Problematiche concernenti i trasferimenti immobiliari in sede di separazione e di divorzio
Problematiche concernenti i trasferimenti immobiliari in sede di separazione e di divorzio
di Paolo Giunchi
Notaio in Cesena
La mia breve relazione è costruita sulla falsariga di altre che ho tenuto in varie occasioni sia prima che dopo la sentenza della Corte Costituzionale del 1999, [nota 1] che ha equiparato il trattamento fiscale dei negozi patrimoniali che i coniugi stipulano in occasione del divorzio a quelli stipulati in occasione della separazione personale.
Si potrà così dar prova che, nonostante la sostanziale rivoluzione portata dalla sentenza citata, che ha ben illustrato la ratio del beneficio, non sia ancora possibile attuare nella prassi, senza incertezze, un coerente trattamento fiscale dei negozi suddetti.
Per cercare di pervenire ad documentata soluzione di alcune delle questioni in materia ancora irrisolte, che in seguito esamineremo, è necessario accennare alla storia del trattamento fiscale di tali negozi, che riteniamo illuminante sulle cause dell'incompiutezza del sistema.
Chi ascoltò allora le mie parole e mi ascolta ora avvertirà il suono stridente di diverse "autocitazioni".
Ma l'inelegante peccato è da imputarsi alla cecità di chi ancora si frappone alla adozione di una chiara ed equa regolamentazione fiscale dei trasferimenti de quibus.
I tempi riservati a ciascun relatore in un convegno di ampio respiro sono dettati da evidenti necessità; nel nostro caso, poi, il mitragliamento operato dalle recenti disposizioni sull'assetto fiscale dei trasferimenti immobiliari restringe ancor più il nostro intervento.
Sarebbe interessante una dettagliata analisi della disciplina fiscale di tali trasferimenti succedutasi dal 1923 fino al testo unico dell'imposta di registro del 1986, passando dalla riforma del 1972 e dalla legge interpretativa del 1976, per provare la lentezza con la quale la legislazione fiscale si adegua al mutamento dei costumi, delle abitudini e delle esigenze della società.
Ma, tranquilli, mi limiterò ad esporre una breve indagine che mostri il rapporto fra la evoluzione civilistica dei negozi che ci occupano, la loro forma ed il loro trattamento fiscale.
Per anni, gran parte della dottrina ha ignorato non solo la forma da assumersi da tali negozi ma anche la loro causa giuridica, confusa con e fra le generali condizioni della separazione o del divorzio e quindi relegata in ambito processuale.
Le ragioni dell'attrazione in tale ambito dei vari negozi patrimoniali che si accompagnano alla crisi del matrimonio era un'inevitabile conseguenza della regolamentazione del loro trattamento fiscale, previsto da un'unica norma, [nota 2] l'articolo 8, lettera f) del testo unico della imposta di registro, D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, che non solo restringeva a dismisura l'ambito di applicazione del beneficio, ma prevedeva quale unica forma del negozio agevolato quella processuale.
Ancora negli anni 80 (del secolo scorso !), pochi volenterosi e "fissati" colleghi discutevano, quasi mosche rare, su riviste in gran parte notarili, rilevando l'assetto discriminatorio della legislazione fiscale a fronte di fattispecie giuridiche analoghe.
Mi ricordo quando stipulai il primo atto portante un trasferimento fra coniugi in occasione della loro separazione ed ebbi fortunatamente la costanza di far curare ai clienti la resistenza alle ingiuste pretese fiscali, fornendo loro assistenza e materiale, fino ad approdare, anni dopo, ad una incondizionata vittoria, sulle ali della sentenza della Corte Costituzionale del 10 maggio 1999, n. 154.
Esperienze vissute con entusiasmo e con passione; ma nel quasi totale disinteresse della dottrina mentre il Notariato fra le sue qualità di creatore di diritto e di prudente operatore, preferiva allora privilegiare quest'ultima, risuonandogli ancora nell'orecchio il frastuono prodotto da antiche sentenze che sancivano la nullità degli atti notarili aventi ad oggetto i negozi di cui stiamo parlando. [nota 3]
Problema analogo a quello che, in nuce, si sta oggi prospettando circa la legittimità di accordi patrimoniali prematrimoniali sulla separazione e sul divorzio, di convenzioni relative alla separazione di fatto o destinati a dare regolamentazione agli interessi (anche e soprattutto dei figli) di conviventi che decidano di separarsi.
Esche invitanti per nuove imprese notarili. [nota 4]
La mancanza di una dottrina fondante un approccio sistematico e strutturale alle complesse problematiche inerenti alla sistemazione degli interessi patrimoniali (e non) che sottostanno alla crisi del matrimonio, [nota 5] apriva i confini di un territorio inesplorato e pericoloso (hic sunt leones) nel quale la giurisprudenza appariva saltuariamente con conclusioni fra loro contraddittorie [nota 6] sia in relazione alla causa di tali negozi che alla loro forma.
Ancorché una - e non ultima - ragione di questa sostanziale indifferenza risiedesse nel trattamento fiscale riservato dalla legge ai trasferimenti in oggetto, all'interno della medesima categoria di fattispecie negoziali si verificavano illogiche esclusioni dall'agevolazioni in ragione della forma assunta da tali trasferimenti, del loro oggetto e dei loro soggetti.
Norme che avevano anche influenzato qualche interpretazione della novella, mal scritta e peggio applicata, che nel 1987 [nota 7] aveva messo mano alla regolamentazione fiscale degli atti relativi al divorzio.
