Il problema dell'effettività della destinazione
Il problema dell'effettività della destinazione
di Marco Maltoni
Notaio in Forlì
Il problema dell'effettività della destinazione fra lotta all'elusione ed equilibrio degli interessi
Non è certo un mistero che l'apparizione dell'art. 2645-ter c.c. sulla scena giuridica e, soprattutto, l'ampia libertà a prima vista concessa all'autonomia privata di forgiare patrimoni separati sottratti alla responsabilità generale dell'art. 2740 c.c. hanno suscitato il sospetto ed il timore che l'istituto si presti a diventare lo strumento per pratiche elusive a scapito del ceto creditorio, con grave danno anche del sistema economico complessivo.
Sospetto e timore peraltro alimentati e comprovati, al di là di ogni possibile dubbio, dall'esperienza storica del fondo patrimoniale, tipico patrimonio destinato, valorizzato sul piano della prassi per l'esenzione concessa dall'art. 170 c.c. alla responsabilità ex art. 2740 c.c. più che per l'attenzione rivolta alla tutela della famiglia.
Chiunque frequenti le esigenze quotidiane degli operatori è consapevole che anche i primi approcci al trust sono nella maggior parte dei casi dettati dalla volontà di porre determinati beni al riparo delle mire dei creditori, presenti o futuri, certi o potenziali.
L'esperienza insegna altresì che nei progetti dell'elusore alla dichiarazione di intenti non deve seguire un'attività pratica coerente, essendo di fatto la destinazione solo enunciata, e quindi in un certo modo simulata.
In tale possibile scenario l'affermazione della necessaria effettività della destinazione può diventare strumento interpretativo per contrastare la diffusione di pratiche e costumi elusivi, soprattutto se accompagnata da un'attenta selezione preventiva degli interessi meritevoli di tutela perseguibili con l'atto di destinazione.
Dunque, l'attenzione dell'interprete deve certamente volgere in tale direzione, con due obiettivi dichiarati:
- agire con equilibrio per evitare che l'esigenza di combattere le tentazioni elusive si trasformi in una caccia alle streghe, completamente ignara di eventuali interessi ulteriori rispetto a quelli del ceto creditorio che possono emergere per effetto dell'imposizione di un vincolo di destinazione su determinati beni;
- verificare come reagisca l'affermazione della necessità di una destinazione effettiva sull'utilizzo degli ordinari strumenti di tutela delle ragioni del ceto creditorio.
Gli indizi letterali dell'art. 2645-ter c.c.
Un primo indizio interpretativo nel senso voluto pare desumersi dalla norma per la quale i beni oggetto del negozio in esame, ed i loro frutti, «possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione» (art. 2645-ter c.c.), laddove l'utilizzo dell'avverbio varrebbe a sanzionare, sul piano letterale, la necessaria effettività della destinazione, escludendo qualsiasi impiego alternativo.
Certamente l'imposizione di un obbligo di impiego nella direzione segnata nell'atto si traduce sul piano fattuale nell'ordine di destinare effettivamente il bene allo scopo impresso, a meno di non voler immaginare l'assoluta inutilizzazione del bene.
Sul piano giuridico la norma non mi pare tuttavia decisiva nella direzione cercata.
Incardinandosi sul verbo "potere", infatti, la disposizione sancisce un limite alle facoltà che compongono il diritto di proprietà; descrive gli effetti dell'atto di destinazione, definendo anche il regime di responsabilità patrimoniale in deroga all'art. 2740 c.c.; stabilisce, nel complesso, la nuova disciplina giuridica dei beni oggetto dell'atto in funzione attuativa del vincolo di destinazione.
Non sarebbe comunque corretto, dal punto di vista interpretativo, asserire che l'art. 2645-ter c.c. ignora la questione dell'effettività della destinazione.
Effettività della destinazione significa, infatti, effettivo perseguimento degli scopi impressi; impiego effettivo dei beni oggetto dell'atto e dei loro frutti per la realizzazione degli interessi indicati nell'atto medesimo.
