Redazione dell'atto di destinazione: struttura, elementi e clausole
Redazione dell'atto di destinazione: struttura, elementi e clausole
di Concetta Priore
Notaio in La Spezia
Introduzione - Considerazioni
Il nuovo art. 2645-ter, inserito nel codice civile a seguito della emanazione della legge 23 febbraio 2006 n. 51, ha suscitato varie e contrastanti reazioni ed interpretazioni quali da una parte l'opinione che trattasi di norma non coerente col sistema, di norma con effetti esclusivamente pubblicitari ma senza contenuto di diritto sostanziale; o norma da applicarsi a limitatissime categorie di beneficiari; interpretazioni quindi riduttive se non addirittura indirizzate a privarla di valida operatività;
al contrario altre interpretazioni la valorizzano in pieno quale segno di totale apertura dell'ordinamento verso forme di separazione patrimoniale liberamente attuabili purchè in ossequio a precisi canoni di valutazione degli interessi, di conoscibilità, di rispetto dei principi generali dell'ordinamento medesimo.
Il contenuto del suddetto articolo, appena pubblicata la legge, mi ha indotta a rileggere la frase di una relazione svolta dal prof. Gianfranco Palermo (assertore della "teoria del negozio di destinazione come generale strumento di autonomia privata") durante un Convegno (fin troppe volte citato) svoltosi nel 2003 a Roma nel quale si tentava di prospettare l'ipotesi di un atto di "destinazione di beni allo scopo" che potesse svolgere la stessa funzione che un istituto di common law svolgeva anche oltre i propri limiti territoriali in altri Paesi a seguito di una Convenzione di diritto internazionale ratificata dall'Italia nel 1989 [nota 1] ; istituto, "straniero", di indubbia validità ma di non facile adattabilità all'ordinamento italiano e pertanto di non semplice applicazione.
La frase da me riletta e che mi permetto di riportare testualmente è la seguente:
«Una norma che espressamente affermi l'idoneità dell'atto di autonomia privata ad imprimere un vincolo di destinazione su beni o gruppi di beni, facenti parte del patrimonio del disponente, può senz'altro essere chiarificatrice, e così togliere asperità al tema inerente al rapporto di compatibilità di tale vincolo con l'art. 2740 comma 2 c.c. e alla rilevanza, all'esterno, del vincolo stesso. Ma più che opportuna … sembra essere l'introduzione di una norma che, aggiornando la disciplina dettata in tema di atti trascrivibili, venga a comprendere la nuova figura negoziale. Il legislatore non può più procrastinare il suo intervento; perchè la conseguenza della sua inerzia - o, peggio ancora, del procedere con leggi speciali, a volte ricognitive di peculiari fattispecie di "separazioni patrimoniali" sia pure riferibili all'autonomia privata - non sarebbe certamente quella di pregiudicare un'evoluzione, comunque inarrestabile, del sistema, ma si concreterebbe, prima o poi, nell'assunzione di una supplenza da parte dei giudici … » [nota 2].
E in quella stessa sede (Roma 2003) il prof. Angelo Falzea che presiedeva i lavori del Convegno (a sintesi delle opinioni in tale circostanza espresse da rappresentanti di numerosa e colta dottrina e da esperti operatori) ebbe a dire fra le frasi conclusive «perchè dunque la destinazione allo scopo possa costituire il fondamento di un istituto che, nel nostro diritto positivo, assolva il compito che, nell'ambito della gestione degli interessi giuridicamente rilevanti, svolge nel territorio di common law il trust, appare indispensabile - come primo tratto specificativo - che al vincolo giuridico della destinazione di beni allo scopo perseguito dal destinante si accompagni la separazione dei beni oggetto della destinazione dal restante patrimonio dell'autore della destinazione. Soltanto con la separazione dei beni il loro vincolo giuridico, voluto allo scopo dal destinante, acquista lo stato di intangibilità che è richiesto da chi ricorre a questo istituto. Per la realizzazione dei fini del destinante appare indispensabile che, mediante l'atto di destinazione, venga identificato un "centro di interesse" distinto ed autonomo rispetto allo stesso autore della destinazione» [nota 3].