Ma, ancor prima di un'analisi della novella sul divorzio, occorre spendere qualche parola sul citato articolo 8 lettera f) del testo unico della imposta di registro che, acquisendo precedenti disposizioni, a regime in un ben diverso contesto civilistico, aveva confermato la ritrosia del legislatore fiscale a favorire i trasferimenti di cui ci occupiamo, riconoscendo il beneficio solo a quelli che configuravano una sostanziale natura dichiarativa e qualificati, infatti, con il termine di "attribuzioni", che, vedremo in seguito, sarà fonte di equivoci nella ricerca della loro causa. [nota 8]
Un primo limite alla concessione del beneficio discendeva dalla collocazione della norma di favore nel corpo del testo unico della imposta di registro, escludendo pertanto dall'esenzione ogni altro tributo che allora gravava sui trasferimenti immobiliari.
Nella citata norma erano inoltre presi in considerazione i soli beni «già facenti parte della comunione» fra coniugi.
Al riguardo, al fine di evidenziare la tendenza della Amministrazione finanziaria a restringere l'ambito di applicazione del beneficio si ricorda che solo dopo molte esitazioni ed a seguito di diverse decisioni giurisprudenziali e di prese di posizione della dottrina, fu riconosciuto che il concetto di comunione comprendeva non solo la comunione legale ma anche la comproprietà dei beni.
Infine, la suddetta collocazione della disposizione all'interno del testo unico dell'imposta di registro ed, ivi, nell'articolo 8 lettera f) della relativa Tariffa, avente per oggetto la tassazione degli atti giudiziari, denunciava anche la volontà del legislatore di riservare l'accesso al beneficio solo ai trasferimenti che rivestivano tale forma.
Scelta legislativa, questa, coerente con una visione distorta della natura e della finalità dei negozi, confusamente assimilati ad atti diretti esclusivamente allo scioglimento di comunioni dei beni esistenti all'atto dell'assenso alla separazione, disinteressata quindi dell'interesse della famiglia e dei figli e del riscontro della manifestazione di capacità contributiva.
La esclusione dal beneficio del trasferimento di beni che fossero posseduti da uno solo dei due coniugi risultava penalizzante per ogni diverso strumento giuridico che fosse scelto dai coniugi per attuare la sistemazione di interessi famigliari rendendo difficoltoso e quindi più lungo e costoso il procedimento.
Se spendiamo anche solo pochi minuti per riflettere sulla struttura dell'articolo in questione, ci accorgiamo che esso, sebbene poi abrogato dalla sentenza della Corte Costituzionale del 10 maggio 1999, n. 154 (come avremo occasione di meglio puntualizzare in seguito), esercita ancora oggi la sua nefanda influenza sul trattamento fiscale dei negozi di cui ci stiamo occupando.
In questo senso rileviamo che l'aver imprigionato i trasferimenti fra coniugi all'interno del procedimento di separazione importava "taglienti" prese di posizione e inammissibili conseguenze, allontanando la ricerca della loro causa negoziale.
La pretesa necessità dell'esistenza dell'atto giudiziale, come presupposto della concessione del beneficio escludeva, infatti, prima di qualsiasi riflessione sulla forma e sulla natura dell'atto stesso, l'intervento del Notaio, se non in funzione taumaturgica o in posizione subalterna ed estranea alla manifestazione della volontà contrattuale dei coniugi, creando così competenze e responsabilità, strutturalmente anomale, in avvocati e cancellieri.
Il procedimento di separazione divenne una sorta di bazar, contenitore eclettico di negozi che, privati del controllo del Notaio, incrementarono esponenzialmente la percentuale di atti mal confezionati, affetti da errori ed omissioni che ne impedivano la corretta voltura catastale e la trascrizione nei registri immobiliari, quando non addirittura da vere e proprie nullità per la mancanza di menzioni, dichiarazioni, allegati, sempre più spesso imposti da norme di salvaguardia fiscale o urbanistica.
O anche colpiti a morte da nullità non "sanabili" alle quali l'opera di terapeutica del Notaio, chiamato al capezzale dello strapazzato negozio, non poteva porre rimedio.
Mi è capitato di vedere più di una volta, all'interno di ricorsi allegati al verbale di separazione consensuale omologata, persino la ingenua stipulazione di "donazioni", non solo tali come nomen ma manifestamente connotate da spirito di liberalità: il peccato originale, insito nell'equivoco sulla forma e la causa degli atti de quibus, appare così in tutta la sua gravità, mostrando la trama di una regolamentazione fiscale non solo iniqua e discriminatoria ma anche priva di un correlato sostegno civilistico.
Una tale schizofrenia legislativa costringeva i coniugi alla stipulazione di quei negozi, che pur relativi alla crisi del matrimonio e quindi diretti alla soddisfazione di legittimi interessi dei coniugi e dei figli, non potessero essere inseriti nel procedimento giudiziale o che non rientrassero comunque fra le poche fattispecie agevolate, alla scelta di strumenti giuridici tali da supplire al beneficio negato; come compravendite agevolate ("prima casa", "proprietà coltivatrice", ecc.) o, addirittura, donazioni.
I coniugi per ridurre il costo ed i tempi della procedura giudiziale e quindi della conclusione della separazione ricorrevano (ed ancora oggi a volte ricorrono) alla stipulazione di negozi simulati, forieri di gravi ripercussioni fiscali e civili insite in una simile surroga della effettiva volontà contrattuale.