Ed in proposito l'art. 2645-ter c.c. prevede che «per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso».
La norma, che rievoca l'azione di adempimento di cui all'art. 793 c.c. in tema di onere, sembra autorizzare due prime considerazioni:
a. la destinazione di uno o più beni alla realizzazione di uno scopo genera una categoria di "interessati" alla realizzazione del programma, e quindi alla piena attuazione del vincolo di destinazione;
b. l'attuazione effettiva del programma funzionale è tuttavia disponibile, essendo consegnata alla iniziativa volontaria degli interessati.
In altri termini, se nessuno dei legittimati agisce niente sembra poter impedire la distrazione dei beni dal fine di destinazione cui sono vincolati o comunque il mancato impiego per la realizzazione degli interessi indicati nell'atto di destinazione.
Brevi considerazioni sistematiche sul principio di effettività nei patrimoni destinati
Anteriormente all'avvento dell'art. 2645-ter c.c. un Autore concludeva un'indagine sistematica condotta sugli strumenti vigenti di diritto positivo funzionali alla destinazione di beni ad uno scopo asserendo che «la rilevanza giuridica dell'assoggettamento di un bene ad una determinata destinazione … postula, in linea di massima, che la destinazione non sia soltanto programmata ma che venga effettivamente realizzata». [nota 1]
L'affermazione di principio è confortata dall'analisi di una pluralità di istituti.
Rilevanza giuridica si traduce nella circostanza in assoggettamento ad un regime speciale, derogatorio rispetto alle norme generali.
Si rileva così che il mancato rispetto degli atti procedimentali o gestionali funzionali alla liquidazione dei creditori dell'eredità comporta la caducazione dell'erede dagli effetti dell'accettazione con beneficio di inventario e la confusione del suo patrimonio personale con quello ereditario.
Si è affermato altresì che se il bene posto in fondo patrimoniale non è effettivamente destinato a far fronte ai bisogni della famiglia «la disciplina speciale in tema di responsabilità dovrà essere disapplicata, ritornandosi alla regola generale di cui all'art. 2470 c.c., secondo cui il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i propri beni presenti e futuri». [nota 2]
è altresì opinione diffusa che la possibilità di sottrarre, ai sensi dell'art. 178 c.c., determinati beni alla comunione legale postuli che la destinazione all'esercizio dell'impresa sia effettiva fin dal momento dell'acquisto e permanga, al punto che la distrazione farebbe ricadere i beni in comunione immediata. Così come peraltro il regime delle pertinenze ex art. 818 c.c. si instaura solo a seguito di destinazione durevole, e quindi effettiva, di un bene al servizio di un altro.
L'art. 2447-novies c.c. dispone espressamente la cessazione della destinazione del patrimonio allo specifico affare quando quest'ultimo si realizza o è divenuto impossibile.
Una prima ricognizione ad ampio spettro, anche se non esaustiva, consente di svolgere due ulteriori valutazioni sistematiche:
a. la molteplicità di fattispecie in cui assume rilevanza giuridica la destinazione dei beni rende difficoltoso ricostruire un quadro sistematico unitario, soprattutto sul piano delle conseguenze giuridiche succedanee alla distrazione dei beni dallo scopo; disomogeneità delle conseguenze che si spiega con la disomogeneità degli scopi a cui la legge rende funzionale il requisito della destinazione;
b. in tutte le fattispecie emerge che la destinazione dei beni ad uno scopo viene assunta dal legislatore quale criterio discretivo per assegnare prevalenza ad un interesse piuttosto che ad un altro.
Con la conseguenza che:
I se non fosse impressa la destinazione tipizzata la scelta dell'interesse prevalente da parte dell'ordinamento sarebbe diversa, se non rovesciata;
II se la destinazione non è effettivamente attuata viene meno la ragione del sacrificio eccezionalmente imposto ad un interesse, generalmente ritenuto prevalente dall'ordinamento, a vantaggio di uno diverso.
