Problematiche concernenti i trasferimenti immobiliari in sede di separazione e di divorzio
Problematiche concernenti i trasferimenti immobiliari in sede di separazione e di divorzio
di Franco Formica
Notaio in Roma

L'argomento che mi è stato affidato, come ben si può comprendere, ha un grande rilievo per tutti gli operatori del diritto, ma in particolare per quegli operatori che si confrontano con queste problematiche ogni giorno in sede professionale: per la grande, importante incidenza di ordine sociale, personale ed economica che esso ha rappresentato e rappresenta.

Innanzi tutto per gli attori, per i protagonisti di queste vicende, vale a dire i coniugi e gli altri membri della famiglia, e, poi, per i registi, vale a dire i professionisti che a queste vicende debbono, in prima battuta - come in particolare gli Avvocati ed i Notai - far fronte nella vita reale di ogni giorno. Perché il diritto tributario si occupa della vita reale di ogni giorno e se ne occupa con grande incidenza, oltre che nella sfera patrimoniale anche in quella psicologica dei consociati, dei cittadini; in maniera pregnante, molto più pregnante, puntuale ed immediata di altre discipline giuridiche ed economiche.

Mi riferisco, fra le altre, ovviamente, alla problematica di cui mi sto occupando, vale a dire la disciplina tributaria degli atti, negozi e procedimenti posti in essere nell'ambito della separazione personale dei coniugi o nell'ambito dello scioglimento degli effetti civili del matrimonio.

Per iniziare la riflessione sulla materia, occorre prendere le mosse dall'articolo 8, comma 1, lettera f), della Tariffa parte prima D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro), il quale testualmente recita:

«Atti dell'autorità giudiziaria ordinaria e speciale … aventi per oggetto lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio o la separazione personale, ancorché recanti condanne al pagamento di assegni o attribuzioni di beni patrimoniali, già facenti parte di comunione fra i coniugi; modifica di tali condanne o attribuzioni».

Tale norma è il risultato dell'affinamento di precedenti disposizioni tributarie, successive alla legge istitutiva del divorzio (legge 1° dicembre 1970, n. 898), costituite dall'articolo 8, lettera e), della Tariffa allegato A, parte prima del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, in materia di imposta di registro, [nota 1] il quale aveva già allora portato a notevoli perplessità e resistenze dell'Amministrazione finanziaria, [nota 2] tali da costringere il legislatore ad emanare la legge 10 maggio 1976, n. 260, portante, come risulta espressamente dal suo titolo, "Interpretazione autentica" della norma di registro anzidetta. [nota 3]

Questa norma venne, da un lato, interpretata inizialmente in modo restrittivo dalla dottrina, che ne limitava l'applicazione alle sentenze, senza ricomprendervi gli atti soggetti ad omologazione; dall'altra parte, suscitò i dubbi e le perplessità dell'Amministrazione finanziaria, che erano e sono tuttora dovuti al fatto, certamente giustificabile nella funzione istituzionale dell'Amministrazione finanziaria, dal pericolo che essa vedeva di possibili elusioni fiscali nella totale esenzione tributaria di questi atti: in particolare, nella possibilità che i contribuenti ponessero in essere separazioni personali e divorzi simulati, in modo tale da poter godere della esenzione fiscale nella allocazione e sistemazione del loro patrimonio, sia nei confronti dei coniugi stessi, sia nei confronti dei figli. Preoccupazione infondata: infatti, è di comune constatazione tra gli addetti ai lavori che la simulazione di separazioni e divorzi, ordinata a fini di evasione fiscale, è un fenomeno di dimensioni assolutamente ridotte e tutto sommato direi elitario, riscontrabile in contribuenti facenti parte di classi economicamente e/o culturalmente privilegiate, ma assolutamente estraneo alla vita di tutti i giorni della normalità dei consociati, per i quali, la separazione personale ed il divorzio costituiscono lo sbocco di drammatiche crisi familiari.

La resistenza dell'Amministrazione finanziaria aveva portato ad una serie di pronunce della Magistratura di merito, sia tributaria sia ordinaria, che avevano riconosciuto la esenzione fiscale ad una serie di atti e di negozi, posti in essere in tali occasioni. La Commissione Tributaria di II grado di Roma, sezione VII, 15 ottobre 1987, n. 87070871, [nota 4] aveva riconosciuto il trattamento tributario di favore, relativamente alle imposte ipotecarie, catastali ed Invim conseguenti a trasferimenti immobiliari tra coniugi. Ai medesimi risultati fiscali era pervenuto il Tribunale di Bergamo, decreto 15 novembre 1984, [nota 5] che aveva statuito l'applicazione del regime fiscale di favore al trasferimento di quote di proprietà immobiliari tra coniugi separandi.

Il persistere di tali contrastanti interpretazioni della normativa, ha costretto il legislatore ad introdurre nella legge istitutiva del divorzio - che, si badi bene, non la conteneva, ritenendosi sufficienti le disposizioni fiscali a regime anzidette - una "normetta" (come la definirebbe il professor Lupi), costituita dall'articolo 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74, la quale testualmente dispone:

«Tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli articoli 5 e 6 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, sono esenti dall'imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa». [nota 6]

Questa norma, [nota 7] introdotta nella disciplina giuridica della crisi della famiglia e dei tentativi della sua soluzione, ha avuto un impatto, direi impressionante, anche sulla configurazione civilistica della fattispecie che ci occupa. Ma questo fenomeno, ai cultori del diritto tributario, non sorprende, perchè tutti sanno che la configurazione e la fortuna degli istituti giuridici, anche consolidati nel tempo, è determinata, specialmente in questa fase storica dell'economia, dalla rilevanza tributaria degli istituti stessi, cioè dalla loro convenienza o meno al fine di porre in essere determinati atti o negozi giuridici a seconda della loro incidenza tributaria; negozi, che si pongono in essere per ragioni di convenienza tributaria o che non si pongono in essere per le ragioni opposte, cioè la non convenienza tributaria.