Non è necessario citare qui il testo dell'art. 2645-ter - ormai noto - ma a me pare, ora, che la sua stesura riveli il contenuto auspicato, cioè contenga la previsione di un negozio rimesso in massima parte all'autonomia privata, che consente la separazione dei beni destinati dai residui beni del "conferente" con effetto verso i terzi mediante la pubblicità della trascrizione, e che per la realizzazione dello scopo cui è finalizzato l'atto, qualora meritevole di tutela giuridica, possa agire chiunque sia interessato (cioè un "diverso centro di interessi").
La scelta del legislatore - Interpretazioni
Intendo dire che sia sostenibile che il legislatore, con l'introduzione nel codice civile di questo articolo, abbia fissato un principio ordinamentale consentendo che le destinazioni con effetto di separazione patrimoniale possano essere realizzate non solo mediante entificazione e mediante fattispecie specialmente regolate dal codice o da leggi speciali ma, anche, mediante uno schema negoziale del quale ha indicato solo gli elementi essenziali lasciando alla autonomia del soggetto conferente la costruzione della fattispecie concreta mediante la libera scelta della configurazione strutturale.
L'innovazione non è di poco conto, sopratutto se si considera il numero illimitato di applicazioni possibili.
Non c'è quindi da meravigliarsi se questa interpretazione crei perplessità e resistenze.
Qualcuno infatti porta a sostegno dell'inaccettabilità di un negozio di così ampia portata anche argomenti metagiuridici, e cioè il timore che esso possa essere utilizzato per scopi elusivi, vale a dire stipulato solo per sottrarre la garanzia (di cui art. 2740 c.c.) ai creditori generali del conferente.
Ma questo timore sussiste anche per istituti espressamente regolamentati quale ad esempio il fondo patrimoniale, nonchè per il trust medesimo.
Si può pertanto obiettare che l'azione revocatoria (ed anche l'azione di simulazione) sono una difesa più che valida per i creditori generali che si ritengano intenzionalmente danneggiati.
Altri, sul piano giuridico, formulano altre argomentazioni:
• si sostiene [nota 4] che la norma non crei una nuova figura negoziale ma disciplini esclusivamente alcuni effetti, cioè la "destinazione";
• si porta altresì a sostegno di ulteriore interpretazione riduttiva della portata della norma, la lacunosità della disciplina del negozio, nonchè il suo inserimento tra le norme sulla pubblicità invece che più correttamente tra quelle di contenuto sostanziale.
Ebbene, per quanto mi è dato di conoscere allo stato attuale, la dottrina più numerosa non concorda con queste interpretazioni riduttive. Sembra più propensa a ritenere, invece, che si tratti di una norma che delinei una figura negoziale di ampia portata, che rappresenta una categoria giuridica aperta, cioè uno schema di atto di destinazione generale al quale saranno riconducibili tutte le fattispecie che avranno identità di causa, requisiti ed effetti; e che, inoltre, la sua collocazione tra le norme sulla pubblicità sia giustificata dalla precisa intenzione del legislatore di disciplinare l'opponibilità del vincolo di destinazione mediante la trascrizione.
Credo si possa, in sintesi, sostenere che si tratti di una figura negoziale di destinazione atipica rispetto a quelle tipiche aventi cioè predeterminazione di configurazione strutturale, di interessi, di categoria beneficiaria; vale a dire atipica in relazione a quelle altre, ma non atipica in assoluto (atipicità diversa quindi da quella delineata per i contratti nell'art. 1322 c.c.). E ciò perchè il legislatore ha fissato gli elementi essenziali del negozio (forma, soggetti, oggetto, criterio di valutazione generale dello scopo, alcune categorie di beneficiari), demandando al soggetto conferente di completarlo secondo le sue specifiche esigenze, utilizzando tipologie e norme già esistenti nell'ordinamento, cioè con un criterio relazionale ordinamentale.
E che si possa altresì sostenere che il negozio indicato nell'art. 2645-ter non sia privo di disciplina sostanziale (si pensi alla durata ed alle azioni dirette alla realizzazione del fine destinatorio), ma che, per volere del legislatore, contenga una disciplina da integrare.
