenti patrimoniali da un soggetto all'altro, della genesi formativa della ricchezza, dei reali valori immobiliari, isolando le aree grigie dove appaiono poco giustificabili, anomale o sospette determinate operazioni economiche e finanziarie in una prospettiva di una più efficace lotta all'evasione ed al riciclaggio di ricchezze di provenienza sospetta.
Anche sotto quest'ultimo aspetto, dunque, ciò che appare necessario è l'indicazione di dati sufficienti che, in una fase successiva, possano essere utilizzati per ricostruire eventuali situazioni patrimoniali oggetto di verifica.
La non autosufficienza (rectius: non auto-efficienza) delle prescrizioni contenute nel comma 22, sopra accennata, risulta di tutta evidenza relativamente alle cessioni di immobili di importo pari o inferiore a 12.500,00, nelle quali - in assenza di un'espressa norma che imponga mezzi di pagamento "tracciabili" o "riconoscibili" - la dichiarazione relativa all'indicazione analitica delle modalità di pagamento del corrispettivo risulterà (o potrà risultare) assolutamente inidonea rispetto agli intenti del legislatore. [nota 28]
Ulteriori riflessi della nuova normativa rispetto alle finalità antievasione ed antielusione
Dalle considerazioni fin qui svolte, emerge in modo chiaro che la nuova norma, sebbene abbia la sua genesi negli evidenziati scopi antievasione ed antielusione, riflette i suoi effetti anche al di fuori di questi obiettivi. Sicuramente è in grado di condizionare in modo significativo l'assetto negoziale delle parti contraenti le quali, in non poche occasioni, ricorrevano alla simulazione della clausola relativa al prezzo non solo, o non principalmente, per motivi "genericamente" fiscali, ma anche per motivi più propriamente civilistici.
Basti pensare al caso frequente nella pratica, in cui venivano mascherate donazioni tra stretti congiunti sotto forma di compravendite (con prezzo dichiarato "pagato in precedenza") per eludere (o tentare di eludere) le norme in materia di successione legittima o, pur in mancanza di quest'intento, per assicurare all'acquirente del bene un titolo di provenienza con carattere più stabile rispetto alla donazione che, come è noto, è un titolo che può essere oggetto di azione di riduzione, con effetti reali, dopo l'apertura della successione.
Nella pratica e nei repertori di giurisprudenza (oltre la fattispecie sopra accennata), gli esempi di simulazione relativa o assoluta del prezzo sono molteplici, alcuni utilizzati come espedienti per una più semplice composizione dei reciproci interessi tra le parti contraenti, con intenti di elusione fiscale attenuati o inesistenti e privi di una reale volontà (o capacità) di incidere negativamente su posizioni terze (un esempio potrebbe essere dato dal rapporto tra costruttore e proprietario del suolo edificatorio che, in luogo di una permuta atipica - avente ad oggetto la cessione del suolo da parte del cedente verso l'obbligo del cessionario di costruire una o più unità immobiliari sulla parte di area o "superficie" riservata al cedente - provvedono a regolare i propri rapporti con scritture private per poi trasferire, in un secondo momento, direttamente l'alloggio edificato, simulando il pagamento di un prezzo), altri con palesi finalità di pregiudizio per i terzi (si pensi ad un prezzo notevolmente superiore, rispetto a quello vero, finalizzato ad ostacolare l'esercizio di un diritto di prelazione).
E' evidente che l'obbligo di indicare analiticamente le modalità di pagamento del prezzo e, quindi, la tracciabilità del pagamento avvantaggerà sicuramente l'Amministrazione finanziaria nella lotta all'evasione fiscale, ma avvantaggerà anche eventuali terzi che potranno più facilmente verificare la rispondenza al vero di quanto indicato nell'atto relativamente al pagamento del prezzo ed ostacolerà il ricorso all'utilizzo di contratti simulati, in un'ottica di maggior trasparenza nel settore delle contrattazioni immobiliari.
Riflessi delle prescrizioni del comma 22 sulla legislazione antiriciclaggio
Oltre a questi riflessi di carattere civilistico, di non poco conto è l'influenza che la nuova normativa spiega sugli obblighi antiriciclaggio a carico dei professionisti, ed in particolare dei Notai, introdotti dalla direttiva europea (91/308/Cee, modificata dalla 2001/97/Ce), attuati dal D.lgs. 20 febbraio 2004, n. 56, dalle norme regolamentari di cui al D.M. 3 febbraio 2006, n. 141 e dalle istruzioni applicative dell'Uic del 24 febbraio 2006.
Gli obblighi a carico dei Notaio, ricavabili dalla legislazione antiriciclaggio, possono sintetizzarsi in quattro categorie generali:
1. obbligo di identificazione dei soggetti che compiono determinate operazioni a rischio riciclaggio;
2. obbligo di registrazione e conservazione di specifici dati, soggettivi ed oggettivi, relativi a determinate operazioni;
3. obbligo di segnalazione di operazioni anomale;
4. obbligo di comunicazione di infrazioni alla normativa antiriciclaggio.
La rilevanza, ai fini dei suddetti obblighi, delle modalità di pagamento viene in rilievo sotto tre aspetti:
I. in primo luogo, sotto il profilo di un eventuale obbligo di registrazione e conservazione delle modalità di pagamento all'interno dell'Archivio Unico Antiriciclaggio (Aua);
II. in secondo luogo, sotto il profilo dell'obbligo di segnalazione, in presenza dell'utilizzo di modalità di pagamento che appaiano "anomale", sulla base degli indici di congruità delle operazioni, esemplificati all'interno delle istruzioni fornite dall'Uic del 24 febbraio 2006, ovvero sulla base di una valutazione critica di tutti gli elementi a disposizione del Notaio;
III. in terzo luogo, sotto il profilo dell'obbligo di comunicazione al Ministero dell'Economia e delle Finanze, dell'eventuale infrazione alle disposizioni sulla limitazione dell'uso del denaro contante e dei titoli al portatore. [nota 29]
I tre punti meritano una disamina separata, in quanto ciascuno di essi risponde a specifiche finalità ed i presupposti in base ai quali il relativo obbligo diventa attuale sono diversi.
Modalità di pagamento del prezzo - eventuali obblighi generalizzati di registrazione e conservazione
Sul primo punto, [nota 30] l'interrogativo di fondo è se le parti abbiano o meno un obbligo generale, derivante dalla normativa antiriciclaggio, di indicare al Notaio, in modo analitico, le modalità di pagamento e, di riflesso, se vi sia un dovere del Notaio di indagare sulle modalità di pagamento, finalizzato alla emersione di eventuali operazioni di riciclaggio ed, infine, se sussista un obbligo del Notaio di registrazione e conservazione delle relative informazioni all'interno dell'archivio unico antiriciclaggio.
La sussistenza dei suddetti obblighi potrebbe ritenersi espressamente prescritta, almeno per le cessioni immobiliari rientranti nella previsione della nuova disciplina, in forza del comma 22 di nuova emanazione. Tuttavia, va osservato che le nuove prescrizioni, per quanto possano riflettere indirettamente i loro effetti oltre la specifica intentio legis per cui sono state emanate, per il loro espresso tenore letterale non sono in grado di fondare obblighi di carattere generale che vadano oltre l'ambito di applicazione della norma stessa e le sanzioni ivi previste.
La ricerca e l'individuazione di eventuale obblighi di carattere generale va, pertanto, effettuata o all'interno delle singole norme dettate con specifiche finalità antiriciclaggio ovvero all'interno dei principi sistematici che disciplinano l'attività del Notaio come garante della legalità, ricavabili dal coordinamento delle norme del microsistema normativo regolante la materia dell'antiriciclaggio con le norme generali sulla funzione e sul ruolo del Notaio.
Sotto il primo aspetto, va osservato che né all'interno della direttiva 91/308/Cee, né all'interno della legge 5 luglio 1991, n. 197 (c.d. legge antiriciclaggio), né all'interno del D.lgs. 20 febbraio 2004, n. 56 e delle norme contenute nel suo regolamento di attuazione approvato con D.M. 3 febbraio 2006, n. 141 e delle relative istruzioni applicative emanate con provvedimento dell'Uic del 24 febbraio 2006, si rinvengono obblighi a carico dei privati che non siano quelli di limitare l'uso del contante e dei titoli al portatore quando il valore da trasferire è complessivamente superiore ad euro 12.500,00 (importo così determinato in forza del D.M. 17 ottobre 2002, pubblicato nella G.U. 11 dicembre 2002, n. 290, che ha sostituito l'originario importo di lire venti milioni).
Sotto il secondo aspetto, va verificato se un obbligo di indagine o di interpello in tal senso esiste a carico del Notaio, quale garante della legalità nel suo ruolo istituzionale di gate-keeper, imposto espressamente da una disposizione contenuta all'interno della filiera normativa che ha regolamentato la materia dell'antiriciclaggio ovvero se quest'obbligo, a carico del Notaio sussiste, anche in assenza di un'espressa previsione normativa, perché ricavabile dai principi sistematici che regolamentano la pubblica funzione notarile.
Riguardo ad eventuali obblighi espressi a carico del Notaio le uniche norme che, in qualche modo, possono essere prese come eventuale riferimento implicito di un obbligo in tal senso sono: il IV comma dell'art. 13 del D.l. 15 dicembre 1979, n. 625 (richiamato dall'art. 3, comma 1, del D.lgs. 20 febbraio 2004 n. 56) e la lettera g) della parte IV del provvedimento emanato dall'Uic il 24 febbraio 2006, sopra menzionato.
Il IV comma dell'art. 13 testé richiamato espressamente dispone: «la data e la causale dell'operazione, l'importo dei singoli mezzi di pagamento, le complete generalità dell'eventuale soggetto per conto del quale l'operazione stessa viene eseguita, devono essere facilmente reperibili e, comunque, inseriti entro trenta giorni in un unico archivio di pertinenza del soggetto pubblico o privato presso il quale l'operazione viene eseguita. Gli intermediari di cui al comma 1 sono tenuti ad identificare mediante un apposito codice le operazioni effettuate per contanti».
La lettera della norma distingue tra mezzi di pagamento ed utilizzo di denaro contante e relativamente ai primi fa espresso riferimento, per la registrazione e conservazione dei relativi dati, all'importo dei singoli mezzi di pagamento e non agli estremi identificativi dei mezzi di pagamento: non sembra, pertanto, che la prescrizione del richiamato IV comma possa costituire la fonte espressa di un obbligo, a carico del Notaio, di indagine e di interpello, relativo ai mezzi di pagamento utilizzati e tanto meno della loro registrazione nell'archivio unico informatico (in prosieguo anche definito Aua) .
Inoltre, il dettato normativo si riferisce esplicitamente ad una operazione di trasferimento di denaro o di negoziazione di titoli effettuata «presso l'intermediario», ovvero non prevede la registrazione, ad esempio, della semplice emissione di un assegno bancario o circolare ma l'operazione successiva relativa al suo incasso.
L'obbligo di registrazione degli importi dei singoli mezzi di pagamento scatta, dunque, solo quando il titolo viene posto all'incasso o venga eseguita la disposizione del trasferimento dei fondi tramite gli strumenti bancari (es. giroconto, bonifico, accredito mediante carta di credito o altre carte di pagamento) direttamente presso il soggetto pubblico o privato demandato a tale attività di intermediazione finanziaria. Appare evidente, invece, che presso il Notaio non avviene mai il materiale incasso del mezzo di pagamento, attività demandata e riservata ad altri specifici operatori. Che vi sia una differenza tra gli obblighi degli intermediari finanziari e quelli dei professionisti in ordine alle registrazioni delle modalità di pagamento è confermato dal fatto che l'art. 7 del D.lgs 56/2004 prevede testualmente che: «i soggetti indicati nell'articolo 2 che, in relazione ai loro compiti di servizio, e nei limiti delle loro attribuzioni, hanno notizia di infrazioni alle disposizioni di cui all'articolo 1 della legge antiriciclaggio [nota 31] ne riferiscono entro trenta giorni al Ministero dell'economia e delle finanze per la contestazione e gli altri adempimenti previsti dall'articolo 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689»; mentre : «in caso di infrazioni riguardanti assegni bancari, assegni circolari, libretti al portatore o titoli similari, le segnalazioni devono essere effettuate dalla banca che li accetta in versamento e da quella che ne effettua l'estinzione».
Peraltro, se il più volte richiamato art. 3, comma 1 del D.lgs. 56 cit. estende gli obblighi previsti nell'articolo 13 della legge antiriciclaggio, anche con riguardo alle operazioni frazionate, a tutti soggetti indicati nell'articolo 2, del medesimo D.lgs. cit., il comma 2 dello stesso articolo esplicitamente prevede che «il Ministro dell'economia e delle finanze, sentiti l'Uic, le competenti autorità di vigilanza di settore e le amministrazioni interessate, avendo riguardo alle peculiarità operative dei soggetti obbligati, all'esigenza di contenere gli oneri gravanti sui medesimi e alla tenuta dell'archivio nell'ambito dei gruppi, stabilisce con regolamento, da adottarsi entro 240 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, il contenuto e le modalità di esecuzione degli obblighi di cui al presente articolo e le modalità di identificazione in caso di instaurazione di rapporti o di effettuazione di operazioni a distanza».
Proprio in virtù di tale delega i contenuti dell'Aua per i professionisti sono stati dettagliatamente indicati sia dal Decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze n. 141/2006 all'art. 5 che dalle Istruzioni dell'Uic emanate in data 24 febbraio 2006, in particolare nell'allegato B, ed entrambi i provvedimenti non prevedono l'indicazione dei mezzi di pagamento né relativamente agli importi né relativamente agli estremi identificativi degli stessi.
Piuttosto giova osservare che per i professionisti l'indicazione relativa all'importo dei mezzi di pagamento, originariamente prevista nell'art. 13 della legge antiriciclaggio sopra citato, è stata sostituita, nel D.M. 141/006 cit., dall'indicazione del valore della prestazione, il che trova una sua giustificazione proprio nel fatto che diverso è il controllo richiesto al Notaio in questa specifica materia rispetto a quello usualmente demandato agli intermediari finanziari, del quale, altrimenti, finirebbe per essere una mera replica, per altro parziale.