E questo, storicamente, come dicevo prima, è un fenomeno ben conosciuto.

Per fare due esempi, brevissimi.

Il primo con riguardo alla divisione.

Tutti sanno che la divisione, dal punto di vista civilistico, è considerata oramai dalla tradizione plurisecolare un atto di natura dichiarativa [nota 8] e non un atto avente natura traslativa, anzi di vari atti traslativi, una serie di permute, come veniva considerato nel diritto romano, e anche nel diritto intermedio. E' con la Rivoluzione francese che, proprio per evitare una tassazione che era pesantissima sulle divisioni ereditarie, gli studiosi elaborarono la teoria della natura dichiarativa della divisione, sfociata nella formulazione normativa dell'art. 883 del Code Napoléon [nota 9] con la conseguenza di poterla sottoporre ad un prelievo fiscale molto attenuato. Ecco un esempio di reazione del diritto tributario sulla configurazione civilistica degli istituti giuridici.

Il secondo esempio è la fortuna o la sfortuna di istituti giuridici nella storia del diritto e della vita di ogni giorno, per motivi tributari. Basti pensare, per questo secondo aspetto, senza andare troppo lontano nel tempo, alla rinnovata fortuna della donazione, dopo l'abolizione della relativa imposta. Anche se, in quest'ultimo caso, permangono le problematiche di natura civilistica (azione di riduzione, di restituzione), solo in parte attenuate dalla recente legge 14 maggio 2005, n. 80. [nota 10]

La stessa cosa - vale a dire l'impatto che i tributi hanno avuto sulla configurazione civilistica dell'istituto - è accaduta anche per la fattispecie di cui ci stiamo occupando. Infatti, i più avvertiti degli operatori del diritto, che come i Notai hanno un immediato impatto con la vita di ogni giorno dei loro clienti, hanno cercato di interpretare questa norma, questa disposizione, in senso coerente con il quadro normativo delle fattispecie in cui essa si poneva, cioè delle fattispecie della crisi della famiglia, della separazione, dello scioglimento del matrimonio. Nel senso di cercare di attenuare l'impatto fiscale su tutti quegli atti, negozi o provvedimenti che sono occasionati, ma direi meglio che sono funzionali, alla soluzione di momenti quasi sempre drammatici nella vita dei coniugi, [nota 11] una volta che, come rileva la Suprema Corte, tra i coniugi:

a. «sia irreversibilmente venuta già a cessare ogni intesa e sia entrato in crisi in modo definitivo proprio quel rapporto di dedizione fisica e spirituale sul quale la comunione di vita è basata e si regge»; [nota 12]

b. la separazione personale rappresenta un diritto inquadrabile tra quelli che garantiscono la libertà della persona, vale a dire nel bene di altissima rilevanza costituzionale. [nota 13]

La risposta a questo impatto, è stata il tentativo, quindi, di porre in essere degli atti notarili, che soddisfacessero queste esigenze di esenzione da tributi, queste esigenze di minor peso fiscale di questi atti: essa ha avuto una duplice incidenza, sia sul piano strettamente giuridico-sostanziale, ossia, sul piano della definizione civilistica di questa fattispecie; sia speculare, come vedremo, sul piano del diritto tributario. Proprio la pressione della possibile pesante incidenza tributaria su tutti questi atti, negozi e provvedimenti posti in essere nell'ambito della crisi della famiglia, ha determinato e non poteva essere altrimenti, un fenomeno analogo a quello cui abbiamo fatto cenno nei riferimenti storici di poc'anzi: una riconsiderazione, anche nella dottrina civilistica più avvertita, della definizione di tutto questo fascio di atti, negozi e provvedimenti, posti in essere in occasione della crisi della famiglia e funzionali alla sua risoluzione.

I più avvertiti studiosi, quindici, venti anni fa, avevano colto l'essenza di questo insieme di atti, di negozi e di provvedimenti posti in essere in quelle occasioni e avevano capito, avevano definito, che non potevano essere esaminati, radicati e sistematizzati nell'ambito del diritto civile, atomisticamente tra loro, cioè considerati l'uno separatamente dall'altro. Tutti questi atti, negozi e provvedimenti, hanno, e dovevano avere, una considerazione unitaria, perchè nell'ambito della soluzione dei problemi creati dalla crisi della famiglia, essi trovavano la loro ragion d'essere, la loro "causa esterna", come si dice oggi, dal punto di vista giuridico. La loro ragione di esistere è di essere considerati dal diritto come atti, negozi e provvedimenti aventi effetti giuridicamente rilevanti, perchè posti in essere in quell'ambito. Questo ambito venne definito allora, mi pare per la prima volta, da un attento studioso, [nota 14] come un "accordo", cioè una sistemazione globale, anche dal punto di vista sostanziale civilistico, di tutti questi atti, negozi e provvedimenti, in una unitarietà giuridica, perché esso accordo e gli atti, negozi e provvedimenti che lo componevano e lo attuavano, trovava la sua causa specifica nella soluzione unitaria dei problemi, personali, familiari ed economici, derivanti dalla crisi dei rapporti coniugali. [nota 15]

A questa impostazione civilistica, di così chiara coerenza con la intima essenza personale, giuridica, economica di questi atti, di questo insieme di atti, di negozi, di procedimenti, corrisponde una speculare ricostruzione (e direi motivo e causa di essa) anche nel diritto tributario, più precisamente nell'assenza, allora prospettata dai primi operatori e studiosi di questa materia e oramai riconosciuta, della emersione di un qualsiasi elemento di capacità contributiva da questi atti, negozi e provvedimenti e, quindi, dalla necessità di riconoscere la loro neutralità tributaria e, più particolarmente rispetto alle imposte che avrebbero dovuto gravarli se fossero stati, appunto, considerati atomisticamente tra loro.