Per coerenza, la legge o gli interpreti affermano che il mancato rispetto del principio di effettività della destinazione comporta il venir meno del regime speciale ed il ripristino del regime generale.
Effettività della destinazione e separazione patrimoniale
Se l'effettività della destinazione dei beni allo scopo costituisce la giustificazione della deroga al regime generale, ne deriva altresì che l'effettività della destinazione assurge a condizione necessaria della separazione patrimoniale, laddove prevista, come nel fondo patrimoniale. [nota 3]
Come evidenziato dalla dottrina, nel nostro ordinamento la separazione di parte del patrimonio può essere solo effetto di un vincolo di destinazione, mai la causa dell'atto medesimo.
Sarebbe pertanto certamente nullo per violazione dell'art. 2740 c.c. il patto o il contratto «che abbia quale sua minima unità effettuale la separazione patrimoniale, cioè che miri alla soddisfazione dell'interesse specifico della separazione di una parte del patrimonio, limitandosi a creare una separazione di patrimoni che solo in sè stessa dovrebbe trovare la propria ragione». [nota 4]
Il legislatore accetta e dispone il sacrificio delle ragioni creditorie per consentire il perseguimento degli interessi cui sono destinati i beni.
La separazione patrimoniale, così come l'obbligo di impiego per gli scopi prefissati, sono funzionali all'attuazione del programma finalistico disegnato, e solo per questo sono ammessi e giustificati.
Laddove la destinazione non sia effettiva, in quanto nessuno si adopera per la realizzazione degli interessi indicati, nè l'obbligato nè gli aventi diritto, permane solo l'effetto della separazione patrimoniale in deroga all'art. 2740 c.c.
Il risultato è inaccettabile perchè equivale ad ammettere che sia legittimo l'atto causalmente diretto a realizzare una separazione patrimoniale.
Vengono meno, dunque, le ragioni che fondano il sacrificio del ceto creditorio.
La separazione patrimoniale, non più in posizione ancillare e funzionale alla destinazione di beni alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela, deve cessare di operare.
Si tratta di verificare quali strumenti l'ordinamento metta a disposizione dei creditori nel frangente per tutelare le loro ragioni.
Mancata destinazione e interessi a confronto
Le valutazioni proposte in termini generali devono essere verificate prestando attenzione alle categorie di interessati coinvolte da un negozio di destinazione.
Sul piano interpretativo si è già stigmatizzata, da parte della dottrina, la necessità che la sanzione per la distrazione del bene dallo scopo sia diversamente modulata a seconda che l'amministrazione e la gestione spettino al soggetto beneficiario della destinazione di scopo oppure ad un soggetto terzo, anche se proprietario.
Se nel primo caso la violazione del principio di effettività può condurre alla sottrazione del bene al regime speciale, «quando il vincolo di destinazione è impresso nell'interesse di un soggetto diverso da colui che è deputato a darvi attuazione, evidentemente la distrazione dei beni dalla loro destinazione non può determinare la caducazione del vincolo, perchè ciò penalizzerebbe un soggetto incolpevole e anzi il destinatario stesso della tutela giuridica. In queste diverse figure di patrimonio separato la problematica dell'effettività della destinazione viene in rilievo sotto il diverso profilo delle modalità attraverso le quali il beneficiario può reagire ad eventuali inadempienze del gestore». [nota 5]
Si è sottolineato in premessa che la norma dell'art. 2645-ter c.c. evidenzia l'esistenza di una potenziale pluralità di interessati alla realizzazione dell'interessato indicato.
Sotto questo profilo, riconoscendo la legittimazione anche al conferente, la disposizione ammette che l'atto di destinazione può essere di natura contrattuale, con il trasferimento del bene destinato, oltre che unilaterale. [nota 6]
Dell'insieme delle considerazioni svolte ci si dovrà far carico tornando ad esaminare il problema dell'effettività della destinazione rispetto agli atti di cui all'art. 2645-ter c.c.