Si pensi solo, ad esempio, ove il negozio scelto sia la donazione, alla sopravvenienza di figli dalle seconde nozze alle quali convoli l'impenitente coniuge divorziato.
Se la individuazione di tali strumenti come attuativi della volontà dei coniugi era strettamente correlata alla riduzione del costo fiscale del trasferimento, non deve trascurarsi che, come si è accennato, a monte della norma fiscale giocava la assenza di un presupposto sostanziale, che di per sé avrebbe dettato la forma del negozio ed il suo coerente trattamento fiscale.
Il rifiuto di qualche conservatore dei registri immobiliari di procedere alla trascrizione di negozi patrimoniali formati e contenuti all'interno del procedimento giudiziale e quindi in assenza dell'intervento notarile o di sentenza aveva aperto in dottrina ed in giurisprudenza la controversia sulla legittimità del riconoscimento della natura di atto pubblico negoziale al verbale presidenziale.
Fra le diverse tesi si affermarono, nella prassi, sia quella che sosteneva la possibilità di trascrizione di tale atti, purché correttamente confezionati che quella che suggeriva una sorte di uberinung germanico, ove il trasferimento, riservato alla competenza Notaio era necessariamente preceduto dall'obbligo di trasferire, contenuto nel verbale o nel ricorso. [nota 9]
Sta di fatto che, quale che fosse la tesi più corretta, le disquisizioni sulla forma non incidevano sulla disordinata, frammentata ed iniqua normativa che si era cristallizzata in una prassi che denunciava palesi violazioni di fondamentali principi costituzionali.
Intervenendo, in controcorrente, in tal dibattito, qualche Notaio, per sua formazione portato ad armonizzare la natura del negozio col suo trattamento fiscale, rilevava, come le querelle sulla sua forma e tassazione potevano trovare una soluzione condivisa solo se si fosse definita la sua causa negoziale, che avrebbe di per sé dettato la forma del negozio e il relativo trattamento fiscale, corretto e coerente scaturito dalla conclusione di logiche deduzioni.
Il percorso per giungere alla identificazione della causa fu in principio rappresentato da un viottolo stretto, disconosciuto, cosparso di pungenti critiche e glaciale indifferenza e praticato, in sostanziale solitudine, soprattutto da qualche Notaio che si spese non solo in campo dottrinale ma anche nella prassi, adoperandosi, sia pure con estrema cautela, nel tentativo di colmare lacune normative ed ovviare ad incertezze interpretative.
Solo più tardi dottrina e giurisprudenza, con crescente interesse, presero in considerazione questi negozi, nel frattempo moltiplicatisi col mutare dell'assetto della società civile, metabolizzando ed elaborando, sia pure tardivamente, le aperture portate dalla riforma del 1975, nella direzione del riconoscimento di una completa autonomia negoziale dei coniugi nell'assetto patrimoniale della famiglia, nell'interesse non solo dei coniugi stessi ma, soprattutto, dei figli.
Il viottolo si stava trasformando una strada comoda ed accogliente per importanti contributi.
In tal modo si consolidava, lentamente, l'opera di reductio ad unum di diverse fattispecie negoziali, tendente ad "inventarne" (nel significato strettamente etimologico del vocabolo) struttura e sistematicità che li qualificassero come sorretti da un'unica causa negoziale.
I negozi di cui ci occupiamo che, da arruffati ed incerti, cominciavano ad assumere un più dignitoso assetto, continuavano peraltro ad essere sistematicamente inclusi all'interno del procedimento giudiziale, dove continuavano a godere della discriminatoria benevolenza fiscale.
Permaneva, infatti, il "tirchio" ma unico trattamento fiscale di cui citato articolo 8 lettera f), che l'inerzia del legislatore non aveva depurato dalle incrostazioni, dagli equivoci e dai tabù figli di una concezione del diritto di famiglia non adeguata alla riforma del 1975.
Si era peraltro, avviato quel processo critico che, insistendo sull'illegittimo permanere di diseguali trattamenti fiscali per uguali fattispecie negoziali, prospettava l'indilazionabile esigenza di una non discriminatoria disciplina inserita in una coerente e sistematica struttura normativa.
Ad ingenerare ulteriori motivi di lagnanza ci pensò la legge 6 marzo 1987 n. 74, che, all'articolo 19, stabiliva la esenzione da imposte e tasse per tutti gli atti relativi al divorzio. [nota 10]
La creazione di una categoria di trasferimenti ancor più beneficiata (anche se in modo "lessicalmente" tutt'altro che irreprensibile) rispetto a quella connessa alla separazione personale, compressa all'interno del più volte citato articolo del testo unico dell'imposta di registro, costituì un decisivo argomento per stigmatizzare la colpevole, connaturata lentezza del legislatore fiscale ad adeguarsi a nuovi modelli civilistici ed alle mutate esigenze della società, liberando dal complessivo carico fiscale anche i negozi patrimoniali posti in essere dai coniugi in occasione della loro separazione personale.
Si osservava quindi che la novella sul divorzio palesava con ancor maggior chiarezza che anche gli atti connessi alla separazione personale avrebbero dovuto accedere al trattamento fiscale più favorevole dettato per il divorzio, in considerazione della comune causa negoziale delle due fattispecie e dovendosi in entrambe escludersi ogni valutazione di capacità contributiva.
Nel decennio che va dalla fine degli anni ottanta alla fine degli anni novanta, convegni spesso organizzati dal Notariato, conferenze di singoli Notai, decisioni della giurisprudenza civile e fiscale, accesero a poco a poco l'interesse della dottrina non solo notarile e la necessità di una sistemazione anche civilistica delle fattispecie in oggetto, assunse via via dimensioni imponenti, in parallelo all'aumento delle separazioni personali e dei divorzi.
