Gli interessi riferibili a pubbliche amministrazioni
Gli interessi riferibili a pubbliche amministrazioni
di Antonio Ruotolo
Ufficio Studi, Consiglio Nazionale del Notariato

Inquadramento dei problemi

Con l'art. 39-novies, D.l. 30 dicembre 2005, n. 273, convertito in legge, con modificazioni, con L. 23 febbraio 2006, n. 51 è stato introdotto l'art. 2645-ter, rubricato come "Trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche".

Tale articolo dispone che «gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell'articolo 1322, secondo comma, possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione; per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall'articolo 2915, primo comma, solo per debiti contratti per tale scopo».

Notevoli sono i dubbi interpretativi che la norma ha generato sin dalla sua entrata in vigore [nota 1]. A citarne solo alcuni:

- dalla stessa sua portata, se norma di pubblicità [nota 2]- come affermato da un'ormai ben nota pronuncia giurisprudenziale - o norma sostanziale [nota 3];

- al suo ambito applicativo - se riferibile ai soli interessi delle persone con disabilità - come fa propendere il testo [nota 4]- o anche agli interessi riferibili a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche;

- al suo possibile oggetto - se limitato ai soli beni immobili e mobili registrati, o estensibile anche ad altri "beni" purché assistiti da idonea pubblicità (si pensi alle partecipazioni di società a responsabilità limitata) [nota 5];

- al significato da attribuire alla espressione «interessi meritevoli di tutela … ai sensi dell'articolo 1322», se cioè tali interessi siano da intendere come valutabili in termini di mera liceità (l'interesse è in sé meritevole di tutela solo perché lecito) [nota 6], ovvero siano meritevoli, ai sensi della norma in esame, solo in quanto afferenti al concetto di solidarietà [nota 7] o di utilità sociale [nota 8], ovvero ancora in quanto conformati a principi desumibili dalla Carta costituzionale, ferma restando, in tale ipotesi, la necessità di meglio precisare tali concetti [nota 9];

- alla efficacia del vincolo di destinazione [nota 10]- se reale od obbligatoria - fermo restando che si dovrebbe poi precisare cosa si intenda per realità [nota 11] ed obbligatorietà [nota 12] del vincolo [nota 13];

- alla ratio della previsione della forma pubblica [nota 14];

- alla necessità che l'atto di destinazione sia accompagnato dal trasferimento della proprietà [nota 15];

- alla struttura dell'atto di destinazione, se unilaterale o bilaterale [nota 16];

- alla sua natura, se solo gratuita o anche onerosa [nota 17];

- alla configurabilità di una destinazione mortis causa [nota 18];

- alla ammissibilità dell'autodestinazione [nota 19];

- alla funzione della pubblicità [nota 20] ed agli effetti della trascrizione;

- alla necessità di garantire l'effettività della destinazione [nota 21];

- ai possibili ambiti di applicazione della norma, in campo successorio [nota 22], familiare [nota 23] e imprenditoriale, ai rapporti con l'istituto del trust [nota 24], sempre evocato nei vari contributi sin qui apparsi, alle possibili implicazioni rispetto agli interessi della pubblica amministrazione.

Ebbene, con riferimento a tale ultimo profilo, oggetto di questa relazione è l'esame dell'incidenza della norma rispetto alla pubblica amministrazione, nella duplice prospettiva di soggetto conferitario dei beni (vuoi per la realizzazione di un interesse proprio o di altro soggetto), e di soggetto nel cui interesse è posto in essere e trascritto l'atto di destinazione.

Beninteso, pregiudiziale rispetto a tale esame sarebbe chiarire se la disposizione abbia riferimento ad una sola possibile categoria di "interessati" (i disabili) o se invece abbia un ambito applicativo più esteso.

Perché, ove si accogliesse la prima soluzione, sarebbe prospettabile un coinvolgimento della pubblica amministrazione solo quale conferitaria del bene destinato alla realizzazione dell'interesse di soggetti disabili.

Mentre, se si optasse per la diversa e prevalente tesi che annovera fra i soggetti nel cui interesse il bene è destinato tutte le categorie contemplate dall'art. 2645-ter, la pubblica amministrazione potrebbe venire in rilievo tanto come soggetto conferitario (recte destinatario), quanto come soggetto nel cui interesse il bene viene conferito (recte destinato).

Il profilo relativo alla determinazione dell'ambito dei soggetti nel cui interesse è posto in essere l'atto di destinazione esula tuttavia da questo contributo, che deve necessariamente muovere da una posizione di neutralità.

Si tenterà quindi di esaminare - nella duplice possibile prospettiva cui conduce la tesi prevalente - quale ruolo possano giocare gli interessi della pubblica amministrazione nella applicazione della norma, incentrando l'attenzione sulla stessa nozione di amministrazione pubblica, sulla struttura e sulla forma che dovrebbe in tali ipotesi rivestire il negozio destinatorio, sulle peculiarità che connotano la valutazione dell'interesse meritevole di tutela quando questo sia ascrivibile alla P.A.

La nozione di pubblica amministrazione

L'art. 2645-ter c.c. fa un riferimento generico alla pubblica amministrazione, ricorrendo a quella che la dottrina chiama "qualificazione presupposta", non definita cioè dal legislatore che si limita a postularne l'esistenza e la riconoscibilità [nota 25].

La dottrina amministrativistica afferma che la pubblica amministrazione può esser definita in senso oggettivo, con riguardo all'attività svolta nell'esercizio di funzioni amministrative, o in senso soggettivo, con riguardo all'insieme delle figure organizzative in cui si articolano gli apparati pubblici. [nota 26]

In tale seconda accezione la nozione di pubblica amministrazione può esser riguardata secondo un criterio scientifico - e la definizione ha in tal caso un valore conoscitivo, non vincolante per il giudice - ovvero secondo un criterio normativo, che appare sempre più diffuso per via dell'esigenza pratica di sottoporre i soggetti che vi sono annoverati a particolari regimi (dal trattamento dei dipendenti alle loro responsabilità amministrative, dalle modalità di scelta dei contraenti all'accesso ai documenti ecc.) [nota 27].

Tuttavia, proprio perché le disposizioni definitorie - nazionali o di derivazione comunitaria - sono molteplici e tutte dettate da diverse esigenze funzionali appare poco proficuo, se non in alcuni casi ingannevole, limitarsi al dato normativo.

Ne è esempio l'art. 1, comma 2, del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 che, nell'ambito di un provvedimento recante "Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche" stabilisce in via normativa il perimetro delle amministrazioni pubbliche: «per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (Aran) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300».

Se si tenesse conto di tale definizione normativa, con ogni probabilità la più recente, confidando nel fatto che questa possa esser esaustiva della nozione di pubblica amministrazione, si incorrerebbe con ogni probabilità in errore, e ciò sia perché la norma non chiarisce se si tratta di una elencazione tassativa o esemplificativa (si consideri che la lettera della legge, che all'apparenza farebbe propendere per l'esaustività è contraddetta dall'evoluzione dell'ordinamento, essendo nel frattempo scomparse le amministrazioni e le aziende autonome, mentre si tace riguardo alle autorità indipendenti); sia perché la finalità espressa dal legislatore del 2001 è quella appunto di disciplinare il rapporto di lavoro nell'ambito delle pubbliche amministrazioni (e quindi non di dare una definizione in senso assoluto di P.A.) ed anche la circostanza che numerose norme abbiano richiamato la definizione del 2001 dovrebbe suggerire che essa non s'applichi automaticamente ad altre materie [nota 28].

La disposizione da ultimo citata non appare pertanto risolutiva, ai fini della individuazione dei soggetti che compongono la pubblica amministrazione.

Occorre peraltro considerare come altre disposizioni contengano una diversa definizione di pubblica amministrazione, certamente più ampia di quella di cui all'art. 1, comma 2, del D.lgs. 165/2001.

Ne è di esempio, l'art. 22 lett. e) della legge 7 agosto 1990, n. 241 in tema di diritto di accesso ai documenti amministrativi, per il quale per «pubblica amministrazione» si intendono tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario, tanto che si è insinuato il dubbio che nell'ambito della P.A. possano includersi tutte le società private (le cui partecipazioni azionarie siano totalmente o prevalentemente in mano privata) che svolgano "attività di pubblico interesse", cioè non solo quelle sotto il controllo pubblico, dal momento che non si riscontra alcuna precisazione in tal senso: con la conseguenza che anche le società in questione sarebbero sottoposte all'esercizio del diritto di accesso ai propri atti.

Interpretazione, quest'ultima, dalla quale la dottrina amministrativistica sembra rifuggire perché in contrasto con i principi contenuti nelle direttive e nella giurisprudenza comunitarie che, per qualificare un organismo come pubblico, giudicano imprescindibile la persistenza su tali soggetti del controllo pubblico o, più precisamente, il requisito dell'influenza dominante da parte dei poteri pubblici; e perché in contrasto con l'esercizio di una attività imprenditoriale - connotata, più che altro, anche da canoni di segretezza (si pensi alla disciplina relativa al know-how) - non soggetta al rispetto di una disciplina sulla trasparenza poiché non perseguente uno scopo o una finalità pubblicistica.

Proprio la influenza dell'ordinamento comunitario, soprattutto in tema di appalti, ha in notevole misura inciso sullo stesso concetto di pubblica amministrazione, tradizionalmente caratterizzato dal particolare rilievo del dato formale, rappresentato da una organizzazione e da una struttura di carattere pubblicistico.

Il diritto comunitario ha invece dato rilievo, allargando la nozione di pubblica amministrazione, alla circostanza che un soggetto, anche non strutturato e organizzato secondo criteri pubblicistici, sia comunque assoggettato al controllo pubblico, inteso come influenza dominante ed agisca ai fini del perseguimento di fini pubblici.