Redazione dell'atto notarile [nota 5]
Entrando ora nel merito del tema assegnatomi in questa sede cioè la "redazione dell'atto negoziale di destinazione: struttura, elementi e clausole" vorrei segnalare subito che anche qui sussitono alcune problematiche interpretative.
Come ho appena accennato, secondo l'opinione prevalente, l'aver il legislatore indicato la manifestazione di volontà del soggetto destinante come "atto", è segno tangibile della sua intenzione di dare alla norma un ampio spettro di operatività, cioè di consentire ch'essa avvenga mediante qualsiasi espressione giuridicamente in grado di produrre gli effetti voluti.
Ciò pone agli interpreti ed agli operatori l'interrogativo di quale sia la struttura di questo atto.
L'assenza di riferimenti a unilateralità o bilateralità viene diversamente interpretata dagli studiosi.
Una dottrina [nota 6] sostiene che l'atto di destinazione sia sempre unilaterale, che non vi sia contratto con il beneficiario, che non vi sia "contratto di destinazione" con il gestore con il quale è possibile stipulare solo un mandato ad amministrare;
altra dottrina [nota 7] sostiene che la struttura non può essere unilaterale perchè «testualmente l'art. 2645-ter non integra quella riserva di legge voluta dall'art. 1987 c.c. per legittimare una promessa unilaterale, vale a dire la tipicità della promessa». (L'art. 1987 recita infatti «la promessa unilaterale di una prestazione non produce effetti obbligatori fuori dei casi ammessi dalla legge»). Per cui, poichè gli effetti incidono sul beneficiario ma anche, sul piano della separazione patrimoniale, sui terzi creditori, sarebbe sempre necessario, un accordo contrattuale tra disponente e beneficiario al fine di dare almeno certezza alla vicenda sul piano del rapporto obbligatorio, ad evitare che l'eventuale unilateralità tale resti, anche dal punto di vista dell'interesse perseguito, onde si tratterebbe di un interesse ipotetico. Quel che conta, infatti è la destinazione in atto e non già quella dichiarata.
Enunciate queste due opposte posizioni, riferisco quella che a mio parere, è l'interpretazione che consente di operare il più possibile in aderenza alla lettera della norma, che come indicato non pone limiti.
La "destinazione" è sempre unilaterale; la "struttura" dell'atto può essere unilaterale o bilaterale a seconda della configurazione prescelta dal conferente:
• nel primo caso il soggetto, il conferente, destina beni alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a beneficiari, ma sarà egli stesso il soggetto attuatore della destinazione; al beneficiario verrà comunicata la volontà del disponente; il beneficiario potrà rifiutare la prestazione; il conferente potrà anche revocare la destinazione ma non dopo che la comunicazione della destinazione sia giunta a conoscenza del beneficiario.
• Nel secondo caso, cioè struttura bilaterale (non tra conferente e beneficiario il quale, qualora intervenga, può solo prendere atto della destinazione a suo favore, e pertanto le rispettive manifestazioni di volontà non concorrono a formare un contratto ma rimangono autonome seppur collegate), ma tra conferente e soggetto attuatore della destinazione, cioè colui al quale viene affidata la realizzazione del programma destinatorio mediante conferimento di poteri gestori (è il caso del mandato gestorio) oppure mediante l'attribuzione strumentale della titolarità dei beni destinati, al solo fine quindi dell'attuazione della destinazione.
• Un discorso a parte va fatto per il testamento, e non è questa la sede più opportuna; pertanto ne faccio solo un accenno.
L'aver il legislatore individuato il negozio di destinazione come "atto" e quindi, come prima detto, come qualsiasi espressione della volontà in grado di produrre effetti giuridici, consente di ritenere ammissibile la "destinazione" per testamento purchè fornita di quegli elementi essenziali prescritti per l'atto di destinazione tra vivi; in primo luogo la forma di atto pubblico.