Fatto salvo il riscontro della rilevanza di tali negozi ai sensi del comma secondo dell'art. 1322 del codice civile, non è questa la sede per approfondire l'argomento della loro causa.
Si deve però ribadire che la qualificazione del negozio è logico presupposto per la scelta della sua forma: basta pensare alla spesso trascurata distinzione fra atti a titolo gratuito e donazione, ai problemi relativi alla expressio causae, ai contratti aventi causa remota alla causa solutionis e così via.
E all'esistenza di una causa separationis, non diversa dalla causa divortii del diritto giustinianeo.
Il risvegliato interesse per la causa negoziale e le soluzioni dottrinali e giurisprudenziali diedero forza alla tesi per la quale i trasferimenti fra i coniugi che non traggano dalla separazione semplicemente il loro motivo ma siano ed essa sostanzialmente connessi, costituendo l'espressione della sistemazione degli interessi della famiglia resisi necessari per la crisi del matrimonio, possono essere contenuti nel verbale presidenziale, rispetto ai quali esso assume valore di atto pubblico negoziale, come anche più volte confermato dalla giurisprudenza. [nota 11]
Ma - e ciò si deve sottolineare con forza - anche in un atto notarile, non diversamente da qualsiasi altro negozio che i coniugi pongano in essere nell'esercizio della loro autonomia negoziale.
Atto notarile che, anzi, dovrebbe costituire la sede naturale di essi; fermo restando il rispetto dell'articolo 158 del codice civile, ove l'intervento dello Stato, rappresentato dal giudice dell'omologazione, era stato limitato dalla riforma del 1975, alla sola tutela dell'interesse dei figli.
Questi negozi, liberati dall'indagine sulla loro causa dalla nebbia che ne oscurava la natura, ottennero così una loro più puntuale e dettagliata proiezione nel campo fiscale, che, nel permanere dell'inerzia del legislatore fiscale, fu ricondotta a norma cogente dalla sentenza dalla Corte Costituzionale del 10 maggio 1999, n. 157.
In questa direzione, già nel 1992 [nota 12] la Corte Costituzionale aveva preso di mira l'articolo 19 della legge sul divorzio, dichiarandone la illegittimità ove non estendeva l'esenzione fiscale all'iscrizione di ipoteca effettuata a garanzia delle obbligazioni assunte dal coniuge nel giudizio di separazione.
Una tale sentenza, pur esprimendosi nei limiti dell'impugnazione, era stata classificata come "additiva pura" [nota 13] sostitutiva cioè dell'omissione legislativa: essa perciò comportava, senza bisogno di alcun altro intervento legislativo, che fra i tributi indicati nell'articolo 19 nell'espressione «ogni altra tassa» dovevano intendersi comprese anche le imposte e che il trattamento di favore previsto per il divorzio era esteso anche ai procedimenti di separazione.
Ma la sentenza del 1992 non fu intesa in tal senso dalla Amministrazione finanziaria, la quale solo in seguito alla sentenza del 1999 si decise a recepire le indicazioni cogenti della Corte Costituzionale, che espressamente rilevava il comportamento omissivo del fisco.
Tuttavia, ancora, la assenza di una norma positiva che recepisse il detto dalla Corte e cioè la qualità della sentenza, "sostituiva" dell'indifferenza del legislatore, rese possibile un micidiale colpo di coda dell'Amministrazione finanziaria, che assunse una posizione immotivata e rigida, che tuttora impedisce, di fatto, di ricondurre gli atti de quibus nell'ambito della preminente competenza notarile e il riconoscimento dell'ampio ambito di applicazione della norma di esenzione, quale delineato dalla sentenza stessa.
Tali limitazioni, che confermano la inerzia del legislatore e della prassi fiscale ad adeguarsi alle nuove esigenze sociali, seppur acquisite dalla giurisprudenza della Suprema Corte, smorzarono rapidamente la soddisfazione provata alla lettura dell'inequivocabile contenuto della decisione.
Vediamo infatti come si comporta l'Amministrazione finanziaria di fronte alla citata pronuncia che, abbiamo visto, si pone essa stessa come sostitutiva della norma di favore, per i trasferimenti relativi alla separazione personale .
La mancanza di norme positive e, cioè, di un intervento organico e strutturalmente coordinato col sistema fiscale, facilita il ripetersi di equivoci e di restrizioni circa le modalità di attuazione della sentenza, cui provvede la circolare Ministeriale 49 E del 16 marzo 2000.
Per quanto attiene alla forma da assumersi ai negozi in oggetto, la estensione dell'esenzione tributaria risulta ivi fortemente limitata, stabilendosi che essa «deve essere applicata anche agli atti posti in essere in esecuzione degli accordi assunti in sede di separazione, purché tali accordi risultino formalizzati nel provvedimento di separazione e ad esso connessi».
In sostanza, l'Amministrazione finanziaria ammette al trattamento di favore gli atti di Notaio unicamente ove questi siano attuativi di obblighi assunti in sede di procedimento, escludendo gli atti che, pur relativi alla separazione e al divorzio, siano conclusi "al di fuori" dei connessi formali procedimenti.
Con ciò quindi penalizzando non solo gli atti di sistemazione di interessi patrimoniali che i coniugi stipulino autonomamente (ed aventi causa nella separazione o nel divorzio) ma anche quelli non compiutamente conclusi all'interno del procedimento.