Il che ha in definitiva portato a ricomprendere nell'ambito del concetto anche soggetti privati (o quanto meno, formalmente privati) ma controllati da soggetti pubblici, come è avvenuto per esempio per le società a capitale misto pubblico/privato.

Vero è che il diritto comunitario ha imposto tale nuova nozione di pubblica amministrazione fondamentalmente al fine di garantire il rispetto delle regole di trasparenza e di tutela della concorrenza nella materia degli appalti.

Solo che, da tale più circoscritta materia, nella quale essa è stata concepita, la categoria degli organismi di diritto pubblico [nota 29]- cui appunto si fa riferimento nel definire i soggetti giuridici istituiti per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale e commerciale, dotati di personalità giuridica e la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione è sottoposta al controllo di questi ultimi, oppure i cui organi di amministrazione, di direzione o vigilanza sono costituiti da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico come tali tenuti a seguire le regole comunitarie in tema di appalti in tal senso direttive 89/440, 93/1997, L. 109/1994 art. 2 come modificato dalla L. 415/1998) - sembra essere suscettibile di estensione anche ad altri settori, di fatto ampliandosi la nozione stessa di pubblica amministrazione nella quale si intendono oggi compresi anche soggetti privati formalmente ma equiparati alle pubbliche amministrazioni e quindi tenuti a seguire le regole di questa e a emanare provvedimenti amministrativi [nota 30].

La questione è stata, invero, notevolmente dibattuta, ma la posizione di coloro che hanno affermato la netta incompatibilità tra il modello societario e l'ente pubblico ha perso negli ultimi anni progressivamente terreno a favore della posizione opposta, ormai maggioritaria, che afferma, partendo dalla neutralità della forma societaria rispetto al perseguimento di fini pubblici, l'astratta compatibilità tra il modello societario e il paradigma dell'ente pubblico.

Ma se ciò vale in senso astratto, occorre poi verificare concretamente se un soggetto avente struttura societaria possa, per il solo fatto d'esser partecipato da un ente pubblico, esser attratto nell'ambito della pubblica amministrazione.

Vari sono stati i criteri suggeriti: dalla sussistenza di un regime giuridico che si caratterizzi per la previsione di regole di organizzazione e di funzionamento che, oltre a costituire una consistente alterazione del modello societario tipico, rivelino, al tempo stesso, la completa attrazione nell'orbita pubblicistica dell'ente societario, alla attribuzione in capo ai soggetti pubblici, diversi da quelli che rivestono all'interno della struttura societaria la qualità di soci, di potestà il cui esercizio è destinato inevitabilmente a produrre effetti sulle fondamentali determinazioni degli organi societari.

La giurisprudenza ha, sotto tale profilo, assunto un atteggiamento sostanzialistico, suggerito dallo stesso legislatore comunitario, privilegiando l'argomento della "dominanza" pubblica sull'organismo affermando la natura pubblicistica della SpA a partecipazione pubblica, ancorché non assoggettata ad alcun regime speciale, dal momento che la veste "formale" va ritenuta recessiva rispetto all'agire "funzionalizzato" degli enti pubblici.

è il criterio della pubblicità sostanziale, fondato sul dato sostanziale relativo - sul piano strutturale - all'esercizio da parte dei poteri pubblici di un'influenza dominante sulla proprietà e - sul piano funzionale - al fine della gestione di un servizio pubblico, a consentire l'inquadramento di una società nell'ambito e degli organismi di diritto pubblico e, conseguentemente, nell'ambito della pubblica amministrazione.

è al criterio sostanziale che si rifà la giurisprudenza [nota 31], evocando ancora il concetto di organismo di diritto pubblico con riguardo alla società a partecipazione pubblica non maggioritaria [nota 32].

è al criterio sostanziale che si è ispirato in tempi recenti il legislatore nazionale nel codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/Ce e 2004/18/Ce (art. 3 D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163) per il quale le «amministrazioni aggiudicatrici» sono: le amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti. Mentre, l'«organismo di diritto pubblico» è qualsiasi organismo, anche in forma societaria: istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; dotato di personalità giuridica; la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico.

Deve tuttavia come la insussistenza di alcuno dei requisiti fissati dal legislatore comunitario ed accolti dalla giurisprudenza nazionale [nota 33] - l'essere un organismo istituito per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale; dotato di personalità giuridica; e la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o da organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione è soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza è costituito da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico - impedisce la qualificazione del soggetto come organismo di diritto pubblico [nota 34].

In particolare, poi, la giurisprudenza ha affermato come, quanto al requisito del "controllo" in mano pubblica, la relativa nozione debba essere desunta dall'art. 2359 c.c. [nota 35]

Ma, come accennato, se pure si assiste ad una progressiva estensione del concetto di organismo di diritto pubblico come nuova nozione di pubblica amministrazione, è da rilevare come tale estensione si giustifichi in settori nei quali si avverte quella stessa esigenza che è a fondamento della stessa categoria.

Nel settore degli appalti, così come in quello dell'accesso alla documentazione amministrativa, i principi della trasparenza, della tutela della concorrenza, ecc., sorreggono un'interpretazione della pubblica amministrazione tale da ricomprendervi anche quei soggetti che - dietro lo "schermo" privatistico della struttura societaria - celano una partecipazione totalitaria o quanto meno un controllo da parte di un ente pubblico o comunque appartenente alla pubblica amministrazione tradizionalmente intesa.

Nel nostro caso - negli atti di destinazione - non si vede in quale modo tali principi possano essere vulnerati.

E poiché la nozione di pubblica amministrazione varia in relazione agli scopi che si prefiggono le norme che la contengono [nota 36], qui, in definitiva, la stessa interpretazione sostanzialistica dovrebbe portare ad escludere che si debba far ricorso al concetto di organismo di diritto pubblico [nota 37].

La forma e la struttura dell'atto di destinazione che veda la pubblica amministrazione come conferente, beneficiario o interessato. Il giudizio di meritevolezza

Il profilo sin qui esaminato - cosa si debba intendere per pubblica amministrazione ai sensi dell'art. 2645-ter - potrebbe esser considerato fine a sé stesso.

In definitiva, almeno se si segue la tesi prevalente, il negozio di destinazione può esser posto in essere tanto nell'interesse della pubblica amministrazione, quanto nell'interesse di altri enti (fra cui anche le società: il termine "enti" pare in definitiva ricomprendere tutto ciò che non è P.A., disabile o altra persona fisica).

Quindi, con riguardo alla categoria degli organismi di diritto pubblico che non sarebbero pubblica amministrazione in senso tradizionale (è il caso delle società partecipate), non ci sarebbero all'apparenza particolari differenze tanto che li si consideri pubblica amministrazione, quanto che li si consideri "altri enti".

E, tuttavia, una prima differenza è immediatamente riscontrabile laddove si pensi alla forma e alla struttura che l'atto di destinazione dovrebbe assumere, quanto meno nell'ipotesi in cui il soggetto in questione sia beneficiario della destinazione stessa.

Occorre a questo punto verificare se la circostanza che nell'atto di destinazione venga in considerazione- nei possibili diversi ruoli- un soggetto rientrante nella nozione di pubblica amministrazione così come sopra delineata implichi un qualche riflesso sulla forma e sulla struttura dell'atto medesimo.

Tralasciando per un momento il tema della forma, occorre incentrare l'attenzione sulla struttura dell'atto di destinazione.

Si è già detto che della norma possono darsi due possibili letture.

L'una, restrittiva, per la quale l'art. 2645-ter ha a riferimento la trascrizione di atti con cui beni immobili o beni mobili registrati sono destinati - per un periodo non superiore a novanta anni o alla durata della vita della persona fisica beneficiaria - a pubbliche amministrazioni per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela di persone con disabilità.

L'altra, più ampia, per la quale l'art. 2645-ter ha a riferimento la trascrizione di atti con cui beni immobili o beni mobili registrati sono destinati - per un periodo non superiore a novanta anni o alla durata della vita della persona fisica beneficiaria - alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela di pubbliche amministrazioni.

Nell'una (pubblica amministrazione immediatamente beneficiaria ma nell'interesse di soggetto diverso) come nell'altra prospettiva (pubblica amministrazione immediatamente beneficiaria nel suo interesse) non può escludersi - anzi, nel primo caso è la regola - che la destinazione implichi per il soggetto beneficiario l'insorgenza di oneri.

Si pensi, per la prima ipotesi, alla destinazione di un edificio per il ricovero di persone con disabilità [nota 38] residenti in un certo Comune, beneficiario della destinazione. Ovvio che tale destinazione, in favore del Comune, implichi per il soggetto stesso una serie di oneri.

Si pensi, nel secondo caso, alla destinazione di un immobile a beneficio del Ministero dell'Università o della Regione, affinché vi istituisca una sede universitaria.

Anche qui è di tutta evidenza la insorgenza di oneri a carico dell'amministrazione.

Ciò ha indotto la dottrina amministrativistica e non solo che si è sin qui occupata del problema a rilevare, nelle ipotesi al vaglio, l'incompatibilità dell'atto di destinazione con la struttura unilaterale dell'atto.

è noto come la struttura del negozio di destinazione sia discussa: v'è chi lascia all'autonomia delle parti la scelta in ordine alla strutturazione del negozio [nota 39], v'è chi ritiene che esso abbia normalmente struttura unilaterale [nota 40]; chi ammette la struttura contrattuale solo nell'ipotesi di destinazione dinamica, con contestuale trasferimento del bene ad un terzo fiduciario, laddove se la destinazione non sia accompagnata dal trasferimento essa si limita all'imposizione di un vincolo e quindi è sufficiente l'atto unilaterale, pur essendo possibile la struttura bilaterale [nota 41]; chi ritiene, ancora, che la struttura non possa che esser contrattuale, posto che la previsione dell'art. 2645-ter non integra la riserva di legge di cui all'art. 1987, specie per far emergere l'expressio causae (la accettazione del beneficiario attesta l'effettiva e concreta ricorrenza dell'interesse ed assolve la stessa funzione che ha il contratto nella donazione obbligatoria) [nota 42]; chi, all'opposto, ritiene che l'atto di destinazione sia sempre unilaterale e non recettizio, contestando il riferimento all'art. 1987 perché la destinazione non è un'attribuzione obbligatoria (come la promessa) e perché essa non produce di per sé alcun effetto finale [nota 43].

