Destinazione patrimoniale e trust: raffronti e linee per una ricostruzione sistematica
Destinazione patrimoniale e trust: raffronti e linee per una ricostruzione sistematica [*]
di Andrea Zoppini
Ordinario di diritto privato comparato, Università di Roma Tre

La trascrizione della destinazione patrimoniale: eterogenesi dei fini del legislatore?

In una recente e inedita decisione dell'8 settembre 2006 assunta dall'ufficio provinciale di Roma dell'Agenzia del Territorio, che è stata portata alla mia attenzione, il conservatore del registro immobiliare ha rifiutato di trascrivere l'intestazione d'un immobile al trustee, appellandosi ad isolato precedente della Corte di Appello di Napoli. L'argomento speso con l'avvocato che aveva assistito l'operazione ha fatto leva sul fatto che, con l'avvento d'una norma sulla «trascrizione degli atti di destinazione», qual è l'art. 2645-ter c.c., la destinazione patrimoniale e la conseguente pubblicità possono ammettersi solo in presenza d'un fine di pubblica utilità. Sì che la nuova norma offrirebbe una stregua interpretativa anche con riguardo al discusso, e per taluni tutt'ora aperto, problema dell'ammissibilità del trust c.d. interno, ossia quello in cui tutti gli elementi dell'operazione economica - con la sola eccezione della legge applicabile - sono radicati o collegati all'ordinamento domestico.

La vicenda, per molti aspetti esemplare e che testimonierebbe l'eterogenesi dei fini del legislatore storico, mi ha fatto tornare alla mente le parole scritte qualche anno or sono da Floriano d'Alessandro, che mi piace qui ripetere: «Gli ordinamenti sono come grandi navi, dotate di una massa enorme; e così pure, appunto, di una grande inerzia, che rende difficile a chiunque, anche allo stesso legislatore, indurre repentini mutamenti di rotta. è possibile infatti cambiare le norme dalla sera alla mattina. Ma le norme non sono l'ordinamento. L'ordinamento è il sistema, ossia il fitto insieme di concetti, di principi, di dogmi, di soluzioni tessuto pazientemente negli anni dalla elaborazione interpretativa. Se il conflitto tra le nuove regole e il vecchio sistema non è frontale, non è di immediata percezione, esso sopravvive alle riforme per lungo tempo, a volte per sempre. Se invece il contrasto è evidente e incontrovertibile, esso tende a comporsi più presto. Ma molte volte, anche qui, non subito, né totalmente».

è evidente che, a seconda della prospettiva interpretativa che s'intende accogliere, la «trascrizione degli atti di destinazione» sembra una fattispecie idonea a travolgere consolidati principî, quali la tipicità delle forme metaindividuali dell'attività giuridica o la tipicità dei diritti reali, e così pure a sovvertire il principio che riserva all' 'atipico' esclusivamente l'orbita del contratto e la realizzazione di interessi patrimoniali; ovvero, e sostanzialmente all'opposto, si può leggere la norma in una linea di stretta e immediata coerenza con la sua collocazione topografica nel codice, sì che essa in nulla innoverebbe le intelaiature concettuali e sistematiche su cui poggia l'ordinamento del diritto privato.

Sugli effetti del riconoscimento del trust nel nostro ordinamento

Non v'è dubbio che il dibattito teorico sulla specializzazione della responsabilità patrimoniale abbia subìto una profonda influenza a séguito della Convenzione de L'Aja del 1° luglio 1985 «relativa alla legge applicabile ai trusts e al loro riconoscimento» (ratificata dalla Repubblica Italiana con legge 16 ottobre 1989, n. 364 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1992).

Così come del pari è certo, questa volta sul piano della prassi operativa, che molti dei risultati che si conseguono nel nostro sistema attraverso la separazione patrimoniale si realizzano negli ordinamenti di common law con il trust (così è per le sistemazioni patrimoniali in funzione successoria, per la costituzione di provviste patrimoniali a favore di minori, di incapaci o di soggetti deboli, per le gestioni patrimoniali, per i fondi pensione, per la cartolarizzazione, per talune forme di credito all'impresa); e ciò concretamente significa che l'operatore italiano frequentemente valuta se scegliere un istituto del diritto domestico ovvero quello previsto da un diverso ordinamento i cui effetti sono riconosciuti nel nostro.