Anche se l'espressione "formalizzati" nel procedimento di separazione non abbia significato univoco, sembra quindi che con ciò si sia voluta interpretare la sentenza suddetta nel senso di concedere la esenzione unicamente agli accordi che siano sostanziati in trasferimenti definitivi contenuti nel procedimento ovvero agli accordi aventi ad oggetto obblighi di trasferimento assunti dai coniugi ed attuati a ministero di Notaio, purché il contenuto del trasferimento sia inequivocabilmente delineato, sia cioè nato, nel corso del procedimento.
In dispregio del principio dell'autonomia patrimoniale dei coniugi, considerato come aspetto qualificante della riforma del diritto di famiglia del 1975 e pretendendo, quale presupposto necessario per l'accesso all'esenzione dei negozi connessi alla crisi del matrimonio, la esistenza di una loro forma c.d. processuale e la sostanziale loro assimilazione a generiche "condizioni della separazione".
Si deve quindi, una volta ancora, constatare come, non ostante la dirompente presa di posizione della Corte Costituzionale, che riconosce il rapporto esistente fra tali atti, il concetto di manifestazione di capacità contributiva e l'autonomia negoziale dei coniugi, la relativa sentenza non sortisca l'effetto di assegnare a tali negozi la dignità di atti notarili.
L'intervento del Notaio viene nuovamente degradato ad atto di attuazione di precedenti accordi fra i coniugi, presi in sua assenza, senza il vaglio della sua terzietà e privato della sua funzione adeguatrice della volontà delle parti alle norme dell'ordinamento giuridico.
Quasi che gli accordi patrimoniali fra i coniugi non costituissero un'ordinaria manifestazione della loro autonomia negoziale.
La spettanza del trattamento privilegiato agli atti in oggetto redatti in forma notarile deriva invece direttamente dalla sentenza esaminata, come meglio si vedrà in seguito.
Atto notarile che, anzi, deve costituire la loro sede naturale, seppure essi siano strettamente connessi, in ragione della loro causa, ai relativi procedimenti giudiziari ma dai quali sono indipendenti in ordine alla loro forma.
E ciò senza la necessità che l'iter del trasferimento si sdoppi nell'assunzione di obbligo a trasferire e nella successiva attuazione di tale obbligo, per consentire che il negozio "transiti" all'interno del procedimento giudiziale. [nota 14]
Assistiamo cosi al perpetuarsi di una grottesca imitazione della confezione dei contratti quale si svolge nei paesi privi del Notariato latino, presupposto di alta litigiosità e difficilmente conciliabile con l'esigenza di raffinata specializzazione richiesta dal nostro ordinamento per la validità formale e sostanziale dei trasferimenti in generale e di quelli immobiliari in particolare.
Mentre la detta circolare riconosce correttamente che la esenzione comprende ogni imposizione di natura fiscale, [nota 15] la sua indagine ermeneutica non scende a considerare con attenzione la ratio della norma di esenzione, la quale risiede nel facilitare la conclusione della separazione e che tende a evitare le tensioni che, ancor più in questa fase della crisi del matrimonio, che in quella del divorzio, colpiscono non solo i coniugi ma anche e sopratutto i figli, coinvolti loro malgrado nella vicenda dei genitori.
La lacuna, resa possibile dalla natura additiva della sentenza, obbligata a sostituirsi nella regolamentazione degli effetti fiscali dei negozi connessi alla separazione, si risolve nella omissione nella circolare stessa di un'espressa indicazione della estensione del beneficio in oggetto ai trasferimenti che vengano effettuati a favore dei figli in occasione della separazione e del divorzio.
Per lo stesso motivo, rimangono in zona d'ombra alcuni elementi, di fondamentale rilievo per la costruzione di una coerente sistematica fiscale, che, pur sottesi alla costruzione logica della sentenza, vengono ignorati dalla circolare interpretativa: in primis appunto, un più accurato collegamento fra i negozi in oggetto e la tipologia delle imposte interessate all'esenzione; ma anche una precisa delimitazione dell'ambito di applicazione dell'esenzione in ragione della forma e della causa negoziale delle fattispecie contrattuali connesse alla separazione e al divorzio.
Arrivati a questo punto della nostra conversazione, infatti, penso venga spontanea la domanda:
«Ma di quali atti stiamo discorrendo?».
Dalla lettura della sentenza della Corte Costituzionale più volte citata, appare evidente che la norma, nell'interpretazione che ne dà la Corte, non intende privilegiare qualsiasi contratto che i coniugi effettuino "in occasione" della crisi del loro matrimonio, ma solo quelle fattispecie che siano relative alla separazione ed al divorzio.
Non avrebbe alcuna giustificazione né logica né strutturale né tanto meno sistematica concedere l'esenzione a contatti tipici che abbiano una loro causa giuridica ben determinata: ad essi non si attagliano le motivazioni che la Corte ritiene sottostare alla norma agevolativa e tanto meno da essi può escludersi la valutazione della capacità contributiva.
E' possibile che traggano il loro motivo della separazione o dal divorzio, ma non sembra che al motivo possa accreditarsi la "forza giuridica" di qualificare il negozio tipico come negozio degno di accesso all'esenzione fiscale.
Una compravendita ove un coniuge venda all'altro coniuge una casa, incassandone il prezzo, può avere come motivo che anima il venditore il disagio di abitare solo dove prima abitava con la moglie (se ancora innamorato); ovvero la fretta di seguire la sua nuova fiamma in un'altra città (se già consolato) o qualsiasi altra ragione che rimane pur sempre nella sua sfera privata: sta di fatto che egli cede un bene in cambio di un corrispettivo, senza che da tale contratto possa escludersi la valutazione della capacità contributiva.