Infatti, l'indicazione in un archivio informatico dello specifico mezzo di pagamento, sganciata da tutte le altre informazioni normalmente in possesso della banca o dell'intermediario abilitato presso cui lo stesso è stato poi negoziato, non sembra particolarmente utile; mentre accurate indagini bancarie circa i flussi finanziari e le movimentazioni degli specifici conti correnti potranno essere effettuate solo presso l'istituto di credito che ha intrattenuto il rapporto col cliente.
Da questo punto di vista, quindi, l'inserzione del mezzo di pagamento nell'archivio unico del Notaio diventa una duplicazione di dati già registrati in altri archivi, che possono fornire riscontri incrociati ben più pregnanti e mirati.
In un ottica di differenziazione degli oneri gravanti sulle varie categorie coinvolte nella lotta al riciclaggio pare, dunque, di poter affermare che il tipo di controllo richiesto al professionista, ed in particolare al Notaio, cui è finalizzata la tenuta dell'archivio, [nota 32] riguardi la prestazione professionale nel suo complesso e soprattutto nella sua valenza giuridica, come possibile mezzo elusivo del controllo esclusivamente finanziario delle operazioni di riciclaggio sin qui effettuato, e non sia focalizzata nel tracciamento dei singoli mezzi di pagamento.
L'altra norma citata, la lettera g) del provvedimento Uic, che, a sua volta, fa espresso riferimento «all'ingiustificato impiego di denaro contante o di mezzi di pagamento non appropriati rispetto alla prassi comune ed in considerazione della natura dell'operazione», è norma subsecondaria finalizzata a fornire, in modo esemplificativo, una serie di indici, da valutare criticamente da parte del professionista, al fine di individuare operazioni anomale, degne di segnalazione. Dunque, norma non idonea a fondare obblighi impliciti a carico di professionisti, ma diretta a fornire criteri generali di valutazione nell'individuazione dell'operazione anomala.
Da un punto di vista sistematico, va osservato che un generico dovere a carico del Notaio di acquisizione di elementi probatori che, potenzialmente, possono essere utilizzati all'interno di una procedura giudiziaria è sempre stata negata, partendo dall'affermazione del principio che gli atti processuali in genere e quelli istruttori in specie sono riservati all'esclusiva competenza dell'autorità giudiziaria, e dei suoi organi di polizia giudiziaria, con tutte le garanzie previste dalla legge.
Un'attività specifica del Notaio diretta alla prevenzione o alla repressione del reato di riciclaggio (e di altri reati connessi o collegati) trasformerebbe il Notaio da pubblico ufficiale rogante ad organo di polizia giudiziaria, in assenza di un espressa investitura legislativa.
Va, quindi, ragionevolmente, ritenuto che il Notaio partecipa all'attività diretta alla repressione del riciclaggio utilizzando i mezzi a sua disposizione ed operando una valutazione critica di tutti gli elementi forniti dalla parti o assunti, anche di propria iniziativa, nell'esecuzione del mandato conferito dalle parti, senza, tuttavia, che possa individuarsi uno specifico potere di indagine a carico del Notaio legato a finalità di polizia giudiziaria.
Obbligo di segnalazione e di comunicazione delle infrazioni
Non può ritenersi, alla luce di quanto detto, che le nuove disposizioni inserite nel comma 22 in esame abbiano originato nuovi obblighi legati a finalità specifiche proprie di altri microsistemi normativi, quanto piuttosto che l'applicazione pratica di queste nuove disposizione potrà far emergere fatti e circostanze che potranno essere utilizzate criticamente dal Notaio anche per finalità ulteriori rispetto a quelle antievasione ed antielusione. Finalità ulteriori che possono essere riassunte nel duplice dovere:
1. di vigilanza sulla regolarità delle operazioni che si svolgono alla sua presenza o di cui abbia, comunque, conoscenza ed eventualmente di segnalazione dell'operazione "anomala";
2. di comunicazione delle infrazioni alla norma che limita l'uso del contante e dei titoli al portatore. [nota 33] Obbligo quest'ultimo perfettamente analogo all'obbligo di carattere generale posto a carico del Notaio, nella sua veste di pubblico ufficiale, dall'art. 361 del c.p.
Riguardo al primo dovere, in concreto, l'attività del professionista sarà diretta a valutare criticamente tutti gli elementi a sua disposizione e, nel caso di cessioni immobiliari verso corrispettivo consistente nel pagamento di un prezzo, il Notaio assumerà, tra i criteri generali di giudizio, anche le modalità di pagamento, così come dichiarate dalle parti e riscontrate direttamente dal Notaio stesso, perché manifestatesi alla sua presenza ovvero così come dichiarate dalle parti, se avvenute in un momento diverso o se ancora da attuarsi. Il Notaio, quindi, collegando tra loro i vari elementi dell'operazione, esprimerà un giudizio (implicito) sulla "normalità" dell'operazione compiuta ovvero sull'anomalia di alcuni elementi rispetto ad un'astratta operazione "normale".
"Normalità" che concettualmente dovrà identificarsi non tanto, o non necessariamente, con ciò che avviene nella maggioranza (id quod plerumque accidit) delle transazioni commerciali e finanziarie, quanto sull'esistenza di elementi che non appaiono congrui, coerenti, giustificati o giustificabili tra loro, se non nel presupposto che a monte dell'operazione ci possa essere un'attività criminale, rientrante nell'astratta previsione degli articoli 648-bis e 648-ter del c.p. [nota 34] Anormalità, dunque, da collegarsi comunque ad un elemento di "sospetto" rispetto alla commissione di un reato rientrante nelle dette fattispecie criminali.
In altri termini è sicuramente raro che un disoccupato acquisti una villa da un milione di euro, tuttavia se è dimostrato che il danaro utilizzato abbia una provenienza sicuramente lecita (ad esempio perché costituente il provento di una vincita) non sussisterà alcun obbligo di segnalazione, al contrario se un facoltoso imprenditore acquista un immobile del medesimo valore utilizzando provviste provenienti da Paesi indicati dal Gafi [nota 35] come non cooperatori nella lotta al riciclaggio, ci si troverà in presenza di un'anomalia che obbligherà il Notaio alla segnalazione.
L'ingiustificato impiego di denaro contante o di mezzi di pagamento non appropriati rispetto alla prassi comune ed in considerazione dell'operazione ovvero il coinvolgimento di soggetti costituiti, operanti o insediati i Paesi caratterizzati da regimi privilegiati sotto il profilo fiscale o del segreto bancario ovvero in Paesi indicati dal Gafi come non cooperativi, sono criteri generali individuati nel provvedimento dell'Uic del 24 febbraio 2006, rispettivamente alle lettere a) e g) del paragrafo 4 della parte IV, dai quali desumere elementi di sospetto che obbligano il Notaio alla segnalazione.
Dunque, dall'indicazione obbligatoria ed analitica delle modalità di pagamento potranno emergere dati che, in precedenza, sarebbero potuti essere legittimamente occultati dalle parti con una mera dichiarazione di pagamento del prezzo già avvenuto e relativa quietanza di avvenuto pagamento.
Ancor più significativa è la rilevanza che ha assunto l'obbligo di comunicazione delle eventuali infrazioni alle disposizioni sulla limitazione dell'uso del denaro contante e dei titoli al portatore, in seguito all'entrata in vigore degli obblighi di dichiarazione prescritti dal comma 22 in esame. [nota 36]
Le prassi precedenti erano orientate, nella prevalenza dei casi, verso l'omissione dell'indicazione delle modalità di pagamento, mancando uno specifico interesse delle parti, pur in assenza di qualunque intento illecito o fraudolento; realizzando, comunque l'interesse dei contraenti, la certezza del mezzo di pagamento utilizzato, per una parte, ed il rilascio della quietanza, per l'altra. L'indicazione espressa del mezzo di pagamento veniva utilizzata nei casi in cui le parti - o una di esse - avessero un interesse a far risultare le modalità di pagamento per poterne trarne eventualmente qualche azione od eccezione in caso di inadempimento, ovvero per dare maggiore certezza e serietà al pagamento effettuato, corrispondendo la "tracciabilità" del pagamento anche ad un interesse diretto delle parti (per escludere, ad esempio, eventuali sospetti di simulazione dell'operazione), ovvero nei casi in cui il mezzo di pagamento utilizzato non assicurasse con certezza ed immediatamente l'interesse della parte che lo riceveva (si pensi al pagamento mediante assegno bancario o postale o mediante bonifico bancario).
Con l'entrata in vigore del comma 22 in esame, l'indicazione analitica dei mezzi di pagamento, oltre a rendere più trasparente l'operazione - o, più esattamente, le modalità di pagamento dell'obbligazione pecuniaria costituente la controprestazione della cessione immobiliare - per finalità antielusive ed antievasione, realizza l'interesse, diretto delle parti ed indiretto anche di eventuali terzi cointeressati (o controinteressati), e rende concretamente verificabile il rispetto delle prescrizioni contenute nell'art. 1 del D.l. 3 maggio 1991, n. 143 (convertito con la legge 5 luglio 1991, n. 197) relativamente alla limitazione dell'uso del contante (o di titoli al portatore).
Quest'ultima norma, in assenza di uno specifico obbligo di indicazione espressa delle modalità di pagamento, di fatto era facilmente eludibile, in quanto le parti, anche in caso di pagamento irregolare, potevano limitarsi a dichiarare, all'atto della cessione dell'immobile, che il prezzo era stato pagato in precedenza al perfezionamento dell'atto. In concreto, la violazione del disposto del 1° e 2° comma dell'art. 1 del D.l. n. 143 del 1991, era di difficile riscontro. Ciò era possibile soprattutto perché gli unici momenti in cui avveniva il controllo del rispetto della legge erano o all'atto dell'emissione del mezzo di pagamento da parte di un intermediario abilitato ovvero al momento della negoziazione del mezzo di pagamento attraverso un intermediario abilitato. [nota 37]
In altri termini, il percorso dei mezzi di pagamento era controllabile nei soli passaggi in cui interveniva un soggetto tenuto a rilevare le eventuali infrazioni alla legislazione antiriciclaggio ed, inoltre, tale controllo di fatto poteva avvenire nei soli casi in cui era obbligatorio coinvolgere nel relativo "passaggio" uno di questi soggetti.
Risulta, quindi, comprensibile il motivo per cui, nell'ambito dell'attività notarile risultava poco applicato (e facilmente eludibile) il disposto del 1° comma dell'art. 1 del D.l. 3 maggio 1991, n. 143 (convertito, con modificazioni, dalla legge 5 luglio 1991, n. 197), che espressamente prescrive: «è vietato il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in lire o in valuta estera, effettuato:
a. a qualsiasi titolo;
b. tra soggetti diversi;
c. quando il valore da trasferire è complessivamente superiore ad euro 12.500,00.
Il trasferimento può tuttavia essere eseguito per il tramite degli intermediari abilitati; per il denaro contante vanno osservate le modalità indicate ai commi 1-bis e 1-ter». [nota 38]
Nella pratica avveniva spesso che acconti di pagamento del prezzo, singolarmente inferiori a 12.500,00 euro, venissero regolati mediante utilizzo di denaro contante sebbene il valore complessivo del prezzo da pagare fosse superiore a 12.500,00 euro.
Il comportamento appena descritto merita una attenta valutazione ai fini di un giudizio di conformità o meno al disposto della richiamata norma che limita l'uso del contante facendo riferimento al "valore complessivo" da trasferire.
Una lettura della norma che collochi il pagamento all'interno di una vicenda "contrattuale", non può non prendere in considerazione, nella valutazione del "valore complessivo", l'oggetto della prestazione nella sua unità. Un suo frazionamento nel tempo, più o meno lungo, non sembra giustificare, in modo assoluto, una deroga all'espresso riferimento normativo, preferendosi una lettura dell'avverbio "complessivamente" nel suo significato teleologico (con gli eventuali opportuni temperamenti di cui si farà cenno), in alternativa ad una sua lettura in termini meramente "temporali" o meramente "oggettivi", secondo il duplice significato proposto dal Consiglio di Stato nel noto parere n. 1504 del 12 dicembre 1995. [nota 39]
Nel provvedimento appena menzionato, il Consiglio di Stato evidenziava che - attribuendo all'avverbio "complessivamente" carattere temporale -, la norma andrebbe interpretata imponendo il cumulo di più trasferimenti eseguiti in un dato periodo di tempo ciascuno di importo inferiore a 20 milioni di lire (limite all'epoca vigente), ma che sommati danno un importo superiore, mentre - attribuendo al suddetto avverbio carattere oggettivo - la norma troverebbe applicazione al solo fine di impedire il cumulo, tra denaro contante e titoli al portatore, nell'ambito del medesimo trasferimento e concludeva proponendo una soluzione intermedia, in base alla quale se è vero che, in mancanza di riferimenti (normativi) temporali precisi è necessario applicare il criterio oggettivo, è da tener conto «della circostanza che la presenza di determinati elementi, anche di ordine temporale, potrebbe rendere pienamente compatibili con le finalità delle misure antiriciclaggio eventuali eccezioni alla regola in parola, in talune fattispecie particolari».
Indubbiamente, il parere del Consiglio di Stato risentiva in modo marcato lo scenario giuridico all'epoca vigente: il controllo relativo al rispetto della norma sull'utilizzo dell'uso del contante e dei titoli al portatore era demandato, di fatto, ai soli intermediari bancari e finanziari i quali non avevano alcuna possibilità di individuare le finalità dei pagamenti (se non in via di mero sospetto). La norma in questa sua limitata applicabilità richiedeva parametri oggettivi di riconoscimento dell'eventuale violazione della norma, individuati o nel fatto che più pagamenti intercorrevano tra le stesse persone in uno spazio temporale delimitato (ed è questo il significato dell'art. 13 del D.L. 15 dicembre 1979, n. 625) ovvero nel fatto che uno stesso pagamento avvenisse tra gli stessi soggetti utilizzando mezzi di pagamento diversi (contanti e titoli al portatore) [nota 40], il ricorso ad altri indici di riferimento di natura "teleologica" non era in concreto percorribile proprio perché richiedeva una valutazione dell'operazione finanziaria o commerciale, mettendola in riferimento con altri elementi che non erano (e non potevano essere) a disposizione di quei soggetti (gli intermediari abilitati) che "di fatto" erano i veri destinatari della norma.