Infatti, il principio di capacità contributiva, stabilito nell'articolo 53 della Costituzione, sancisce la necessità che tutti i consociati corrispondano, concorrano alle spese pubbliche, mediante il pagamento dei tributi, in corrispondenza alla loro potenzialità, alla loro dimostrata potenzialità economica e finanziaria, [nota 16] in parole semplici, usate da un illustro studioso, quando si ha «la disponibilità monetaria per far fronte alla imposta» [nota 17]

Tutto ciò naturalmente, e pare evidente oramai, non poteva certamente rilevarsi nella fattispecie in cui ci troviamo … per quale ragione? Nella fattispecie in cui ci troviamo, dal punto di vista tributario, derivante, come ho detto, dalla corrispondente ricostruzione giuridica sostanziale (perché l'una è stata l'elemento che ha determinato l'altra e, così, reciprocamente), l'accordo, dal punto di vista civilistico, sugli aspetti della crisi della famiglia, connotato da un profilo sostanzialmente pattizio sulle esigenze personali e patrimoniali dei coniugi (in parole povere, tu mi fai vedere più a lungo i figli ed io ti trasferisco un mio bene; [nota 18] questa teoria dell'accordo ha influenzato - non poteva essere diversamente - l'aspetto tributario della fattispecie proprio nella riconosciuta assenza di capacità contributiva nel porre in essere questi atti. E, a sua volta, la mancanza, la evidente mancanza di capacità contributiva ha determinato la considerazione di questi atti, negozi e procedimenti come un tutto unitario. Che, sia dal punto di vista civilistico, sia dal punto di vista tributario, si giustifica nell'ambito della soluzione dei gravi problemi derivanti dalla crisi della famiglia; che non sono solo problemi di ordine evidentemente patrimoniale e finanziario, ma sono soprattutto problemi di ordine personale e familiare: i rapporti tra i coniugi ed ex coniugi fra loro, con i figli e con gli altri componenti eventuali della famiglia con i quali essi sono venuti, vengono e verranno in contatto.

E' preziosa, sul punto, l'affermazione della Suprema Corte nella sentenza 14 novembre 2001, n.14132, [nota 19] che i trasferimenti patrimoniali tra i coniugi compiuti nel difficile momento della separazione e del divorzio rispondono all'interesse della parte più debole (e certo non arricchiscono la parte più forte) ed è opportuno siano sottratti alla controindicazione che verrebbe da un prelievo fiscale consistente. [nota 20]

Occorre riconoscere che la stessa Amministrazione finanziaria, pur nella continuata diffidenza per questi atti, ha da sempre riconosciuto la mancanza in essi di ogni profilo di capacità contributiva, se è vero che già la circolare ministeriale della Direzione Generale Tasse 14 giugno 1976, n. 21/250695 [nota 21] testualmente osservava che «con la particolare formulazione della suddetta norma [legge 10 maggio 1976, n. 260, sopra citata] il legislatore ha voluto, in sostanza, precisare, in modo autentico, che per i provvedimenti giurisdizionali indicati nella norma medesima - concernenti lo status personale e patrimoniale dei coniugi - è esclusa, ai fini dell'applicazione dell'imposta di registro, ogni valutazione della capacità contributiva dei soggetti interessati».

Questo rapporto biunivoco di due elementi - sostanziale (l'accordo) e tributario (la assenza di capacità contributiva) - è stato il filo conduttore - che fin da allora, fin da circa vent'anni fa, quando appunto ricordando un'esperienza personale cominciammo insieme ad altri colleghi Notai a porre in essere questo tipo di atti, a richiedere questo tipo di esenzione tributaria e poi successivamente a suffragare tali atti con interventi nelle riviste specializzate e nel lavoro della Commissione di studi tributari del Cnn, di cui ho l'onore di far parte - è stato il filo conduttore, dicevo, delle successive pronunce, questa volta delle magistrature più alte, Corte Costituzionale e Corte di Cassazione e dell'Amministrazione finanziaria, sulle quali ora ci soffermeremo.

La prima pronuncia, in ordine di tempo, è della Corte Costituzionale in data 15 aprile 1992, n. 176, [nota 22] la quale, pur nei limiti del petitum, estendeva anche agli atti di iscrizione della ipoteca giudiziale imposta a garanzia delle obbligazioni assunte dal coniuge nel procedimento di separazione, l'esenzione fiscale prevista per gli atti del divorzio e affermava testualmente che «il profilo tributario non può ragionevolmente riflettere un momento di diversificazione delle due comparate procedure atteso che l'esigenza di agevolare l'accesso alla tutela giurisdizionale, che motiva e giustifica il beneficio fiscale con riguardo agli atti del giudizio divorzile, è con ancor più accentuata evidenza presente nel giudizio di separazione, ove la situazione di contrasto tra i coniugi, cui occorre dare uno sbocco, esibisce, di regola, toni di ben maggiore asprezza e drammaticità di quelli che essa manifesta nella fase già stabilizzata dell'epilogo divorziale». Nulla si può aggiungere a quanto così chiaramente affermato dalla Corte.

La sentenza anzidetta, proprio perché limitata al petitum, si riteneva da alcuni che non consentisse ancora di estendere alla separazione personale tutto il regime fiscale di favore previsto per il divorzio.