Gli elementi
Elementi che emergono dalla lettura della norma sono: la forma, i soggetti e l'oggetto, la durata, il vincolo creato mediante la destinazione e la sua opponibilità mediante la trascrizione, la meritevolezza dello scopo, le azioni a difesa della realizzazione dello scopo.
Esaminiamoli:
La forma e il vincolo
la forma richiesta è l'atto pubblico.
Si ritiene che tale forma sia imposta ad substantiam non per la destinazione in sè, ma per l'effetto di separazione cioè di opponibilità del vincolo ai terzi che si ottiene mediante la trascrizione.
Mi spiego meglio:
• la forma solenne garantisce un'accurata ed obbligatoria indagine da parte del Notaio della volontà del soggetto conferente in relazione allo scopo che costui si prefigge di conseguire con l'atto di destinazione, alla sua effettività, ed alla meritevolezza di tutela di tale interesse da parte dell'ordinamento giuridico;
• con la trascrizione, il vincolo di destinazione apposto dal conferente diventa opponibile ai terzi, ed il "patrimonio destinato" diventa "patrimonio separato"; quindi incide sulla sfera giuridica di soggetti terzi;
• si giustifica così che il grado di controllo della volontà del soggetto destinante e di ciò che costui desidera realizzare sia il massimo, al fine di garantire valenza di risultato sia nei suoi confronti che nei confronti dei terzi [nota 8] - [nota 9].
Quindi un atto di destinazione sia pure di per sè valido anche se stipulato con scrittura privata, non sarebbe titolo valido per la trascrizione.
I soggetti
Io distinguerei i soggetti del rapporto che nasce dall'atto negoziale da quelli che possono intervenire nell'atto notarile.
1. I soggetti del rapporto sono:
• colui che "destina", chiamato "conferente"; (forse per analogia con chi destina beni soggettivizzando il patrimonio come nella "fondazione");
• colui a cui favore è stipulata la destinazione, individuato come "beneficiario"; la norma ne qualifica già alcune categorie quali «persone con disabilità» e «pubbliche amministrazioni»; però indicando subito dopo «altri enti o persone fisiche» denoterebbe non una citazione "ultronea" come da qualcuno sostenuto [nota 10] ma la volontà del legislatore di ampliare al massimo le categorie dei beneficiari, sempre alla luce della meritevolezza degli interessi loro riferiti.
Il beneficiario o i beneficiari possono essere determinati o determinabili; occorre quindi che dall'atto risulti quanto meno il criterio per la loro individuazione;
un vincolo di destinazione con finalita' generiche che non consenta di determinare il soggetto beneficiario non sembra consentita: darebbe vita ad una destinazione di scopo non contemplata dal nostro articolo 2645-ter e non giustificata dalla lettera della stessa norma che conferisce al beneficiario un'azione a tutela; andrebbe pertanto in tal caso indicato dal conferente un soggetto cui è affidata la cura di quegli interessi.
è unanime l'opinione che non possa essere beneficiario lo stesso conferente; ciò in quanto emerge dalla lettera della norma che l'esercizio dell'azione a difesa della destinazione spetti anche a lui.
(Non mi soffermerò sulle categorie dei beneficiari perchè alcune relazioni odierne ne fanno espresso oggetto di esame).
• altro soggetto del rapporto è "qualsiasi interessato" alla realizzazione degli interessi destinatori specificati; quindi lo stesso beneficiario, i creditori per titolo correlato alla destinazione, nonchè lo stesso conferente (qualora egli abbia affidato la realizzazione della destinazione ad altri).
2. I soggetti che possono intervenire in atto sono:
• il "conferente", che potrà essere persona fisica ma anche ente pubblico o privato;
• il "beneficiario", che però, come accennato prima, non ha ruolo di "parte"; qualora intervenga prenderà atto della stipulazione a suo favore [nota 11];
• un soggetto terzo cui è affidata l'attuazione del programma destinatorio qualora non venga assunta in proprio dal conferente medesimo. In questo caso l'atto assume struttura bilaterale.
è da sottolineare che l'art. 2645-ter non prevede espressamente l'esistenza di un soggetto attuatore, ma lo si evince dalla formulazione dello stesso il quale consente che, per la realizzazione dello scopo, possa agire lo stesso "conferente".