Se, rimanendo nell'esempio, il contratto che abbiamo ipotizzato producesse plusvalenze a carico del nostro venditore egli dovrebbe scontare la relativa imposta sul reddito, [nota 16] alla pari di qualsiasi soggetto che si trovasse nella sua stessa posizione di venditore in relazione di una fattispecie analoga.
Tali atti tipici quindi - a mia opinione - devono essere tassati scontando le normali imposte ad essi afferenti, in ossequio al principio della imprescindibile rilevanza della causa giuridica in ordine al trattamento fiscale dei singoli negozi, dell'esistenza cioè di un preciso nesso causale [nota 17] fra il negozio e l'applicazione del beneficio.
Salvo diversamente acconsentire ad una illegittimità costituzionale di segno opposto di quella cassata dalla sentenza.
La sentenza non prende espressamente in considerazione la forma degli atti che i coniugi stipulano in occasione della crisi del matrimonio ma, ponendo a fondamento della sua decisione la considerazione che il contenitore di analoghi negozi non possa costituire una discriminante ai fini del loro trattamento fiscale, rimanda alla struttura dell'articolo cassato.
Il beneficio è infatti ivi previsto per «tutti gli atti i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento ... », aggiungendo quindi gli atti ai provvedimenti e non ponendo come condizione che il trasferimento sia contenuto nel procedimento giudiziale, ma semplicemente, che sia ad esso relativo. La spettanza dell'agevolazione è quindi testuale: il trasferimento, se contenuto nel verbale con effetto traslativo o nella sentenza ovvero che si sostanzi come obbligazione da attuarsi in seguito a ministero di Notaio o sia stipulato direttamente dal Notaio, deve intendersi assoggettato al regime fiscale di favore, proprio perché e solo perché relativo alla separazione e al divorzio.
Quale che sia la forma che assuma il trasferimento fra i coniugi o in favore dei figli, dunque, se esso costituisca un atto stipulato nell'interesse della famiglia, del quale sia esclusa ogni valutazione della capacità contributiva, [nota 18] dovrà godere del trattamento di favore.
Con tutta la buona volontà, infatti, «atto relativo alla separazione ed al divorzio» non può significare in alcun modo «atto inserito all'interno del verbale presidenziale o della sentenza», come vorrebbe la circolare.
A meno che non si voglia ignorare il processo di sdoganamento di cui tali atti hanno goduto in forza della intervenuta limitazione dell'intervento dello Stato (rappresentato dal giudice dell'omologazione) nel procedimenti ad esclusiva tutela dell'interesse dei figli.
Anche in relazione alla forma, una diversa interpretazione riproporrebbe ancora, a mio avviso, una eccezione di incostituzionalità.
Nella analisi delle prassi seguite dai vari uffici fiscali periferici, si riscontra tuttora una inesplicabile inerzia alla concessione del beneficio fiscale ai trasferimenti aventi causa nella separazione o nel divorzio posti in essere a favore dei figli dai coniugi o da terzi.
La questione costituisce un punto di fondamentale rilievo nell'economia dei procedimenti, soprattutto per i soggetti che ne sono implicati, i più deboli della intera vicenda.
Ma anche per il fatto che, non di rado, i coniugi raggiungono accordi sulle loro sistemazioni patrimoniali proprio trasferendo beni ai figli comuni, piuttosto che fra loro stessi al riparo quindi da possibili commistioni con prole altrui.
Trattamento di favore peraltro evocato dalla sentenza la quale, a sostegno della pronuncia di incostituzionalità fa espresso riferimento agli articoli della Costituzione aventi ad oggetto la capacità contributiva (53), la famiglia e i figli (29 e 31).
Se questa è la ratio della norma che ha indotto la Corte alla pronuncia della sentenza, non si vede come dai soggetti beneficiati possano escludersi i figli come destinatari di trasferimenti relativi al procedimento che i coniugi (o terzi), pongano in essere nell'ambito della sistemazione degli interessi famigliari.
Atti che certamente sono posti a tutela della famiglia e dei figli e per i quali - altrettanto certamente - è esclusa ogni valutazione della capacità contributiva.
Ancorché il trasferimento avvenga in dipendenza dell'accordo stipulato fra genitori naturali favore dei figli. [nota 19]
Esenzione che comunque discende de plano dalla lettura della norma portata dall'articolo 19, che ha per oggetto «tutti gli atti "relativi"» al procedimento, senza limitarla ai soli atti posti in essere fra i coniugi, [nota 20] come invece stabiliva il citato articolo 8 lettera f della Tariffa di cui al testo unico dell'imposta di registro, (implicitamente abrogato dalla sentenza in commento) che espressamente identificava solo costoro quali soggetti del negozio agevolato.
Rimane appena il tempo per alcune osservazioni finali che riportiamo sinteticamente per la loro rilevanza in relazione all'intervento del Notaio nella redazione degli atti che ci occupano, rimandando, per un supporto giurisprudenziale alle note nel testo e per un riscontro dottrinale alle indicazioni bibliografiche in calce.
Il rapido esame che abbiano delineato del trattamento fiscale dei negozi in oggetto prova come tuttora nella prassi fiscale non si verifichi piena e puntuale applicazione dei principi esposti.