Tuttavia, ciò non autorizza né il conservatore del registro immobiliare né l'interprete a ritenere, con evidente abbaglio prospettico, che a séguito dell'adesione della convenzione dell'Aja, il trust possa essere considerato un istituto di diritto interno.

Al contrario, la Convezione ha risolto un duplice problema, che attiene al conflitto delle leggi nello spazio e alla scelta della legge applicabile: ha rimosso il supposto contrasto degli effetti del trust con l'ordine pubblico internazionale e ha, al contempo, acconsentito che il cittadino italiano possa costituire un trust avvalendosi della legge d'un ordinamento che disciplina l'istituto.

Ciò, tuttavia, non significa:

i. che la costituzione d'un trust, specie se "interno", da parte del cittadino italiano consenta di sottrarsi all'applicazione delle regole che governano la sostanza dell'operazione economica, quanto ad esempio alla pubblicità immobiliare, o alle regole in materia di tutela dei legittimarî ovvero agli istituti posti a tutela dei creditori;

ii. che il trust possa considerarsi alla stregua di un istituto di diritto domestico;

iii. che sussista un problema di disparità di trattamento sul piano costituzionale là ove i medesimi effetti non siano garantiti al cittadino italiano attraverso istituti di diritto interno;

iv. né da esso può argomentarsi, con un procedimento interpretativo a fortiori, che i medesimi effetti che il trust assicura debbano necessariamente prodursi con una manifestazione dell'autonomia privata.

Si tratta d'un problema ora consueto nella dinamica del mercato europeo. Così, ad esempio, dalla possibilità - espressamente affermata dalla Corte europea di giustizia - di avvalersi nel territorio italiano d'una società a responsabilità limitata di diritto inglese, che non prevede la necessaria esistenza d'un capitale sociale minimo, non può certamente argomentarsi che abbia perso di efficacia precettiva la norma di diritto interno sul capitale minimo per la società a responsabilità limitata italiana. O, ancóra, il fatto che nel nostro ordinamento producano effetti i patti successorî, conclusi in conformità di regole appartenenti ad ordinamenti che disciplinano tale fattispecie, non significa che l'art. 458 del nostro codice abbia smesso di essere una norma precettiva.

Linee metodologiche per un raffronto tra i due istituti

Se, dunque, il confronto tra la trascrizione degli atti di destinazione e il trust non mi pare offra utili indizi sistematici per sciogliere i nodi teorici e interpretativi dell'una alla luce della disciplina dell'altro, ritengo invece che rivesta sicura utilità un raffronto funzionale tra i due istituti.

In effetti, la trascrizione degli atti di destinazione prospetta all'interprete tre diverse strade, che poi sono consuete nell'interpretazione dei testi giuridici.

L'art. 2645-ter c.c. pone un problema di esegesi del testo, atteso che la sua non cospicua formulazione autorizza l'interrogativo se al centro della norma si ponga il realizzarsi di interessi non (esclusivamente) individuali quale presupposto del vincolo di destinazione; ma autorizza altresì, magari devalorizzando canoni interpretativi quali la non ridondanza del testo legislativo, una pluralità di possibili e, tra loro, incompatibili interpretazioni.

La fattispecie pone, al contempo, rilevanti problemi sistematici, come già dicevo, inerenti al coordinamento della norma sulla trascrizione, nonché del frammento di disciplina sostanziale che essa contiene, con altre fattispecie e principî che innervano la struttura del sistema di diritto privato patrimoniale.

La mia analisi si orienta, invece, ad una, per quanto elementare e schematica, Interessenjurisprudenz, al fine di vagliare quali sono gli interessi rilevanti nella fattispecie e, poi, quali sono i possibili criterî utili a comporli e ordinarli in una gerarchia.

Coerentemente con quest'opzione metodologica, che non contraddice il metodo esegetico, né quello storico-sistematico, ma semmai vale a validarli, il raffronto tra trust e la trascrizione degli atti di destinazione può percorrere due diverse strade:

a. in una prospettiva descrittiva si può utilizzare come stregua l'equivalenza funzionale, ossia l'idoneità (o non) dei due istituti a soddisfare i medesimi interessi e alle medesime condizioni;

b. in una logica prescrittiva si può verificare se la selezione e il bilanciamento degli interessi offra un criterio attendibile per comporre una gerarchia tra gli interessi giuridicamente rilevanti ovvero per operare una selezione tra le possibili interpretazioni compatibili con il testo normativo.