Una lettura della norma da un angolo prospettico più aderente all'attività notarile consente, invece, attualmente, di assegnare all'avverbio "complessivamente" un significato teleologico che collochi il pagamento all'interno della fattispecie contrattuale per cui è eseguito e lo ponga in relazione con tutta una serie di indici e di aspetti in grado di far emergere in modo netto la violazione della norma contenuta nel 1° comma dell'art. 1 del D.l. 143/1991, ovvero in grado di far emergere solo profili di sospetto che una tale violazione ci sia stata, ovvero in grado di escludere del tutto una violazione del suddetto disposto normativo. [nota 41]
Spetterà dunque, al Notaio, e solo al Notaio, decidere se più trasferimenti di denaro contante o titoli al portatore relativi alla medesima operazione, anche pregressi, debbano considerarsi "complessivamente" ai fini della denunzia ex art. 7 D.lgs. n. 56 del 2004. [nota 42]
Come considerazione di carattere generale, va inoltre, ricordato che sulla problematica dei pagamenti frazionati, in rapporto alle prescrizione del detto 1° comma dell'art. 1 della cit. legge antiriciclaggio, il Consiglio di Stato nel più volte citato parere n. 1504 del 12 dicembre 1995 (confermato dal documento del Ministero dell'Economia e delle Finanze, "Antiriciclaggio, Violazioni di natura amministrativa, con annotazioni giurisprudenziali", di A. Mengali) [nota 43] afferma testualmente:
« … in particolare, nel caso di più trasferimenti singolarmente di importo inferiore a 12.500 euro, ma complessivamente di ammontare superiore, sfuggono al divieto, perché tra loro non cumulabili, quelli relativi:
- a distinte ed autonome operazioni;
- alla medesima operazione, quando il frazionamento è connaturato all'operazione stessa (ad es., contratto di somministrazione) ovvero è la conseguenza di preventivo accordo tra le parti (ad es., pagamento rateale).
Rientra, comunque, nel potere discrezionale dell'Amministrazione valutare, caso per caso, se il frazionamento sia stato invece realizzato con lo specifico scopo di eludere il divieto imposto dalla disposizione … ».
E' evidente che, al di là della condivisione o meno delle suddette affermazioni, esse costituiscono elemento su cui le parti di un contratto possono aver ragionevolmente e giustificatamente fatto affidamento conformando il proprio comportamento al contenuto dell'autorevole parere (come sopra detto recentemente confermato nel documento del Mef) e che, pertanto, non appare legittima alcuna contestazione da parte delle Direzioni Generali del Tesoro che sia in contraddizione con i principi espressi nel parere stesso. [nota 44]
A mio giudizio, pertanto, un'applicazione attuale della norma che disconoscesse i pregressi orientamenti ufficiali della Pubblica Amministrazione (affermati, ribaditi e tuttora non rivisti) relativamente ai pagamenti rateali (i quali altro non sono che pagamenti frazionati) effettuati in precedenza al decreto Bersani-Visco non sarebbe consentita, non tanto per una presunta o irragionevole "irretroattività" della norma stessa, principio non invocabile per più di un motivo nel nostro caso, ma, piuttosto per una carenza dell'elemento psicologico da parte del soggetto che ha effettuato il pagamento stesso confidando nelle precise indicazioni dell'Autorità preposta alla vigilanza sull'applicazione della normativa antiriciclaggio.
D'altronde l'art. 3 L. 689/1981 dispone testualmente, in merito all'elemento psicologico che deve sorreggere la punibilità per la violazione di una norma amministrativa:
«elemento soggettivo.
Nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa.
Nel caso in cui la violazione è commessa per errore sul fatto, l'agente non è responsabile quando l'errore non è determinato da sua colpa».
L'aver fatto affidamento su una costante interpretazione della norma, in modo specifico quando essa proviene da un'Autorità ufficiale, è elemento che, senza dubbio, giustifica un errore di fatto incolpevole. [nota 45]
Sarà, pertanto, rimessa al giudizio del Notaio, in questi casi, la decisione se inoltrare o meno la comunicazione, in via cautelativa, alla Direzione Generale del Tesoro competente, ferma restando ogni altra valutazione (ai soli fini antiriciclaggio) sull'opportunità della segnalazione all'Uic dell'operazione come sospetta, in presenza di indici di anomalia.
Riprendendo, invece, un'analisi più generale della norma stessa, svincolata o, comunque, non condizionata, dal suddetto parere e proiettata, al contrario, verso un'interpretazione più adeguata della norma stessa alla nuova realtà normativa in cui essa è collocata, sotto il duplice profilo del soggetto (nuovo) tenuto alla vigilanza sulla sua applicazione (il Notaio) ed al nuovo contesto (vicenda contrattuale) in cui oggi l'applicazione della norma si colloca, va osservato che l'eventuale "compatibilità" di pagamenti frazionati in denaro contante (inferiori o pari ad euro 12.500,00) con la prescrizione in oggetto potrebbe riscontrarsi in quei casi in cui la somma di denaro è trasferita non come inizio di esecuzione della prestazione, ma depositata nelle mani di un terzo, in una fase pre-negoziale, come generica conferma della serietà della proposta di acquisto e nella reciproca intesa che detta somma possa, in un secondo momento, essere utilizzata quale primo acconto di pagamento del prezzo. In questo caso, il trasferimento della somma al terzo sembra avere una sua autonomia, almeno iniziale, compatibile con la prescrizione di cui al richiamato 1° comma dell'art. 1.
A questa ipotesi marginale potrebbero aggiungersi altre ipotesi che si collocano in un'area "grigia" all'interno della quale potranno individuarsi casi di importi pagati a titolo di caparra, in contanti, inferiori al limite dei 12.500,00 euro, ovvero pagamenti effettuati da più soggetti, a fronte di un'unica controprestazione, singolarmente inferiori (o pari) a 12.500,00 euro, ma complessivamente superiori al suddetto importo, ecc. Ipotesi queste che potranno essere valutate dal Notaio, unitamente agli altri elementi a sua disposizione, al fine di effettuare o meno la denunzia prescritta. .
All'interno di quest'area grigia, una fattispecie che potrà con frequenza presentarsi nella pratica, con peculiarità specifiche e da valutarsi caso per caso, è quella relativa a pagamenti effettuati in precedenza alla cessione dell'immobile mediante il rilascio di cambiali o, più in generale di titoli di credito.
Invero, il rilascio della cambiale (o del titolo di credito) non costituisce di per sé pagamento, ma è piuttosto un mezzo che offre maggiori garanzie di adempimento dell'obbligazione e che consente una circolazione del credito semplificata come conseguenza della cartolarizzazione del credito stesso. [nota 46]
In concreto, può accadere che al rilascio della cambiale non sia ancora seguito il pagamento da parte del debitore in quanto con scadenza successiva al perfezionamento dell'atto di cessione, ovvero che il pagamento sia stato effettuato non al primo beneficiario della cambiale (cedente dell'immobile) ma ad altro soggetto al quale la cambiale è stata girata, ovvero che la cambiale sia stata pagata da una terza persona (e non dal cessionario) che abbia accettato la tratta, ovvero che il pagamento sia stato effettuato presso un istituto bancario presso cui la cambiale risultava domiciliata (previa messa a disposizione della provvista) ovvero che il pagamento sia stato effettuato nelle mani del presentatore dell'effetto cambiario al quale il titolo sia stato consegnato per l'eventuale protesto.
In tutti questi casi, non sembra che il pagamento della singola cambiale (d'importo pari o inferiore a 12.500,00 euro) debba necessariamente essere regolato con mezzi di pagamento diversi dal contante se il valore complessivo dell'operazione superi il limite sopra detto, anzi in alcune ipotesi si può addirittura escludere che il pagamento possa avvenire in forma diversa dal denaro contante (ad esempio, nell'ipotesi in cui il pagamento è effettuato ad un terzo, estraneo al rapporto sottostante, che pretenda il pagamento per contanti e rifiuti un pagamento mediante assegno).
La cambiale, invero, assume una sua qualificazione autonoma rispetto al diritto di credito incorporato che in alcune fattispecie certamente consente di utilizzare qualunque mezzo di pagamento senza possibilità di operare il cumulo ai fini dell'individuazione del valore complessivo dell'operazione che ha generato l'emissione del titolo di credito (si pensi al pagamento effettuato ad un terzo o da un terzo, estranei al rapporto sottostante di singoli titoli pari o inferiori a 12.500,00 euro) ed in altre fattispecie, richiederà una valutazione critica diretta a verificare se il pagamento (in contanti) del titolo ha finalità elusive ovvero rientra in una normale prassi commerciale caratterizzata da un prevalente rilievo in termini di astrattezza di cui è dotato il titolo cartolare che lo svincola dalle problematiche attinenti il cumulo o il frazionamento della medesima prestazione.
In altri termini il debitore della cambiale non potendo opporre eccezioni al possessore del titolo di credito fondate sul rapporto sottostante all'emissione del titolo stesso (nei limiti dell'art. 1993 c.c.) in considerazione della letteralità ed astrattezza del titolo stesso, non potrebbe sottrarsi alla richiesta di pagamento in contanti di un effetto cambiario qualora il suo importo non superi il limite dei 12.500,00 euro.
Non va, peraltro trascurato, su questo punto il citato parere del Consiglio di Stato (1504 del 1995) laddove ritiene che la disciplina prescritta dal 1° comma dell'art. 1 della L. 197 del 1991, non sia applicabile quando «il frazionamento è la conseguenza di preventivo accordo tra le parti (ad es., pagamento rateale)». Rientrando, «comunque, nel potere discrezionale dell'Amministrazione valutare, caso per caso, se il frazionamento sia stato invece realizzato con lo specifico scopo di eludere il divieto imposto dalla disposizione».
Dunque, in queste ipotesi, eventuali pagamenti in contanti di singole cambiali d'importo pari o inferiore a 12.500,00 euro, relative a prezzi d'importo superiore al limite fissato dalla normativa antiriciclaggio, saranno oggetto di valutazione da parte del Notaio per riscontrare eventuali anomalie dell'operazione e non come riscontro tout court di infrazioni alla normativa.
La relativa dichiarazione, pertanto, potrà limitarsi ad indicare gli estremi della cambiale (data emissione, data pagamento, importo del singolo titolo ed il mezzo di pagamento che, in caso di titolo pari o inferiore a 12.500,00 euro potrà anche essere denaro contante).
Altra fattispecie ricorrente è quella del pagamento, non in denaro contante (o mediante libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore), ma mediante assegni postali, bancari e circolari o vaglia postali e cambiari per singoli importi inferiori a 12.500,00 euro, senza indicazione della clausola di non trasferibilità.
Tale prassi non sembra violare il disposto del 1° comma dell'art. 1 appena citato, in quanto la suddetta norma limita l'uso del solo denaro contante e dei titoli al portatore, senza alcun riferimento ai titoli all'ordine.
La norma che disciplina la fattispecie in questione è il secondo comma dell'art. 1 del D.l. 143/1991 citato che testualmente dispone: «i vaglia postali e cambiari e gli assegni postali, bancari e circolari per importi superiori a euro 12.500,00 devono recare l'indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità. Il Ministro del tesoro può stabilire limiti per l'utilizzo di altri mezzi di pagamento ritenuti idonei ad essere utilizzati a scopo di riciclaggio».
Dunque, il riferimento, in questa seconda prescrizione, non è più al valore complessivo da trasferire ma all'importo del singolo titolo. Talché appare al di fuori di ogni divieto di legge l'utilizzo di vaglia postali e cambiari, e di assegni bancari, postali e circolari a cui non sia apposta la clausola di non trasferibilità purché ogni singolo assegno sia pari o inferiore a 12.500,00 euro, senza che costituisca una limitazione l'importo complessivo del valore da trasferire.
La ratio legis del 1° comma va individuata nella finalità di canalizzare le transazioni finanziarie superiori ad un certo importo verso gli intermediari abilitati, in possesso di archivi presso i quali è possibile, in qualunque momento reperire dati ed informazioni utili all'Amministrazione finanziaria e, quindi si limita a vietare l'utilizzo di specifici mezzi di pagamento specifici (denaro, libretti postali e bancari, titoli al portatore) per operazioni complessivamente superiori ad un importo predeterminato. La ratio legis del 2° comma, invece, è quella di limitare (attraverso l'obbligo di apposizione della clausola di non trasferibilità) la circolazione di titoli all'ordine superiori ad un certo importo, per tracciarne in modo più trasparente e certo il percorso finanziario, in ragione del loro importo, ritenuto più a rischio "antiriciclaggio", in base ad una valutazione ed una scelta operata dal legislatore.
Questa interpretazione sembra, peraltro, confermata dall'unico parere espresso dal "Ministero del tesoro - Direzione generale del tesoro servizio V - Antiriciclaggio, contenzioso e valutario - Comitato legge n. 197/1991" (seduta 11 novembre 1997 - parere n. 62) relativamente all' applicabilità dell'art. 1, comma 2, della legge 5 luglio 1991, n. 197 a titoli di credito singolarmente inferiori a Lit. 20.000.000 (oggi 12.500,00 euro [nota 47] ma relativi ad operazioni complessivamente superiori a tale limite.
In risposta al quesito se sussistessero eventuali obblighi di apposizione della clausola di non trasferibilità sui predetti assegni, ai sensi dell'art. 1, comma 2, della legge 5 luglio 1991, n. 197, il suddetto Comitato, ribadendo quanto già osservato dal Ministero del tesoro con nota del 25 novembre 1991 - nella quale esprimeva l'avviso che non sussisteva l'obbligo di apposizione della clausola di non trasferibilità sui vaglia postali e cambiari, sugli assegni postali, bancari e circolari singolarmente inferiori alla soglia dei 20 milioni ancorché tali mezzi di pagamento costituissero "frazionamenti" di una operazione complessivamente superiore a detta soglia - affermava che, dalla formulazione del predetto comma 2 dell'art. 1 L. 197/91, non possa non condividersi l'interpretazione data dal Ministero del Tesoro fermo restando l'obbligo di effettuare la registrazione e l'eventuale segnalazione delle operazioni frazionate ai sensi dell'art. 3 della menzionata L. 197/91 così come sostituito dall'art. 1 del D.lgs. 26 maggio 1997, n. 153. [nota 48]
Dunque, il problema si sposta dal piano dell'infrazione alle norme sulla limitazione all'uso del contante (e dei titoli al portatore) al piano della valutazione critica, da parte del Notaio, sulla sussistenza di un comportamento "anomalo" che rende obbligatoria la segnalazione dell'operazione all'Uic, come sospetta. [nota 49]
Valutazione critica che sarà particolarmente rigorosa nei casi in cui il titolo all'ordine privo della clausola di non trasferibilità (pari o inferiore ad euro 12.500,00), presenti girate in bianco [nota 50] che, di fatto ne consentono una circolazione priva di controlli nei vari passaggi da un soggetto ad un altro. In questi casi, in cui il titolo ha caratteristiche "ibride", per la compresenza di elementi specifici dei titoli al portatore e dei titoli all'ordine, sebbene formalmente non possa essere riscontrata alcuna violazione né al disposto del 1° comma, né a quello del 2° comma dell'art. 1 del D.l. 197 del 1991, la fattispecie obbligherà comunque alla segnalazione all'Uic, ove si riscontrassero anomalie che facciano ipotizzare la mera possibilità della provenienza delittuosa (ai sensi degli artt. 648-bis e ter del c.p.) del danaro utilizzato. [nota 51]
Queste conclusioni, non sembrano contrastare nemmeno con il recente pronunciato della Suprema Corte [nota 52] che si è occupata, indirettamente, dei riflessi sul piano civilistico della normativa antiriciclaggio.