In sostanza possono assumere la posizione soggettiva di attuatore il conferente o un terzo; è anche possibile che sia attuatore lo stesso beneficiario; in tal caso egli avra' due posizioni soggettive diverse.
L'oggetto
è letteralmente individuato nei beni immobili e nei beni mobili registrati; ma da più di uno degli interpreti si sostiene la possibilità di vincolare qualsiasi bene mobile o universalità di mobili per i quali possa attuarsi una forma sicura di pubblicità che ne garantisca la conoscibilità ai terzi; così potrebbe essere per le partecipazioni sociali alla luce dell'art. 2470 c.c. che fissa gli effetti della pubblicità nel trasferimento di quote di Srl.
Devono intendersi anche oggetto del vincolo i frutti dei beni vincolati che possono quindi essere impiegati, come i beni medesimi, solo per la realizzazione del fine della destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione solo per debiti contratti per tale scopo (fatti salvi gli effetti dell'art. 2915 1° comma).
La durata
Il termine fissato dalla norma per la costituzione del vincolo è un periodo non superiore a 90 anni o la durata della vita della persona fisica beneficiaria.
Viene spontaneo chiedersi se sia possibile una destinazione successiva entro i limiti temporali fissati e, trattandosi di persone fisiche, nel rispetto del dettato degli articoli 462 e 784 c.c.
«La possibilità di destinare uno o più beni ad un gruppo di soggetti, anche in ordine sequenziale, nell'ambito anche di una determinata famiglia, con le predette limitazioni temporali e nel rispetto del principio fissato dall'art. 698 c.c., più che per conservare un complesso di beni, deve tendere ad appagare interessi la cui soddisfazione ha una valenza generale (destinazione familiare)» [nota 12].
Non mi sembra possibile al momento indicare una soluzione certa.
Lo scopo
Un esame ed un discorso tutt'altro che semplice e breve andrebbero fatti per inquadrare il concetto di «interesse meritevole di tutela riferito a "beneficiari" ai sensi dell'art. 1322 2° comma», che è il pilastro su cui è basata la costruzione legislativa dell'atto di destinazione con effetti di separazione.
Se i creditori di un soggetto possono essere penalizzati dalla sottrazione, alla garanzia generale dei loro crediti, di un bene o di una massa patrimoniale del "conferente" sottoposta ad un vincolo reale di destinazione, ciò deve essere fortemente giustificato.
I primi commentatori della normativa hanno posto in rilievo, confrontandoli, vari criteri di giudizio della "meritevolezza dell'interesse"; quello della "liceità", quello della "utilità sociale", quello della "solidarietà sociale", quello della "comparazione tra l'interesse dei creditori generali e quello che viene realizzato con l'atto di destinazione".
In particolare è stato evidenziato che qualora lo scopo perseguito corrisponda ad uno degli interessi già selezionati dall'ordinamento come meritevoli di tutela, quali fra tanti: i bisogni della famiglia, l'avviamento alla professione, l'assistenza sociale, l'educazione e l'istruzione, la tutela dell'ambiente, la valorizzazione del patrimonio culturale, e così via, il controllo notarile avrà un affidabile parametro di riferimento.
I relatori che mi hanno preceduto oggi hanno già ampiamente esposto l'argomento e motivate le interpretazioni anche in relazione alla responsabilità notarile; pertanto è superfluo che io lo riprenda.
Mi è d'obbligo soltanto al fine della redazione dell'atto, ribadire che il Notaio dovrà esplicitare e descrivere nel modo più chiaro possibile lo scopo destinatorio affinchè possa esserne (anche in via giudiziaria) valutata la meritevolezza; ed è elemento di valutazione della meritevolezza anche la congruita' del bene destinato rispetto allo scopo, la durata del vincolo, nonchè la specifica situazione del conferente.