Nel caso in cui l'atto di destinazione veda come soggetto beneficiario la pubblica amministrazione (tanto che si tratti di una destinazione in funzione della tutela di interessi propri, quanto che si tratti di una destinazione in favore di interessi altrui), il problema della struttura dell'atto appare di tutta evidenza.

Se l'atto di destinazione si connota per l'onerosità e quindi implica il sorgere di un obbligo anche a carico del soggetto conferitario (destinatario) non v'è dubbio alcuno che esso non possa assumere una struttura unilaterale, ma debba necessariamente constare da un contratto.

Ma anche se, come ritiene la dottrina prevalente, l'atto di destinazione non può assumere il carattere di onerosità (e comunque, anche ad ammettersi l'atto di destinazione oneroso, per quelli connotati da gratuità), può concretamente porsi il dubbio se - in luogo della unilateralità - sia necessaria comunque la struttura contrattuale trovando applicazione la speciale disciplina - dettata per le pubbliche amministrazioni statali ma costituente un principio generale considerato valido anche per le amministrazioni non statali - di contabilità dello Stato relativa alle donazioni in favore dello Stato e degli altri enti pubblici.

Invero, tale disciplina era contenuta nella legge 5 giugno 1850, n. 1037 e nel relativo regolamento (R.D. 26 giugno 1864, n. 1817), abrogati dall'art. 13, comma 1, della legge 15 maggio 1997, n. 127 (c.d. legge Bassanini-bis), i quali richiedevano il decreto ministeriale di autorizzazione alla accettazione dell'atto di liberalità .

Resta comunque principio fondamentale, desumibile dalle norme di contabilità di Stato (R.D. 18 novembre 1923, n. 2440; R.D. 23 maggio 1924, n. 827) quello secondo il quale la pubblica amministrazione deve previamente verificare la convenienza economica della liberalità attraverso gli uffici tecnici e la conformità in linea legale da parte delle competenti Avvocature distrettuali, direttamente con decreto dirigenziale ai sensi delle disposizioni di cui al D.lgs. n. 29 del 1993 (ora D.lgs. 165 del 2000) e prescindendo anche dal parere del Consiglio di Stato, esplicitamente abolito dall'art. 17, comma 26, della citata legge n. 127 del 1997 [nota 44].

Dunque, viene sempre affermata come imprescindibile l'accettazione da parte della pubblica amministrazione.

Sulla base di detti principi risulta anche evidente che, ove si consideri in linea generale applicabile alla fattispecie dell'atto destinatorio l'art. 1333 c.c. (ritenendo quindi possibile la conclusione del contratto con obbligazioni del solo proponente in caso di mancato rifiuto da parte del destinatario nei termini richiesti dalla natura dell'affare o dagli usi), se effettivamente vi deve essere una accettazione (previa valutazione della convenienza) da parte della pubblica amministrazione, non potrà operare il principio del silenzio-assenso o del silenzio-rifiuto, riferibile ad interessi di cui deve essere portatore il cittadino istante: e quindi, in definitiva, nell'ipotesi in cui beneficiario sia una pubblica amministrazione, neppure potrà operare il disposto dell'art. 1333 c.c., ma sarà sempre necessario il contratto [nota 45].

Tali considerazioni che potrebbero non valere in senso assoluto (la gratuità di un atto non necessariamente implica un onere per il destinatario) dovrebbero comunque indurre a prudenza il Notaio, privilegiando la struttura contrattuale in luogo di quella unilaterale ove appunto destinatario dell'atto sia una pubblica amministrazione.

Chiaro a questo punto che l'aver escluso dal novero della pubblica amministrazione gli organismi di diritto pubblico (fra i quali rientrano ad esempio le società a partecipazione pubblica), implica invece, per questi ultimi la possibilità del ricorso (alla stregua di qualsivoglia "altro ente") anche ad un atto destinatorio a struttura unilaterale.

Qualche ulteriore precisazione attiene anche alla "forma" dell'atto di destinazione.

La norma impone l'atto pubblico.

La ragione per la quale sia stato previsto esclusivamente l'atto pubblico e non anche la scrittura privata autenticata è stata anch'essa motivo di dibattito.

V'è chi ha ravvisato la necessità della forma pubblica in connessione con la separazione patrimoniale ed in ragione non della qualità dell'interesse (onde la forma pubblica sarebbe in definitiva strettamente legata al giudizio di meritevolezza incombente sul Notaio) [nota 46] ma della struttura organizzata del programma di realizzazione dell'interesse stesso [nota 47].

Per altri, la forma dell'atto pubblico è richiesta per una "finalità di protezione": oltre al controllo di legalità ex art. 28 della legge notarile (oggi comune anche alla scrittura privata autenticata), l'atto pubblico assicura anche l'approfondito esame dell'intento delle parti, con finalità di protezione delle stesse parti (ad esempio nelle donazioni, nei patti di famiglia, nelle convenzioni matrimoniali) ovvero dei terzi (ad esempio, atti costitutivi e modificativi delle persone giuridiche). Tale finalità è perseguita dalla legge anche nel caso del vincolo di destinazione: la gravità dell'effetto non tanto per le parti, quanto per i terzi ("complicazione" della circolazione giuridica, in presenza di vincoli di destinazione di cui occorre individuare l'esatto contenuto), ivi compresi i creditori ("segregazione" del patrimonio vincolato), ha evidentemente indotto il legislatore a richiedere la forma dell'atto pubblico, quale modalità di formazione dell'atto maggiormente idonea ad assicurarne l'univocità e la pubblica fede. Alla luce di questa ratio, allora, se è il carattere reale del vincolo, e quindi la sua maggior "gravità", a giustificare la forma pubblica, e dato che l'opponibilità ai terzi discende unicamente dalla trascrizione, deve concludersi nel senso che la forma dell'atto pubblico è richiesta unicamente ad transcriptionem: l'atto di destinazione è quindi valido, e produce effetti obbligatori, anche se concluso in forma di scrittura privata; esso potrà tuttavia essere trascritto, e quindi creare un vincolo reale opponibile a terzi, unicamente ove rivesta la forma dell'atto pubblico [nota 48].

In linea con tale impostazione, è chi afferma che la forma pubblica non condiziona la validità dell'atto nel senso che non condiziona la produzione di nessuna conseguenza finale (la destinazione in sé non produce né arricchimenti né impoverimenti e neppure penalizza il ceto dei creditori): la dichiarazione di destinazione è, infatti, in sé solo un frammento di un procedimento, è una componente della fattispecie della separazione [nota 49].

V'è, infine, chi rileva come l'atto pubblico di destinazione sia da avvicinare, sul piano funzionale, all'atto di fondazione, il quale pretende la forma dell'atto pubblico, per lo stesso motivo per il quale la pretende il contratto di donazione, onde si conferma, anche sotto questo aspetto, l'impossibilità di una destinazione onerosa [nota 50].

Quale che sia la ragione per la quale il legislatore ha imposto la forma pubblica, negli atti destinatori nei quali viene in questione l'interesse della pubblica amministrazione come soggetto conferente (destinante) si deve vagliare l'eventuale interferenza con il disposto dell'art. 21-quater della legge 7 agosto 1990, n. 241, a tenore del quale «i provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento medesimo».

Può un atto amministrativo di destinazione adottato dalla pubblica amministrazione conferente esser direttamente trascritto in quanto dotato di immediata efficacia ed esecutività?

Si ponga il caso dell'atto unilaterale del Comune con cui si destina un bene immobile ad una ex istituzione di assistenza e beneficenza pubblica affinché abbia la cura di soggetti anziani o disabili.

Come noto, a norma degli artt. 4 e 16 D.lgs. 4 maggio 2001, n. 207 in attuazione della delega posta dalla L. 8 novembre 2000, n. 328, le Ipab che svolgono attività di erogazione di servizi assistenziali devono trasformarsi in aziende pubbliche di servizi alla persona (aventi la personalità giuridica di diritto pubblico); mentre le Ipab nei confronti delle quali si ravvisano alternativamente il carattere associativo, l'ispirazione religiosa ovvero la promozione e l'amministrazione da parte di privati debbono trasformarsi in associazioni o fondazioni di diritto privato.

Si ponga quindi l'ipotesi che il Comune conferente/destinante abbia già assunto le relative delibere e la determina del caso.

La norma, invero, fa riferimento all'atto in forma pubblica, e quindi all'atto pubblico ai sensi degli artt. 2699 e ss. c.c., promanante da un pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo in cui esso è formato e non sembra ammettere equipollenti.

Si conviene sul fatto che il provvedimento amministrativo sia, in determinate circostanze, titolo idoneo alla trascrizione (tali sono, ad esempio, la devoluzione dei beni delle persone giuridiche ex artt. 31 e 32 e la costituzione per atto amministrativo di servitù coattiva ex art. 1032 c.c.).

E va anche ricordato come la giurisprudenza amministrativa si sia espressa nel senso della equiparazione della delibera di giunta municipale all'atto pubblico attribuendogli l'efficacia probatoria privilegiata di documento pubblico fidefaciente ex art. 2700 c.c. [nota 51]

Tuttavia sembra evidente come, nell'art. 2645-ter, il legislatore - nel richiamare il concetto di forma pubblica - abbia voluto far essenzialmente riferimento all'atto pubblico notarile o, comunque, all'atto pubblico promanante da un pubblico ufficiale rogante.

Difficile, quindi, ipotizzare la diretta trascrivibilità del provvedimento amministrativo con cui la pubblica amministrazione si determina all'atto di destinazione.