Nel suddetto pronunciato la S.C. afferma che «la recente legislazione antiriciclaggio (D.l. 15 dicembre 1979, n. 625, convertito con modificazioni nella legge 6 febbraio 1980, n. 15 e il D.l. 3 maggio 1991, n. 143 convertito con modificazioni nella legge 5 luglio 1991, n. 197) ha progressivamente imposto limiti e obblighi sulle operazioni (versamento, riscossione, prelevamento) eseguite per contanti. Originariamente, imponendo solo l'obbligo della identificazione di colui che versava, riscuoteva o prelevava somme di denaro, anche presso gli uffici pubblici e quelli postali, non inferiori a lire 20.000.000 (art. 13, D.l. n. 625 del 1979) e poi vietando, sic et simpliciter, con la comminatoria di sanzioni di vario genere, il trasferimento di denaro contante o di titoli al portatore in lire o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore da trasferire sia complessivamente superiore a lire venti milioni (art. 1, D.l. n. 143 del 1991).
Le presunzioni di non veridicità della quietanza e di simulazione del patto sul prezzo di trasferimento del bene immobile, utilizzate dalla curatela e fatte proprie dai giudici della fase di merito, ricevono il loro ulteriore supporto nei dati legislativi menzionati che impongono cautele e formalità particolari ove vengano trasferiti valori di ammontare superiore a venti milioni di lire (o al loro odierno equivalente in euro)».
La sentenza, invertendo sostanzialmente l'onere della prova e ponendolo a carico di chi ha effettuato il pagamento quietanzato e non del terzo che intenda dimostrare la simulazione del pagamento, ribadisce i divieti contenuti nel citato 1° comma dell'art. 1 del D.l. 143/1991, relativi all'uso del contante (e dei titoli al portatore), non coinvolgendo, tuttavia, nell'interpretazione della norma il dato testuale contenuto nel 2° comma del medesimo articolo e, quindi, la possibilità di non apposizione della clausola di "non trasferibilità" per i titoli ivi elencati di importo pari o inferiore a 12.500,00 euro.
Va, peraltro, osservato che, con riguardo a eventuali vaglia postali e cambiari, assegni postali, bancari e circolari di importo pari o inferiore a 12.500,00 euro, la clausola di non trasferibilità, non apposta al momento dell'emissione, può comunque, essere apposta in un momento successivo ovvero dopo una prima serie di girate libere.
Contenuto delle dichiarazioni sostitutive di atto notorio
Riprendendo l'esame del contenuto della dichiarazione sostitutiva di atto notorio, e della pluralità di obblighi a carico delle parti contrattuali, come sopra specificati, è opportuno evidenziare alcuni aspetti che presentano particolarità proprie rispetto al mero pagamento del prezzo contestualmente alla cessione dell'immobile.
Pagamento del corrispettivo
L'ambito di applicazione del comma 22 in esame, come già osservato, riguarda esclusivamente i contratti di cessione immobiliare che hanno, quale controprestazione, il pagamento di un corrispettivo rappresentato da un obbligazione pecuniaria; talché non dovrà essere oggetto della dichiarazione sostitutiva la descrizione dell'eventuale bene, mobile o immobile, che costituisce la controprestazione di una permuta, il credito ceduto come controprestazione all'interno di una datio in solutum e, più genericamente, qualunque altra controprestazione che non sia un'obbligazione pecuniaria. [nota 53]
La norma, riferendosi all'indicazione delle «modalità di pagamento» non fa alcun riferimento temporale e, pertanto, saranno oggetto della dichiarazione, non solo quelle che avvengono contestualmente alla cessione dell'immobile, ma anche quelle già avvenute in precedenza, mentre sono esclusi dalla fattispecie legale la descrizione delle modalità di pagamento del corrispettivo che avverrà in un momento successivo al perfezionamento dell'atto. [nota 54]
Per questi ultimi, invero, la norma avrebbe scarso significato non potendosi indicare analiticamente un fatto che non è ancora avvenuto; inoltre all'atto della cessione dell'immobile (momento qualificante ai fini della dichiarazione da rendere) la dilazione di pagamento non può essere considerata "pagamento", ma mera assunzione di obbligazione, che è fattispecie concettualmente diversa.
Nel caso in cui una parte del pagamento sia avvenuta in precedenza all'entrata in vigore della legge, non sussistendo, all'epoca del pagamento, alcun obbligo a carico delle parti di registrare e conservare gli estremi del mezzo di pagamento, è ragionevole ritenere che le indicazioni oggetto della dichiarazione potranno avere un grado di genericità giustificato proprio dall'assenza di uno specifico obbligo sussistente al momento del pagamento.
La genericità delle indicazioni, ovvero un grado attenuato di analiticità delle indicazioni relative alle modalità di pagamenti avvenuti in epoca precedente all'entrata in vigore delle prescrizioni del comma 22 in esame, sarà oggetto di valutazione critica da parte del Notaio, al fine di un'eventuale segnalazione all'Uic, qualora le dichiarazioni rese rivestano carattere "anomalo", anche valutando eventuali altri elementi che possono emergere nell'esecuzione dell'operazione, ovvero al fine della comunicazione di infrazione alle norme antiriciclaggio qualora dalla dichiarazione resa emerga la violazione del disposto dell'art. 1 del D.l. 143/1991.
L'eventuale attenuato grado di analiticità nella dichiarazione resa, relativa a pagamenti effettuati in epoca precedente l'entrata in vigore del D.L. 223/2006, dovrà ugualmente essere, almeno ragionevolmente, oggetto di una valutazione di merito da parte dell'Agenzia delle Entrate, al fine dell'applicazione delle sanzioni previste nel comma 22 in esame, che tenga conto dell'insussistenza di alcun obbligo a carico delle parti di conservazione degli estremi dei mezzi del pagamento, all'epoca del pagamento stesso. [nota 55]
Può aversi, come fattispecie possibile, soprattutto nelle prime fasi applicative della legge, che solo una delle parti sia in grado di indicare in modo completo ed analitico le modalità di pagamento del prezzo avvenuto in precedenza alla conclusione del contratto. La fattispecie, tuttavia, sembra non sanzionabile, perché l'indicazione dei dati contenuti nell'atto è, comunque, completa ed analitica; infatti, il comma 22, in oggetto, prevede l'applicazione delle relative sanzioni amministrative nei soli casi di «omessa, incompleta o mendace indicazione dei predetti dati».
La completa omissione della dichiarazione di una delle parti non sembra, invece, surrogabile dalla dichiarazione resa dall'altra parte negoziale, imponendo espressamente la norma l'obbligo di dichiarazione alle "parti" e non ad una di esse.
Un'eventuale difformità tra le dichiarazioni delle parti relativamente alle modalità analitiche di pagamento del prezzo fa emergere, al contrario, evidentemente la falsità di una delle dichiarazioni rese, con conseguente obbligo da parte del Notaio di rapporto all'autorità giudiziaria , ai sensi dell'art. 361 c.p.
Nel caso in cui il pagamento sia stato effettuato da terzi, ovvero sia effettuato mediante rimesse ricevute da terzi, ovvero sia destinato a terze persone estranee al contratto, il fatto avrà rilevanza sotto più aspetti che possono, sinteticamente riassumersi come segue:
a. civilistica: legate all'evidenziazione del rapporto tra una parte (o le parti) negoziale ed un terzo, presumibilmente in assenza di qualunque indicazione sulla relativa causa giustificatrice del rapporto stesso e, quindi, alla conseguente opportunità di "schermare" la parte negoziale estranea al rapporto con il terzo da eventuali effetti indiretti o provenienti da rapporti a lui estranei (si pensi al coinvolgimento di un terzo nelle vicende di una donazione indiretta);
b. antiriciclaggio: quale criterio generale da prendere in considerazione al fine di individuare eventuali anomalie nell'operazione stessa;
c. fiscale: nei limitati casi in cui sia applicabile il c.d. principio dell'enunciazione previsto dall'art. 22 del T.U. 131 del 1986 il cui 1° comma dispone: «se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell'atto che contiene la enunciazione, l'imposta si applica anche alle disposizioni enunciate. Se l'atto enunciato era soggetto a registrazione in termine fisso è dovuta anche la pena pecuniaria di cui all'art. 69».
Contratto concluso con l'opera del mediatore
La seconda dichiarazione sostitutiva di atto notorio che le parti sono obbligate a rendere attiene ad un elemento di fatto, estraneo al contratto, di cui costituisce un antecedente logico e cronologico e, precisamente, riguarda la circostanza di essersi avvalsi o non dell'opera di mediatori.
Può osservarsi che, mentre la dichiarazione sostitutiva di atto notorio - relativa all'indicazione analitica delle modalità di pagamento del corrispettivo -, benché resa da più parti, converge verso la medesima ricostruzione di un fatto (le modalità di pagamento del prezzo) e, pertanto, salvo casi particolari in cui la memoria storica delle parti non concordi su alcuni elementi ovvero una parte abbia ricordi più dettagliati (rectius: analitici) rispetto all'altra, nella quasi totalità dei casi sarà di contenuto omogeneo e potrà essere resa contestualmente da tutte le parti. Al contrario, la "seconda dichiarazione sostitutiva" - relativa all'essersi avvalsi o meno dell'opera del mediatore, delle provvigioni pagate e delle modalità analitiche di pagamento delle stesse -, non potrà che essere resa singolarmente da ciascuna parte negoziale, essendo alcuni elementi delle relative dichiarazioni variabili e personali ad ogni singola parte (si pensi alla misura della provvigione ed alle modalità di pagamento della stessa).
Attenendosi alla lettera della legge non sembra che sussista alcun obbligo a carico delle parti al di fuori del rapporto di mediazione e, pertanto, che non debba essere rilasciata alcuna dichiarazione in caso di assistenza, nella trattativa o nella conclusione del contratto, di un consulente legale o di un mandatario. Giova in proposito riportare la distinzione tra mandatario e mediatore, così come ricostruita nella giurisprudenza della Suprema Corte [nota 56] secondo cui «il mandato e la mediazione si differenziano in relazione sia alla struttura dei rispettivi rapporti, sia alla natura dell'attività esplicata dal mediatore e dal mandatario. Sotto il primo aspetto, mentre il mandatario che accetta l'incarico ha l'obbligo giuridico di curarne la esecuzione ed acquista il diritto al compenso indipendentemente dal risultato raggiunto, a tale obbligo non è tenuto il mediatore il quale, interponendosi in maniera neutrale ed imparziale fra i due contraenti, ha soltanto l'onere di metterli in relazione, appianarne le eventuali divergenze e far loro concludere l'affare». [nota 57]
L'ipotesi del mandatario che riceve incarico da una sola delle parti è nella prassi denominata anche "mediazione unilaterale" [nota 58] e si affianca al contratto atipico di procacciamento d'affari che, ugualmente, si distingue dalla mediazione, come definita dall'art. 1754 c.c., sotto il profilo della posizione di imparzialità del mediatore rispetto a quella del procacciatore il quale agisce su incarico di una delle parti interessate alla conclusione dell'affare e dalla quale, pur non essendo a questa legato da un rapporto stabile ed organico (a differenza dell'agente) può pretendere il compenso. I due rapporti hanno in comune l'elemento della prestazione di una attività di intermediazione finalizzata a favorire fra terzi la conclusione degli affari, onde è sufficiente perché il mediatore ed il procacciatore abbiano diritto al compenso che essi abbiano posto in contatto i soggetti interessati e che l'affare, per effetto del loro intervento, si sia concluso, nel senso che quei soggetti abbiano stipulato il contratto da costoro promosso. [nota 59]
E' noto che nella fase preliminare alla conclusione di un contratto possono intervenire soggetti che, a diverso titolo e con contributi diversi, concorrono ad agevolare la conclusione dell'accordo sia nella ricerca delle parti negoziali, nell'individuazione dei beni, nella formazione dell'accordo, nella predisposizione delle clausole negoziali, nell'attività preliminare di acquisizione di documenti, atti, dati tecnici, planimetrie, visure, ecc. Non sembra che gli obblighi di dichiarazione, prescritti dal comma 22 in esame, abbiano inteso investire tutti coloro che comunque partecipano alla fase che precede la conclusione del contratto, ma è, al contrario, ragionevole ritenere che la nuova norma faccia riferimento alla sola attività di mediazione così come definita dall'art. 1754 del c.c. che espressamente definisce mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza.
Va comunque, precisato che la mediazione tipica sussisterà, come da costante giurisprudenza della Suprema Corte, [nota 60] indipendentemente sia dal preventivo accordo delle parti sulla persona del mediatore, sia dal previo conferimento dell'incarico; ciò che conta, infatti, è l'effettiva ed imparziale interposizione del mediatore tra le parti dell'affare, che si concreti in un'attività diretta a favorirne la conclusione o che sia stata accettata anche tacitamente dalle parti.
Altro caso particolare, che si potrà presentare nella pratica, e che non integra la fattispecie prevista dal comma 22 in esame, sarà quella relativo ad un'attività di intermediazione svolta a titolo di "mera cortesia" e, pertanto al di fuori dell'ipotesi disciplinata dagli artt. 1754 e ss. [nota 61]
E' evidente che, in via prudenziale le parti - pur in assenza di un obbligo, tenuto conto dei rischi connessi alla violazione del disposto della norma stessa, dell'ambiguità delle situazioni concrete e delle possibili diverse interpretazioni del disposto normativo - potranno fornire all'interno della dichiarazione tutti i dati necessari idonei all'individuazione del rapporto e dei suoi elementi caratteristici a giustificazione dell'assenza di un rapporto di mediazione ovvero dell'assenza di pagamento di provvigioni o, più in generale, di spese di mediazione.