Centralità della disciplina del rapporto fiduciario nell'intestazione e nella titolarità dei diritti nell'interesse altrui

La destinazione patrimoniale, qual è descritta dall'art. 2645-ter c.c. nei riflessi ulteriori rispetto alla pubblicità cui consegue l'opponibilità ai terzi, condivide con il trust una duplice caratteristica:

i. l'essere una tecnica per governare la specializzazione della responsabilità patrimoniale;

ii. il realizzare una forma di titolarità di diritti nell'interesse altrui.

Si tratta di aspetti rispetto ai quali è centrale il momento funzionale della fattispecie, atteso che la separazione patrimoniale si risolve nella distinta imputazione dei rapporti giuridici e nel vincolo del patrimonio ad una specifica funzione di garanzia e di utilità.

Sia la titolarità di diritti nell'interesse altrui, sia la specializzazione della responsabilità patrimoniale può oggi realizzarsi in virtù d'una pluralità diversificata di fattispecie tra loro eterogenee, sia di diritto nazionale sia di diritto straniero, che sottendono discipline molto diverse e sono scelte in ragione del calcolo economico dagli operatori. L'ordinamento consente, infatti, la gestione d'un diritto nell'interesse altrui attraverso una pluralità di fattispecie: il mandato, il contratto fiduciario, la costituzione d'una persona giuridica (si pensi alle diverse e sostanzialmente opposte regole sottese ad una fondazione o ad una società organizzata su base capitalistica); la scelta tra questi istituti sottende costi e discipline profondamente diverse, come diversi sono i criteri di responsabilità del gestore/amministratore e le tutele giuridiche del gerito/beneficiario.

Merita a questo riguardo ricordare che per ciascuna di queste fattispecie rileva in misura significativa il rapporto tra gli elementi strutturali della fattispecie, definita imperativa, e gli spazî di disciplina rimessi all'autonomia privata. Ciò è particolarmente significativo là dove si tratti di definire l'esclusività della competenza riservata all'ordinamento di fissare il rilievo della fattispecie per la generalità, profilo che si è soliti indicare come Typusfixierung; mentre il lemma Typuszwang è riservato per indicare la (misura dell') alterabilità del regolamento tipizzato dal legislatore.

Da ciò ne deriva, sul piano metodologico, che il confronto in termini di efficienza marginale tra due istituti o più istituti che producono effetti omologhi dev'essere condotto prendendo in considerazione la regola dispositiva, che è destinata a governare, al pari di quella imperativa, gli effetti della fattispecie quando non sia stata espressa una diversa volontà delle parti. Infatti, la possibilità che le parti deroghino alla disciplina dispositiva si risolve in un incremento del costo di gestione dell'istituto.

Quando si tratti del trust, il centro di gravitazione della disciplina, che coerentemente sorregge un distinto e autonomo apprezzamento della scissione tra titolarità formale e titolarità sostanziale dell'interesse, si risolve negli specifici doveri fiduciari che informano la posizione del trustee.

Quest'ultimo punto offre un cospicuo punto d'osservazione per operare un raffronto con il fenomeno della trascrizione dei vincoli di destinazione, nonché con altre tecniche gestorie.

A questo riguardo, la dottrina che ha espressamente analizzato il problema ha potuto constatare che, dal momento in cui si è resa disponibile l'incorporation quale strumento generale dell'iniziativa economica dei privati, per l'esercizio dell'impresa ci si avvale delle società o di enti non lucrativi e non del trust.

La ragione può sintetizzarsi nel fatto che gli standard cui è demandata la valutazione della condotta dei trustee sono teleologicamente orientati a minimizzare il rischio, differentemente da quello che fisiologicamente avviene per gli amministratori di un ente incorporated: così ad esempio l'apprezzamento della conformità allo scopo è stato valutato diversamente nelle società e nel trust; l'amministratore, differentemente dal trustee, può fare più ampio affidamento sul parere di altri e non è generalmente responsabile per omissione; le regole sui conflitti di interesse sono meno stringenti per gli amministratori rispetto a quanto lo siano per il trustee.