Ma non si faceva attendere di nuovo la Corte Costituzionale, la quale con la sentenza in data 29 aprile 1999, n. 154, [nota 23] richiamando espressamente la precedente sentenza n. 176/1992, affermava testualmente che «le stesse ragioni a suo tempo poste a fondamento del dispositivo di accoglimento [della sentenza n.176/1992] impongono di accogliere le questioni di legittimità costituzionale ora formulate dalle Commissioni Tributarie rimettenti in termini più ampi, in relazione alla totalità dei tributi oggetto della esenzione … anche in considerazione della esigenza di agevolare, e promuovere nel più breve tempo, una soluzione idonea a garantire l'adempimento delle obbligazioni che gravano, ad esempio, sul coniuge non affidatario della prole». E concludeva affermando che «l'art. 19 della legge 6 marzo 1987 n. 74, nella parte in cui non estende l'esenzione in essa prevista a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi, non può pertanto ritenersi conforme all'art. 3 della Costituzione, sia sotto il profilo del principio di eguaglianza, sia sotto il profilo del principio di ragionevolezza, anche in riferimento agli artt. 29, 31 e 53 della Costituzione». Non è un caso che di questa sentenza, angolare nella materia in oggetto, sia stato relatore un Giudice Costituzionale donna, forse più sensibile a queste problematiche. E' anche interessante notare come la Corte, in questa pronuncia si riferisca sia al principio costituzionale di eguaglianza, sia al principio costituzionale di ragionevolezza: quest'ultimo riferimento, alla "ragionevolezza", sottintende, come ha notato con la solita acutezza Enrico De Mita, [nota 24] una esigenza di buon senso applicata al diritto. Intesa in questo modo, la ragionevolezza supera il controllo logico astratto e lo integra come criterio attento alla natura politica del sindacato di legittimità costituzionale, facendo valere, accanto ad esigenze di razionalità, la considerazione della realtà, del "diritto vivente" nella società: e ciò è tanto più importante nell'ambito dell'ordinamento tributario, in quanto - continua lo stesso autore, con un evidente paradosso - «le leggi tributarie sono tendenzialmente irragionevoli ed arbitrarie, sono cioè "fiscali"».

I risultati di questa pronuncia venivano fatti propri, e non poteva essere altrimenti, dall'Amministrazione finanziaria con la circolare del Ministero delle Finanze 16 marzo 2000, n. 49/E, [nota 25] la quale accoglieva in toto le conclusioni della Corte Costituzionale e concordava con l'assunto delle Commissioni rimettenti che i presupposti delle imposte applicate agli atti del procedimento di separazione non sono ragionevolmente indicativi di capacità contributiva, concordando testualmente che «l'interpretazione razionale della norma conduce ad attribuire ad essa la più ampia portata agevolativa».

Anche il Consiglio Nazionale del Notariato, in data 23 luglio 1999, faceva il punto della situazione, con uno studio esaustivo delle problematiche in oggetto, del loro inquadramento teorico, dei tributi diretti ed indiretti interessati e degli atti e negozi attuativi degli accordi in oggetto, [nota 26] al quale rimando per tutti gli approfondimenti del caso.

Anche la Corte di Cassazione aveva occasione di pronunciarsi in materia nello stesso modo con le sentenze 12 maggio 2000, n. 6065 [nota 27] e 17 febbraio 2001, n. 2347. [nota 28]

Quest'ultima sentenza aggiungeva, a mio parere, un elemento importante alla riflessione che stiamo portando avanti: infatti, nella fattispecie concreta di un trasferimento di beni immobili con conguaglio in denaro, a scioglimento di comunione tra coniugi, la Corte affermava testualmente che «derivando dunque la divisione in concreto dei beni in comunione legale da accordi comunque raggiunti in sede giudiziale dai coniugi separati o divorziandi strettamente collegati allo scioglimento del matrimonio, non può rilevare, ai fini agevolativi di cui al citato art. 19, la qualifica di divisione convenzionale (in quanto non inserita nella pronuncia di divorzio, ma attualizzata con accordi separati) rispetto alla divisione legale (quale effetto automatico della sentenza di separazione), poiché l'ampia dizione dell'art. 19 della legge n. 74 del 1987 … necessariamente ricomprende tutti gli atti e le convenzioni che i coniugi pongono in essere nell'intento di regolare, sotto il controllo del Giudice, i loro rapporti patrimoniali».

Tale decisione, assunta in sede tributaria, è la conseguenza della definizione civilistica della omologazione della separazione personale consensuale, datane da Cassazione 18 settembre 1997, n. 9287, sopra citata, secondo la quale «la separazione consensuale si traduce in un procedimento (art. 158 c.c. e 711 c.p.c.), nel quale il regolamento concordato tra i coniugi acquista efficacia giuridica soltanto in seguito al provvedimento di omologazione, come emerge dal tenore dell'art. 711 IV comma c.p.c. … l'articolo 711 IV comma c.p.c. attribuisce all'omologazione l'effetto giuridico di rendere efficace la separazione consensuale, così rimarcando che l'accordo diventa parte costitutiva della separazione in quanto questa sia omologata e ribadendo il principio, già espresso sul piano sostanziale dall'art. 158 I comma c.c., in base al quale la separazione per il solo consenso dei coniugi non ha effetto senza l'omologazione del Giudice. Dal punto di vista logico sistematico, poi si deve riaffermare che, in base all'impianto complessivo dell'art. 711 c.p.c. (in combinato disposto col già citato art. 158 I comma c.c.), il procedimento in detta norma descritto dà vita ad una fattispecie complessa, nella quale il contenuto del regolamento concordato tra i coniugi, se trova la sua fonte nel relativo accordo, acquista però efficacia giuridica soltanto in seguito al provvedimento di omologazione, cui compete l'essenziale funzione di controllare che i patti intervenuti tra i coniugi siano conformi agli interessi superiori della famiglia (vedi Cass. 5 gennaio 1984 n.14 [nota 29])». Gli accordi tra coniugi debbono essere realizzati in unico e unitario negozio, che ha per sede necessaria il processo: momento conclusivo ne è, quindi, la omologazione come controllo di merito degli accordi e non di mera legittimità formale. [nota 30] La rilevanza del controllo giudiziale di merito, in queste fattispecie, ha trovato di recente una conferma legislativa nella disciplina dell'affidamento condiviso, di cui alla legge 8 febbraio 2006, n. 54.