Nell'ipotesi in cui ci siano contestazioni in ordine all'intervenuta mediazione tra parti negoziali (o una di esse) e l'agente immobiliare, tenuto conto del rischio connesso al rilascio di dichiarazioni incomplete o false sarà opportuno dare evidenza all'interno della dichiarazione della contestazione, riportando eventuali informazioni che potranno essere utilizzate dall'Amministrazione finanziaria, per le finalità della norma stessa. [nota 62]
Invero, lo scopo evidente della norma è quello di contrastare l'evasione fiscale nel settore della mediazione immobiliare chiedendo all'utente una collaborazione attiva con l'Amministrazione finanziaria nell'acquisizione di una serie di dati capaci di offrire un quadro (tendenzialmente) fedele di questo settore, senza incidere su aspetti che attengono alla composizione d'interessi tra le parti.
All'interno della fattispecie, per la sua genericità e per i suoi intenti antielusivi ed antievasione, dovrebbero rientrare, non solo le ipotesi in cui le parti (o una di esse) si siano avvalse dell'opera di mediatori professionali, ma anche i casi in cui il contratto si sia concluso con l'intervento di mediatori occasionali. Sul punto la lettera della norma è incerta in quanto se è vero che i dichiaranti possono indicare, alternativamente, la partita Iva o il codice fiscale dei mediatori stessi, è altrettanto vero che, la norma stessa, nella parte immediatamente successiva del periodo, si riferisce all'agente immobiliare che certamente non è assimilabile con il mediatore occasionale. [nota 63]
Non sembra che possa revocarsi in dubbio sia che la scelta sull'indicazione della partita Iva o del codice fiscale è rimessa alla libera scelta del dichiarante e sia l'insussistenza di obblighi di indicazione di altri dati di riconoscimento del mediatore, quali la ragione sociale, la denominazione, il nome ed il cognome, il numero di iscrizione nel Registro delle Imprese o nel Rea, ecc.
Per quanto riguarda l'indicazione analitica delle modalità di pagamento della provvigione, va osservato che la più efficace realizzazione delle finalità della norma si potrà avere nel solo caso in cui il pagamento avvenga attraverso un titolo all'ordine (assegno bancario, postale, circolare, vaglia cambiario, ecc.) ovvero attraverso bonifico bancario o mediante l'intervento di un intermediario abilitato. In caso di pagamento in contanti, possibile sino alla soglia di 12.500,00, non potrà che essere indicato l'importo pagato e la circostanza che lo stesso è regolato in contanti. Ciò è confermato dalla circostanza che laddove si sia voluta creare una tracciabilità assoluta dei pagamenti eseguiti, come nel caso dei professionisti, lo si è specificato espressamente.
Sanzioni - dichiarazioni irregolari - ricevibilità dell'atto notarile
Come già accennato nel precedente paragrafo "Forma della dichiarazione - natura giuridica", l'eventuale mendacità della dichiarazione non dovrebbe attrarre la fattispecie nell'area penale disciplinata dall'art. 483 c.p., per il principio di specialità intersettoriale, tra sanzioni amministrative e sanzioni penali, espresso nell'art. 9 della legge 689 del 1981, che per la perfetta coincidenza e sovrapposizione degli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 483 del c.p. e quelli che integrano la violazione del disposto del comma 22 dell'art. 35 in esame, rende applicabile le sole sanzioni amministrative espressamente comminate e non anche le sanzioni penali. Pertanto il quadro sanzionatorio, in caso di violazione delle disposizioni contenute nel comma 22 in esame si articola nelle seguenti direzioni:
1. in primo luogo, è prevista la sanzione amministrativa da euro 500,00 ad euro 10.000,00. Trattasi di sanzione amministrativa per la quale è ammesso il pagamento in misura ridotta previsto dall'art. 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689 [nota 64] e le ulteriori riduzioni previste dalle lettere b) e c) dell'art. 13 D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 in particolare alla possibilità dell'applicazione di una sanzione ridotta ad un quinto del minimo o ad un ottavo del minimo ai sensi delle lettere b) e c) di detto articolo e alle condizioni ivi riportate; le suddette sanzioni, così come quelle amministrative previste dalla legge antiriciclaggio, sono altresì soggette ai termini di prescrizioni previsti dall'art. 28 della L. 689/1981 che espressamente dispone: «il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate dalla presente legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione. L'interruzione della prescrizione è regolata dalle norme del codice civile».
2. in secondo luogo, è previsto, quale ulteriore elemento deterrente, l'assoggettamento dell'atto di cessione dell'immobile ad accertamento di valore, ai sensi dell'art. 52 comma 1 del T.U. 131 del 1986 (imposta di registro) con un duplice effetto: tassazione dell'atto sulla base del maggior valore dichiarato quale prezzo e non sul "valore catastale" ed eventuale possibilità di accertamento di un maggior valore dell'immobile rispetto al prezzo dichiarato. Questa seconda sanzione è applicabile, in via residuale, alle sole fattispecie che, rientrando nella previsione dell'art. 1 comma 497 (novellato) della finanziaria 2006, possono usufruire della più favorevole tassazione.
Tenuto conto, infine, delle finalità della norma, può ritenersi che il mero errore materiale nell'indicazione di taluni elementi non potrà essere motivo di applicazione delle relative sanzioni se l'errore sia facilmente rilevabile o se il medesimo non sia determinante al fine della "tracciabilità" del pagamento, dell'identificazione dell'agente immobiliare, della somma pagata, ecc. Ciò in base ai normali principi di lealtà e correttezza nella gestione amministrativa che devono animare i rapporti tra pubblica amministrazione e utenti.
Tema che sicuramente meriterà un approfondimento ulteriore, che esula dall'economia del presente elaborato, è quello relativo all'applicabilità, nel ricorso delle condizioni di cui alle lettere b) e c) dell'art. 13 del D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, [nota 65] del c.d. "ravvedimento", sia nel caso in cui siano state omesse del tutto le dichiarazioni sostitutive di atto notorio, sia nel caso in cui gli elementi indicati nelle dichiarazioni stesse siano incompleti ovvero affetti da errori.
Come soluzione percorribile riterrei che, se le indicazioni omesse non siano in contrasto con quanto indicato nel contratto di cessione immobiliare, ma si limitino ad integrarlo, sarà sufficiente il mero rilascio e produzione della dichiarazione sostitutiva di atto notorio; nel caso in cui debbano, al contrario, essere rettificati dati contenuti nell'atto pubblico che attengano alla sistemazione negoziale tra le parti (si pensi alle ipotesi di indicazione di un prezzo diverso) sarà necessario un atto negoziale integrativo del contratto di cessione. [nota 66]
Di ancor più incerta soluzione è la risposta all'ulteriore interrogativo se, in presenza del "ravvedimento" da parte del contribuente, mediante rilascio di una dichiarazione (successiva) che contenga in modo completo tutte le indicazioni richieste dal comma 22, venga meno anche la potestà di accertamento dei beni trasferiti, ai sensi dell'art. 52, comma 1 del T.U. 131 del 1986. La risposta è di estremo interesse, tenuto conto che la vera forza deterrente, all'interno del comma 22, è probabilmente data proprio da quest'effetto ulteriore scaturente dall'omissione, incompletezza od erronea indicazione dei dati contenuti nella dichiarazione sostitutiva di atto notorio.
Gli aspetti da prendere in considerazione riguardano, da un lato gli effetti del ravvedimento e, più precisamente se essi si estendano o meno ad ogni altra conseguenza scaturente dalla violazione commessa e dall'altro se la potestà di accertamento sia collegabile alla commessa violazione tout court ovvero alla permanenza della violazione e, quindi all'insussistenza attuale dei dati richiesti ovvero sussistenza attuale di dati incompleti, erronei.
Sotto entrambi gli aspetti sembra di poter proporre risposta positiva all'interrogativo posto. Invero, il ravvedimento e la norma nel suo complesso, perseguono evidenti finalità deflative del contenzioso e sono dirette a conferire, in via breve, definitività al rapporto tributario, basandosi sulla presunzione (juris ed de jure) che la pretesa tributaria sia fondata - pur in assenza di un completo accertamento istruttorio - e sulla conseguente rinuncia dello Stato a far valere ogni ulteriore pretesa; questi due effetti del c.d. ravvedimento (presunzione dell'illecito tributario, in assenza di accertamento, e rinunzia ad ogni pretesa da parte dello Stato) non possono che legarsi tra loro in modo "sinallagmatico" (in modo "transattivi", usando l'espressione in senso atecnico): la parziale persistenza di un effetto creerebbe degli inaccettabili sbilanciamenti nel sistema, in quanto, da un lato, ed in presenza di una presunzione assoluta di sussistenza della violazione tributaria, paralizzerebbe i poteri di difesa del contribuente e dall'altro consentirebbe all'Amministrazione finanziaria di procedere comunque nell'applicazione di quella che, di fatto, costituisce il vero effetto sanzionatorio della norma: la tassazione non del valore catastale ma del maggior valore dichiarato quale prezzo ed eventualmente l'accertamento di un maggior valore ulteriore rispetto al prezzo dichiarato.
Ad onor del vero, il contribuente manterrebbe integri i suoi poteri di difesa in caso di contestazione di un maggior valore rispetto al prezzo dichiarato, ma non potrebbe opporre alcuna eccezione relativa al contenuto della dichiarazione che, in presenza del c.d. ravvedimento, si presumerebbe in ogni caso reso in violazione del comma 22, rendendo certa ed automatica l'applicazione della maggior tassazione corrispondente al prezzo dichiarato senza possibilità di difesa alcuna da parte del contribuente. Pertanto, quale logica conseguenza di un'interpretazione "restrittiva", rimarrebbero fuori da ogni "interesse" da parte del contribuente tutte quelle fattispecie in cui ci sia incertezza sulla effettiva irregolarità della dichiarazione resa (ovvero sull'obbligo a rendere la dichiarazione stessa) e, quindi, sulla concreta commissione della violazione al comma 22 in esame, frustrando, di conseguenza, la finalità "transattiva" e deflativa del contenzioso, che l'art. 13 citato intende perseguire.
Il rifiuto delle parti o di una di esse di rendere la dichiarazione sostitutiva di atto notorio, non renderà l'atto notarile irricevibile ai sensi dell'art. 28 della legge notarile, in quanto l'atto stesso non può considerarsi, alla stregua di tale norma "proibito dalla legge", ma più limitatamente soggetto alle sanzioni ivi previste. [nota 67] Se, dal rifiuto di una delle parti di rendere la dichiarazione prescritta dal comma 22, in esame, dovesse derivare un danno all'altra parte negoziale - per assoggettamento, ad esempio, dell'atto alla procedura di accertamento di valore ex art. 52, 1° comma T.U. 131 del 1986, senza possibilità di avvalersi della più favorevole tassazione sulla base del valore catastale, ovvero per il privilegio fiscale che viene ad assistere il credito dello Stato anche per la riscossione della sanzione amministrativa ai sensi dell'art. 56 quarto comma T.U. 131/86 - questa potrà agire, secondo i principi generali, e chiedere il risarcimento dei danni subiti.
[*] L'elaborato in oggetto è frutto di una "lettura d'emergenza" seguita da riflessioni, per taluni aspetti tuttora in progress, delle nuove prescrizioni imposte nel decreto "Bersani - Visco", la cui entrata in vigore è coincisa con la sua pubblicazione sulla G.U. e con la concreta possibilità di conoscenza, da parte degli "addetti ai lavori", del testo normativo, estremamente complesso e ricco di implicazioni. Un sincero ringraziamento, per i preziosi suggerimenti e per la generosa disponibilità a confrontarsi sulle problematiche nascenti dalla nuova norma, desidero rivolgere ai colleghi Enrico Bevilacqua, Angelo Di Sapio, Giampiero Monteleone ed Adriano Pischetola.
Riferimento normativo: comma 22, ART. 35, D.L. 223/2006 (conv. L. 248/2006): «All'atto della cessione dell'immobile, anche se assoggettata ad Iva, le parti hanno l'obbligo di rendere apposita dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà recante l'indicazione analitica delle modalità di pagamento del corrispettivo. Con le medesime modalità ciascuna delle parti ha l'obbligo di dichiarare se si è avvalsa di un mediatore; nell'ipotesi affermativa, ha l'obbligo di dichiarare l'ammontare della spesa sostenuta per la mediazione, le analitiche modalità di pagamento della stessa, con l'indicazione del numero di partita Iva o del codice fiscale dell'agente immobiliare. In caso di omessa, incompleta o mendace indicazione dei predetti dati si applica la sanzione amministrativa da euro 500 a euro 10.000 e, ai fini dell'imposta di registro, i beni trasferiti sono assoggettati ad accertamento di valore ai sensi dell'articolo 52, comma 1, del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131»
[nota 1] Cfr. sul punto quanto affermato dal Ministro dell'Economia Giulio Tremonti nel corso di un'audizione presso la Commissione Bilancio della Camera per illustrare il maxiemendamento del Governo alla Finanziaria 2006, relativamente alla tassazione delle plusvalenze immobiliari: «la tassazione delle plusvalenze al 12,5% determina un'emersione di materia imponibile enormemente significativa e la corrispondente scomparsa del sistema in nero, evidentemente in atto da decenni», ha detto Tremonti.
Il Ministro ha spiegato che l'emersione del nero sarà determinata da un'imposta di registro ancorata alla rendita catastale degli immobili e una tassazione sulle plusvalenze «estesa all'intero importo della transazione», ma di fatto ridotta rispetto al sistema attuale, che tassa i guadagni realizzati sulle compravendite in base all'aliquota marginale dell'imposta sul reddito.
Nel corso dell'audizione, Tremonti ha anche spiegato che le misure del maxiemendamento, con il provvedimento sulle plusvalenze e il concordato fiscale, non sono state adottate per fare cassa, anche se gli effetti dovrebbero essere molto rilevanti. «Questi emendamenti non hanno finalità di gettito, ma credo che gli effetti saranno enormi, molto rilevanti» ha detto. Il Ministro ha anche definito i provvedimenti «una scelta che va nel senso della civiltà e della correttezza fiscale».