Senza contare, poi, che la forma pubblica non attiene solo all'estrinseco dell'atto di destinazione, ma, secondo la tesi prevalente, ne permea anche il contenuto essendo più che mai necessario il ministero del pubblico ufficiale che vaglia - anche in punto di valutazione di meritevolezza dell'interesse - e arricchisce la regolamentazione negoziale dell'atto medesimo.

Un ulteriore profilo che merita d'esser vagliato attiene proprio alla vexata quaestio della meritevolezza degli interessi ai sensi dell'articolo 1322, secondo comma, c.c. che deve connotare l'atto di destinazione.

Quale che sia l'impostazione prescelta - mera liceità, utilità sociale, solidarietà, riferibilità a valori costituzionali, che deve ispirare la destinazione - non v'è dubbio che un ampio ruolo giochi nella valutazione dell'interesse in esame il pubblico ufficiale che riceva l'atto di destinazione [nota 52].

Ora, nell'ipotesi in cui parte dell'atto di destinazione sia la pubblica amministrazione (vuoi come soggetto conferente, vuoi come destinatario), è necessario chiarire sin da subito che la circostanza che lo stesso atto sia stato oggetto di una preventiva valutazione da parte dell'amministrazione (che ha - ad esempio - deliberato di destinare un proprio bene per il ricovero dei soggetti disabili; ovvero che ha reputato conveniente assumere la veste di beneficiario di un atto di destinazione posto in essere da un soggetto privato con cui un immobile è stato vincolato per le stesse finalità) non comporta di per sé una attenuazione, se così si può dire, del controllo notarile sulla meritevolezza.

Nel senso che la valutazione dei fini perseguiti con l'atto come meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico non può considerarsi assorbita - neppure parzialmente - dal vaglio che la pubblica amministrazione ne ha fatto con riguardo alla congruenza con i propri scopi e alla convenienza.

Sotto tale profilo sembra potersi ripercorrere l'iter della giurisprudenza sulle clausole vessatorie nei contratti con la pubblica amministrazione [nota 53].

Dall'entrata in vigore del codice del 1942 e sino alla metà degli anni ottanta, infatti, la giurisprudenza aveva in misura prevalente escluso l'applicabilità dell'art. 1341, 2° comma alle clausole vessatorie inserite tra le condizioni generali di contratto predisposte dalla pubblica amministrazione, richiamandosi, tra gli altri argomenti, al principio per il quale l'operato della pubblica amministrazione è istituzionalmente ispirato a fini di interesse generale e di imparzialità e giustizia [nota 54].

Successivamente la Cassazione ha mutato opinione, affermando che la disciplina dell'art. 1341, 2° comma è in principio applicabile ai contratti stipulati dalla P.A. in veste di predisponente [nota 55], facendo leva, fra gli altri argomenti, anche sulla «progressiva erosione delle immunità e dei privilegi storicamente riconosciuti alla P.A.», ponendo l'accento sul principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., alla stregua del quale non si giustifica la disapplicazione dell'art. 1341, 2° comma [nota 56].

Traslando queste conclusioni al nostro caso, quindi, la circostanza che la pubblica amministrazione abbia ritenuto di voler addivenire alla stipula di un atto di destinazione - ancorché ciò faccia presumere il perseguimento di un interesse generale - non esime il Notaio (e neppure il giudice) dal vagliare se effettivamente quel negozio risponda ad un interesse meritevole di tutela secondo l'ordinamento giuridico, né vale a rendere tale compito meno oneroso.

Ipotesi di atto di destinazione

Ipotizzare una casistica di atti di destinazione che vedano come soggetto conferente o beneficiario o ancora interessato la pubblica amministrazione è - allo stato attuale - un'esercitazione di pura fantasia ed in qualche misura ciò evoca sempre la figura del mecenate come soggetto destinante.

Si possono prospettare alcune ipotesi emblematiche sulle quali soffermare l'attenzione per verificare la tenuta di alcune considerazioni sin qui svolte e delle tesi avanzate dalla dottrina sin qui espressasi sulla norma.

Il caso che può più facilmente venire in mente è quello del bene immobile che abbia le caratteristiche di bene culturale.

Il bene è di proprietà di un soggetto privato (persona fisica o ente) il quale intende destinarlo per la durata di novanta anni (la massima prevista) al Comune nel quale esso si trova affinché ne possa fruire la collettività.

è chiaro che rispetto a tale tipo di interesse - a che del bene ne fruisca la collettività - non si possono porre problemi in ordine alla meritevolezza.

Anzi, in qualche misura si rimpiange la circostanza che per talune universalità (pinacoteche, biblioteche, ecc.) non esista un sistema di pubblicità che consenta di farne oggetto di atto di destinazione.

è chiaro altresì che, nell'atto di destinazione, sarà opportuna una dettagliata regolamentazione anche in funzione degli oneri che necessariamente incomberanno sul soggetto destinatario (il Comune) e che, per quanto si è detto, sarà necessario che lo stesso assuma una struttura contrattuale.

In queste ipotesi, la meritevolezza dell'interesse è di tutta evidenza.

Così come non si dovrebbero aver dubbi in ordine alla destinabilità dei frutti di un immobile al fine, ad esempio, di finanziare la ricerca su determinate malattie: si pensi ad una villa ottocentesca, normalmente utilizzata per cerimonie, che venga destinata dal proprietario, per la durata di novanta anni, ad una struttura sanitaria affinché ne utilizzi i canoni della locazione per finanziare la ricerca sulla sclerosi multipla.

Nessun dubbio anche in tal caso.

Struttura contrattuale, regolamentazione dettagliata per garantire la destinazione.

Non crea neppure perplessità la circostanza che nel caso di specie i proventi ricavabili dalla locazione della villa rappresentino una goccia nel mare che andrebbe destinato alla ricerca (valutazione in ordine alla congruità della destinazione rispetto allo scopo).

Qui, semmai, andrebbe disciplinata la diversa utilizzabilità del bene, prevedendo forme di fruizione diverse (non è detto che per i prossimi novanta anni sia sempre conveniente la locazione per cerimonie), che tendano a garantire comunque la redditività del cespite.

Dove la valutazione in ordine alla meritevolezza è più incerta - perché su questa incide la variabilità della normazione in materia e della sensibilità sociale - è, per esempio, nel caso in cui il bene destinando sia un terreno da coltivare a canapa indiana affinché si estraggano delle cure per la stessa patologia di cui sopra, la sclerosi multipla.

Esempio di interesse della cui meritevolezza si può oggi dubitare (anche se vi sono alcune Regioni che si stanno muovendo verso l'adozione dei preparati derivati dalla canapa indiana per la cura di alcune patologie) ma che in futuro potrebbe esser legittimato.

Ma si pensi all'ipotesi in cui, dopo un periodo nel quale la normativa ne ha permesso l'utilizzo terapeutico, il legislatore intervenga nuovamente, vietandone l'uso, anche a fini terapeutici e farmaceutici.

Che ne sarebbe dell'atto di destinazione?

Non sembra d'ostacolo alla configurabilità dell'atto di destinazione, laddove sia individuato un soggetto quale beneficiario/gestore, la circostanza che il soggetto nell'interesse del quale esso è effettuato sia genericamente indicato.

Potrebbe dubitarsi, ad esempio, della validità di un atto di destinazione che sia posto nell'interesse delle persone con disabilità con cui l'immobile viene appunto destinato al Comune, affinché vi ospiti le persone i disabili privi di familiari che se ne possano o intendano occupare?

Si ritiene, invece, improbabile l'utilizzo della norma in esame nel settore dei servizi pubblici locali, come da qualcuno ipotizzato.

In primo luogo, una destinazione che veda come beneficiario una società partecipata da enti locali pone nuovamente il problema della struttura dell'atto di cui si è già dato conto.

La società partecipata non dovrebbe rientrare nel concetto di pubblica amministrazione ai sensi dell'art. 2645-ter: essa è sì organismo di diritto pubblico ai fini della normativa sugli appalti, ma è da inquadrare negli "altri enti" ai fini della norma sugli atti di destinazione.

Quand'anche si trattasse di società interamente in mano pubblica (es. società a partecipazione pubblica totalitaria conferitaria della proprietà delle reti, degli impianti, e delle altre dotazioni patrimoniali ai sensi dell'art. 113, comma 13, del D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267) ciò non inciderebbe sulla struttura dell'atto (che potrebbe a questo punto esser anche unilaterale).

Nell'ipotesi in cui trovi applicazione l'art. 1333 c.c. potrebbe ipotizzarsi esclusivamente una responsabilità degli amministratori della società verso l'ente o gli enti nominanti qualora l'atto stesso non fosse conveniente per l'amministrazione e la società non abbia manifestato il proprio rifiuto.

è difficile, tuttavia, immaginare concretamente un atto di destinazione in questo settore.

Forse un'applicazione concreta potrebbe riguardare l'ipotesi di reti di proprietà di un Comune, ma concretamente utilizzate da un altro ente locale: l'atto di destinazione potrebbe in qualche modo garantire l'utilizzatore quantomeno attraverso l'opponibilità della destinazione trascritta (nell'ipotesi, ad esempio, che, mutata la disciplina legislativa, fosse consentito all'ente proprietario di dismettere le reti e gli impianti).

Ma occorre in tal caso valutare la ricorrenza dell'interesse meritevole, se non anche la stessa liceità della destinazione: da un lato, infatti, gli enti pubblici non possono cedere la proprietà delle reti e degli impianti destinati all'esercizio dei servizi pubblici di rilevanza economica (art. 113, comma 3, D.lgs. 267); dall'altro lato è consentito agli enti locali, anche in forma associata, di conferire la proprietà delle reti, degli impianti, e delle altre dotazioni patrimoniali a società a capitale interamente pubblico, che è incedibile (art. 113, comma 13, D.lgs. 267).