In questo quadro sconfortante, un prudente buon senso suggerisce di attenersi nella redazione stipulazione degli atti in oggetto a cautele che scongiurino il pericolo di incorrere in spiacevoli incidenti di natura fiscale.
Occorre così, in via indicativa: indicare espressamente la causa giuridica del trasferimento (o dell'obbligo di trasferire) evitando espressioni o clausole che identifichino il negozio come un negozio tipico ("vendere", "donare"); causa che deve essere espressa anche se il trasferimento venga effettuato a favore di figli, evidenziando, ove si tratti di atto a titolo gratuito, che questo non sostanzia una donazione; specificare la spettanza del trattamento di favore, citando l'articolo 19 della legge sul divorzio e la sentenza della Corte Costituzionale.
L'atto verrà redatto in esenzione anche dell'imposta di bollo (operando essa anche in vigenza del regime dell'imposta di bollo per gli atti giudiziari), registrato in esenzione dalla imposta fissa che grava gli atti di Notaio di cui all'articolo 11 della Tariffa allegata al testo unico dell'imposta di registro, come pacificamente riconosciuto, dopo alcune iniziali esitazioni, dalla Amministrazione finanziaria. [nota 21]
Neppure è dovuta la " tassa archivio", alla quale è riconosciuta la natura di tributo. [nota 22]
La esenzione da ogni imposta e tassa non significa esenzione dalla registrazione (che è, ormai, generalizzata quanto scorretta prassi delle Cancellerie dei Tribunali), la quale rende possibile l'accertamento della spettanza del beneficio da parte dell'ufficio, dell'atto attuativo, entrambi da redigersi in carta semplice.
In conclusione, rilevato che, per un evidente principio di economicità, la forma che assumono i trasferimenti relativi alla separazione ed al divorzio consensuale è strettamente connessa al trattamento fiscale loro riservato nella prassi, la riconosciuta autonomia dei coniugi portata dalla riscrittura dell'articolo 158 del codice civile e il riscontro della esistenza del rapporto di causalità fra i negozi de quibus ed i procedimenti che seguono alla crisi del matrimonio, hanno eliminato da un lato ogni ostacolo ed ogni dubbio di legittimità che ancora si frapponeva all'affidamento al Notaio di tali trasferimenti e dall'altro hanno sancito la spettanza ad essi del beneficio fiscale, secondo le pronunce della Corte Costituzionale, permettendo in tal modo soluzioni rapide per un nuovo assetto patrimoniale, economico e finanziario della famiglia, nel rispetto delle necessarie cautele che la rilevanza sociale dell'istituto impone
E' urgente e doverosa quindi una rivisitazione da parte della Direzione Generale delle Entrate, da tempo sollecitata dal Consiglio Nazionale del Notariato, sulla base di uno studio della Commissione Tributaria, delle istruzioni impartite con la citata circolare, sperando non si debba attendere un'altra sentenza della suprema Corte che faccia giustizia dell'atteggiamento del fisco.
[nota 1] N. 154 del 10 maggio 1999.
[nota 2] Che sostanzialmente trasfuse nel testo unico dell'imposta di registro la precedente disciplina, sorda alle innovazioni del diritto di famiglia portate dalla riforma del 1975.
[nota 3] Vedi Tribunale di Napoli 27 novembre 1929 in Dizionario Enciclopedico del Notariato, vol. III Roma, 1977 p. 717.
[nota 4] Il Notariato in questo senso si muove da tempo, avanzando disponibilità e proposte concrete, sia per iniziative di @res, sia per studi redatti per la Commissione propositiva del Cnn, allora presieduta da Concetta Priore, da un gruppo del quale ho avuto l'onore di fare parte, composto dal compianto Raffaelle Caravaglios, da Maria Claudia Andrini, da Giampiero Petteruti e poi proseguiti sotto la Presidenza di Ernesto Bassi.
[nota 5] Quando andai a "trattare" col "tassatore" del mio ufficio a quale imposizione fiscale sottoporre quel mio atto cui ho accennato, questi trasecolò di fronte alla richiesta di tassarlo almeno all'aliquota residuale del tre per cento, convinto si trattasse di donazione e non di atto a titolo gratuito.
E donazione non era nemmeno per caso anche per i rapporti non proprio amorosi fra i coniugi … paciscenti.
Vi racconto questo episodio a conferma di come la forma storicamente assunta per la confezione degli atti in questione sia costantemente andata di conserva al vantaggio fiscale.
[nota 6] Necessariamente limitate alle fattispecie dedotte in giudizio.
[nota 7] Articolo 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74.
[nota 8] Vedasi anche Commissione Tributaria di II grado di Roma Sezione VII del 15 ottobre 1987 n. 87070871 e parere dell'Avvocatura dello Stato n. 11760 del 10 febbraio 1990.
[nota 9] La capacità dell'atto processuale di contenere i negozi in oggetto è stata più volte ribadita dalla Corte di Cassazione: si vedano, per tutte, sentenze 15 maggio 1997, n. 4306 e 11 novembre 1992, n. 12110.
[nota 10] Tale norma stabilisce l'esenzione fiscale per tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al divorzio dall' imposta di bollo e di registro e da ogni altra tassa.
La sua infelice scrittura (esenzione dall'imposta di registro e di bollo e da ogni altra tassa) aveva da subito determinato una lunga serie di controversie che vertevano sulla portata dell'allocuzione "ed ogni altra tassa".