[nota 2] Sui nuovi aspetti della disciplina c.d. "prezzo - valore", cfr. lo studio del Cnn n. 116/2005/T: «Finanziaria 2006 - la nuova disciplina tributaria delle cessioni di immobili abitativi ai fini delle imposte indirette (prezzo-valore)» approvato dalla Commissione Studi Tributari il 13 gennaio 2006.
[nota 3] Sui diversi interessi tutelati dalle norme tributarie cfr. MANGIONE, La dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti in Diritto Penale Tributario, a cura di Musco, Giuffrè Editore Milano, 2005, p. 15 e ss. laddove si sottolinea l'esistenza di un «bene intermedio di categoria: quello alla trasparenza fiscale, inteso quale interesse strumentale volto a garantire l'attuazione della pretesa impositiva dello Stato, rendendo palesi la situazione patrimoniale e la capacità reddituale del contribuente».
[nota 4] Il comma 497 dell'art. 1 della finanziaria 2006 così dispone: «in deroga alla disciplina di cui all'articolo 43 del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, per le sole cessioni fra persone fisiche che non agiscano nell'esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze, all'atto della cessione e su richiesta della parte acquirente resa al Notaio, la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali è costituita dal valore dell'immobile determinato ai sensi dell'articolo 52, commi 4 e 5, del predetto decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, indipendentemente dal corrispettivo pattuito indicato nell'atto. Le parti hanno comunque l'obbligo di indicare nell'atto il corrispettivo pattuito. Gli onorari notarili sono ridotti del 30 per cento».
[nota 5] Cfr. art. 46 T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia approvato con D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
[nota 6] Per comodità di lettura si riporta il testo della norma: T.U. del 26 aprile 1986, n. 131, art. 43 "Base imponibile": «la base imponibile, salvo quanto disposto negli articoli seguenti, è costituita: a) per i contratti a titolo oneroso traslativi o costitutivi di diritti reali dal valore del bene o del diritto alla data dell'atto ovvero, per gli atti sottoposti a condizione sospensiva, ad approvazione o ad omologazione, alla data in cui si producono i relativi effetti traslativi o costitutivi; (… omissis …)».
[nota 7] Cfr. ad esempio: art. 43, I comma, lett. a) T.U.R., l'art. 1 Tariffa, allegato A, detto T.U.R, l'art. 9, V comma T.U.I.R. n. 917/86, l'art. 2, I comma, D.P.R. n. 633/73.
[nota 8] Nella suddetta sentenza si afferma, inoltre, a conferma del principio espresso: «il termine [trasferimento] è espressamente adoperato per indicare una tipologia di atti che non potrebbe riguardare le servitù prediali le quali, dato il loro carattere di duplice realità (nel senso non solo che seguono il fondo servente presso qualsiasi proprietario, ma che possono sopravvivere soltanto se permane l'utilità del fondo per la quale sono state costituite), non sono autonomamente suscettibili di esecuzione forzata, ossia non sono in alcun modo alienabili se non congiuntamente al fondo dominante. In secondo luogo, è illogico ipotizzare che dopo poche parole e pur potendo fare generico riferimento agli atti di cui al primo periodo, il legislatore, per non ripeterne l'elencazione, abbia usato il termine "trasferimento" in forma desemantizzata o atecnica intendendo includervi (anche) gli atti di costituzione dei diritti reali di godimento su cosa altrui quali le servitù prediali».
[nota 9] Nello stesso senso TASSINARI , «Le nuove dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà negli atti di cessione degli immobili: osservazioni operative dopo il decreto legge sulle liberalizzazioni», in Cnn Notizie, 5 luglio 2006, n. 127, che espressamente afferma: «Tale espressione comprende qualsiasi atto traslativo di diritti reali immobiliari, sia a titolo di compravendita sia ad altro titolo (es. permuta, conferimento in società, transazione, datio in solutum, ecc.), mentre sembra escludere l'ipotesi della costituzione di diritti reali di garanzia (ipoteca)».
[nota 10] Cfr. sul punto TASSINARI , «Le nuove dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà negli atti di cessione degli immobili: osservazioni operative dopo il decreto legge sulle liberalizzazioni», in Cnn Notizie, 5 luglio 2006, n. 127, secondo cui: «l'espressione "pagamento" impiegata dal legislatore suggerisce di limitare la portata della norma alle obbligazioni pecuniarie. L'espressione "corrispettivo" impiegata dal legislatore in luogo dell'espressione "prezzo", suggerisce invece di estendere la portata della norma anche alle obbligazioni pecuniarie previste a titolo di conguaglio o ad altro titolo (es. pagamento di una penale)».
[nota 11] Per comodità di lettura si riporta il testo della norma: art. 25 T.U. 131/86 - Atti a titolo oneroso e gratuito. «Un atto in parte oneroso e in parte gratuito e' soggetto all'imposta di registro per la parte a titolo oneroso, salva l'applicazione dell'imposta sulle donazioni per la parte a titolo gratuito».
[nota 12] Per comodità di lettura si riporta il testo della norma: art. 34 T.U. 131/86 - Divisioni. «La divisione, con la quale ad un condividente sono assegnati beni per un valore complessivo eccedente quello a lui spettante sulla massa comune, è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente. La massa comune è costituita nelle comunioni ereditarie dal valore, riferito alla data della divisione, dell'asse ereditario netto determinato a norma dell'imposta di successione, e nelle altre comunioni, dai beni risultanti da precedente atto che abbia scontato l'imposta propria dei trasferimenti.»
[nota 13] Tale attività, com'è noto, non rientra nella fattispecie della mediazione che, da giurisprudenza costante, anche nell'ipotesi in cui è svolta dietro "mandato a titolo oneroso" (c.d. mediazione unilaterale) deve mantenere il carattere di equidistanza ed imparzialità rispetto alle parti contraenti (ex multis: Cass., 6 novembre 1982, n. 5861; Cass., 9 febbraio 2000, n. 1447; Cass., 6 aprile 2000, n. 4327; Trib. Roma, 29 aprile 1998; Trib. Torino, 13 gennaio 2000).
[nota 14] Il valore privilegiato del contenuto della dichiarazione sostitutiva di atto notorietà attiene ai rapporti con la pubblica amministrazione ed è relativa ai casi in cui è prescritto o ammesso il rilascio di dichiarazioni sostitutive di atto notorio. Non ha valore, invece, assolutamente probante nell'ambito giurisdizionale, potendo essere contrastata da qualunque altro mezzo probatorio di contenuto contrario a quello della dichiarazione stessa. Cfr. ex multis: Cass. Civ. Sez. III, sent. n. 06221 del 3 giugno 1991, Mango c. De Paolo, che afferma il seguente principio: «la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà resa ai sensi della legge 4 gennaio 1968 n. 15 ha attitudine certificativa e probatoria fino a contraria risultanza nei confronti della pubblica amministrazione in determinate attività e procedure amministrative, ma è priva di efficacia in sede giurisdizionale nei rapporti tra privati, in quanto alla parte non è dato trarre elementi di prova delle sue stesse dichiarazioni».
[nota 15] Cfr. Cass., Sez. Un., 15 dicembre 1999 - Cass., Sez. Un., 17 febbraio 1999; contra Cass., sez. V, 19 novembre 1997 - Cass., Sez. V, 4 dicembre 1995. In tema di dichiarazioni sostitutive di atto notorio inserite nell'atto pubblico: Cass., Sez. V, 5 maggio 1998 che afferma: «l'art. 483 c.p. (falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico) postula, di norma, l'esistenza di disposizioni extrapenali integratrici che concorrono a determinare il contenuto delle dichiarazioni del privato e attribuiscono al pubblico ufficiale il potere-dovere di documentarle in atti aventi, ex lege, una determinata funzione probatoria; in tale ambito rientra la legge 4 gennaio 1968 n. 15 che agli art. 2 e 4 facultizza il privato alla dichiarazione sostitutiva di certificato o di atto di notorietà, la quale diventa atto pubblico per il solo fatto della sottoscrizione autenticata dal «funzionario competente a ricevere l'atto, o da un Notaio, cancelliere, segretario comunale o altro funzionario incaricato dal sindaco» e che all'art. 26, 1º e 2º comma, stabilisce che tali dichiarazioni «sono considerate come fatte a pubblico ufficiale»; di conseguenza è dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, rientrante nella previsione dell'art. 483, anche quella allegata alla domanda di concessione edilizia in sanatoria, diretta al sindaco, ma ricevuta dal funzionario competente o da altro pubblico ufficiale appositamente incaricato (fattispecie relativa alla falsa attestazione che la costruzione era stata eseguita in un determinato anno)». - Cass. sez. V, 26 aprile 1993 che afferma: «la falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico di cui all'art. 483 c.p. si configura allorché la falsa attestazione contenuta nell'atto pubblico sia riferibile a fatti che l'attestante ha il dovere giuridico di esporre veridicamente (false attestazioni contenute in un atto notorio) e dei quali l'atto è destinato a provare la verità, e non quando, come nella specie, relativa alla presentazione di una mendace dichiarazione in ordine all'entità del proprio reddito, la falsa attestazione ha portato alla formazione di un autonomo atto pubblico falso, consistente in una graduatoria di persone da avviare al lavoro, in base a una ingannevole rappresentazione della realtà che ha tratto in errore il pubblico ufficiale che ne è l'autore, comportamento quest'ultimo che configura l'ipotesi delittuosa della falsità ideologica indotta ex art. 48 e 479 c.p.».
[nota 16] L'art. 19 del D.lgs. 74/2000 ha esteso il medesimo principio anche in caso di concorrenza di sanzioni tributarie e sanzioni penali in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto.
[nota 17] Sul principio di specialità: cfr. GALLO, Il principio di specialità in Diritto Penale Tributario, a cura di Musco, Giuffrè Editore, Milano, 2002, p. 467 e ss.
[nota 18] Cfr. DILIBERTO, «Lo Stato non può sanzionare penalmente ogni forma patologica », in Criminologia.it, Rivista internet di Teoria e Scienze criminali, all'indirizzo: http://www.criminologia.it/sociologia/sanzione _patologica.htm (attivo all'11 settembre 2006).
[nota 19] Sul punto: GALLO, op .ult. cit, p. 469, che afferma: «Perché una disposizione possa definirsi speciale rispetto ad un'altra è necessario che ricorra, in alternativa, una delle seguenti condizioni:
- la norma speciale contiene uno o più elementi specializzanti che caratterizzano in maniera più stringente uno o più elementi costitutivi della fattispecie rispetto a quella non speciale, limitandone l'ambito di applicazione (specialità per specificazione);
- la norma speciale contiene uno o più elementi aggiuntivi che caratterizzano in maniera più stringente la fattispecie rispetto a quella non speciale, limitandone l'ambito di applicazione (specialità per aggiunta)».
[nota 20] Ritengo, quindi, corretta l'adozione di una clausola che non faccia riferimento alle "conseguenze penali in caso di dichiarazione mendace", ma più genericamente alle "sanzioni in caso di dichiarazioni mendaci". A titolo di esempio mi sembra corretta la seguente formula: «Le parti (o la parte …), con riferimento al disposto del comma 22 dell'art. 35 del D.l. 223/2006 (conv. in L. 248/2006), previo richiamo alle sanzioni cui possono andare incontro in caso di dichiarazione mendace, ai sensi del T.U. 28 dicembre 2000 n. 445, dichiarano: … », in luogo di quella che tradizionalmente adottata: «Le parti (o la parte … ), con riferimento al disposto del comma 22 dell'art. 35 del D.l. 223/2006 (conv. in L. 248/2006), previo richiamo alle sanzioni penali cui possono andare incontro in caso di dichiarazione mendace, ai sensi dell'art. 76 del T.U. 28 dicembre 2000 n. 445, dichiarano … ».
[nota 21] Si riporta per comodità di lettura l'art. 361 c.p. "Omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale":
«il pubblico ufficiale, il quale omette o ritarda di denunciare all'Autorità giudiziaria, o ad un'altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferire, un reato di cui ha avuto notizia nell'esercizio o a causa delle sue funzioni, è punito con la multa da lire sessantamila (€ 30,99) a un milione (€ 516,46).
La pena è della reclusione fino a un anno, se il colpevole è un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria, che ha avuto comunque notizia di un reato del quale doveva fare rapporto.
Le disposizioni precedenti non si applicano se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa».
[nota 22] «Formalità dell'autocertificazione», Studio n. 1780, approvato dalla Commissione Studi del Consiglio Nazionale del Notariato il 23 giugno 1998.
[nota 23] Cfr ., ad esempio, il primo capoverso dell'art. 55 della legge notarile che espressamente dispone: «l'interprete deve avere i requisiti necessari per essere testimone e non essere scelto tra i testimoni o i fidefacienti. Egli deve prestare giuramento davanti al Notaro di adempiere fedelmente il suo ufficio, e di ciò sarà fatta menzione nell'atto».
[nota 24] Sul punto cfr. il citato studio del Cnn 1780/1998 che afferma «può accadere che la dichiarazione sia inserita nella formula di autentica, ma in tal caso non sarebbe sufficiente la sottoscrizione apposta alla scrittura privata autenticata, ma occorrerebbe la ripetizione della sottoscrizione, allo scopo di attestare in modo chiaro che la dichiarazione è aggiuntiva alla scrittura e sottoscritta appositamente. Va da sé che ricorrere a detto strumento potrebbe apparire poco elegante sul piano documentale, per cui in tal caso si potrebbe consigliare di far effettuare la dichiarazione con clausola inserita alla fine della scrittura privata, oppure in un documento a se stante, allegato alla scrittura».
[nota 25] Anche su questo punto cfr. il cit. Studio del Cnn 1780/1998 che afferma: «appare pertanto ininfluente che il Notaio: a) recepisca la menzione dell'ammonimento nella formula dell'autentica; b) recepisca detta menzione nel corpo della scrittura privata; c) non recepisca per nulla detta menzione. Trattasi in tali casi di formule utilizzate per prassi ed in via precauzionale, non di formule cui si è tenuti per legge».
[nota 26] Un precedente "storico" del comma 22 in esame può riscontrarsi nell'art. 6, comma 1, lettera f), del D.lgs. 20 giugno 2005, n. 122, che obbliga all'indicazione delle modalità per il pagamento del prezzo, fermo restando che il prezzo, se corrisposto in denaro, deve essere versato mediante bonifici bancari o versamenti diretti su conti correnti bancari o postali indicati dalla parte promittente venditrice ed alla stessa intestati o con altre forme che siano comunque in grado di assicurare la prova certa dell'avvenuto pagamento.
