I negozi di destinazione e l'imposizione indiretta
I negozi di destinazione e l'imposizione indiretta
di Franco Formica
Notaio in Roma
Inizio questa mia relazione con una riflessione ed una provocazione.
La riflessione è abbastanza ovvia, ma, secondo me, giova sempre premetterla ad una relazione in materia tributaria.
è nota a tutti la grande incidenza della imposizione fiscale sulla vita delle persone, sugli eventi storici dell'umanità e sulla fortuna o sfortuna di istituti giuridici.
A cominciare dalla emarginazione dei "pubblicani" (esattori delle imposte) nella descrizione evangelica; per continuare nella emersione di favole sull'argomento (Robin Hood che lotta, nella foresta, contro gli esattori fiscali dell'insaziabile sceriffo di Nottingham); per finire alla importanza che la pressione tributaria ha avuto nello scoppiare di alcune grandi rivoluzioni e di alcuni fatti sanguinosi nei secoli scorsi. Mi riferisco alla "tassa sul the", che fu il motivo scatenante della Rivoluzione Americana, nei confronti dell'Inghilterra; la pressione fiscale insostenibile sui ceti meno abbienti, che scatenò la Rivoluzione Francese e, per venire ai fatti di casa nostra, nei primi anni del secolo scorso, la odiata "tassa sul macinato" (sul pane), che scatenò, contro l'ira popolare, la reazione armata sulla folla delle truppe del Generale Bava Beccaris, in piazza Duomo a Milano.
E se questi, che ho ricordato, sono i grandi eventi, non meno importanti, come tutti sanno, sono le conseguenze positive o negative del trattamento tributario sulla fortuna di istituti giuridici. Per fare alcuni esempi, mi limito a ricordare la gravosa imposta di consolidazione sull'usufrutto, che ne ha limitato, per quasi un secolo, la utilizzazione in caso di donazione o vendita con riserva di esso [nota 1]; la imposizione favorevole della enfiteusi urbana negli anni sessanta del secolo scorso, che ne decretò, fino alla sua abolizione, grande fortuna contrattuale; per finire, al trattamento fiscale di esenzione dei negozi esecutivi di patti in sede di separazione personale e di divorzio.
A parte le grandi occasioni storiche sopra ricordate, se ci limitiamo alla incidenza fiscale sulla fortuna o sfortuna degli istituti giuridici, una notazione importante occorre, secondo me, evidenziare. Questa incidenza è solo indiretta: vale a dire determina la fortuna o la sfortuna degli istituti giuridici, solo per il loro trattamento, più o meno favorevole, dal punto di vista fiscale di essi. Essa è esterna agli istituti e non incide minimamente sulla loro configurazione giuridica sostanziale.
Ora, invece, occorre notare che la manovra tributaria, diventata uno degli elementi più importanti per il controllo e l'orientamento della congiuntura economica [nota 2], si è fatta sempre più incisiva anche nella configurazione genetica e funzionale delle varie fattispecie.
La norma tributaria, normalmente ritenuta, diciamo così, di secondo grado, in quanto riguardante il trattamento tributario di un istituto o di una fattispecie preliminarmente definita dal diritto sostanziale (civile, commerciale, amministrativo), ha via via assunto una importanza, sia nella elaborazione giurisprudenziale e dottrinaria, sia nella legislazione tributaria, di incidenza sulla stessa configurazione della fattispecie giuridica e dei suoi effetti.
Tale atteggiamento della normativa tributaria, in tema di effetti e, quindi, sul piano funzionale della fattispecie, ha avuto per esempio un'emergenza importante nella giurisprudenza della Cassazione: tre sentenze della fine del 2005, hanno rilevato come «pertinente anche il richiamo all'art. 1344 del codice civile poiché le norme tributarie appaiono norme imperative poste a tutela dell'interesse generale del concorso paritario alle spese pubbliche (art. 53 della Costituzione)» [nota 3];
con la conseguenza che gli atti in frode alla legge fiscale sono identici agli atti in frode alla legge civile: parificando, pertanto, in tutto la legge fiscale alla legge civile.