L'atto di destinazione- a patto che se ne ravvisi l'utilità- non sembra violare il disposto del terzo comma e comunque realizzerebbe un effetto "minore" rispetto a quello del conferimento in società consentito dal comma 13.


[nota 1] Numerosi i contributi sull'art. 2645-ter apparsi sinora. Fra gli altri, la monografia di BIANCA-D'ERRICO-DE DONATO-PRIORE, L'atto notarile di destinazione. L'art. 2645-ter del codice civile, Milano, 2006. Tra i primi commenti apparsi su rivista: PETRELLI, «La trascrizione degli atti di destinazione», in Riv. dir. civ., 2006, II, p. 161 e ss.; GAZZONI, «Osservazioni sull'art. 2645-ter», in Giust. civ., 2006, II, p. 165; BARTOLI, «Prime riflessioni sull'art. 2645-ter c.c. e sul rapporto fra negozio di destinazione di diritto interno e trust», in Corr. merito, 2006, p. 697 e ss.; LUPOI, «Gli "atti di destinazione" nel nuovo art. 2645-ter c.c. quale frammento di trust», in Riv. not., 2006, p. 467 e ss.; PICCIOTTO, «Brevi note sull'art. 2645-ter: il trust e l'araba fenice», in Contr. e impresa, 2006, p. 1314 e ss.; FRANCO, «Il nuovo art. 2645-ter c.c.», in Notariato, 2006, p. 315 ss.; MANES, «La norma sulla trascrizione di atti di destinazione è, dunque, norma sugli effetti», in Contr. e impresa, 2006, p. 626 e ss.; ALESSANDRINI CALISTI, «L'atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c. non esiste? Brevi considerazioni a margine della pronuncia del tribunale di Trieste in data 7 aprile 2006», in Notariato, 2006, p. 539 e ss.; CALIENDO, «L'art. 2645-ter del codice civile. Atti di destinazione. Tra teorie ed applicazioni pratiche», in Gazz. not., 2006, p. 321 e ss.; BIANCA, «Notazioni a margine di un provvedimento del giudice tavolare di Trieste», in Giust. civ., 2006, II, p. 187; VETTORI, «Atto di destinazione e trust: prima lettura dell'art. 2645-ter», in Obbl. e contratti, 2006, p. 775.

Per i contributi rinvenibili on line:

Sul sito www.scuoladinotariatodellalombardia.org gli atti del Convegno di Milano del 19 giugno 2006 (DE ROSA, «Atti di destinazione e successione del disponente»; DE NOVA, «Esegesi dell'art. 2645-ter c.c.»; DE DONATO, «Elementi dell'atto di destinazione»; D'ERRICO, «Trascrizione del vincolo di destinazione»; NUZZO, «Atto di destinazione, interessi meritevoli di tutela e responsabilità del Notaio»; SPADA, «Il vincolo di destinazione e la struttura del fatto costitutivo»; BIANCA, «L'atto di destinazione: Problemi applicativi»).

Sul sito www.fondazionenotariato.it gli atti del Convegno di Rimini del 1° luglio 2006 (BARALIS, «Prime riflessioni in tema di art. 2645-ter c.c.»; SCADUTO, «Gli interessi meritevoli di tutela: "autonomia privata delle opportunità" o "autonomia privata della solidarietà»; D'ERRICO, «Le modalità della trascrizione ed i possibili conflitti che possono porsi tra beneficiari, creditori ed aventi causa del "conferente"»; MALTONI, «Il problema della effettività della destinazione»; ROJAS ELGUETA, «Il rapporto fra l'art. 2645-ter c.c. e l'art. 2740 c.c.: un'analisi economica della nuova disciplina»; FRATTA PASINI, «Il nuovo art. 2645-ter del codice civile (le preoccupazioni del mondo bancario)»; MORANDI, «Gli atti di destinazione nell'esperienza degli Stati Uniti d'America»; FUSARO, «Le posizioni dell'accademia nei primi commenti all'art. 2645-ter»; ZOPPINi, «Postilla» alla relazione di Fusaro), in questo volume.

Sul sito www.economia.uniroma2.it, gli atti del Convegno di Roma del 28-29 settembre 2006 (DORIA, «Le nuove forme di organizzazione del patrimonio (relazione introduttiva)»; ROSELLI, «Atti di destinazione del patrimonio e tutela del creditore»; SPADA, «Destinazioni patrimoniali ed impresa - (patrimonio dell'imprenditore e patrimoni aziendali)»; GENTILI, «Destinazioni patrimoniali, trust e tutela del disponente»).

Sul sito www.judicium.it, l'articolo di GAZZONI, «Osservazioni sull'art. 2645-ter».

Sul sito www.notartel.it nella sezione Cnn Notizie, gli studi di TONDO, «Atti destinatori. Per un'applicazione diretta di c.c. art. 2645-ter»; ALESSANDRINI CALISTI, «Il nuovo articolo 2645- ter del codice civile: la mancata destinazione dei beni allo scopo e le conseguenze sulla limitazione della responsabilità»; DI SIMONE, «Prime riflessioni in merito agli effetti conseguenti al fenomeno della funzionalizzazione dei beni ad un scopo nei vincoli tipici e atipici».

Sono stati inoltre consultati, per gentile concessione degli Autori gli scritti relativi a questo Convegno- in versione provvisoria - di SPADA, «Articolazione del patrimonio da destinazione iscritta», CASU, «I negozi di destinazione a tutela della pianificazione urbanistica» e TONDO, «Appunti sul vincolo di destinazione. L'art. 2645-ter c.c.», in questo volume.

Sull'art. 2645-ter, si segnala, infine, la Circolare Agenzia del Territorio del 7 agosto, n. 5/2006, oggetto: "Art. 2645- ter del codice civile - Trascrivibilità degli atti di destinazione per fini meritevoli di tutela - Modalità di attuazione della pubblicità immobiliare".

[nota 2] Si tratta del decreto del giudice tavolare presso il tribunale di Trieste del 7 aprile 2006, in Cnn Notizie del 2 maggio 2006, con commento di METALLO, «La prima pronuncia sull'art. 2645-ter c.c.», e in Notariato, 2006, p. 539, con nota di ALESSANDRINI CALISTI, op. cit.

[nota 3] Come affermato dalla dottrina prevalente. Sul punto, FUSARO, «Le posizioni dell'accademia nei primi commenti all'art. 2645-ter», cit.

[nota 4] TONDO, «Appunti sul vincolo di destinazione. L'art. 2645-ter c.c, cit.

[nota 5] Ritiene ad esempio estensibile la destinazione a beni mobili regolati da diversa pubblicità (brevetti, marchi, opere filmiche … ) BARALIS, «Prime riflessioni generali in tema di art. 2645-ter c.c.», cit. Favorevoli ad una estensione alla quote di Srl SPADA, «Articolazione del patrimonio da destinazione iscritta», cit. e DE DONATO, «Elementi dell'atto di destinazione», cit.

[nota 6] SCADUTO, «Gli interessi meritevoli di tutela: "autonomia privata delle opportunità" o "autonomia privata della solidarietà», cit.

[nota 7] SPADA, «Il vincolo di destinazione e la struttura del fatto costitutivo», cit. con collegamento sistematico con le finalità alla legge sull'impresa sociale (D.lgs. 24 marzo 2006, n. 155).

[nota 8] GAZZONI, «Osservazioni sull'art. 2645-ter», cit. secondo il quale la finalità destinatoria deve poter essere ricompresa in quel concetto di pubblica utilità, che un tempo era alla base del riconoscimento delle fondazioni. Sennonché, rispetto a tale affermazione, l'obiezione più ricorrente è rappresentata dal fatto che il nuovo sistema per il riconoscimento delle persone giuridiche (D.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361) non prevede più la necessaria ricorrenza dell'utilità sociale da accertarsi mediante un incisivo controllo pubblico, essendo all'uopo sufficiente la mera liceità dello scopo e che il patrimonio risulti adeguato alla sua realizzazione. DE DONATO, «Elementi dell'atto di destinazione», cit., con ampia determinazione della gamma di interessi legislativamente individuati da varie disposizioni

[nota 9] Ritiene che non sia necessario che lo scopo debba essere di utilità sociale, ma che per altro verso non sia sufficiente che lo scopo non sia illecito, necessitando comunque di un apprezzamento positivo che deve aver peraltro riguardo alla congruità della destinazione rispetto allo scopo, sia quanto alla durata, sia quanto al valore dei beni destinati, DE NOVA, «Esegesi dell'art. 2645-ter c.c.» cit. Analogamente, rinvenendo tuttavia una diversa rilevanza del giudizio di meritevolezza sull'atto di destinazione (la mancanza di meritevolezza rende nullo l'atto) e a fini della sua pubblicità (la mancanza di meritevolezza rende inefficace la pubblicità relativa al vincolo) BARALIS, «Prime riflessioni in tema di art. 2645-ter c.c.» cit.: in tale seconda prospettiva, la valutazione di meritevolezza opera non come mero controllo di liceità della causa ma come controllo di congruenza fra mezzo e scopo. Ritiene inoltre l'A. da ultimo citato che sia necessaria l'individuazione di una gerarchia di interessi da tutelare in forza della quale nell'ambito delle quattro categorie individuate dalla norma, si deve distinguere fra quelle "elettive" (persone con disabilità e P.A.) e quelle "generiche" (altri enti o persone fisiche) per le quali ultime è necessaria una cernita della meritevolezza più rigorosa. In ogni caso, conclude l'A., il controllo notarile sulla meritevolezza ai fini della trascrizione pone problemi disciplinari solo allorquando coinvolge questioni di liceità (atti espressamente proibiti dalla legge).