[nota 27] A titolo di esempio, i pagamenti effettuati tramite assegno o tramite bonifico potranno essere indicati nel modo seguente:
« … dichiarano che il prezzo di Euro … è stato pagato nel modo seguente:
- quanto ad euro … , mediante assegno bancario non trasferibile n. … , tratto sulla Banca … - Filiale … , in data … (non è necessario indicare l'intestatario del conto corrente né il beneficiario dell'assegno);
- quanto ad euro … , mediante assegno circolare non trasferibile n. … , emesso dalla Banca … - Filiale … , in data (non è necessario indicare il beneficiario dell'assegno);
- quanto ad euro … , mediante bonifico bancario, eseguito in data … , con addebito sul conto corrente n. … , esistente presso la Banca … - Filiale … , e con accredito sul conto corrente n. … , esistente presso la Banca … - Filiale … (non è necessario indicare l'intestatario del conto corrente di addebito né l'intestatario del conto corrente di accredito)».
Seguendo la linea logica sopra esposta, i dati indicati nell'esempio potranno utilmente essere surrogati da altri dati: così, in caso di bonifico, i numeri dei conti corrente di partenza e di arrivo potranno essere sostituiti dall'indicazione della filiale che effettuerà il bonifico, dalla data di sottoscrizione del bonifico, della somma oggetto di bonifico e dei soggetti che effettuano la relativa operazione, essendo questi elementi sufficienti a ricostruire il "percorso" del pagamento.
[nota 28] L'art. 1 del D.l. 3 maggio 1991, n. 143 , infatti, limita l'uso del contante e dei titoli al portatore e rende obbligatorio l'utilizzo di mezzi di pagamento "tracciabili" al di sopra della soglia dei 12.500,00 euro. Il legislatore, quando ha voluto imporre modalità di pagamento "tracciabili" anche al di sotto della soglia di 12.500,00 euro lo ha espressamente prescritto, così come, ad esempio, per i compensi in denaro per l'esercizio di arti e professioni, i commi 12 e 12-bis dell'art. 35 in commento hanno imposto che siano riscossi esclusivamente mediante assegni non trasferibili o bonifici ovvero altre modalità di pagamento bancario o postale nonché mediante sistemi di pagamento elettronico, salvo per importi unitari inferiori a 100 euro dal 1° luglio 2008, ovvero a 1000,00 euro fino al 30 giugno 2007 ed a 500,00 euro dal 1° luglio 2007 al 30 giugno 2008.
[nota 29] La comunicazione va effettuata, entro trenta giorni dall'acquisizione della notizia, al Ministero dell'Economia e delle Finanze che provvede alla contestazione ed agli ulteriori adempimenti previsti dalla legge. Il suddetto obbligo è in vigore per i Notai sin dal 14 marzo 2004 in forza del D.lgs. 56/2004.
[nota 30] Su questo aspetto si riportano, in sintesi, il contenuto e le conclusioni dello studio di ARCELLA e KROGH «Antiriciclaggio - Studio sull'indicazione nell'atto notarile dei mezzi di pagamento», n. 14 - 2006/B, approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato il 31 luglio 2006.
[nota 31] Il quale prevede: «1. é vietato il trasferimento di denaro contante o di titoli al portatore in Euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore da trasferire è complessivamente superiore a Euro 12.500,00 . Il trasferimento può tuttavia essere eseguito per il tramite degli intermediari abilitati di cui all'art. 4; per il denaro contante vanno osservate le modalità indicate ai commi 1-bis e 1-ter;
1-bis. Il trasferimento per contanti per il tramite di intermediario abilitato deve essere effettuato mediante disposizione accettata per iscritto dall'intermediario, previa consegna allo stesso della somma in contanti. A decorrere dal terzo giorno lavorativo successivo a quello dell'accettazione il beneficiario ha diritto di ottenere il pagamento nella provincia del proprio domicilio.
1-ter. La comunicazione da parte del debitore al creditore dell'accettazione di cui al comma 1-bis produce l'effetto di cui al primo comma dell'art. 1277 del codice civile e, nei casi di mora del creditore, anche gli effetti del deposito previsti dall'art. 1210 dello stesso codice;
2. I vaglia postali e cambiari e gli assegni postali, bancari e circolari per importi superiori a lire venti milioni devono recare l'indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità. Il Ministro del tesoro può stabilire limiti per l'utilizzo di altri mezzi di pagamento ritenuti idonei ad essere utilizzati a scopo di riciclaggio».
[nota 32] Per l'indicazione analitica delle finalità della tenuta dell'archivio unico cfr. il punto 4 della parte II delle Istruzioni Uic 2006 per i professionisti.
[nota 33] Le comunicazione per le violazioni relative all'uso dei mezzi di pagamento vanno indirizzate al Ministero dell'Economia - Dipartimento del Tesoro - Direzione V - Uffico II di Roma per le infrazioni superiori ad euro 250.000,00 ed alle competenti Direzioni Provinciali del Tesoro per le infrazioni di importo inferiore (cfr. decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze - Dipartimento del Tesoro Direzione V - prot. 43726 del 21 aprile 2006).
Si fa presente, inoltre, che come risulta dal sito internet: http://www.dt.tesoro.it/Aree-Docum/Prevenzion/Antiriciclaggio/Oblazione-/Note-per-l/Note-per-la-compilazione.doc_cvt.htm, (attivo alla data dell'11 settembre 2006) «il decreto legislativo n. 56 del 20 febbraio 2004 ha introdotto la possibilità di definire alcuni procedimenti amministrativi sanzionatori per violazioni della normativa in materia di antiriciclaggio utilizzando l'oblazione, cioè effettuando un pagamento in misura ridotta, pari al 2% dell'importo contestato (oltre ad € 5,00 per spese).
Ove si decida di aderire all'oblazione, evitando così la prosecuzione della procedura a proprio carico e il conseguente notevole aggravio di oneri, si dovrà provvedere al pagamento improrogabilmente entro 60 giorni dalla notifica della contestazione.
Il pagamento potrà essere effettuato presso gli uffici postali, utilizzando il bollettino di c/c postale n. 52246725 intestato: TES. CENTRALE VERS. ANTIRICICLAGGIO. Al fine di procedere alla rapida e definitiva archiviazione del procedimento amministrativo, dovrà essere fatta pervenire copia dello stesso, a mezzo fax al n. 06.4761.4725, o a mezzo del servizio postale all'indirizzo:
Ministero dell'Economia e delle Finanze Dipartimento del Tesoro - Direzione V - Servizio Oblazioni - Via XX Settembre, 97 - 00187 R O M A.
Il pagamento in misura ridotta è ammesso solo per le violazioni dell'art. 1 della legge 197/91 di importo non superiore ad € 250.000,00.
Inoltre non è possibile avvalersi di tale facoltà qualora sia stata già utilizzata per un'altra delle violazioni previste dal citato art. 1 della legge antiriciclaggio ed il cui atto di contestazione sia stato ricevuto nei 365 giorni precedenti.
[nota 34] Va evidenziato che la definizione di riciclaggio contenuta negli articoli 648-bis e 648-ter del c.p. ha un contenuto più "ristretto" rispetto alla definizione di riciclaggio contenuta nell'art. 1 lettera C) della direttiva del Consiglio dell'Ue n. 91/308/Cee modificata dalla direttiva 2001/97/Ce, non rientrando nella previsione di detti articoli 648-bis e 648-ter del c.p., ad esempio, l'ipotesi di "autoriciclaggio", non essendo imputabile per riciclaggio colui che ha commesso o ha concorso alla commissione del reato presupposto.
[nota 35] Il Gafi è il gruppo d'azione finanziaria internazionale ed è il principale organismo internazionale per la lotta contro il riciclaggio e contro il finanziamento del terrorismo.
[nota 36] Sulle problematiche relative alla limitazione dell'uso del contante dopo l'entrata in vigore del D.l. 223/2006, cfr. diffusamente lo Studio di LEO «Decreto legge 4 luglio 2006 n. 223 e limitazioni dell'uso del contante e dei titoli al portatore», n. 442-2006 e lo Studio di D'ASCOLA «Decreto legge 4 luglio 2006 n. 223 e limitazione dell'uso del contante e dei titoli al portatore», n. 15-2006/B (entrambi approvati dal Consiglio Nazionale del Notariato il 31 luglio 2006).
[nota 37] L'unica norma con finalità di emersione di operazione elusive era il 3° comma dell'art. 13 del D.l. 625/1979 che dispone: «ai fini dell'applicazione del comma 2, i soggetti di cui alle lettere da a) ad m bis) del comma 1 devono mettere a disposizione del personale incaricato gli strumenti tecnici idonei a conoscere, in tempo reale, le operazioni eseguite dal cliente presso la stessa sede dell'ente o istituto, nel corso della settimana precedente il giorno dell'operazione».
[nota 38] La sanzione prevista per l'infrazione alle prescrizioni contenute nel citato art. 1 del D.l. 3 maggio 1991, n. 143 è contenuta nel 1°comma dell'art. 5 del medesimo D.l. che testualmente dispone: «fatta salva l'efficacia degli atti, alle infrazioni delle disposizioni di cui all'art. 1 si applica, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, una sanzione amministrativa pecuniaria dall'1 per cento al 40 per cento dell'importo trasferito». Per le suddette sanzioni è ammessa la procedura prevista dall'art. 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nei soli casi in cui la violazione non sia d'importo superiore ad euro 250.000,00 e per chi non si è già avvalso della medesima facoltà di pagamento in misura ridotta, per altra violazione dell'art. 1 commi 1 e 2, il cui atto di contestazione sia stato ricevuto nei 365 giorni precedenti il nuovo atto di contestazione (vedi art. 5, comma 8, D.l. ult.cit).
[nota 39] Sul duplice significato attribuibile all'avverbio "complessivamente", cfr. lo Studio n. 442-2006 di di LEO «Decreto Legge 4 luglio 2006 n. 223 e limitazioni dell'uso del contante e dei titoli al portatore» cit., nel quale si fa, peraltro, espresso riferimento al citato parere del Consiglio di Stato evidenziando come il medesimo si riferisse a fattispecie lontane da quelle notarili ed in cui i soggetti coinvolti nella disciplina antiriciclaggio erano gli istituti bancari.
In ogni caso, il parere del Consiglio di Stato coglie un aspetto fondamentale, a carattere generale, relativo all'approccio interpretativo che si deve avere nei riguardi della materia in oggetto; ci si riferisce, in particolare, alle seguenti affermazioni dei giudici amministrativi:
«[le disposizioni del D.l. 3 maggio 1991, n. 143, convertito nella legge 5 luglio 1991, n. 197 sono] norme che, per quanto riguarda in particolare i divieti relativi al trasferimento di denaro contante e titoli al portatore, per un valore minimo fissato a venti milioni di lire [oggi euro 12.500], non risultano aver dettato una disciplina analitica di dettaglio in ordine alle singole fattispecie concretamente ipotizzabili: in simile prospettiva sembra quindi logico ritenere che, ai fini della corretta applicazione delle norme in parola, ancor più determinante rilievo venga necessariamente ad assumere il criterio ermeneutico che si richiama alla "intenzione del legislatore" secondo quanto previsto dall'art. 12, comma 1, delle disposizioni sulla legge in generale.
In linea di principio può pertanto ritenersi che i divieti di cui si discute vadano coerentemente intesi e valutati alla luce delle specifiche finalità indicate dalla legge, per cui non risulterebbero giustificate limitazioni generalizzate alla libera circolazione dei beni, nell'esercizio di attività rientranti nell'ambito dell'iniziativa economica privata, se tali limitazioni non si manifestino funzionali al rispetto ed alla salvaguardia delle esigenze di sicurezza pubblica, per la prevenzione e la repressione dei reati, che sono state poste alla base delle disposizioni legislative in parola.
Resta fermo, peraltro, che - di norma - ove sorgano elementi di incertezza al riguardo, le relative valutazioni dovranno essere imprescindibilmente effettuate caso per caso, trattandosi tra l'altro di determinazioni amministrative che comportano la irrogazione di misure sanzionatorie».
[nota 40] Il Consiglio di Stato nel citato parere 1504/1995 afferma che la norma limitativa dell'uso del denaro contante e dei titoli al portatore non troverebbe applicazione nell'ipotesi in cui sia convenuto un pagamento rateizzato o, comunque, dilazionato nel tempo, con previsione di una pluralità di pagamenti per somme comunque inferiori al limite di legge, come avviene generalmente con il contratto di somministrazione mediante il quale viene pattuita una serie di prestazioni con pagamenti a scadenze prefissate: in tale situazione infatti, pur mettendosi in atto un unico disegno negoziale, la imposizione del limite non risponderebbe ad apprezzabili ragioni di contrasto del riciclaggio rappresentando invece, in qualche modo, una remora alla normale esplicazione dei rapporti correnti tra gli operatori.
[nota 41] LEO, nello studio n. 442-2006, cit., afferma che la nuova legislazione antiriciclaggio ha assegnato al Notaio un ruolo non più passivo, di mero registratore delle violazioni, ma un ruolo in cui «non è più possibile scindere l'analisi finalizzata alla individuazione dell'infrazione sull'uso del contante e dei titoli al portatore, da quella condotta sulla "posizione" del portatore per l'eventuale segnalazione di operazioni sospette».
[nota 42] Così testualmente il citato studio di LEO n. 442/2006, cit.
[nota 43] Sulla portata del 1° comma dell'art. 1 della legge 197/1991 sono importanti anche le considerazioni conclusive contenute nel documento del Ministero dell'Economia e delle Finanze, «Antiriciclaggio, Violazioni di natura amministrativa, con annotazioni giurisprudenziali», di MENGALI, che testualmente afferma: «In conclusione, alla luce dei pareri espressi dalla Commissione e dal Consiglio di Stato, tra loro coordinati, la disposizione contenuta nel comma 1 va così interpretata:
a) in via generale, il divieto in essa previsto riguarda i trasferimenti in unica soluzione di denaro, di libretti di deposito al portatore e di titoli al portatore per importo superiore a 12.500 euro, anche quando tale limite viene superato cumulando le suddette diverse specie di mezzi di pagamento;
b) in particolare, nel caso di più trasferimenti singolarmente di importo inferiore a 12.500 euro, ma complessivamente di ammontare superiore, sfuggono al divieto, perché tra loro non cumulabili, quelli relativi:
- a distinte ed autonome operazioni;
- alla medesima operazione, quando il frazionamento è connaturato all'operazione stessa (ad es., contratto di somministrazione) ovvero è la conseguenza di preventivo accordo tra le parti (ad es., pagamento rateale);
c) rientra, comunque, nel potere discrezionale dell'Amministrazione valutare, caso per caso, se il frazionamento sia stato invece realizzato con lo specifico scopo di eludere il divieto imposto dalla disposizione.