Ma se questo è un approdo di origine giurisprudenziale, mi sembra di poter rilevare- e questa è la provocazione che mi permetto di avanzare per una riflessione dottrinale da parte di tutti, civilisti e fiscalisti- che il legislatore fiscale del 2006 ha fatto un ulteriore passo in avanti su questa direttrice. Ha fatto un salto di qualità.
Infatti, cosa significa la norma dell'articolo 35, comma 21 del D.l. 4 luglio 2006 n. 223, convertito con modificazioni nella legge 4 agosto 2006 n. 248, quando, a modifica dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2005 n. 266 (legge sul prezzo-valore), inserisce il seguente periodo tranchant: «le parti hanno comunque l'obbligo di indicare nell'atto il corrispettivo pattuito»?
Comunque…
E, sempre nella stessa linea di operatività, quando nel medesimo articolo 35, al comma 22, il legislatore fiscale prescrive che «all'atto della cessione dell'immobile, anche se assoggettata ad Iva, le parti hanno l'obbligo di rendere apposita dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà recante l'indicazione analitica delle modalità di pagamento del corrispettivo», cosa significa?
Il legislatore fiscale incide pesantemente sulla determinazione e modalità di pagamento di un elemento essenziale del contratto di vendita: il prezzo. Addirittura esigendo, da tutte le parti, una dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, assistita non solo da sanzioni fiscali, come avveniva di solito (si pensi alle dichiarazioni "prima casa"), ma addirittura da una responsabilità penale in caso di dichiarazioni false o reticenti. [nota 4]
Forse significa che è stata abolita la norma civilistica sulla simulazione relativa di un elemento essenziale del negozio di vendita, quale il prezzo?
Ora, se questa è la attuale direttrice di incidenza diretta della norma tributaria sulla configurazione civilistica stessa della fattispecie sulla quale essa incide, un esempio ancor più evidente di tale tendenza è dato dalla recentissima normativa fiscale in materia di imposizione indiretta dei negozi di destinazione.
è a tutti nota - e ne abbiamo avuta autorevole testimonianza dalle relazioni dei civilisti in questo convegno - la disputa dottrinale che si è scatenata all'indomani della introduzione nel nostro codice civile dell'articolo 2645-ter ("Trascrizione di atti di destinazione … ").
Riassumendola in poche parole: autorevole dottrina ha criticato pesantemente la norma, rilevando che il legislatore aveva operato in tema di pubblicità, ma senza dare una definizione della fattispecie, come aveva fatto in altri casi, quali il fondo patrimoniale e il contratto preliminare; altra autorevole dottrina ha rilevato che gli atti di funzionalizzazione di un patrimonio ad uno scopo dovevano già essere considerati ammissibili, in quanto compatibili con il pieno esplicarsi dell'autonomia privata e che, quindi, la norma dell'articolo 2645-ter c.c. non fa altro che formalizzare compiutamente, anche da un punto di vista della pubblicità e della opponibilità ai terzi, un istituto già presente nel nostro ordinamento. [nota 5]
Ora, a parer mio, a dirimere forse la questione interviene, con la recentissima novella in esame, il legislatore tributario, il quale, reintroducendo nel nostro ordinamento tributario la soppressa imposta sulle successioni e donazioni, ne amplia le fattispecie imponibili prevedendo espressamente in essa la costituzione di vincoli di destinazione.
Con una norma secca il legislatore fiscale prescrive testualmente:
«è istituita l'imposta sulle successioni e donazioni, sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle "Disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni", approvato con D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente al 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dal presente articolo».
Con tale norma, il legislatore fiscale definisce, a parer mio, i vincoli di destinazione, inserendoli nelle fattispecie imponibili, previste dalla resuscitata imposta sulle successioni e donazioni, vale a dire nell'ambito dei trasferimenti di ricchezze, a titolo gratuito, sia mortis causa sia inter vivos.