Pertanto se, successivamente in giudizio, fosse provato che lo scopo non aveva meritevolezza tale da giustificare il vincolo reale di destinazione, verrebbe invalidata la trascrizione e quindi verrebbe meno l'opponibilità del vincolo ai terzi, mentre potrebbe rimanere valido l'atto di destinazione produttivo di soli effetti obbligatori tra le parti interessate. Ma di questo vi ha parlato meglio di me Mirzia Bianca.
L'art. 2645-ter, come abbiamo accennato prima, pone il problema di completamento di disciplina dell'atto di destinazione con un criterio relazionale ordinamentale. Si rende quindi necessario fissare di volta in volta la specifica regolamentazione del negozio utilizzando analogicamente regole dettate per altri vincoli di destinazione "tipizzati" purchè non speciali per quei tipi, e tenendo altresì conto della derogabilità delle norme cui si fa riferimento.
La formulazione delle clausole deve tendere in particolare a risolvere, in via preventiva, le situazioni problematiche della fase attuativa della destinazione.
La struttura dell'atto, unilaterale o bilaterale prescelta, comporterà l'elaborazione di clausole che fissino gli obblighi, i vincoli e le attività riferibili al "conferente" che attua in proprio la destinazione, oppure al "mandatario", oppure all' "attuatore" cioè colui al quale venga strumentalmente trasferita (anche con "pactum-fiduciae" contestualmente convenuto) la titolarità del diritto sul bene al fine della realizzazione dello scopo; sarà egualmente necessario fissare le facoltà ed i limiti dei poteri di costui, anche ampi fino ad estendersi a quelli di disposizione.
è consigliabile indicare i mezzi che consentano, al beneficiario, al conferente (qualora non sia egli stesso attuatore), ai terzi, il controllo dell'effettività della destinazione (anche mediante un obbligo di rendiconto o un diritto di verifica di uno stato di fatto). Una destinazione solo enunciata e non effettuata sarebbe priva del requisito di meritevolezza indispensabile per produrre l'effetto derogatorio al principio generale della responsabilità illimitata del soggetto, contenuto nell'art. 2740 c.c.; anzi una destinazione solo apparente avrebbe come scopo proprio l'elusione di tale principio. In sede giudiziaria si avrebbe come conseguenza la nullità dell' "opponibilità del vincolo".
Se riflettiamo inoltre alle varie tappe del percorso attuativo del programma destinatorio vengono facilmente in evidenza i possibili dubbi operativi o le situazioni ostative o necessitate; ad esempio in relazione all'oggetto: il perimento del bene destinato o la sua alienazione.
Pur accedendo all'opinione che nel nostro ordinamento il principio della surrogazione reale - al fine della conservazione del vincolo - possa considerarsi generale, è opportuno inserire nell'atto una apposita clausola surrogatoria che imponga di sostituire il bene con altro adeguato allo scopo, mediante il reimpiego della somma riscossa dall'alienazione o di quella ottenuta a titolo di risarcimento del danno; «in ogni caso tale clausola dovrebbe prevedere la cancellazione del vincolo sui vecchi beni e la trascrizione del vincolo sui nuovi beni» [nota 13].
Anche l'alienabilità del bene o il divieto dovrebbero essere espressamente enunciati nell'atto;
l'alienazione può essere consentita anche al fine di destinare la somma ricavata all'attuazione dello scopo, e quindi con l'indicazione delle relative condizioni; il divieto potrà essere fissato compatibilmente col principio enunciato nell'art. 1379 c.c. (convenienti limiti di tempo ed apprezzabile interesse di una parte).
In relazione al vincolo è ancora da notare che, nell'art. 2645-ter, non viene disciplinata la sua cessazione se non per scadenza del termine di durata (90 anni o la vita del beneficiario). Sarà pertanto necessario individuare gli altri eventi che comportano tale effetto ed evidenziarli in atto. Se è pacifico che la cessazione del vincolo non possa avvenire ad opera del solo conferente dal momento in cui il negozio contenente la destinazione sia giunto a conoscenza del beneficiario e costui non l'abbia rifiutata, si considerano produttivi di tale effetto (è quindi opportuno che ne risulti l'eventualità dall'atto):
a. l'accordo tra conferente e beneficiario;
b. il compimento della realizzazione; oppure l'impossibilità obiettiva della stessa [nota 14];
c. una condizione risolutiva che contempli un evento futuro ed indipendente dalla volontà dei soggetti del negozio.