Una conferma emerge con riguardo alla regola di governo nel trust quando vi siano una pluralità di trustee: essi debbono decidere all'unanimità, indice evidentemente che nel trust vi è un significativo incentivo a paralizzare le decisioni che potrebbero essere non in linea con l'adempimento dello scopo.

La tecnica di definizione dei doveri del trustee si giustifica in ragione del modello di comportamento presupposto, tendenzialmente conservativo e prudenziale, a raffronto del fatto che nella gestione dell'impresa è difficile predeterminare il tipo di scelte che l'amministratore è chiamato ad operare.

(Segue)… e raffronto con la fattispecie della trascrizione del vincolo di destinazione

Questa constatazione, la centralità e capillare disciplina dei doveri fiduciari di comportamento del trustee (diffusamente documentato dalle leggi previste dagli ordinamenti che conoscono il trust, dalla giurisprudenza su di esse formata e dai principî elaborati nella common law) consente di mettere in evidenza quello che è – a mio parere – il limite più evidente della trascrizione degli atti di destinazione, atteso che l'art. 2645-ter c.c. non offre non solo risposte espresse, ma neanche sufficienti indizî per sciogliere in modo univoco i problemi della disciplina che dovrà applicarsi.

Ci si è chiesto, non senza amore del paradosso, quale sia il destino della trascrizione di un vincolo che imponesse una destinazione patrimoniale per un fine socialmente o economicamente irrilevante, atteso che «[i]l vincolo potrebbe infatti … – come ha scritto Francesco Gazzoni – essere posto al fine di favorire associazioni che hanno come scopo, ad esempio, quello di portare una rosa sulla tomba di Pietro Maroncelli o di perseguire altra finalità futile o inutile».

Si tratta d'un problema che la disciplina del trust pacificamente risolve, basti pensare alle regole inerenti i trust aventi quale scopo quello di mantenere il beniamino del testatore a quattro zampe. Ricordo di avere ascoltato sui banchi d'un'università d'oltre oceano il caso del testatore che aveva istituito un trust testamentario al fine di erigere un monumento funebre che fosse la riproduzione fedele del Partenone di Atene. E, in quella vicenda, gli eredi hanno in effetti acconsentito alla realizzazione delle finalità del testatore, ma si sono avvalsi d'una norma che consente, in consimili situazioni, di ridurre l'oggetto del trust, il che ha fatto replicare l'edificio in scala.

L'esempio vuole essere solo l'epifania di più complessi problemi di disciplina applicabile. Si pensi all'interrogativo se la destinazione patrimoniale ad un fine adeguato, una volta debitamente trascritta, possa essere revocata e/o se il disponente debba riservarsi il potere di revoca nell'atto di destinazione; ancora se sia possibile per i beneficiari sciogliere il vincolo di destinazione.

Se raffrontiamo le soluzioni dettate per il trust, le risposte sono molto diverse in relazione alla natura del trust e al tipo di interessi coinvolti: così ad esempio un trust privato e non discrezionale, conformemente al precedente Saunders v. Vautier, può essere sciolto dai beneficiari maggiorenni; ancora il settlor può riservarsi di revocare il trust in qualsiasi momento, e tuttavia ciò rileva al fine di rendere la destinazione patrimoniale inopponibile ai creditori e così pure agli eredi necessari. Ma queste regole non valgono nel caso di un trust che abbia un fine charitable, atteso che in questo caso si applica la cy-près doctrine che impone di adattare il trust alle mutate circostanze, scostandosi il meno possibile dallo scopo originario quando esso sia divenuto impossibile.

L'incertezza è ancora maggiore se ci s'interroghi sul problema cruciale della disciplina applicabile al "conferitario", colui che riceve il bene dal conferente gravato dell'onere reale d'operare la destinazione.

Ci si può chiedere, infatti, se la posizione del soggetto investito della destinazione patrimoniale sia naturalmente gratuita o invece onerosa, ove non si sia diversamente disposto; se, e allora in che misura, l'investito abbia diritto a recuperare le spese affrontate nell'esercizio della sua attività; o ancora se sia ammissibile intestare la destinazione patrimoniale in capo a più soggetti e, in caso di risposta affermativa, qual è la regola di governo: l'unanimità o la maggioranza. Ancora, in che misura possa il «conferitario» trarre vantaggi dalla gestione sfruttando per sé le opportunità che essa genera.