Pertanto, il legislatore fiscale del 2006 definisce, con tutta evidenza, il negozio di destinazione quale negozio a titolo gratuito inter vivos.
A questo punto, anticipo l'obiezione.
Tutti i negozi di destinazione sono assoggettati al nuovo regime fiscale, dettato dalla novella?
Per rispondere a questa domanda, dobbiamo approfondire il trattamento fiscale di tali negozi, una volta definita la configurazione della loro categoria giuridica generale, di atti e negozi aventi causa destinatoria.
Per procedere a tale indagine, secondo me, si debbono tener presenti tre principi, che possono guidare l'interprete nella ricostruzione di una disciplina tributaria dell'istituto in tutte le sue articolazioni.
Il primo, è il principio della "capacità contributiva" nella imposizione fiscale, sancito dall'articolo 53 della nostra Costituzione: «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva». Esso significa infatti che non è costituzionalmente legittimo imporre tributi se non in relazione ad un fatto che sia espressivo di capacità contributiva: esso garantisce, dunque, i singoli di non essere assoggettati ad imposizione in modo arbitrario e irrazionale, ma solo in presenza di fatti e situazioni che li rendano idonei alla contribuzione [nota 6]. Considerando anche che, secondo il costante insegnamento della Corte Costituzionale (decisioni n. 42/1992, 325/1994, 143/1995), la capacità contributiva quale idoneità alla obbligazione tributaria, è desumibile dal presupposto economico al quale l'imposta è collegata.
Il secondo principio, anch'esso di dignità costituzionale, è stato elaborato dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale: il "principio di ragionevolezza". Esso si sostanzia in una esigenza di buon senso nella interpretazione delle norme, anche fiscali, attingendola dalla considerazione attenta della realtà, del "diritto vivente" nella società [nota 7].
Il terzo principio è costituito, a parer mio, dall'articolo 20 del D.P.R. 131/1986, "Imposta di registro", il quale testualmente recita: «l'imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente». La direttiva interpretativa prescritta dalla norma in oggetto è, a parer mio, utilizzabile quale criterio ermeneutico generale in materia tributaria, anche perché, nella nostra fattispecie, la legge in materia di imposta di successione, donazione e atti di destinazione, rinvia espressamente per gli aspetti procedimentali alla imposta di registro (art. 60 del D.lgs. 21 ottobre 1990 n. 346).
E allora, tenendo presenti tali tre principi, possiamo arrivare ad una prima conclusione.
Gli atti di destinazione, presupposti dalla norma civilistica dell'articolo 2645-ter per essere idonei alla trascrizione e ora espressamente nominati anche in una configurazione tributaria, sono tutti quegli atti che imprimono un vincolo di destinazione ai beni che sono oggetto di essi, senza alcuna altra ulteriore conformazione. Il riferimento è solo alla funzione degli atti stessi come volti a creare un vincolo di destinazione, a prescindere dal fatto, ma senza escluderlo, che la destinazione possa integrarsi, come vedremo, con una previa o posteriore attribuzione dei beni stessi. Quindi, ne risulta essenziale, per la configurazione della fattispecie, solo la volontà di destinazione a un certo scopo [nota 8].
E, quindi, agli effetti fiscali, gli atti di destinazione puri e semplici - con i quali il costituente imprima un vincolo di destinazione ad un suo bene, mantenendolo di sua proprietà - non sono rivelatori di per sé, di alcuna capacità contributiva e, alla luce di una interpretazione ragionevole, deve intendersi agli effetti dell'art. 20 della legge di registro, che gli effetti giuridici di essi non siano altro che la destinazione alle finalità che il costituente, nella sua autonomia negoziale, loro ricollega e ritenuti meritevoli di tutela dall'ordinamento.
Pertanto, tali atti di destinazione sono assoggettati ad imposizioni di registro in misura fissa e scontano l'imposta ipotecaria, per la loro trascrizione, anch'essa in misura fissa.