Effettività e tutela dei creditori
Come avvertito in epigrafe, rispetto agli atti consentiti dall'art. 2645-ter c.c. il problema della (mancanza di) effettività della destinazione è percepito in termini di rischio di elusione del principio di responsabilità patrimoniale generale fissato nel primo comma dell'art. 2740 c.c. e di possibile condotta connivente del gestore e dei beneficiari formali con il disponente al fine di procurare a quest'ultimo l'indebito vantaggio della separazione patrimoniale. [nota 7]
Il problema del probabile uso distorsivo deve essere affrontato e risolto con equilibrio, secondo il programma interpretativo dichiarato nelle premesse del ragionamento.
Riconoscendo un'azione di adempimento al conferente e a qualsiasi interessato, in primis ai beneficiari, la legge ammette che la mancanza di effettività, intesa come mancato perseguimento della realizzazione degli interessi, può dipendere da negligenza o comunque da colpa di colui che amministra e gestisce i beni vincolati.
Tale dato impone di verificare con attenzione gli strumenti di tutela ed i rimedi di cui può avvalersi il ceto creditorio, operando un'attenta valutazione comparativa fra l'interesse del disponente e dei beneficiari e la pretesa alla soddisfazione delle ragioni creditorie.
Sotto questo profilo la chiave del sistema mi pare rappresentata dal giudizio di meritevolezza, che, a fronte di una volontà destinatoria, non potrà prescindere in concreto dal vagliare anche l'interesse del ceto creditorio leso dalla separazione patrimoniale.
Superato il giudizio di meritevolezza enfatizzato nella norma in esame, non si possono a quel punto trascurare gli interessi e i diritti dei beneficiari a vedere realizzato il programma a loro favore. E neppure, aggiungo, l'interesse di tutti coloro che sono diventati creditori confidando nel fatto che i beni destinati servissero a soddisfare preventivamente le loro ragioni rispetto a quelle degli altri creditori del gestore.
Far discendere tout court dalla mancanza di effettività la cessazione della destinazione [nota 8] e quindi della separazione patrimoniale mi pare non sufficientemente attento alla pluralità di interessi che viene in gioco se l'atto è meritevole.
Occorre non trascurare, a mio avviso, che la separazione è al servizio della realizzazione degli interessi dei beneficiari dell'atto di destinazione; è prevista per rendere possibile la soddisfazione di tale interesse scongiurando il pericolo di aggressioni da parte dei creditori del gestore.
Dunque, superato il giudizio di meritevolezza ex art. 1322 c.c., l'interesse principale diviene quello dei beneficiari.
Solo qualora questi ultimi, a fronte dell'inerzia del gestore, non si attivino, emerge il profilo fattuale di disinteresse e di possibile connivenza con gli intenti elusivi del disponente che non giustifica più la separazione patrimoniale.
Dunque, la valutazione si sposta sul piano del fatto, che peraltro è l'unico congegnale al principio di effettività.
E il piano del fatto è quello della prova. Come si dice, oggetto della prova sono i fatti allegati dalle parti e rilevanti ai fini della decisione di una causa.
A mio avviso il valore della mancanza di effettività della destinazione, intesa come mancato impiego del bene per la realizzazione dell'interesse e inerzia degli interessati, rileva sul piano della prova.
I rimedi esperibili dai creditori
Nella ricerca dei rimedi, ovvero delle azioni che si possono intraprendere per por fine alla situazione abusiva, non ci si può discostare dallo strumentario ordinario apprestato dal legislatore, perché espressione di precostituita ed attenta ponderazione degli interessi a confronto resa evidente sia dagli effetti del rimedio sia dalla ripartizione dell'onere della prova.
I creditori potranno avvalersi innanzitutto dell'azione revocatoria.
