La fondazione di partecipazione: natura giuridica e legittimità
La fondazione di partecipazione: natura giuridica e legittimità
di Marco Maltoni
Notaio in Forlì
L'oggetto e l'itinerario dell'indagine
Si usa convenzionalmente designare con il sintagma "fondazione di partecipazione" una struttura organizzativa metaindividuale a rilievo reale, connotata da tratti morfologici ricorrenti, ed in quanto tali ritenuti identificanti, ma priva di un referente normativo dedicato e puntuale.
Il fenomeno si è affermato e diffuso sul piano dell'esperienza, ma avrebbe trovato sia sostegno normativo grazie a molteplici provvedimenti legislativi di settore da cui sono scaturiti enti che ne ripropongono funzioni e regole di azione, sia legittimazione nei numerosi provvedimenti amministrativi di riconoscimento della personalità giuridica emessi dalle autorità competenti.
L'intento di svelarne la natura giuridica e di tracciarne i confini di legittimità non può che muovere dalla anamnesi della fattispecie vissuta, per coglierne la storia e quei lineamenti morfologici ricorrenti tali da consentire di riconoscere, al cospetto di una pluralità di strutture organizzative a rilievo reale, quelle riconducibili al modello concreto che si vuole definire "fondazione di partecipazione".
Una volta identificati i tratti caratterizzanti la fattispecie concreta si dovrà aprire un processo interpretativo di qualificazione, al fine di verificarne la riconducibilità o meno ad un modello legale astratto, solo al termine del quale sarà possibile tentare di segnare i limiti entro i quali tale esperienza organizzativa può essere considerata legittima.
Anamnesi della fattispecie concreta
Secondo la letteratura specialistica [nota 1] la fondazione di partecipazione è un ente non lucrativo che nasce come reazione all'inadeguatezza del modello tradizionale di fondazione, connotato dal distacco dell'ente dal fondatore, da una dotazione patrimoniale iniziale autosufficiente al perseguimento dello scopo e dalla posizione servente dell'organo amministrativo.
Si è proposta così all'attenzione degli enti pubblici e dei soggetti privati un nuovo tipo di fondazione, i cui tratti originali e caratterizzanti sarebbero rappresentati:
a. dalla pluralità di fondatori o comunque di partecipanti all'iniziativa mediante un apporto di qualsiasi natura purchè utile al raggiungimento degli scopi;
b. dal principio di partecipazione attiva alla gestione dell'ente da parte di tutti i fondatori o partecipanti all'ente, principio che conforma l'organizzazione dell'ente stesso e le sue regole di azione; in altri termini, l'ente è organizzato in una pluralità di organi al fine di consentire una partecipazione attiva di tutti gli aderenti alla fase gestionale;
c. dalla formazione progressiva del patrimonio, per cui la dotazione patrimoniale iniziale non è autosufficiente e definitiva, ma aperta ad incrementi per effetto di adesioni successive da parte di soggetti ulteriori rispetto ai fondatori.
Si segnala poi che la prassi ha tendenzialmente consolidato uno schema organizzativo costruito su due livelli: uno a valenza "istituzionale" (che può essere articolato su più organi), cui partecipano i fondatori e gli altri partecipanti, con funzione di definizione delle linee guida dell'azione volta al perseguimento dello scopo; l'altro a valenza gestionale ed esecutiva dei piani programmatici decisi dal primo.
Nel quadro della fattispecie concreta dipinto dai cultori dell'istituto il punto focale sembra rappresentato dalle modalità di articolazione della struttura dell'ente, che deve essere tale da garantire la possibilità di partecipazione dei "conferenti" [nota 2] ai processi attuativi dello scopo al cui conseguimento gli apporti da ciascuno effettuati sono destinati.
A tal fine, pur nella variabilità degli schemi organizzativi in concreto adottati («tanto è vero che risulta corretto affermare come sia ben difficile trovare fondazioni di partecipazione tra loro identiche» [nota 3]) il dato comune sembra rappresentato dall'attribuzione statutaria delle funzioni di governo dell'ente ad un organismo che opera con metodo assembleare, mentre agli amministratori sono assegnate solo mansioni esecutive.