Nell'ambito di tali atti, rientrano certamente, con un'elencazione non esaustiva:
gli atti d'obbligo edilizi (con i quali si destina un terreno al servizio di un erigendo fabbricato o ci si obbliga a una certa destinazione urbanistica di quest'ultimo);
gli atti costitutivi del fondo patrimoniale, quando la proprietà dei beni destinati rimane in capo ai costituenti;
gli atti di destinazione dei patrimoni di una società destinati ad uno specifico affare, di cui agli artt. 2447-bis e seguenti del c.c.;
gli atti di destinazione di terreni agricoli a "compendio unico", di cui al D.lgs. 29 marzo 2004 n. 99;
certamente il negozio unilaterale di destinazione, ai sensi dell'art. 2645-ter c.c., con intervento in atto del solo conferente, senza trasferimento di proprietà a favore di alcun beneficiario.
"Atto neutro", poichè avrà solo un effetto destinatorio con conseguente effetto segregativo del bene, che rimarrà nel patrimonio del conferente [nota 9].
Si pensi, per esempio, al caso della coppia di conviventi che intendano destinare una abitazione, di proprietà di uno di essi o comune, a soddisfare i bisogni della loro convivenza, così come, in sostanza, accade per il fondo patrimoniale istituito tra coniugi.
La legge fiscale non parla espressamente di uno specifico atto di destinazione, ma fa generico riferimento alla costituzione di vincoli di destinazione e, quindi, anche al trust, attività giuridica dalla quale scaturisce l'istituzione di un vincolo di destinazione e, quindi, di segregazione o nel patrimonio del disponente (se il trust è "autodichiarato") o nel patrimonio del trustee [nota 10].
Tutto ciò è ancor più vero alla luce della recentissima novella. L'aver inserito testualmente la tassazione degli atti di destinazione nell'ambito delle imposte sulle successioni e donazioni, testimonia la volontà del legislatore di tassare tali atti, solo in quanto determinanti un trasferimento di ricchezza, a titolo gratuito e con atti tra vivi. Infatti, come testualmente rilevava autorevole dottrina [nota 11], essa colpisce « … nelle sue più ampie enunciazioni di principio tutte le entrate a titolo gratuito, tanto è vero che vengono escluse le somme erogate per il mantenimento, l'educazione, la istruzione, la cura, le liberalità di modico valore ecc. … ». Pertanto, ove il negozio si limiti ad imprimere il vincolo di destinazione ai beni, senza un trasferimento di ricchezza, non avremo ovviamente, come sopra detto, materia imponibile, agli effetti di questa imposta.
Ciò è confermato dal disposto del comma 3 dell'articolo in esame, il quale testualmente prescrive che «per le donazioni e gli atti di trasferimento a titolo gratuito di beni e diritti e la costituzione di vincoli di destinazione di beni l'imposta è determinata dall'applicazione delle seguenti aliquote al valore globale dei beni e dei diritti al netto degli oneri da cui è gravato il beneficiario … ».
Il beneficiario.Pertanto, la norma riunifica nel medesimo presupposto di imposizione, le donazioni, gli atti di trasferimento di beni e diritti e la costituzione di vincoli di destinazione di beni, determinando la relativa aliquota d'imposta in base al rapporto di parentela, di affinità o meno del "beneficiario". Facendo intendere chiaramente che, anche nella costituzione di vincoli di destinazione di beni, per applicare l'imposta in oggetto, debba esserci un beneficiario della disposizione, naturalmente diverso dal costituente, in ordine al quale deve essere determinato il grado di parentela e, in conseguenza, l'aliquota applicabile.
Una volta sgombrato il terreno dalla tassazione degli atti di destinazione, chiamiamoli puri, cioè senza alcun trasferimento della proprietà o di altro diritto reale, dobbiamo ora occuparci, invece, degli atti di destinazione che comportino il trasferimento, attuale o futuro, della proprietà o di altri diritti reali a favore di un beneficiario, cioè di quegli atti di destinazione che sono certamente ricompresi nella disciplina fiscale della nostra novella.