Distingue i due profili della fattispecie primaria (atto di destinazione) e della fattispecie secondaria (opponibilità della separazione) anche NUZZO, «Atto di destinazione, interessi meritevoli di tutela e responsabilità del Notaio», cit. secondo il quale in mancanza di un interesse meritevole di tutela - pur rimanendo valido l'atto di destinazione - non si realizza questo secondo effetto (di opponibilità). Da ciò, secondo l'A., pare difficile desumere profili di responsabilità ex art. 28 della legge notarile al di là dei limiti del controllo della non contrarietà a norme imperative, all'ordine pubblico, al buon costume.

Secondo DORIA, «Relazione introduttiva», cit., «la finalità destinatoria segregante, autonomamente selezionata dal soggetto, si profila, dunque, "meritevole" nella misura in cui ordini e orienti la massa patrimoniale al raggiungimento di interessi propri della collettività, individuati e perseguiti in via immediata ovvero per il tramite del soddisfacimento di interessi appartenenti alla sfera individuale (anche economica) di uno o più beneficiari determinati o determinabili, indipendentemente dalla circostanza che, specie nei casi in cui la destinazione sia obiettivamente, e in concreto, idonea a mettere in atto, incentivare o concorrere, nei diversi settori in cui si scandisce l'organizzazione collettiva, a un processo di sviluppo socio-economico, siano ravvisabili vantaggi economici mediati e, comunque, estranei alla attuazione della destinazione, per il titolare del "patrimonio finalizzato" ».

[nota 10] Secondo l'orientamento prevalente, la norma opera su due piani: quello obbligatorio della destinazione del bene, che come tale concerne solo le parti; e quello della separazione/segregazione del bene dal restante patrimonio del soggetto conferente, separazione che è opponibile ai terzi in forza della trascrizione. BARALIS, «Prime riflessioni in tema di art. 2645-ter c.c.», cit., ritiene che l'effetto della segregazione non segua necessariamente il vincolo di destinazione, ma sia eventuale, aggiungendosi in molti casi a quello della destinazione ma non essendone elemento necessario.

[nota 11] Solo in senso molto lato e generico la situazione sostanziale nascente dall'atto di destinazione può equipararsi a quella di un diritto reale (così BARALIS, «Prime riflessioni in tema di art. 2645-ter c.c.», cit.). Per la realità propende D'ERRICO, «Trascrizione del vincolo di destinazione», cit., per il quale, pur in assenza di un accordo obbligatorio con il beneficiario, il legislatore riconosce al beneficiario, in veste di interessato, la facoltà di agire per la realizzazione della destinazione, il che si spiega solo configurando la posizione beneficiaria come nuova situazione reale su bene altrui. La realità discende dalla opponibilità del vincolo, anche a seguito di vicende circolatorie del bene destinato, per DE DONATO, «Elementi dell'atto di destinazione», cit.; BIANCA, «L'atto di destinazione: problemi applicativi», cit.; PETRELLI, «La trascrizione degli atti di destinazione», cit.; GAZZONI, «Osservazioni sull'art. 2645-ter», cit.

[nota 12] Per ROSELLI, «Atti di destinazione del patrimonio e tutela del creditore» , cit., «dall'atto di destinazione sorge dunque un vincolo obbligatorio, in cui debitore è il destinante o, in caso di alienazione del bene destinato con vincolo trascritto, l'acquirente o ancora ed eventualmente il gestore in quanto mandatario senza rappresentanza; creditore è il beneficiario ossia il titolare dell'interesse meritevole di tutela».

[nota 13] Qualifica l'atto di cui all'art. 2645-ter come atto atipico di destinazione patrimoniale che consente ai privati di realizzare la destinazione patrimoniale sia attraverso la struttura che sia più congeniale ai loro interessi, sia attraverso la fissazione delle finalità cui il patrimonio deve essere destinato BIANCA, «L'atto di destinazione: problemi applicativi», cit. Ritiene che la norma abbia introdotto una nuova tipologia effettuale, complementare a quella traslativa e a quella obbligatoria, PICCIOTTO, «Brevi note sull'art. 2645-ter: il trust e l'araba fenice», cit., p. 1318, secondo il quale la norma regola un nuovo effetto di tipo reale che sia accompagna e integra il tipo negoziale, quale che ne sia la causa (donazione, compravendita, permuta, mandato) elevandolo a rango di effetto trascrivibile (1322).

[nota 14] V. infra, par. "La forma e la struttura dell'atto di destinazione che veda la pubblica amministrazione come conferente, beneficiario o interessato. Il giudizio di meritevolezza".

[nota 15] In realtà appaiono ammissibili sia atti di destinazione accompagnati da negozi traslativi della proprietà ad un terzo, che diverrebbe "attuatore" della destinazione, sia- e a maggior ragione- atti di destinazione nei quali il destinante non si spoglia della proprietà ma si limita ad imporre il vincolo del quale potrà esser egli stesso attuatore, ovvero del quale attuatore sia un terzo in forza di mandato gestorio o di pactum fiduciae. D'ERRICO, «Trascrizione del vincolo di destinazione», cit., individua le seguenti possibili varianti: a) il conferente conserva la titolarità dei beni, determina ed attua la destinazione; b) il conferente conserva la titolarità dei beni, pone in essere il negozio di destinazione, ne affida l'attuazione a terzi; c) il conferente raggiunge gli stessi risultati attraverso una struttura negoziale bilaterale con la quale attribuisce strumentalmente all'attuatore il bene destinato cui può accompagnarsi un pactum fiduciae, in virtù del quale il "proprietario formale" è tenuto ad impiegare il bene trasferito solo per la realizzazione dello scopo fissato con la destinazione, raggiunto il quale o divenuto impossibile lo stesso, è obbligato a ritrasferire il bene al destinante, nonché un mandato al fiduciario per utilizzare il bene trasferito fiduciariamente per la realizzazione dello scopo della destinazione; d) il titolare dei beni aliena il bene e contestualmente le parti pattuiscono il vincolo di destinazione in favore dell'alienante: in tal caso conferente è l'acquirente e non l'alienante; e) il conferente procede ad una attribuzione transitoria (a termine), risolutivamente condizionata alla realizzazione della destinazione, a favore del soggetto attuatore della destinazione.

[nota 16] V. infra, par. "La forma e la struttura dell'atto di destinazione che veda la pubblica amministrazione come conferente, beneficiario o interessato. Il giudizio di meritevolezza".

[nota 17] In senso nettamente contrario alla onerosità della destinazione e alla ricorrenza di una causa solvendi, GAZZONI, «Osservazioni sull'art. 2645-ter», cit. In senso favorevole BARALIS, «Prime riflessioni in tema di art. 2645-ter c.c.», cit.

[nota 18] La destinazione in forza di testamento è ammessa dalla maggior parte degl Autori, anche se si ritiene necessario il testamento pubblico (DE DONATO, «Elementi dell'atto di destinazione», cit.; DE ROSA, «Atti di destinazione e successione del disponente», cit.; D'ERRICO, «Le modalità della trascrizione ed i possibili conflitti che possono porsi tra beneficiari, creditori ed aventi causa del "conferente"», cit.).

[nota 19] Escludono, fra gli altri, la possibilità di autodestinazione DORIA, «Relazione introduttiva», cit.; SPADA, «Articolazione del patrimonio da destinazione iscritta», cit.; BARALIS, «Prime riflessioni in tema di art. 2645-ter c.c.», cit.

[nota 20] La trascrizione ha funzione costitutiva della insensibilità del bene destinato e della inerenza del vincolo, similmente all'ipoteca, per SPADA, «Articolazione del patrimonio da destinazione iscritta», cit., secondo il quale essa non genera, propriamente, opponibilità. Ha efficacia costitutiva rispetto alla separazione per D'ERRICO, «Trascrizione del vincolo di destinazione», cit. e BARALIS, «Prime riflessioni in tema di art. 2645-ter c.c.», cit.

[nota 21] Sul punto, MALTONI, «Il problema della effettività della destinazione», cit. e DE DONATO, «Elementi dell'atto di destinazione», cit.

[nota 22] Sul punto, in particolare, DE ROSA, «Atti di destinazione e successione del disponente», cit.

[nota 23] V. in particolare, sul punto, DE DONATO, «Elementi dell'atto di destinazione», cit.

[nota 24] Sul punto, DORIA, «Relazione introduttiva», cit.; LUPOI, «Gli "atti di destinazione" nel nuovo art. 2645-ter c.c. quale frammento di trust», cit.; MANES, «La norma sulla trascrizione di atti di destinazione è, dunque, norma sugli effetti», cit.; BARTOLI, «Prime riflessioni sull'art. 2645-ter c.c. e sul rapporto fra negozio di destinazione di diritto interno e trust», cit.; ZOPPINI, «Postilla», cit.

[nota 25] NAPOLITANO, Pubblica amministrazione, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da Cassese, V, Milano, 2006, p. 4745; TARELLO, L'interpretazione della legge, in Tratt. Cicu-Messineo, I, t. 2, Milano, 1980, p. 137.

[nota 26] NIGRO, voce Amministrazione pubblica (organizzazione giuridica dell'), in Enc. Giur., III, Roma, 1988; NAPOLITANO, Pubblica amministrazione, cit., p. 4741.

[nota 27] SANDULLI, Diritto amministrativo applicato, in Cassese, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2005, p. 2.

[nota 28] SANDULLI, Diritto amministrativo applicato, cit., p. 3. Conforme NAPOLITANO, Pubblica amministrazione, cit., p. 4746, il quale evidenzia come la definizione contenuta nella legge 165 del 2001 abbia la vocazione alla generalità, assumendo una posizione preminente tra le varie definizioni di pubblica amministrazione. L'A. da ultimo citato pone peraltro il dubbio che tale vocazione generalizzata abbia anche la normativa che mira a garantire l'osservanza dei vincoli di finanza pubblica, (v. art. 1, comma 5, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, che contiene una elenco ancor più ampio di soggetti, alcuni anche ordinati in forma privatistica) che potrebbe pertanto "sostituire" quella contenuta nella legge del 2001.