L'Amministrazione finanziaria si era fermamente posizionata in una interpretazione restrittiva della allocuzione, ritenendo che al termine "tassa" dovesse attribuirsi il significato tecnico di corrispettivo di servizio, con ciò escludendo dall'ambito dei tributi agevolati tutte le imposte diverse da quella di bollo e di registro.
La dottrina, massimamente di matrice notarile, invece leggeva in senso atecnico tale espressione, per cui si dovevano intendere contemplate dall'esenzione tutti i tributi comunque afferenti gli atti connessi al divorzio.
[nota 11] Cfr. nota 9.
[nota 12] 15 aprile 1992, n. 176.
Ancora la Corte Costituzionale era intervenuta con decisione n. 454 del 27 luglio 1989, in materia di estensione della trascrivibilità di cui all'articolo 11 della novella sul divorzio del 1987 al provvedimento giudiziale di assegnazione della casa famigliare al coniuge assegnatario dei figli, motivata dalla Corte dal fatto che le norme in materia dei due istituti sono rette dalla eadem ratio: vedi in Notariato n. 1\2003, «Assegnazione della casa famigliare: opponibilità in difetto di trascrizione e interesse della prole», nota a sentenza a cura di ZARRILLI.
[nota 13] Su questo concetto, vedi Corte Costituzionale 22 aprile 1986, n. 109.
[nota 14] Procedura che lascia ampi spazi ad inadempimenti del coniuge onerato.
[nota 15] Per cui l'atto dovrà essere comunque sottoposto a registrazione ma non sconterà nemmeno l'imposta in misura fissa, ex articolo 11 della Tariffa, come invece aveva ritenuto la Direzione delle Entrate della Lombardia dell'11 febbraio 2000.
[nota 16] Fattispecie che deve essere quindi considerata con particolare cautela e nella cui tassazione è coinvolto il Notaio, in forza dell'articolo 1 comma 496 della legge 23 dicembre 2005, n. 266.
[nota 17] La soluzione esposta, non pacificamente accolta in dottrina, sembra prevalere in giurisprudenza: cfr., fra le altre, la sentenza Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (n. 7493 del 22 maggio 2002) nella quale si precisa che ben può esservi rapporto di «causalità necessaria» tra atti che «contengano … il trasferimento della proprietà esclusiva di beni mobili o immobili da un coniuge all'altro».
Tale decisione, peraltro, sostiene (ancora ed incoerentemente) la spettanza del trattamento di favore solo agli atti finalizzati allo scioglimento della comunione.
Invero, se appare coerente con le motivazioni contenute nella stessa sentenza e nella più volte citata decisone della Corte Costituzionale del 1999 che il nesso fra l'atto e il procedimento debba essere retto dal rapporto di "causalità necessaria" sembra privo di argomentazioni semantiche il limitare tale rapporto di causalità solo agli atti connessi allo scioglimento della comunione legale.
In tal senso cfr. anche il provvedimento del 12 aprile 2006, Ministero di Giustizia, Ufficio Centrale degli Archivi Notarili prot. n. 249\1162, ove è ben precisato che la esenzione dalla "tassa archivio", in applicazione all'articolo 19 della novella sul divorzio, in tanto spetta in quanto «ricorra il rapporto di causalità necessaria tra gli atti asseriti esenti e la separazione personale, lo scioglimento del matrimonio e la cessione degli effetti civili del matrimonio».
Nella prassi fiscale si hanno comportamenti non univoci.
[nota 18] E' interessante rilevare come, ancora in vigore della legge 10 maggio 1976, n. 260, il Ministro delle Finanze, con risoluzione Direzione Generale Tasse n. 250588 del 2 agosto 1985 rilevava che per le "attribuzioni" patrimoniali effettuate dai coniugi in occasione della separazione era esclusa ogni valutazione di capacità contributiva.
[nota 19] In relazione ai figli naturali vedi Corte Costituzionale n. 202 del 3 giugno 2003.
La spettanza dell'esenzione tributaria anche ai trasferimenti a favore dei figli è ribadita, senza esitazioni, fra le altre, da Cassazione 30 maggio 2005, n. 11458; per quest'ultima vedi nota di GRISI, «Il trasferimento effettuato in favore dei figli in sede di separazione dei coniugi è esente da ogni tributo», in Lista Sigillo del Consiglio Nazionale del Notariato del 29 settembre 2005.
Si veda anche: CANNIZZARO, «Esenzione fiscale degli atti compiuti dai coniugi in favore dei figli in adempimento dei patti convenuti in sede di separazione o di divorzio» in Cnn Notizie, n. 177 del 17 ottobre 2005 e, idem «Ancora sull'esenzione fiscale degli atti compiuti dai coniugi in favore dei figli in adempimento dei patti convenuti in sede di separazione o di divorzio», in Cnn Notizie, n. 193 del 26 ottobre 2005.
Si vedano anche le sentenze di Cassazione n. 2347 del 17 febbraio 2001, n. 7493 del 22 maggio 2002, n. 15231 del 3 dicembre 2001
Il problema è stato oggetto di un recente studio delle Commissione Studi Tributari del Cnn, redatto dal sottoscritto, «Dei trasferimenti a favore dei figli in occasione della crisi del matrimonio. Trattamento fiscale».
[nota 20] Sul concetto di "casualità necessaria" cfr. nota 17.
[nota 21] Vedi nota 15.
[nota 22] Come confermato anche dal Provvedimento del 12 aprile 2006 dell'Ufficio Centrale degli Archivi Notarili citato in nota 17.
Cfr. anche in Banca Dati Notarile - Commissione Studi Civilistici Studio 719\1994.
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