[nota 44] Sul punto possono valere, mutatis mutandis, tutte le considerazioni contenute nella sentenza della Corte Costituzionale n. 364/1988, sull'ignoranza della legge penale e la scusabilità dell'errore.
[nota 45] Sulla scusabilità dell'errore sono, a mio avviso, illuminanti le testuali affermazioni riportate dalla Corte Costituzionale nella nota sentenza n. 364/1988 sull'ignoranza della legge penale, applicabili, in linea di principio, anche alla fattispecie in oggetto: « … ed anche quando, sempre allo scopo di stabilire l'inevitabilità dell'errore sul divieto, ci si valga di "altri" criteri (c.d. "misti") secondo i quali la predetta inevitabilità può esser determinata, fra l'altro, da particolari, positive, circostanze di fatto in cui s'é formata la deliberazione criminosa (es. "assicurazioni erronee" di persone istituzionalmente destinate a giudicare sui fatti da realizzare; precedenti, varie assoluzioni dell'agente per lo stesso fatto ecc.) occorre tener conto della "generalizzazione" dell'errore nel senso che qualunque consociato, in via di massima (salvo quanto aggiungiamo subito) sarebbe caduto nell'errore sul divieto ove si fosse trovato nelle stesse particolari condizioni dell'agente; ma, ancora una volta, la spersonalizzazione del giudizio va compensata dall'indagine attinente alla particolare posizione del singolo agente che, in generale, ma soprattutto quando eventualmente possegga specifiche "cognizioni" (ad es. conosca o sia in grado di conoscere l'origine lassistica o compiacente di assicurazioni di organi anche ufficiali ecc.) é tenuto a "controllare" le informazioni ricevute. Il fondamento costituzionale della "scusa" dell'inevitabile ignoranza della legge penale vale soprattutto per chi versa in condizioni soggettive d'inferiorità e non può certo esser strumentalizzata per coprire omissioni di controllo, indifferenze, ecc., di soggetti dai quali, per la loro elevata condizione sociale e tecnica, sono esigibili particolari comportamenti realizzativi degli obblighi strumentali di diligenza nel conoscere le leggi penali».
[nota 46] La qualifica della cambiale come "obbligazione" e non come "pagamento" è stato l'argomento decisivo del parere espresso dal Comitato legge n. 197/1991 presso il Ministero del Tesoro - Direzione Generale del Tesoro Servizio V - Antiriciclaggio, in data 9 novembre 1995, n. 28, per affermare che «nella previsione della norma [art. 1, comma 2, della legge 5 luglio 1991 n. 197] non rientra il vaglia cambiario ordinario (cambiale) che non è un mezzo di pagamento bensì una obbligazione».
[nota 47] Importo così determinato dal D.M. 17 ottobre 2002, pubblicato nella G.U. n. 290 dell'11 dicembre 2002.
[nota 48] Parere n. 62 dell'11 novembre 1997 del Comitato legge 197/1991 presso Ministero del Tesoro - Direzione Generale del Tesoro - Servizio V - Antiriciclaggio, contenzioso e valutario.
[nota 49] Sul punto è quindi condivisibile lo Studio di LEO n. 442/2006 cit., laddove afferma: «più concretamente, dopo la recente legislazione antiriciclaggio, un errore di valutazione da parte del Notaio in merito ad un determinato impiego di contante o titoli al portatore, che si sia tradotto in una mancata segnalazione al Mef ai sensi dell'art. 7 comma 1 del D.lgs. n. 56/2004, comporterà tendenzialmente anche un errore di valutazione in merito alla segnalazione di operazioni sospette all'Uic, prevista dall'art. 3 comma 1 della legge antiriciclaggio».
[nota 50] La girata può essere fatta: in pieno, quando contiene il nome del giratario o in bianco quando viene apposta solamente la firma del girante; in tal caso l'art. 2011, II comma, c.c. offre al portatore del titolo le seguenti alternative: riempire la girata con il proprio nome; riempire la girata con il nome di un altro soggetto cui trasferisce il titolo; apporre una successiva girata, in pieno o in bianco; limitarsi alla semplice consegna del titolo al terzo, in modo tale che il titolo girato in bianco circoli manualmente. Tuttavia il relativo titolo non assume la qualifica di titolo al portatore, in quanto è sempre possibile riprendere la circolazione documentata.
[nota 51] Sul punto cfr. lo studio di LEO n. 442/2006 cit., nel quale si afferma: «In definitiva per i titoli che nascono legittimamente all'ordine - in base all'art. 1 comma 2 legge antiriciclaggio - ma circolano al portatore, l'obbligo di segnalazione resterà in capo al Notaio, ma non - come meglio appresso specificato - per denunciare al Mef un'eventuale infrazione della disciplina sulla limitazione dell'uso del contante, quanto invece per indicare all'Uic il compimento di un' "operazione sospetta".
In questo modo, la fattispecie dell'emissione di assegni "formalmente" all'ordine (per gli istituti bancari perfettamente legittima e da non segnalare), ma "sostanzialmente" al portatore, benché non potendo essere censurata dal Notaio in base al comma 1 dell'art. 7 del D.lgs. n. 56/2004, non sfuggirà comunque ad un controllo "sostanziale" del pubblico ufficiale a cui questo è tenuto in funzione della segnalazione di operazioni sospette, ex art. 9 del D.M. 3 febbraio 2006, n. 141.
[nota 52] Cfr. Cass. 9 luglio 2005, n. 14481.
[nota 53] Per la datio in solutum qualche dubbio potrebbe sorgere nel caso in cui il credito soddisfatto attraverso la cessione dell'immobile aveva quale sua genesi costitutiva la dazione di una somma di danaro e ciò in quanto si potrebbe ravvisare, in quest'ipotesi, un'identità di ratio con la fattispecie legale astrattamente descritta nel comma 22.
[nota 54] Sul punto anche TASSINARI , «Le nuove dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà negli atti di cessione degli immobili: osservazioni operative dopo il decreto legge sulle liberalizzazioni», in Cnn Notizie, n. 127 del 5 luglio 2006, secondo cui «la stessa espressione sembra inoltre riferirsi esclusivamente ai pagamenti già avvenuti nel momento in cui si perfeziona l'atto, nulla cambiando per quei pagamenti che l'atto stesso prevede in via dilazionata».
[nota 55] Certamente potranno incidere nella valutazione le considerazioni, sopra riportate, contenute nella sentenza della Cassazione n. 14481 del 9 luglio 2005.
[nota 56] Cfr. Cassazione Civile, sez. II, 21 novembre 2000, n. 15014.
[nota 57] Cfr. Cassazione Civile. n. 1719-1998, 6334-1993, 4032-1988.
[nota 58] Cfr. sulla mediazione "atipica" unilaterale: Cassazione Civile, Sez. III, 7 aprile 2005, n. 7251; Id., Sez. III, 18 marzo 2005, n. 5952. Ci sono ipotesi particolari in cui una parte contrattuale, comunque, non è obbligata al pagamento della provvigione, per il ricorrere o l'assenza di alcuni presupposti essenziali al fine del perfezionamento del relativo rapporto; si tratta di fattispecie in cui la parte ha ignorato incolpevolmente l'intervento del mediatore e di quella in cui gli ha preventivamente dichiarato di non accettare alcuna interposizione, al di fuori, ovviamente, di qualunque intenzione fraudolenta: sul punto LUMINOSO, La mediazione, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 1993, p. 32 e ss.
[nota 59] Cfr. Cassazione Civile, sez. II, 6 aprile 2000, n. 4327.
[nota 60] Cfr. Cassazione Civile, n. 150147/2000, 97437/1994, 5560/1988, 4118/1984, 1381/1983, 5212/1983, 3019/1982, 5431/1980.
[nota 61] Sul punto cfr. anche TASSINARI , «Le nuove dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà negli atti di cessione degli immobili: osservazioni operative dopo il decreto legge sulle liberalizzazioni», in Cnn Notizie, 5 luglio 2006, n. 127 che afferma «in tale specifico caso la Cassazione Civile individua l'elemento negativo rilevante non nell'assenza di qualsiasi mediatore bensì, più specificamente, ed evitando così il rischio di dichiarazione mendace in presenza di intermediazioni avvenute al di fuori del quadro normativo dell'art. 1754 c.c., e comunque, a titolo di mera cortesia, nell'assenza di qualsiasi spesa di mediazione (intendendosi quest'ultima nozione estesa non soltanto all'ipotesi di pagamento di un vero e proprio corrispettivo, ma anche all'ipotesi di mero rimborso ex art. 1756 c.c. delle spese sostenute, anche se documentate)».
[nota 62] Va, tuttavia, precisato che il contenuto della dichiarazione sostitutiva di atto notorio, attribuendo alla dichiarazione stessa efficacia probatoria privilegiata, dovrà comunque essere finalizzato agli scopi previsti dal comma 22 e non potrà avere contenuto libero, rischiando, al contrario, di urtare contro il divieto generale di predisposizione ed acquisizione di prove al di fuori del processo. Potrà, ad esempio, essere sufficiente una dichiarazione resa nel seguente modo:
« … dichiara di non essersi avvalsa dell'opera di mediatori, sebbene da parte di soggetto avente il seguente codice fiscale … (o partita Iva) sia stata avanzata pretesa di pagamento di mediazione, allo stato non soddisfatta».
[nota 63] Cfr. sul punto Cassazione Civile, sez. Lavoro, 16 febbraio 1993, n. 1916 che afferma: «la differenza fra la mediazione e l'agenzia, anche quando gli incarichi sono conferiti dalla stessa parte, consiste nel fatto che l'incarico di mediazione riguarda un singolo affare, mentre l'incarico di agenzia riguarda un numero indefinito di prestazioni della stessa specie da svolgere in una determinata zona, derivando dalla stabilità dell'incarico nell'ambito di tale zona - in alternativa alla quale può indicarsi, ai sensi della direttiva Cee n. 653 del 1986 attuata con D.lgs. n. 303 del 1991, un determinato gruppo di persone - l'esclusiva a vantaggio dell'agente (cui spetta altresì il trattamento di fine rapporto) e l'obbligo del preponente di corrispondere le provvigioni anche per gli affari da lui conclusi direttamente, mentre il compenso al mediatore - come al procacciatore di affari (il cui rapporto è caratterizzato dalla mancanza di esclusiva e di vincolo di stabilità) - spetta solo quando l'affare è concluso per effetto del suo intervento».
[nota 64] Si riporta il testo della prima parte dell'art. 16 richiamato: Art. 16. "Pagamento in misura ridotta".
«E' ammesso il pagamento di una somma in misura ridotta pari alla terza parte del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa, o, se più favorevole e qualora sia stabilito il minimo della sanzione edittale, pari al doppio del relativo importo, oltre alle spese del procedimento, entro il termine di sessanta giorni dalla contestazione immediata o, se questa non vi è stata, dalla notificazione degli estremi della violazione … ».
[nota 65] Per comodità di lettura si riporta il testo dell'art. 13 richiamato:
art. 13. Ravvedimento:
«1. La sanzione è ridotta, sempreché la violazione non sia stata già constatata e comunque non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l'autore o i soggetti obbligati ai sensi dell'articolo 11, comma 1, abbiano avuto formale conoscenza:
a) ad un ottavo del minimo, nei casi di mancato pagamento del tributo o di un acconto, se esso viene eseguito nel termine di trenta giorni dalla data della sua commissione;
b) ad un ottavo del minimo, nei casi di omissione o di errore non incidenti sulla determinazione e sul pagamento del tributo, se la regolarizzazione avviene entro tre mesi dall'omissione o dall'errore;
c) ad un sesto del minimo, se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione e sul pagamento del tributo, avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno nel corso del quale è stata commessa la violazione, ovvero, quando non e' prevista dichiarazione periodica, entro un anno dall'omissione o dall'errore;
d) ad un ottavo del minimo di quella prevista per l'omissione della presentazione della dichiarazione, se questa viene presentata con ritardo non superiore a trenta giorni.
2. Il pagamento della sanzione ridotta deve essere eseguito contestualmente alla regolarizzazione del pagamento del tributo o della differenza, quando dovuti, nonché al pagamento degli interessi moratori calcolati al tasso legale con maturazione giorno per giorno.
3. Le singole leggi ed atti aventi forza di legge possono stabilire, ad integrazione di quanto previsto nel presente articolo, ulteriori circostanze che importino l'attenuazione della sanzione».
[nota 66] Va tenuto presente che per "ravvedimento" in senso tecnico si intende la procedura amministrativa prevista e disciplinata dal più volte richiamato art. 13 del D.lgs. 472/1977 che consente il pagamento di sanzioni pecuniarie/amministrative in ammontare ridotto laddove ricorrano determinati presupposti di legge; da non confondere con l'atto di rettifica o d'integrazione che rappresenta, invece, una condotta negoziale posta in essere delle parti (o da una di esse, nei limiti in cui ciò sia consentito) finalizzata a dichiarare con atto successivo un dato omesso o incompleto e che può definirsi "ravvedimento" solo in senso meramente descrittivo ed atecnico.
[nota 67] Sul punto cfr. anche TASSINARI , «Le nuove dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà negli atti di cessione degli immobili: osservazioni operative dopo il decreto legge sulle liberalizzazioni», in Cnn Notizie, 5 luglio 2006, n. 127 che espressamente osserva: «come già precisato nella segnalazione novità pubblicata ieri, la formulazione della norma, che pone le relative dichiarazioni quale obbligo in capo alle parti, non legittima il Notaio, in caso di rifiuto di una delle parti di rendere una delle dichiarazioni sostitutive previste dal comma 22 in oggetto, ad astenersi dal ricevere l'atto.
In tale caso, il Notaio dovrà limitarsi a menzionare in atto la richiesta da lui fatta alla parte di rendere la dichiarazione prevista dalla legge ed il rifiuto opposto da quest'ultima».
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