In relazione a vicende soggettive, sarà opportuno indicare che:
a. in relazione al "beneficiario" non determinato in atto, il modo e i tempi per l'individuazione dello stesso; nonchè le conseguenze in caso di mancata determinazione;
b. in relazione all'evento "morte" di un soggetto:
• in caso di morte del "conferente", la sussistenza del vincolo di destinazione nei confronti dei suoi eredi o legatari; e
• in caso di morte dell' "attuatore-gestore", al quale sia stata trasferita strumentalmente la titolarita' del bene, la sussistenza del vincolo di destinazione nei confronti dei successori di costui;
• oppure che la morte dell'uno o dell'altro costituisca condizione risolutiva della destinazione;
c. in relazione al rapporto tra conferente ed attuatore-gestore se, alla cessazione della destinazione, il bene debba essere ritrasferito al conferente o ceduto al beneficiario o a terzi.
Ed ancora è bene inserire clausole relative alle conseguenze della violazione delle regole di separazione:
a. facendo leva sul principio generale di tutela dell'affidamento dei creditori della destinazione sul patrimonio separato, potrebbe essere prescritto l'obbligo del risarcimento a carico del gestore che non abbia rispettato le regole di separazione; oppure l'obbligo a carico dell'attuatore, al quale sia stata trasferita strumentalmente la proprieta' del bene, di sostituire il bene distratto abusivamente dalla destinazione con altro bene idoneo a realizzare lo scopo destinatorio;
b. potrebbe essere anche comminata la perdita della separazione patrimoniale a carico dell'attuatore-gestore infedele [nota 15];
c. al fine di limitare casi di distrazione del bene dallo scopo destinatorio è opportuno prevedere che, in tutti gli atti relativi al bene, il conferente o l'attuatore-gestore indichino sempre l'esistenza del vincolo.
Conclusioni
Non credo necessario continuare in questa sede ad esemplificare le clausole e le pattuizioni che sarebbe opportuno integrassero l'atto di destinazione. Ne ho indicate alcune tra le più qualificanti, mediante rinvio a principi generali o a tipi già disciplinati, per una redazione la più possibile garantista.
Ma mi è sembrato utile fare questa esemplificazione anche per ribadire la tesi interpretativa che la figura negoziale di cui all'art. 2645-ter non può che essere un atto che lasci al soggetto la libertà di scegliere il mezzo per realizzare il suo scopo destinatorio, mediante una personalizzata costruzione di fattispecie concreta; che, diversamente, in una disciplina uniforme non troverebbe il necessario grado di duttilità.
A ciò soccorreranno l'impegno, l'esperienza, la creatività scientifica e professionale degli operatori, contribuendo così a fare di questo istituto un mezzo teso alla massima valorizzazione delle risorse e dei patrimoni per la soddisfazione di interessi che possiamo dire "generali" ma anche "individuali" seppur non egoistici.
Forse il legislatore avrebbe potuto emanare una legge speciale; forse avrebbe potuto regolamentare più in dettaglio l'istituto da inserire nel codice civile; ma forse il nostro "vituperato" legislatore ha visto più lontano di noi, dando un vistoso segno di apertura all'autonomia privata al fine di soddisfare il maggior numero di esigenze sociali.
I Notai saranno suoi buoni collaboratori.
[nota 1] "Convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento", adottata a L'Aja il 1° luglio 1985, ratificata dall'Italia con legge 16 ottobre 1989 n. 364 (art. 1 enuncia le finalità della Convenzione: stabilire la legge applicabile ai trusts e regolarne il riconoscimento).
[nota 2] G. PALERMO, «Destinazione di beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative», atti della giornata di studio organizzata dal Consiglio Nazionale del Notariato, Roma - Palazzo Santacroce, 19 giugno 2003, in Quaderni romani di diritto commerciale, a cura di B. Libonati e P. Ferro-Luzzi, Milano, 2003, p. 258.