Il fatto di aver sottolineato che tutti gli accordi di separazione personale e di divorzio sono adottati dai coniugi sotto il controllo del Giudice e assumono valore solo dopo la sua approvazione, porta, a parer mio, a delle conseguenze importanti per quanto riguarda la formulazione degli atti notarili, attuativi di questi accordi, anche per il loro esatto inquadramento tributario. Infatti, questi atti, sempre a parer mio, debbono riportare, o nel corpo dell'atto o in allegato, l'accordo testuale raggiunto dai coniugi nel verbale di separazione o nella sentenza di divorzio. E questo anche per permettere all'ufficio impositore di verificare la funzionalizzazione, la "causa esterna", dell'atto notarile alla esecuzione degli accordi dei coniugi separati o divorziati, omologati dal Giudice.

La conclusione alla quale siamo arrivati - cioè la funzionalizzazione sostanziale e formale di questi atti alla separazione o al divorzio - ha trovato una conferma nella sentenza della Corte di Cassazione in data 3 dicembre 2001, n. 15231 [nota 31] la quale ha affermato che le agevolazioni in oggetto operano - quanto agli atti ed accordi finalizzati allo scioglimento della comunione tra i coniugi conseguente alla separazione - limitatamente all'effetto naturale della separazione, costituito dallo scioglimento automatico della comunione legale e non competono con riferimento ad atti - solo occasionalmente generati dalla separazione - di scioglimento della comunione ordinaria tra gli stessi coniugi, che ben potrebbe persistere nonostante la separazione.

Il trattamento tributario di favore, di cui stiamo discorrendo, è stato finora considerato, nelle fattispecie che abbiamo direttamente o indirettamente esaminato, unicamente per quanto riguarda la risoluzione dei rapporti tra i coniugi.

Ma la famiglia, tutelata da varie norme di dignità costituzionale e civilistica, non è formata solo dai coniugi ma anche dai figli ove esistano. E, anche sotto questo profilo, si sono immediatamente levati dubbi e diffidenze, soprattutto da parte dell'Amministrazione finanziaria, quando ha dovuto esaminare, per la loro tassazione, atti di disposizione effettuati da uno o da tutti e due i coniugi separati o divorziati, a favore dei figli; anche se tali atti erano stati previsti testualmente nei loro accordi di separazione o di divorzio.

Proprio nel caso che andremo ad esaminare, l'Amministrazione finanziaria riteneva non applicabile la normativa di favore, non trovando ciò fondamento nella lettera e nella ratio della legge, che sarebbe volta a disciplinare il trattamento fiscale solo dei rapporti tra coniugi separati.

Fortunatamente, anche di questi dubbi e diffidenze ha fatto giustizia la Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza del 30 maggio 2005, n. 11458, [nota 32] la quale ha statuito che, nell'ipotesi di trasferimento di immobili in adempimento di obbligazioni assunte in sede di separazione personale dei coniugi, l'art. 19 della L. 74/1987, alla luce delle sentenze della Corte Costituzionale, sopra richiamate, deve essere interpretato nel senso che il trattamento fiscale di favore si estende a tutti gli atti, i documenti e i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi, in modo da garantire l'adempimento delle obbligazioni che i coniugi separati hanno assunto per conferire un nuovo assetto ai loro interessi economici, anche con atti i cui effetti siano favorevoli ai figli. Nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto applicabile - in una fattispecie riguardante il trasferimento gratuito da parte del padre separato alle figlie della propria quota di proprietà della casa di abitazione, in ottemperanza ad una obbligazione assunta in sede di separazione consensuale - non la normativa generale sugli atti di trasferimento a titolo gratuito di beni immobili tra coniugi o tra parenti in linea retta, ma la normativa speciale sugli atti esecutivi di accordi di separazione personale tra coniugi. [nota 33]

Infatti, questi trasferimenti di proprietà a favore dei figli non possono essere qualificati né come atti di liberalità, né, tanto meno, come atti di donazione, proprio perché non ubbidiscono ad alcuno "spirito di liberalità", né ad alcun animus donandi del trasferente, ma alla sua volontà di definire i propri rapporti personali e patrimoniali con il coniuge.

Questa apertura verso altri componenti del nucleo familiare, in questo caso i figli, aveva trovato un interessante precedente nella sentenza della Corte Costituzionale in data 3 giugno 2003, n. 202, [nota 34] la quale ha statuito che il trattamento fiscale di favore in oggetto deve essere applicato anche all'accordo stipulato tra i genitori naturali, in base al quale è stato determinato l'affidamento del figlio naturale riconosciuto da entrambi alla madre e l'obbligo del pagamento di un assegno mensile da parte del padre naturale. La Corte motiva tale sua statuizione con la interessante affermazione che «è irragionevole [e qui ritorna il criterio della ragionevolezza di cui abbiamo parlato prima] la mancata estensione di tale esenzione anche ai provvedimenti adottati, ai sensi dell'art. 148 del c.c., in tema di determinazione del contributo di mantenimento fissato a carico del genitore naturale obbligato ed a favore del genitore affidatario. La mancanza del rapporto di coniugio tra le parti non può giustificare la diversità di disciplina tributaria del provvedimento di condanna, in quanto ciò che rileva è che si è in presenza di identico provvedimento di quantificazione del contributo di mantenimento a favore della prole, in relazione al quale ricorrono le stesse considerazioni che militano a favore della esenzione tributaria qualora lo stesso sia assunto in tema di separazione o di divorzio. La circostanza che tale provvedimento è stato adottato, in un caso, in costanza di un rapporto di coniugio esistente o esistito e, nell'altro, in mancanza di tale rapporto, non giustifica in alcun modo la diversità di disciplina fiscale». Oltre tutto, continua la Corte «l'esenzione, seppure posta a favore del destinatario delle somme [genitore affidatario], in realtà tutela il figlio minore per il cui mantenimento è disposta, con la conseguenza che la sua omessa previsione, quando si è in presenza di prole naturale, oltre ad essere irragionevole, con violazione dell'art. 3 della Costituzione, si risolve in un trattamento deteriore dei figli naturali rispetto ai figli legittimi, come esattamente rilevato dal Giudice rimettente in contrasto con l'art. 30 della Costituzione. Né in senso contrario può invocarsi la giurisprudenza secondo cui le disposizioni legislative concernenti agevolazioni e benefici tributari di qualsiasi specie, quali che ne siano le finalità, costituiscono il frutto di scelte discrezionali del legislatore, sicché la Corte non può estenderne l'ambito di applicazione, dal momento che tale estensione è consentita quando lo esiga - come nel caso di specie - la ratio dei benefici stessi». [nota 35]