Gli esempi che propongo non sono casuali, atteso che attengono a profili della disciplina dai quali può apprezzarsi in maniera evidente il contenuto fiduciario della gestione del diritto nell'interesse altrui, e che - non a caso - sono compiutamente disciplinati dagli ordinamenti che prevedono il trust.

Nella fattispecie descritta all'art. 2645-ter c.c., la quasi totalità di questi interrogativi rimangono irrisolti.

Se mi si passa il paragone, è come se la disciplina della società per azioni si risolvesse nella mera previsione del contenuto dell'atto costitutivo: è evidente che all'atto costitutivo e allo statuto sarebbero affidate una mole abnorme di regole, che aumenterebbero i costi di gestione dell'istituto e, non ultimo, anche la responsabilità del consulente e del Notaio sarebbe enormemente accresciuta.

Non intendo dire che i problemi che ho esemplificativamente evocato non possano trovare soluzione attraverso l'interpretazione analogica; ma non credo che nessuno possa dubitare del fatto che le risposte saranno di molto opinabili e che il consolidarsi d'un orientamento nel diritto giurisprudenziale fa sì che l'incertezza sia destinata a durare a lungo.

D'altra parte, la risposta agli interrogativi esemplarmente indicati sconta il ritardo nell'elaborazione dogmatica del patrimonio separato che si riflette inevitabilmente nel suo marginale rilievo quale strumento interpretativo. Ciò è dovuto alla rilevante eterogeneità delle norme che regolano le fattispecie riconducibili alla separazione patrimoniale e così, pure, al fatto che i modelli e le regole che il sistema propone sono tendenzialmente orientate ad una gestione statica, quando non hanno una finalità liquidatoria.

In effetti, il marginale utilizzo dello strumento interpretativo del patrimonio separato è provato dalle operazioni giurisprudenziali che mirano a riconoscere una soggettività giuridica nel trust (o nel condominio degli edifici).

L'opzione preferenziale per la tecnica della soggettivazione attesta la precomprensione d'una realtà giuridica che si è abituati a costruire sul presupposto del soggetto quale termine necessario dell'effetto giuridico.

La trascrizione della destinazione patrimoniale: una tassonomia degli interessi

Vengo a questo punto a considerare la seconda prospettiva e, segnatamente, a valutare in quale modo l'analisi degli interessi possa orientare l'interprete nel decodificare il senso della norma prevista dal legislatore.

La «trascrizione degli atti di destinazione» prevede che si abbia valida destinazione patrimoniale a condizione che si realizzino «interessi meritevoli di tutela» in conformità dell'ordinamento giuridico. La prescrizione non conosce un'interpretazione univoca, atteso che tale fondamentale requisito dell'atto di destinazione è, infatti, oggi interpretato secondo tre differenti e sostanzialmente opposti orientamenti:

a. si può ritenere che interessi meritevoli siano solo quelli di natura pubblicistica;

b. si può ritenere - così come affermato in altri casi dalla giurisprudenza che si è formata sull'art. 1322 c.c. - che interesse meritevole di tutela sia qualsiasi interesse lecito;

c. si può argomentare, infine, che la meritevolezza degli interessi debba essere accertata valutando, volta per volta, il singolo caso concreto di destinazione patrimoniale.

L'analisi degli interessi consente di operare una selezione tra le diverse proposte interpretative, interrogandosi su quale tra le possibili interpretazioni sia preferibile avuto riguardo ad un obiettivo di efficienza allocativa, vagliando quindi quali sono i vantaggi privati e sociali che si producono a fronte dei costi che si generano sulle parti e sui terzi.

In questa prospettiva, l'analisi può giovarsi delle riflessioni di quella letteratura che si è interrogata sulle ragioni, sul piano degli interessi, del principio del numero chiuso dei diritti reali e così pure di quella letteratura che ha investigato il fenomeno della molteplicità dei diritti che insistono sui medesimi beni.