Rispetto a tale azione la mancanza di effettività potrà agevolare la prova della dolosa preordinazione di cui all'art. 2901, n. 1) c.c., qualora l'atto sia posto in essere anteriormente al sorgere del credito. Secondo la giurisprudenza, infatti, il creditore in tal caso deve provare che il debitore aveva posto in essere l'atto dispositivo in funzione del sorgere dell'obbligazione per porsi in tutto o in parte in una situazione di non possidenza, in modo da precludere o rendere difficile al creditore l'attuazione coattiva del credito.
Il mancato impiego volontario del bene allo scopo dimostra che l'intento non era di perseguire un interesse meritevole di tutela, ma piuttosto quello di sottrarre beni alla garanzia generica dei creditori.
In alternativa, mi pare che la mancata effettività della destinazione possa rilevare quale prova della simulazione dell'atto di destinazione.
Anche asserendo che si tratti di atto unilaterale, ove sia destinato a persone determinate, è ammissibile la simulazione fra il disponente/dichiarante e il destinatario della dichiarazione/beneficiario, intendendosi come tale colui nella cui sfera si producono gli effetti dell'atto. Ai sensi dell'art. 1414 terzo comma c.c., si può avere accordo simulatorio tra l'autore del negozio unilaterale e il destinatario degli effetti.
Se vi è mancata effettività nella destinazione da parte del conferente a fronte della quale i beneficiari interessati non reagiscano, per effetto di quella collusione paventata dai primi interpreti, il creditore potrà agire per la simulazione dell'atto, allegando quale prova il mancato impiego effettivo e non contestato dei beni allo scopo previsto nell'atto.
La tecnica contrattuale come strumento ausiliario preventivo di lotta all'elusione
Una volta accertata la meritevolezza dell'interesse perseguito, l'effettività della destinazione può diventare dunque un rilevante metro di rilevazione dell'interesse fraudolento o meno del conferente, e la sua mancanza potrà essere allegata come prova per ottenere la declaratoria di inefficacia relativa o di nullità per simulazione dell'atto di destinazione.
A tal fine, e quindi in funzione anti-elusiva, un ruolo non secondario mi pare possa essere giocato dalla tecnica redazionale dell'atto di destinazione.
La verifica dell'effettività dell'impiego è certamente agevolata dalla predisposizione di regole chiare che sappiano incanalare l'azione del gestore, sia esso il conferente medesimo o un terzo, selezionando le attività che si ritengono funzionali al perseguimento dell'interesse e soprattutto le modalità di impiego dei beni.
Sarà così più agevole la rilevazione, anche da parte dei creditori, del mancato rispetto delle regole di azione, che finisce per tradursi in una situazione di mancato impiego effettivo dei beni oggetto dell'atto e dei loro frutti per la realizzazione degli interessi indicati nell'atto medesimo. Divenendo così la regola negoziale discrimen possibile fra effettività/ non effettività della destinazione.
[nota 1] C. CACCAVALE, Strumenti attuali di diritto positivo, in Destinazione di beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative, Milano, 2003, p. 43.
[nota 2] F. TASSINARI, Patrimoni privati e destinazioni a tutela della famiglia, in Destinazione di beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative, Milano, 2003, p. 51.
[nota 3] Nello stesso senso A. ALESSANDRINI CALISTI, «Il nuovo articolo 2645-ter del codice civile: la mancata destinazione dei beni allo scopo e le conseguenze sulla limitazione della responsabilità», contributo in Cnn Notizie del 6 aprile 2006.
[nota 4] R. FRANCO, «Il nuovo art. 2645-ter c.c.», in Il Notariato, 2006, p. 315 nota 3. Si veda anche M. NUZZO, «Atto di destinazione, interessi meritevoli di tutela e responsabilità del Notaio», relazione al Convegno organizzato dalla Scuola di Notariato della Lombardia a Milano il 19 giugno 2006.
[nota 5] C. CACCAVALE, op. cit., p. 47.
[nota 6] Così A. ALESSANDRINI CALISTI, op. cit.
[nota 7] Secondo il suggerimento che pare provenire da A. ALESSANDRINI CALISTI, op. cit.
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