Nonostante tutte le decisioni delle nostre Corti Supreme, che abbiamo appena esaminato, l'Amministrazione finanziaria, e precisamente l'Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale Normativa e Contenzioso, con la risoluzione n. 151/E in data 19 ottobre 2005, continua a negare le agevolazioni in discorso al trasferimento di un bene da un coniuge ai figli nell'ambito degli accordi di separazione, facendo, peraltro, a mio modesto parere, un riferimento incongruo alla sentenza della Corte di Cassazione 17 febbraio 2001, n. 2347, che abbiamo esaminato poco fa. Con acutezza, Susanna Cannizzaro, in una breve nota informativa apparsa su Cnn - Notizie, osserva che «la questione esaminata rimane quindi controversa in ragione anche del fatto che né l'amministrazione né la giurisprudenza forniscono un criterio interpretativo generale, limitandosi a risolvere il caso concreto».

Ora credo che questo criterio sia chiaramente emerso dalla riflessione che abbiamo fatto e sia da individuare nel fatto che questi atti, negozi e provvedimenti trovano la loro causa civilistica esterna nell'accordo dei coniugi, la loro legittimazione nella omologazione o nella sentenza del Giudice, la loro neutralità fiscale nell'assenza di capacità contributiva che li connota.

Comunque, nonostante queste ultime resistenze, voglio concludere la mia riflessione con la certezza che non è stata ancora pronunciata la parola fine al trattamento tributario di queste vicende che, sono sicuro, si amplieranno presto ad altre fattispecie, nella misura in cui le esigenze della società ci proporranno altri casi, che continueranno a farci riflettere e a farci incontrare di nuovo.


[nota 1] Il quale testualmente recitava: «Atti dell'autorità giudiziaria ordinaria o speciale in materia di controversia civile che definiscono, anche parzialmente il giudizio, compresi i decreti ingiuntivi, provvedimenti di aggiudicazione e di assegnazione … e) non portanti condanna né accertamento di diritti a contenuto patrimoniale».

[nota 2] Risoluzione Ministero Finanze, 15 ottobre 1975, n. 301148, in Codice Tributario, IlSole24Ore Laserdata.

[nota 3] L'articolo unico della legge disponeva testualmente: «Le sentenze di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e quelle di separazione personale, ancorchè portanti condanne al pagamento di assegni o attribuzioni di beni patrimoniali, nonché quelle che modificano tali condanne o attribuzioni, si intendono sottoposte all'imposta di registro prevista in misura fissa dall'art. 8 lettera e), della Tariffa allegato A, parte I del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634».

[nota 4] FORMICA, «Le attribuzioni di beni nella separazione e nel divorzio», in Riv. Dir. Fin. e Scienza delle Fin., 1989, II, p. 77, di commento alla decisione in oggetto, ivi riportata per intero.

[nota 5] In Riv. Not., 1985, II, p. 926.

[nota 6] Occorre precisare che la locuzione «ogni altra tassa» deve essere logicamente intesa come "ogni altro tributo", in modo tale da ricomprendere nel suo ambito di applicazione tanto le "tasse" quanto le "imposte"; come statuito da Cass., Sez.V , 22 maggio 2002, n. 7493 in ItalGiureWeb. Contra, riunione del 20/24 giugno 1988 degli ispettori compartimentali tasse e imposte indirette sugli affari, in Boll. Trib. Inf.,1988, p. 1797.

Confronta, sul punto, esaustivamente, LUCARIELLO, «L'imposizione indiretta degli atti di separazione personale dei coniugi», in Riv. Not., 2000, II, p. 661.

[nota 7] «Una delle poche leggi di tutta la nostra più recente storia parlamentare che siano state approvate praticamente alla unanimità» LIPARI N. «Note introduttive al commento alla legge», in Le nuove leggi civili commentate, 1987, p. 847.

[nota 8] Cfr. CARNELUTTI, «Note sull'accertamento negoziale», in Riv. Dir. Proc. Civ., 1940, p. 20 e ss.; CARIOTA FERRARA, Il Negozio Giuridico nel Diritto Privato Italiano, Napoli, 1956, p. 309; MESSINEO, Trattato di Diritto Civile e Commerciale, Milano, 1958, p. 568 e ss.; BARBERO, Sistema del Diritto Privato Italiano, II, Torino, 1962, p. 992; TORRENTE- SCHLESINGER, Manuale di Diritto Privato, Milano, 1999, p. 966. In giurisprudenza, cfr. Cass., 18 ottobre 1961, n. 2224, in Giust. Civ., 1962, I, p. 763; Cass. N.2066/1973, in Cian e Trabucchi, Commentario Breve al Codice Civile, Complemento Giurisprudenziale, CEDAM, 1989, p. 466; Cass., 14 gennaio 1985, n. 29, in Giust. Civ., 1985, p. 1073.

Contra DEIANA, «Concetto e natura giuridica del contratto di divisione», in Riv. Dir. Civ., 1939, p. 65; FORCHIELLI, Della Divisione, in Comm. Cod. Civ. a cura di Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1970, p. 29 e ss.