[nota 3] A. FALZEA, in «Destinazione dei beni allo scopo…» cit., p. 27-28.
[nota 4] Giudice Tavolare Tribunale Trieste (Decreto 7 aprile 2006 n. 3996/06 in Italia Oggi 20 aprile 2006).
[nota 5] Per riferimenti: C. PRIORE, «L'atto negoziale di destinazione», relazione a "La trascrizione dell'atto negoziale di destinazione. L'art. 2645-ter del codice civile", Tavola Rotonda tenutasi a Roma, il giorno 17 marzo 2006, presso la Facoltà di Scienze Statistiche dell'Università di Roma "La Sapienza", i cui atti sono in via di pubblicazione in un volume edito dalla casa editrice Giuffré.
[nota 6] P. SPADA, «Il vincolo di destinazione e la struttura del patto costitutivo» relazione a atti notarili di destinazione dei beni: articolo 2645-ter c.c. - giornata di studio organizzata dal Consiglio Notarile di Milano il 19 giugno 2006, atti in corso di pubblicazione, consultabili sul sito www.scuoladinotariatodellalombardia.org./relazioni.htm L'autore in tale sede sostiene anche che la dichiarazione di destinazione non sia un "negozio" ma un "frammento" di un procedimento che compone la fattispecie della separazione unitamente all' "interesse meritevole" ed alla "trascrizione dell'atto".
[nota 7] F. GAZZONI, «Osservazioni sull'articolo 2645-ter», in www.judicium.it 2006.
[nota 8] «La forma pubblica è richiesta dall'ordinamento ad substantiam, a volte nell'interesse dell'autore del negozio per focalizzare la sua attenzione sulla valenza giuridica ed economica dell'effetto traslativo (donazione), a volte non solo nell'interesse delle parti ma anche a garanzia dei terzi (convenzioni matrimoniali - fondo patrimoniale), a volte per la rilevanza degli effetti conseguenti all'atto (riconoscimento o legittimazione del figlio naturale - riabilitazione dell'indegno - accettazione d'eredità con beneficio d'inventario), a volte per l'entificazione del patrimonio realizzata con separazione patrimoniale bidirezionale (società di capitali - persone giuridiche del libro I del codice civile).
Nel nostro caso la rilevanza dell'effetto è riconducibile alla separazione e non alla destinazione; la forma è richiesta, pertanto, per l'opponibilità ai terzi; anche la collocazione sistematica della norma sembra orientata in tal senso; forma richiesta non tanto per la trascrizione ma per quella separazione di cui la trascrizione è solo il veicolo». M. BIANCA - M. D'ERRICO - A. DE DONATO - C. PRIORE, in L'atto notarile di destinazione, Milano, 2006, p. 35.
[nota 9] Vedi anche G. PETRELLI «La trascrizione degli atti di destinazione», in Riv. dir. civ., 2006, III, p. 162.
[nota 10] G. PETRELLI, «La trascrizione degli atti di destinazione», in Riv. dir. civ., 2006, III.
[nota 11] Troiano ritiene che qualora sia beneficiario un ente pubblico sia necessaria la sua accettazione. In atti della Tavola Rotonda tenutasi a Roma, il giorno 17 marzo 2006, cit.
[nota 12] M. BIANCA - M. D'ERRICO - A. DE DONATO - C. PRIORE, L'atto notarile di destinazione, Milano, 2006, cit., p. 33.
[nota 13] M. BIANCA - M. D'ERRICO - A. DE DONATO - C. PRIORE, L'atto notarile di destinazione, Milano, 2006, cit., p. 41.
[nota 14] (Esempio, che l'ente beneficiario si estingua prima della scadenza del termine fissato; oppure che trattandosi di immobile destinato ad accoglienza di determinate persone, ne venga vietato l'uso per vetustà o carenza di sicurezza per ordine delle competenti autorità).
[nota 15] Non si ritiene comunque pacifico il rimedio della perdita della separazione quale disincentivo ad attività fraudolenta, poichè tale conseguenza andrebbe ad incidere sugli interessi del beneficiario.
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