Alla luce di questa premessa di ordine sistematico, se ancora così si può dire, possiamo iniziare a tentare una prima definizione, dal punto di vista fiscale, degli atti di destinazione in oggetto.
Quando la nostra novella ricomprende nell'ambito della imposta sulle donazioni le costituzioni di vincoli di destinazione, in sostanza, a parer mio, configura una fattispecie complessa: vale a dire, un negozio di trasferimento della proprietà di beni o di costituzione di diritti reali, inter vivos, a titolo gratuito, da un costituente ad un beneficiario e un negozio di contestuale imposizione di un vincolo di destinazione sui medesimi beni.
Se tale è la ricostruzione giuridica della fattispecie in esame, alla luce del principio costituzionale di ragionevolezza, si deve ritenere che essa rientri pienamente nella previsione dell'articolo 21 della legge di registro (atti che contengono più disposizioni), comma 2, il quale testualmente recita: «se le disposizioni contenute nell'atto derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, l'imposta si applica come se l'atto contenesse la sola disposizione che dà luogo alla imposizione più onerosa».
Ora non è chi non veda che la costituzione di vincoli di destinazione, ricompresa nella imposta di donazione dalla novella, fa riferimento ad una fattispecie con disposizioni intimamente e intrinsecamente connesse, in quanto la costituzione del vincolo di destinazione sul bene, per essere tassabile, deve riguardare un bene trasferito a titolo gratuito ad un beneficiario; ma, specularmente, il costituente addiviene al trasferimento a titolo gratuito solo perché intimamente connesso con la destinazione cui vuole sia vincolato il bene medesimo.
Pertanto, alla luce del disposto dell'articolo 21, comma 2, della legge di registro (richiamato come abbiamo sopra ricordato dalla legge sulle imposte di successione, di donazione e di costituzione di atti di destinazione), l'imposta si deve applicare solo alla disposizione che dà luogo alla imposizione più onerosa (certamente il trasferimento a titolo gratuito), rispetto alla disposizione che dà luogo alla imposizione meno onerosa (certamente l'atto di destinazione puro di cui sopra).
A questo punto del ragionamento, le conclusioni operative sembrano abbastanza pacifiche.
Occorre individuare, caso per caso, in buona sostanza, la fattispecie liberale, collegata intimamente con il vincolo di destinazione, cui applicare la relativa imposizione fiscale delle donazioni.
Anche in questo caso, pur senza pretese esaustive, potremo considerare alcune delle fattispecie che, verosimilmente, si potranno verificare più frequentemente.
A. Il conferente conserva la titolarità dei beni, pone in essere il negozio di destinazione, ne affida l'attuazione a terzi attraverso il conferimento di un mandato gestorio.
Come sappiamo, il mandato è il negozio giuridico bilaterale, mediante il quale un soggetto (mandante, in questo caso il conferente) conferisce ad un altro soggetto (mandatario, in questo caso il gestore del patrimonio destinato) una serie di poteri per lo svolgimento di una determinata attività giuridica (in questo caso, la gestione del patrimonio conformemente alla sua destinazione). In mancanza di diversa pattuizione, ai sensi dell'articolo 1709 codice civile, il mandato si presume oneroso.
Se il mandato è conferito a titolo gratuito, senza corrispettivo o compenso per il mandatario, esso rientra fiscalmente nella categoria degli atti non aventi contenuto patrimoniale, per cui sarà soggetto alla imposta fissa di registro, ex art. 11 della Tariffa- parte prima del D.P.R. 131/1986. Ove, nel contratto, sia stato pattuito un compenso a favore del mandatario, esso dovrà essere annoverato fra gli atti a contenuto patrimoniale e dovrà scontare l'imposta proporzionale di registro con l'aliquota del 3% su una base imponibile costituita dal corrispettivo pattuito per l'attività gestoria, ai sensi dell'articolo 9 Tariffa- parte prima del D.P.R. 131/1986 [nota 12]. Ove poi il mandatario gestore fosse una società, il corrispettivo sarà assoggettato ad Iva.