[nota 29] CHITI, L'organismo di diritto pubblico e la nozione comunitaria di pubblica amministrazione, in Associazione italiana dei Professori di diritto amministrativo, Annuario 1999-2000, Milano, 2001, p. 7 e ss.; MERUSI, «La natura delle cose come criterio di armonizzazione comunitaria nella disciplina sugli appalti», in Riv. it. dir. pubbl. com., 1998, p. 561 e ss.; CASSESE, Le basi costituzionali, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di Cassese, II, c.d. Diritto amministrativo generale, Milano, 2003, p. 173 e ss., p. 199 e ss. Con particolare riguardo alle società miste, GRECO, «Appalti di lavori affidati da una SpA in mano pubblica: un revirement giurisprudenziale non privo di qualche paradosso», in Riv. it. dir. pubbl. com., 1995, p. 1062 e ss.; SORACE, «Pubblico e privato nella gestione dei servizi pubblici locali», in Riv. it. dir. pubbl. com., 1997, p. 51 e ss.; RIGHI, «La nozione di organismo di diritto pubblico nella disciplina comunitaria degli appalti: società in mano pubblica e appalto di servizi», in Riv. it. dir. pubbl. com., 1996, p. 347 e ss.; GOISIS, Contributo ad uno studio delle società in mano pubblica come persona giuridica, Milano, 2004, p. 288 e ss.; GIAMPAOLINO, «Società miste nell'evoluzione della legislazione sui lavori pubblici», in Appalti, urbanistica edilizia, 1998, p. 515 e ss.; ID., «La costituzione delle società a partecipazione pubblica locale per la gestione dei servizi pubblici e l'autonomia privata degli enti pubblici territoriali», in Giur. comm., 1995, p. 998 e ss.

[nota 30] Ne è un esempio, quanto affermato dal Consiglio di Stato sez. VI, con sentenza 17 settembre 2002, sul diritto di accesso agli atti dell'Enel SpA e le sue consociate: «con riguardo alla disciplina dell'accesso, la nozione di pubblica amministrazione e più in generale dei soggetti indicati dall'art. 23 della legge n. 241/90 deve essere intesa in senso ampio tale da ricomprendere anche gli organismi di diritto pubblico. Peraltro, nel caso di specie, la qualificazione di Enel.it come organismo di diritto pubblico deriva dal riconoscimento che si tratta di un soggetto che opera quale "branca informatica" di Enel SpA, gestore di pubblico servizio. Pertanto, non appare ragionevole una interpretazione che condurrebbe a ritenere assoggettato alla disciplina sull'accesso l'attività di una divisione (informatica) di Enel SpA e non soggetta la (sostanzialmente analoga) attività svolta da un organismo solo formalmente separato. Il principio di trasparenza, cui è finalizzata la normativa in materia di accesso, abbraccia ogni attività espletata in ossequio al principio di imparzialità della P.A., intesa in senso ampio. L'accesso va quindi garantito nei casi in cui una norma comunitaria o di diritto interno imponga al soggetto pubblico (anche organismo di diritto pubblico) l'attivazione di procedimenti per la formazione delle proprie determinazioni, in specie per la scelta dei propri contraenti».

[nota 31] V., ad esempio, Cons. Stato, sez. II, 30 giugno 2004, n. 2957/04, in Cons. Stato, 2005, I, p. 140, secondo cui «la nozione comunitaria di "organismo di diritto pubblico" (di cui alla direttiva 92/50/Cee, come recepita dal D.lgs. 17 marzo 1995 n. 157) non incide né tanto meno altera la natura giuridica (pubblica o privata) dei soggetti cui si riferisce: essa assume rilievo ai soli fini della individuazione della normativa applicabile per la scelta dell'erogatore dei servizi e, conseguentemente la normativa comunitaria in materia ben può applicarsi pure a soggetti di diritto privato (quali ad esempio le fondazioni bancarie) laddove sussistano, congiuntamente, i tre presupposti previsti dalla direttiva n. 92/50 e dall'art. 2, 1º comma, lett. b), D.lgs. 17 marzo 1995 n. 157: il possedere la «personalità giuridica», il «soddisfare specifiche finalità di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale» e subire l'influenza dominante di un apparato pubblico sotto i tre profili alternativi del finanziamento, del controllo o dell'organizzazione (l'avere «organi di amministrazione, di direzione o di vigilanza costituiti, almeno per la metà, da componenti designati» da «soggetti pubblici»)».

[nota 32] Emblematico quanto affermato da Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale Lombardia, ordinanza n. 32 del 9 febbraio 2005: «ulteriori argomenti a favore della sussistenza della giurisdizione contabile di responsabilità sui dipendenti della SpA in mano pubblica possono trarsi dalla normativa e dalla giurisprudenza amministrativa. è noto come, sull'influsso della giurisprudenza comunitaria (spinta dalla necessità di individuare formule definitorie atte ad operare in ordinamenti caratterizzati da rilevanti diversità), si sia affermata anche in Italia una nozione sostanziale di pubblica amministrazione, che prescinde dagli aspetti formali caratterizzanti l'organizzazione ovvero la funzione dell'ente, per concentrare la propria attenzione sull'elemento funzionale della relativa attività e, in particolare, sul soddisfacimento diretto di bisogni di interesse generale. A tal fine, con particolare riferimento alla problematica degli appalti pubblici (in merito alla quale è particolarmente avvertita l'esigenza di salvaguardare la piena concorrenza degli operatori economici comunitari), alla nozione di pubblica amministrazione si è sostituita - o, quanto meno, affiancata - quella di organismo di diritto pubblico, nel senso di equiparare quest'ultimo, a tutti gli effetti, all'ente pubblico. L'organismo di diritto pubblico, ai sensi dell'art. 2 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, come da ultimo modificata dal decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 30 - disposizione che si conforma, nel punto, a quanto stabilito in ambito comunitario dall'art. 1, comma 9 della direttiva Cee 3 febbraio 2004, in attesa di pubblicazione sulla G.U.C.E. - è definito come «qualsiasi organismo con personalità giuridica, istituito per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale e la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province autonome di Trento e Bolzano, dagli enti locali, da altri enti pubblici o da altri organismi di diritto pubblico, ovvero la cui gestione sia sottoposta al controllo di tali soggetti, ovvero i cui organismi di amministrazione, di direzione o di vigilanza siano costituiti in misura non inferiore alla metà dei componenti designati dai medesimi soggetti». Dall'esame di tale norma, la giurisprudenza ha ricavato i tre parametri per identificare l'organismo di diritto pubblico: l'influenza dominante di un ente pubblico, la personalità giuridica ed il c.d. requisito teleologico (il carattere generale e la natura non industriale o commerciale dell'attività svolta). Come si vede, nessun rilievo assume, al fine dell'inquadramento dell'ente all'interno di tale categoria, l'eventuale sua veste societaria, considerata "neutrale" in ordine all'accertamento della c.d. pubblicità reale. A riprova della neutralità della veste societaria, vale la pena ricordare che la Corte Costituzionale (Corte Cost., sent. 28 dicembre 1993 n. 466), nel decidere il conflitto di attribuzioni tra la Corte dei Conti ed il Governo della Repubblica, ha avuto modo di affermare che spetta a detta Corte il controllo sulla gestione delle società per azioni derivanti dalla trasformazione dell'Iri, Eni, Ina ed Enel fin quando permanga una partecipazione esclusiva o maggioritaria dello Stato al capitale azionario di tali società, osservando tra l'altro che le ragioni, che stanno alla base del controllo spettante alla Corte del Conti sugli enti pubblici economici sottoposti a trasformazione, non possono considerarsi superate in conseguenza del solo mutamento della veste giuridica degli stessi enti, e che il controllo verrà a perdere la propria ragion d'essere solo nel momento in cui «il processo di privatizzazione avrà assunto connotati sostanziali tali da determinare l'uscita delle società derivate dalla sfera della finanza pubblica». Posta, comunque, l'indubbia rilevanza del fatto che, come ricordato dalla Procura regionale, all'epoca dei fatti la partecipazione pubblica al capitale dell'Enel era maggioritaria, pare opportuno svolgere sul punto ancora alcune ulteriori considerazioni. Il rinvio operato dal Giudice delle Leggi all'ipotesi di "partecipazione pubblica maggioritaria" deve intendersi riferito non solo al (sempre più raro) caso di possesso in mano pubblica di una quota azionaria superiore al 50% ma anche alle ipotesi di possesso del c.d. pacchetto di controllo (e, cioè, di quella quota azionaria che, seppure inferiore al 50%, consente, in ipotesi di azionariato diffuso, il controllo della società). Tale, in particolare, è la situazione attuale dell'Enel SpA, in cui ad una quota azionaria pubblica del 48% si contrappone un 52% che, in mano ad un vasto numero di soggetto privati, risulta inidoneo a sottrarre all'azionista pubblico il controllo della società».