In tale prospettiva, si possono considerare e raffrontare i benefici del disponente a selezionare un vincolo di destinazione, a fronte dell'utilità e della disutilità che ciò provoca per i beneficiari (che potrebbero dare una diversa e più efficiente destinazione a quei beni se ne fossero pieni proprietari), e così pure delle esternalità, ossia dei costi che l'utilizzo di un determinato istituto fa gravare sui terzi (che ad esempio potrebbero essere interessati all'acquisto del bene e ne sono impossibilitati per l'esistenza del vincolo) e più in generale sulla funzionalità del sistema economico.

In tale prospettiva, la scelta se favorire o scoraggiare il vincolo di destinazione deriva dalla conclusione che il saldo sociale è positivo ovvero negativo, e segnatamente che il benessere collettivo si accresce e non diminuisce.

Se si accoglie questa premessa, è agevole essere avvertiti del fatto che la proposta interpretativa sub c) è senz'altro quella che genera maggiori incertezze e socialmente più onerosa, atteso che l'accertamento dell'esistenza d'un interesse meritevole di tutela in concreto, deriva dalla decisione assunta dal giudice all'esito di una valutazione singolare di ciascuna destinazione patrimoniale.

Del pari la scelta restrittiva, sub a), non costituisce necessariamente il portato d'una concezione illiberale e propria d'uno Stato etico, quanto piuttosto la considerazione che il costo sociale dell'istituto dev'essere bilanciato dal perseguimento di un interesse collettivo o generale (se non pubblico in senso proprio).

Si tratta d'un'opzione di politica del diritto che, con maggiore eleganza, la letteratura del primo Novecento aveva rappresentato nei termini dell'immagine del supplizio di Tantalo, ossia l'immagine d'un'umanità condannata all'indigenza per aver cristallizzato in forme giuridiche improduttive le proprie ricchezze, ad un tempo percepibili e inaccessibili. Ma si pensi pure all'immagine scolpita nelle parole di Turgot, della distruzione delle tombe, sterile monumento alla transeunte vita umana, che garantisce lo spazio vitale a chi sopravvive; o al lugubre parallelo con i «morti viventi» di Charles Gilde; o, ancora, nella pagina di Jonathan Swift, la decrepitezza senza fine degli Struldbruggs, che alla fine sono spogliati dei loro beni.

D'altra parte, questa conclusione non è estranea, anzi è coerente con il sistema del diritto positivo proprio in punto di vincoli reali sui beni nonché per quanto attiene alla destinazione patrimoniale.

A questo riguardo, la dottrina che ha affermato la sussistenza di un limite all'autonomia individuale dovuto al collegamento funzionale con l'interesse metaindividuale, perviene a questa conclusione argomentando analogicamente dal sistema delle sostituzioni: segnatamente, si chiama in causa, in generale, la coerenza del sistema che vieta il fedecommesso, lo strumento più semplice attraverso cui un patrimonio è vincolato ad un fine di natura privata - quale è il beneficio di una sola famiglia - e, in particolare, si fa leva sulla norma posta dall'art. 699 c.c. che, nel quadro del divieto delle sostituzioni fedecommissarie, stabilisce la validità della «disposizione testamentaria avente per oggetto l'erogazione periodica, in perpetuo o a tempo, di somme determinate per premi di nuzialità o di natalità, sussidi per l'avviamento ad una professione o a un'arte, opere di assistenza, o per altri fini di pubblica utilità, a favore di persone da scegliersi entro una determinata categoria o tra i discendenti di determinate famiglie».

Mentre ho contestato che questa norma possa trovare applicazione analogica in materia di fondazione, al fine di costruire un fondamento positivo al fatto che la fondazione debba necessariamente perseguire un interesse pubblico - secondo una tesi poi accolta dal legislatore -, concordo con quanti ritengono che da tale norma possano trarsi evidenze argomentative in ordine al fatto che la destinazione patrimoniale e la conseguente e necessaria trascrizione è soggetta ad un limite analogo a quello previsto dall'art. 699 c.c., atteso che l'autonomia del patrimonio è garantita solo a condizione ch'essa sia lo strumento attraverso il quale realizzare un fine «socialmente utile».


[*] Questo saggio è dedicato al prof. Marco Comporti e apparirà negli Scritti in suo onore.

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