Poiché le due disposizioni costituenti la fattispecie in esame- costituzione del vincolo di destinazione e mandato gestorio- non appaiono derivare «necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre», esse andranno autonomamente tassate secondo la loro natura.
B. Il conferente raggiunge gli stessi risultati attraverso una struttura negoziale bilaterale, con la quale attribuisce strumentalmente all'attuatore il bene destinato (si tratta in buona sostanza della medesima fattispecie del trust, con la sequenza settlor- trustee- beneficiary).
In questo caso, mi pare evidente che l'effetto giuridico, di cui parla l'articolo 20 della legge di registro, sia quello del trasferimento del bene al beneficiario finale, con l'intermezzo del vincolo di destinazione di durata più o meno lunga. è evidente, a mio parere, che il primo trasferimento dal disponente al soggetto che deve attuare la destinazione, in base al principio di ragionevolezza, non faccia emergere alcun elemento di capacità contributiva, perché in effetti nessun trasferimento di ricchezza si determina dal disponente al soggetto attuatore [nota 13]. E allora, anche in questo caso, potrà essere tassato con le normali imposizioni, solo il trasferimento dal disponente al beneficiario finale e anche qui a seconda dei rapporti di parentela, affinità o meno intercorrenti tra loro. Ferme restando le imposte ipotecarie e catastali, nelle misure ordinarie, nel caso di beni immobili.
C. Il conferente trasferisce un suo bene ad un terzo, vincolandolo alla realizzazione di un certo interesse, naturalmente meritevole di tutela giuridica. Per esempio, Tizio attribuisce a Caio un immobile con il vincolo del suo utilizzo come sede di un museo per trent'anni, disponendo che, alla cessazione del vincolo, l'immobile sia attribuito in proprietà a coloro che saranno eredi di Tizio ove egli morisse in quel momento [nota 14]. Quanto all'atto di trasferimento da Tizio a Caio, esso non manifesta ragionevolmente alcuna capacità contributiva in capo al destinatario, il quale, anche alla luce di una interpretazione degli effetti giuridici del negozio, si trova in una condizione di fiduciario: egli deve infatti temporaneamente utilizzare il bene segregato in un'area "riservata" del suo patrimonio generale, per un dato scopo (destinazione a museo per trent'anni), in vista di devolverlo ai beneficiari finali (gli eredi a quel tempo di Tizio).
Pertanto, l'atto di destinazione a museo andrà tassato a tassa fissa e, una volta verificatasi, dopo trent'anni, la devoluzione del bene agli eredi, dovrà essere applicata la relativa imposta di successione, con le aliquote congruenti con i rapporti di parentela o meno di Tizio con i suoi eredi.
D. Il conferente procede ad una attribuzione transitoria a favore del soggetto attuatore della destinazione, a termine o risolutivamente condizionata alla realizzazione della destinazione stessa.
Tizio attribuisce la proprietà di un immobile a Caio, con il vincolo del suo utilizzo come sede di un museo per trent'anni.
In questo caso, il vincolo di destinazione è sostanzialmente un modus. Per l'adempimento dell'onere, ai sensi dell'articolo 793 del codice civile, comma 3, «può agire, oltre il donante, qualsiasi interessato, anche durante la vita del donante stesso». Proposizione che è identica a quella dell'articolo 2645-ter del codice civile, il quale prevede che «per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso». Nelle due norme, sono identici i concetti di donante e conferente. In questa fattispecie, riconosciamo certamente una donazione a favore di Caio, con conseguente tassazione nei modi ordinari.
E. Il conferente procede ad una attribuzione a favore di un soggetto di un bene immobile, gravato da un certo vincolo di destinazione, però sospensivamente condizionata alla realizzazione della destinazione stessa.
Sempre per rimanere nello stesso esempio, Tizio attribuisce la proprietà di un immobile a Caio, sotto la condizione sospensiva del suo utilizzo come sede di un museo per trent'anni.