[nota 33] Cass., Sez. Un., 1° aprile 2004, n. 6408, in Foro it., Rep. 2004, Contratti della P.A., n. 251: «in relazione alla disciplina in materia di appalti di servizi dettata dalla direttiva del consiglio 92/50/Cee del 18 giugno 1992 (come interpretata dalla giurisprudenza comunitaria al riguardo: sentenze della Corte di Giustizia 15 gennaio 1998, in causa 44/96, 10 novembre 1998, in causa 360/96, e 10 maggio 2001, in cause riunite C-223/99 e C-260/99) e dal D.lgs. 17 marzo 1995 n. 157, di attuazione della medesima direttiva, la SpA Autovie Venete costituisce organismo di diritto pubblico, essendo istituita per soddisfare specifiche finalità di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale (tali essendo quelle, statutariamente connesse all'attività di costruzione e di gestione di autostrade, concernenti la sicurezza del traffico e il mantenimento dei livelli di esercizio), e rispondendo per altro verso a tutti gli altri requisiti previsti dall'art. 1, lett. b), citata direttiva (oltre alla personalità giuridica, essendovi nella specie totale partecipazione pubblica, finanziamento pubblico e designazione di tutti i membri del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale da parte dei soci pubblici); pertanto, spetta alla giurisdizione del giudice amministrativo, e non a quella del giudice ordinario, la cognizione della controversia relativa all'aggiudicazione di un appalto di pubblico servizio da parte della predetta società, in relazione alla qualità di organismo di diritto pubblico e, quindi, di amministrazione aggiudicatrice della medesima, tenuta, perciò, nell'affidamento dell'appalto, all'osservanza della disciplina di derivazione comunitaria in materia di procedure di aggiudicazione ad evidenza pubblica (principio espresso in fattispecie anteriore all'operatività del nuovo criterio di riparto di giurisdizione di cui all'art. 33 D.lgs. 31 marzo 1998 n. 80, nel testo sostituito ad opera dell'art. 7 L. 21 luglio 2000 n. 205)».

Rientrano altresì nell'ambito degli organismi di diritto pubblico, perché in possesso dei tre requisiti (personalità giuridica; perseguimento della soddisfazione di bisogni di interesse generale di carattere non industriale o commerciale; sussistenza di una dominanza pubblica) le Casse Nazionali di previdenza e assistenza (Cass. 15 maggio 2006, n. 11088; Cons. Stato, sez. VI, sent. 23 gennaio 2006, n. 182). O, ancora, la Fondazione Accademia di Santa Cecilia (Cass. S.U., 8 febbraio 2006, n. 2637).

[nota 34] T.A.R. Lazio, sez. III, 19-11-2004, n. 13574, in Foro amm.-Tar, 2004, p. 3375: «l'attività contrattuale posta in essere dall'università del Sacro Cuore di Milano, per le esigenze proprie del policlinico A. Gemelli di Roma, in materia di trasporto di infermi, bioliquidi e sangue, non è assoggettata alla disciplina di cui alla direttiva comunitaria 92/50/Cee ed al D.lgs. n. 157/95, in quanto le università libere non possono essere annoverate tra le amministrazioni aggiudicatrici di cui all'art. 2, lett. a) D.lgs. cit., ma tra gli organismi di diritto pubblico, di cui alla successiva lett. b); nel caso di specie, il detto ateneo non è organismo di diritto pubblico in quanto ha sì personalità giuridica e persegue una missione pubblica, ma non è finanziato in modo maggioritario da soggetti pubblici o da questi controllato nella gestione, né i suoi organi di amministrazione, di direzione e vigilanza sono costituiti, almeno per la metà, da componenti designati da soggetti pubblici». Altre volte la giurisprudenza ha escluso tale qualificazione perché l'attività del soggetto interessato non è finalizzata alla realizzazione di bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale (Cass. S.U., 4 maggio 2006, n. 10218; T.A.R. Piemonte, Torino, sez. II, sent. 3 marzo 2004, n. 362, con riguardo al Comitato organizzatore dei XX Giochi Olimpici invernali Torino 2006),

[nota 35] Cass. S.U., 12 maggio 2005, n. 9940.

[nota 36] CASSESE, Il sistema amministrativo italiano, Bologna, 1983, p. 15 e ss.

[nota 37] Secondo NAPOLITANO, Pubblica amministrazione, cit., p. 4749, dalla complessiva analisi del sistema se ne desume «che non vi è una definizione unitaria di pubblica amministrazione; che le pubbliche amministrazioni possono essere definite o elencate, secondo diversi criteri, ora formali, ora sostanziali; che le nozioni di pubblica amministrazione sono sia di fonte normativa sia di fonte giurisprudenziale; che queste nozioni di contenuto variabile non costituiscono un elenco chiuso, perché, per altri scopi, leggi o giurisprudenza possono scegliere altre nozioni, a seconda dell'interesse protetto».

[nota 38] Ove si acceda alla tesi che ammetta l'interessato come determinabile e non necessariamente come determinato: v. SPADA, «Articolazione del patrimonio da destinazione iscritta», cit.; GAZZONI, «Osservazioni sull'art. 2645-ter», cit., che ammette anzi la destinazione successiva in favore di più soggetti il primo determinato, gli altri determinabili. BIANCA, «L'atto di destinazione: Problemi applicativi», cit., che non ammette il beneficiario non determinato a meno che non sia individuato il soggetto che si faccia portatore di tali interessi (es. la direttrice di un istituto di cura per i disabili). Analogamente BARALIS, «Prime riflessioni in tema di art. 2645-ter c.c.», cit. Contra, ROSELLI, «Atti di destinazione del patrimonio e tutela del creditore», cit., che fa salvo, appunto, il caso in cui si ravvisi l'ente pubblico quale beneficiario.

[nota 39] D'ERRICO, «Trascrizione del vincolo di destinazione», cit.; DE DONATO, «Elementi dell'atto di destinazione», cit.; DORIA, «Relazione introduttiva», cit., che ammette inoltre la possibile - ma non indispensabile - colorazione fiduciaria del trasferimento; NUZZO, «Atto di destinazione, interessi meritevoli di tutela e responsabilità del Notaio», cit.

[nota 40] BIANCA, «L'atto di destinazione: Problemi applicativi», cit., che riconduce la struttura contrattuale alle sole ipotesi di atto di destinazione mortis causa.

[nota 41] PETRELLI, «La trascrizione degli atti di destinazione», cit.; DE NOVA, «Esegesi dell'art. 2645-ter», cit.

[nota 42] GAZZONI, «Osservazioni sull'art. 2645-ter», cit. Per BARALIS, «Prime riflessioni in tema di art. 2645-ter c.c.», cit., trova applicazione la disciplina dell'art. 1333 c.c. (contratto con obbligazioni del solo proponente con conseguente irrevocabilità della proposta come giunta a conoscenza del destinatario che potrà rifiutarla nei termini richiesti dalla natura dell'affare o dagli usi; in mancanza del rifiuto il contratto è concluso) ma non quella dell'art. 1334 c.c., per la riserva di cui all'art. 1987 c.c.

[nota 43] SPADA, «Il vincolo di destinazione e la struttura del fatto costitutivo», cit. secondo il quale «non c'è contratto con il beneficiario (che può anche non essere identificato) - contratto che, ove provocasse una attribuzione obbligatoria o reale diretta al destinante, porrebbe le premesse per qualificare la c.d. destinazione come un contratto di scambio o una donazione modale; ma neppure c'è contratto di destinazione con il gestore - la cui compatibilità con la fattispecie si ricava con sicurezza dal dato testuale che identifica nel "conferente" uno dei legittimati alla realizzazione dell'interesse che funzionalizza la destinazione. Quel che è certamente prospettabile è che la destinazione sia collegata ad un'attribuzione, questa sì contrattuale».

[nota 44] In tal senso, v. Circolare Ministero Finanze- Dipartimento Territorio 11 febbraio 2000, n. 22/T "Acquisizione di beni devoluti allo Stato per eredità. Procedura di accettazione di atti di liberalità disposti in favore dello Stato".

[nota 45] GAZZONI, «Osservazioni sull'art. 2645-ter», cit. Condivide la necessità della struttura contrattuale ove beneficiato sia un ente, poiché l'atto di destinazione potrebbe esser contrario ai suoi scopi e quindi da rifiutare anche BARALIS, «Prime riflessioni in tema di art. 2645-ter c.c.», cit.

[nota 46] In tal senso FRANCO, «Il nuovo art. 2645-ter c.c.», cit.

[nota 47] SCADUTO, «Gli interessi meritevoli di tutela: "autonomia privata delle opportunità" o "autonomia privata della solidarietà», cit.; BIANCA, «L'atto di destinazione: problemi applicativi», cit.

[nota 48] PETRELLI, «La trascrizione degli atti di destinazione», cit.; CALIENDO, «L'art. 2645-ter del codice civile. Atti di destinazione. Tra teorie ed applicazioni pratiche» cit.; BIANCA-D'ERRICO-DE DONATO-PRIORE, L'atto notarile di destinazione. L'art. 2645-ter del codice civile, cit., p. 35.

[nota 49] SPADA, «Il vincolo di destinazione e la struttura del fatto costitutivo», cit.

[nota 50] GAZZONI, «Osservazioni sull'art. 2645-ter», cit., che ne desume, peraltro, la necessità della presenza dei testimoni.

[nota 51] Cons. Stato Sez. V 8 settembre 1992 n. 755, in Foro Amm., 1992, p. 1899.

[nota 52] Sul punto evidenzia BIANCA, «L'atto di destinazione: problemi applicativi», cit., il rilievo significativo che ha la redazione di un atto completo e ricco di disposizioni integrative, il che può avvenire sia attraverso l'inserimento di clausole negoziali, sia attraverso l'applicazione analogica di altre disposizioni destinatorie già presenti nel sistema.

[nota 53] Sul tema, da ultimo, MEMMO, «L'attività contrattuale delle P.A. e i principi di diritto comune nella riforma del procedimento amministrativo a seguito della L. n. 15 del 2005», in Contr. e impresa, 2006, p. 1175.

[nota 54] Cass. 13 gennaio 1982, n. 178

[nota 55] Cass. 20 febbraio 1996, n. 1321; Cass. 18 marzo 1987, n. 2724; Cass. 6 novembre 1987, n. 8213; Cass. 22 gennaio 1986, n. 398.

[nota 56] Cass. 26 settembre 1990, n. 9753; Cass. 22 gennaio 1986, n. 398; Corte Cost., ord. 21 gennaio 1988, n. 61 che ha affermato «è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1341 e 1342 c.c., ove siano interpretati nel senso di escludere l'applicabilità della disciplina relativa alla sottoscrizione delle clausole vessatorie ai contratti stipulati dalla P.A., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.».

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