[nota 9] Cfr. FORMICA F., Divisione nel Diritto Tributario, in Digesto Discipline Civilistiche, IV, Torino, 1989, p. 5

[nota 10] Altro esempio è l'enfiteusi urbana, vale a dire, la costituzione di enfiteusi relativamente a fondi urbani e, poi, la successiva sua affrancazione: la quale conobbe, negli anni sessanta del secolo scorso, una grande fioritura, perchè aveva, si scoprì che aveva, una tassazione simile a quella della enfiteusi agraria, che godeva di una tassazione, appunto, agevolatissima. Una volta che il legislatore ha inciso sulla tassazione di questa fattispecie, la enfiteusi urbana, oramai, è divenuta un istituto desueto e un ricordo solo degli studiosi del diritto, anzi di storia del diritto.

[nota 11] Confronta anche per la sua provenienza notarile, il pregevole lavoro svolto con molteplici interventi da GIUNCHI P.; in particolare: «I trasferimenti dei beni fra coniugi nel procedimento di separazione personale nel diritto civile e nelle leggi fiscali», in Vita notarile, n. 2/1993; «Il trattamento fiscale delle attribuzioni fra coniugi nella separazione personale e nel divorzio», in il fisco, n. 4/1994; «Imposta agevolata per le attribuzioni fra coniugi contenute in atti dell'autorità giudiziaria», in il fisco, n. 16/1994.

[nota 12] Cassazione, Sezione I, 18 settembre 1997 n. 9287, in ItalGiure Web.

[nota 13] Cassazione 6 aprile 1993, n. 4108, in Mass. Giust. Civ. 1993, p. 624, richiamata anche da FACCI, «L'ingiustizia del danno nelle relazioni familiari» in Contratto e Impresa, 2005, p. 1245.

[nota 14] DORIA G., Autonomia privata e causa famigliare, Milano, 1996 , p.13 e ss. (e la bibliografia ivi indicata).

[nota 15] Cfr. da ultimo, BIANCA C. MASSIMO, La Famiglia - Le Successioni, Diritto Civile, II, Milano, 2005, p. 226

[nota 16] Sulla definizione della capacità contributiva, cfr., da ultimi, DE MITA E., Principi di Diritto Tributario, Milano, 2004, p. 84 e 85; FALSITTA G., Manuale di Diritto Tributario, Padova, 2003, p. 133 e ss.; FEDELE A., Appunti dalle Lezioni di Diritto Tributario, Torino, 2003, p. 10 e ss.

[nota 17] DE MITA E., «La retroattività chiede certezze alla Consulta», in IlSole24Ore, 10 settembre 2006, n. 248, sezione Norme e Tributi, p. 17.

[nota 18] E' esattamente la situazione esaminata da Cass. Civile, 17 giugno 2004, n. 11342, in Ced Cassazione. Nella specie, il padre, che aveva assunto nell'accordo di separazione, l'impegno di trasferire al figlio minore un immobile, convenuto in giudizio per la esecuzione specifica, ai sensi dell'art. 2932 codice civile, aveva chiesto la risoluzione della pattuizione deducendo l'inadempimento della madre alla obbligazione, da costei assunta nel medesimo accordo di separazione tra coniugi, di consentire che la figlia vedesse e frequentasse il genitore.

[nota 19] In Boll. Trib. Inf., 2002.

[nota 20] Tali disposizioni, continua la Suprema Corte, non riguardano esclusivamente le disposizioni patrimoniali contenute nelle sentenze di divorzio, ma anche all'atto con cui le parti danno attuazione all'impegno assunto dal marito, davanti al Giudice Istruttore della causa di divorzio, a trasferire alla moglie l'usufrutto di alcuni immobili al momento in cui fosse passata in giudicato la sentenza di divorzio.

[nota 21] In Boll. Trib. Inf., 1976, p. 1154

[nota 22] In Riv. Dir. Fin. e Scienza Fin., 1993, II, p. 3; con nota di FORMICA F., «Ancora sulla imposizione indiretta della attribuzione di beni nella separazione personale e nel divorzio».

[nota 23] In Giur. It., 2000, p. 248

[nota 24] DE MITA E., «Le contraddizioni della "ragionevolezza"», in IlSole24Ore, 9 ottobre 2005, p. 17.

[nota 25] In http://bdn.notartel.it

[nota 26] Consiglio Nazionale del Notariato, Commissione Studi Tributari, Studio n. 67/99/T, «Trattamento fiscale degli atti relativi ai procedimenti di separazione e divorzio alla luce della recente sentenza della Corte Costituzionale» (relatori FORMICA F. e GIUNCHI P.).

[nota 27] In Giust. Civ. Mass., 2000, Fasc. 5.

[nota 28] In Riv. Giur. Ed., 2001, IV, p. 691, con nota.

[nota 29] In Giust. Civ., 1984, I, p. 669.

[nota 30] La formalizzazione degli accordi nell'ambito del processo e la esenzione tributaria trovano la loro radice nella relazione alla legge 6 marzo 1987 n.74, sopra più volte citata, nella quale, alla lettera C), si legge testualmente: «La lunghezza, la complessità e il conseguente costo dei giudizi di divorzio è stato un altro dei motivi che ne hanno impedito l'applicazione. Si è perciò previsto, per i casi in cui il presupposto del divorzio risulti documentalmente (esempio separazione legale) e i coniugi siano d'accordo sulle condizioni (rapporti economici e con i figli), un procedimento abbreviato che consta - analogamente alla separazione consensuale - nella comparizione delle parti avanti al Presidente e nella successiva omologazione del Tribunale. Se anche prevista, l'esenzione da tasse, bolli, registrazione» (Relazione al disegno di legge n. 150, di iniziativa del Senatori Marinucci Mariani, Buffoni, De Cataldo e Garibaldi, comunicato alla Presidenza del Senato della Repubblica - IX Legislatura il 15 settembre 1983, in Atti Parlamentari del Senato della Repubblica - IX Legislatura - Disegni di Legge e Relazioni - Documenti).