L'articolo 58, comma 2, del testo unico D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, dispone che «per le donazioni sottoposte a condizione si applicano le disposizioni relative alla imposta di registro». La disciplina prevista dall'imposta di registro, per la fattispecie in oggetto è dettata dall'articolo 19 del testo unico n. 131/1986, il quale prevede che tutti gli eventi successivi alla registrazione e, quindi, alla stipula dell'atto, ove diano luogo ad una "riliquidazione" dell'imposta, debbano essere denunciati a cura delle parti entro venti giorni dal loro verificarsi. Caso tipico di eventi successivi da denunciarsi, come rileva autorevole dottrina [nota 15], è proprio l'avveramento della condizione sospensiva.
Pertanto, l'atto di destinazione sarà tassato immediatamente con l'imposta fissa, solo all'avveramento della condizione sospensiva, a seguito della prescritta denuncia delle parti all'Agenzia delle Entrate competente, si applicherà l'imposta di donazione relativa.
F. Un ulteriore approfondimento della costituzione di un vincolo di destinazione, riguarda i beneficiari della destinazione stessa. Con una precisazione importante dal punto di vista fiscale: vale a dire la persona del beneficiario ultimo del bene, soggetto al vincolo di destinazione.
Se il destinatario finale è una persona fisica, nessun problema: tutte le conclusioni a cui siamo arrivati sopra rimangono valide.
Se il destinatario finale è una persona giuridica, occorre distinguere.
Se la persona giuridica, destinataria finale della disposizione, sarà una Onlus, lo Stato, enti pubblici territoriali, gli enti non commerciali di cui al D.lgs. n. 460/1997, le imprese sociali di cui al recentissimo D.lgs. 24 marzo 2006 n. 155, godrà delle agevolazioni fiscali rispettivamente previste dalla legislazione vigente.
Il tutto anche ai sensi dell'articolo 3 della resuscitata imposta di successione e donazione, il quale prescrive testualmente che «1. Non sono soggette all'imposta i trasferimenti a favore dello Stato, delle Regioni, delle Province e dei Comuni, né quelli a favore di Enti Pubblici e di Fondazioni o Associazioni legalmente riconosciute, che hanno come scopo esclusivo l'assistenza, lo studio, la ricerca scientifica, l'educazione, l'istruzione o altre finalità di pubblica utilità. 2. I trasferimenti a favore di Enti Pubblici e di Fondazioni o Associazioni legalmente riconosciute, diversi da quelli indicati nel comma 1, non sono soggetti all'imposta se sono stati disposti per le finalità di cui allo stesso comma».
Poiché nello stesso articolo 6 della novella, il comma 4 dispone l'applicabilità, ove compatibili, delle disposizioni previste dal D.lgs. 346/90, non si rilevano cause ostative alla conferma della esenzione per i soggetti non profit. è, pertanto, da ritenersi, in assenza di una esplicita norma contraria, che l'esenzione continui ad operare e che quindi non si debba applicare alcuna imposta alle donazioni, o ai trasferimenti in via successoria o ai negozi di destinazione a favore delle organizzazioni del privato sociale [nota 16].
Se il destinatario finale è una persona giuridica, diversa da quelle sopra menzionate, ovviamente il negozio di destinazione assumerà, dal punto di vista fiscale, le medesime configurazioni sopra previste per le persone fisiche, con la sola particolarità che, in caso di trasferimento, l'aliquota applicabile sarà quella massima.
Detto questo, se il programma si concreta in un atto di destinazione collegato intimamente con un negozio a titolo oneroso, la tassazione sarà, ovviamente, quella di questi ultimi negozi, senza alcuna tassazione dell'atto di destinazione, ai sensi dell'art. 21 della legge di registro.
[nota 1] Abolita con l'articolo 61 della legge 30 dicembre 1991 n. 413.
[nota 2] «Va detto che, riguardata nel contesto dei valori costituzionali, la finalità del prelievo tributario non è meramente quella di procurare entrate allo Stato, ma quella, più ampia, di strumento di intervento dello Stato nell'economia» (F. TESAURO, Istituzioni di Diritto Tributario, vol. 1, parte generale, UTET, 1987, p. 17).
[nota 3] Cass. 26 ottobre 2005, n. 20816; conformi, Cass. 21 ottobre 2005, n. 20398; Cass. 14 novembre 2005, n. 22932; tutte in tema di dividend washing.
[nota 4] L'articolo 76 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, testualmente recita: «Norme Penali. 1. Chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia. 2. L'esibizione di atto contenente dati non più rispondenti a verità equivale ad uso di atto falso».
[nota 5] Cfr. A. PICCIOTTO, «Brevi note sull'art. 2645-ter: il trust e l'araba fenice», in Contratto e impresa, 2006, p. 1314.
[nota 6] F. TESAURO, Istituzioni di Diritto Tributario, vol. 1, parte generale, p. 39.
[nota 7] Cfr. Corte Costituzionale 29 aprile 1999, n. 154, in Riv. Dir. Fin. e Scienza Fin., 1993, II, p. 3, con nota di F. FORMICA; in dottrina, E. DE MITA, «Le contraddizioni della ragionevolezza», in IlSole24Ore, 9 ottobre 2005, p. 17; Corte Costituzionale 11 giugno 1993 n. 370, in www.giurcost.org; di "controllo di ragionevolezza" discorre Corte Costituzionale 3 luglio 2006, n. 274, in www.solotesto.cortecostituzionale.it
[nota 8] Cfr. S. TONDO, «Atti destinatori- per un'applicazione diretta di codice civile art. 2645-ter», in www.RomoloRomani.it.
[nota 9] Così definito da SPADA, «Articolazione del patrimonio da destinazione iscritta», in questo volume.
[nota 10] A. BUSANI, «Il trust tassa solo il beneficiario», in IlSole24Ore, 2 novembre 2006, p. 19.
[nota 11] R. LUPI, Diritto Tributario, parte speciale, I sistemi dei singoli tributi, Giuffrè, 1992, p. 391. E, risalendo nel tempo, già BLUMENSTEIN, Sistema di diritto delle imposte, Milano, 1954, p. 196, affermava che nel caso delle imposte sui trasferimenti mortis causa «il loro oggetto di imposta è il fatto dell'evento giuridico dell'acquisto mortis causa dal de cuius all'erede o al legatario» (citato da G. GALLO ORSI– M. GALLO ORSI, L'imposta di successione, UTET, 1993, p. 4). Tali affermazioni, si applicano, naturalmente, per identità di ratio e di disciplina, alle donazioni e agli atti costitutivi di vincoli di destinazione, nei limiti di cui in appresso.
[nota 12] S. LANZILLOTTI- F. MAGURNO, Il Notaio e le imposte indirette, Roma, 2004, p. 353.
[nota 13] Conforme A. BUSANI, in IlSole24Ore, 3 aprile 2006, p. 30, il quale riporta che tale tesi è, tra le altre, anche sostenuta dalla Commissione tributaria regionale di Venezia, nelle sentenze 24 ottobre 2001 e 23 gennaio 2003; e dalla Commissione tributaria provinciale di Brescia del giorno 11 gennaio 2006; a fronte di una opinione dell'Amministrazione finanziaria, oscillante tra tale tesi e la tesi della applicazione alla fattispecie dell'articolo 9 della Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 131/1986, che prevede la tassazione con l'aliquota del 3% degli «atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale». Ovviamente, peraltro, andrebbe poi aggiunto un ulteriore 3% a titolo di imposta ipotecaria e catastale.
[nota 14] L'esempio è prospettato da A. BUSANI, «Nessun onere sul fiduciario», in IlSole24Ore, 2 novembre 2006, p. 19.
[nota 15] S. LANZILLOTTI– F. MAGURNO, op. cit., p. 25.
[nota 16] Conforme C. MAZZINI, «Enti non profit, resta l'esenzione», in IlSole24Ore, 2 novembre 2006, p. 19.
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