E' dibattuto nella dottrina e nella giurisprudenza civilistica il problema se le modificazioni pattuite dai coniugi successivamente alla omologazione della separazione, possano ritenersi valide anche senza la omologazione. A fronte di una posizione dottrinale favorevole alla validità delle pattuizioni successive alla separazione, anche senza omologazione (cfr. FINOCCHIARO A., «Sulla pretesa inefficacia di accordi non omologati diretti a modificare il regime della separazione consensuale», in Giust. Civ., 1985, I, p. 1657 e ss. e ZATTI P., «Nota di commento a Cass. 13 febbraio 1985 n. 1208», in N. G. C. C., 1985, I, p. 658 e ss.), la giurisprudenza della Suprema Corte, con le sentenze n. 2270 del 1993, n. 657 del 1994, n. 7029 del 1997 e n. 5829 del 1998, ha affermato che le modificazioni pattuite dai coniugi successivamente alla omologazione della separazione, trovando fondamento nell'articolo 1322 del codice civile, devono ritenersi valide ed efficaci, a prescindere dall'intervento del Giudice, ai sensi dell'articolo 710 c.p.c., quando non superino il limite di derogabilità consentito dall'art. 160 c.c. e, più specificamente, quando non interferiscano con l'accordo omologato, ovvero ne specifichino il contenuto o contengano disposizioni di evidente maggior rispondenza all'interesse tutelato. Nel caso esaminato da Cass. 11 giugno 1998 n. 5829, in Juris Data, Archivio Sentenze Civili, i coniugi separati avevano convenuto che il marito abbandonasse la casa coniugale e corrispondesse un assegno per il mantenimento dei due figli minori e successivamente, secondo il marito, era intervenuto un tacito accordo con la moglie, in base al quale egli era rimasto nell'abitazione, provvedendo a tutte le spese per il mantenimento della famiglia e la Suprema Corte ha confermato la validità di tale accordo anche senza successiva omologazione, ritenendolo migliorativo nei confronti delle minori. Certo accordi successivi non omologati, specialmente in materia di trasferimenti immobiliari, troverebbero, per quanto detto nel testo, notevoli problemi sotto l'aspetto tributario.

[nota 31] Ne Il fisco, 2002, p. 1525; e in Rass. Trib., 2002, p. 1095.

[nota 32] In ItalGiureWeb.

[nota 33] Cfr. CANNIZZARO S., «Esenzione fiscale degli atti compiuti dai coniugi in favore dei figli in adempimento dei patti convenuti in sede di separazione o di divorzio», in Cnn Notizie.

[nota 34] «Ancora sull'esenzione fiscale degli atti compiuti dai coniugi in favore dei figli in adempimento dei patti convenuti in sede di separazione o di divorzio», in Cnn Notizie, 26 ottobre 2005.

[nota 35] Nel quadro di questo indirizzo di equiparazione del trattamento dei figli naturali ai figli legittimi, continua l'insegnamento della Corte Costituzionale, con la recentissima sentenza 12-21 ottobre 2005, n. 394 in ItalGiureWeb, secondo la quale, come il diritto del figlio naturale a non lasciare l'abitazione in seguito alla cessazione della convivenza di fatto fra i genitori non richiede una apposita previsione, anche il diritto del genitore affidatario di prole naturale ad ottenere la trascrizione del provvedimento di assegnazione non necessita di una autonoma previsione, dal momento che risponde alla stessa ratio di tutela del minore ed è strumentale a rafforzarne il contenuto: il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli e di garantire loro la permanenza nel medesimo ambiente in cui hanno vissuto con i genitori deve essere assolto tenendo conto, prima che delle posizioni di terzi, del diritto che alla prole deriva dalla responsabilità genitoriale prevista dall'articolo 30 della Costituzione e tesa a favorire il corretto sviluppo della personalità del minore. Pertanto, se il diritto alla assegnazione della casa familiare al genitore affidatario di prole naturale può trarsi in via di interpretazione sistematica delle norme che disciplinano i doveri dei genitori verso i figli, alle medesime conclusioni deve pervenirsi con riguardo alla possibilità per il genitore naturale affidatario di minore - e che non sia titolare di diritti reali o di godimento sull'immobile - di trascrivere il provvedimento di assegnazione nei Registri Immobiliari, onde garantire effettiva tutela dei diritti della prole anche in caso di conflitto con i terzi aventi causa dal proprietario dell'immobile. Nella fattispecie, il Giudice rimettente era stato adito dal genitore affidatario del figlio minore, nato da convivenza more uxorio, ormai cessata, con l'azione volta ad ottenere l'assegnazione della casa familiare e l'ordine di trascrizione del relativo provvedimento nei Registri Immobiliari.

Per la interpretazione e la applicazione delle norme agevolative, cfr., da ultimo, MELIS, L'interpretazione nel Diritto Tributario, Padova, 2003, p. 427 e ss. provvedimento di assegnazione nei Registri Immobiliari, onde garantire effettiva tutela dei diritti della prole anche in caso di conflitto con i terzi aventi causa dal proprietario dell'immobile. Nella fattispecie, il Giudice rimettente era stato adito dal genitore affidatario del figlio minore, nato da convivenza more uxorio, ormai cessata, con l'azione volta ad ottenere l'assegnazione della casa familiare e l'ordine di trascrizione del relativo provvedimento nei Registri Immobiliari.

Per la interpretazione e la applicazione delle norme agevolative, cfr., da ultimo, MELIS, L'interpretazione nel Diritto Tributario, Padova, 2003, p. 427 e ss.

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