In estrema sintesi, volendo compiere uno sforzo di astrazione della fattispecie concreta, si può forse affermare di essere in presenza di un ente così connotato:
- perseguimento di uno scopo generalmente di utilità sociale, e comunque non lucrativo (eterodestinazione del risultato);
- vincolo di destinazione del patrimonio al perseguimento dello scopo;
- articolazione dell'organizzazione per garantire la partecipazione dei conferenti in funzione attuativa e di controllo del rispetto del vincolo di destinazione del patrimonio;
- tendenziale apertura della struttura organizzativa al reclutamento di coloro che effettuano, anche in tempi successivi, apporti patrimoniali funzionali al perseguimento dello scopo;
- tendenziale adozione del sistema maggioritario all'interno degli organi di indirizzo, di controllo ed esecutivi;
- tendenziale ricorrenza a modelli organizzativi a democrazia imperfetta, nei quali la misurazione del valore proporzionale del voto del singolo è condizionata o dall'entità dell'apporto (plutocrazia ideale) o dalla natura, propria del votante, di soggetto esponenziale degli interessi della collettività (Comune, Provincia, Regione, o enti pubblici in generale).
Diagnosi ricostruttiva: la qualificazione giuridica della fondazione di partecipazione
L'immagine che traspare dalla descrizione del fenomeno offerta dagli specialisti evoca una forma mista caratterizzata dalla contaminazione di tratti tipici della fondazione con caratteri organizzativi, di matrice essenzialmente corporativa, propri delle associazioni.
Vi può essere pertanto la tentazione di ricondurre tale forma al di fuori dei tipi annoverati nel primo libro del codice civile, e di avvalersi del disposto dell'abrogato art. 12 c.c., ora riprodotto nell'art. 1 del D.P.R. 10 febbraio 2000 n. 361, che ammetteva al riconoscimento della personalità giuridica «altre istituzione di carattere privato», per affermare la legittima atipicità dell'ente [nota 4].
Il percorso interpretativo ipotizzato non risulta agevole.
Innanzitutto, mi pare condivisibile la lettura che non ascrive alla norma citata alcuna velleità concessiva all'autonomia privata della libertà di creare corpi intermedi; il contesto storico e sistematico conducono piuttosto a ritenere che il suo compito fosse quello di impedire che enti di carattere privato, qualunque ne fosse la fonte di legittimazione, sfuggissero al controllo tutorio [nota 5].
Né si può assegnare al positivo esito del controllo amministrativo il valore legittimante dell'atto di autonomia privata, dal momento che il vaglio dell'autorità, seppur abbia conservato un profilo concessorio, è circoscritto alla verifica che siano «soddisfatte le condizioni previste da norme di legge o di regolamento per la costituzione dell'ente, che lo scopo sia possibile e lecito e che il patrimonio risulti adeguato alla realizzazione dello scopo». In altri termini, l'Autorità amministrativa non è competente ad emettere un giudizio di meritevolezza in ordine ad una manifestazione di autonomia privata, ma deve limitarsi a valutare la coerenza della fattispecie concreta al modello legale tracciato dal legislatore, specialmente in punto di funzionalità.
Ma soprattutto deve ritenersi che le forme dotate di rilievo reale costituiscano un numero chiuso, per gli effetti che ne conseguono per la collettività, anche sotto il profilo della responsabilità dei partecipanti o dei gestori, che ne impongono una necessaria riconoscibilità da parte della generalità dei consociati a tutela della certezza dei rapporti giuridici e della sicurezza del traffico negoziale [nota 6].
Dunque l'autonomia privata non può creare tipi nuovi dotati di rilievo reale, ma solo scegliere fra quelli posti a sua disposizione dall'ordinamento e modularne l'organizzazione interna nei limiti di elasticità tipologica concessi dalla legge.
Esclusa dunque la possibilità di ravvisare nella fondazione di partecipazione una struttura organizzativa atipica, ovvero una struttura ultronea rispetto ai tipi della fondazione e dell'associazione riconosciuta, il processo interpretativo deve volgere all'identificazione degli aspetti qualificanti i modelli organizzativi legali, per poi verificarne la ricorrenza o meno nella fattispecie concreta in esame.
Se il nomen iuris utilizzato (fondazione) non può rappresentare un indice univoco e condizionante sul piano della qualificazione di una fattispecie, lo stesso può costituire tuttavia il pretesto per iniziare l'analisi tipologica dall'istituto invocato.
Tradizionalmente la fondazione è stata proposta come l'ente costituito con un atto unilaterale, tramite il quale un patrimonio veniva vincolato al perseguimento di uno scopo necessariamente di pubblica utilità; dalla centralità dell'aspetto patrimoniale sono stati fatti discendere, come corollari, il distacco dell'ente dal fondatore e la configurazione degli organi come "serventi", in antitesi al ruolo egemone che gli stessi svolgono nell'associazione [nota 7].
Negli ultimi trent'anni la dottrina ha registrato con sempre maggior frequenza la "metamorfosi" dell'istituto, che si è allontanato via via dal modello tradizionale [nota 8], al punto che si è parlato, in maniera emblematica, di «crisi dei caratteri peculiari dell'istituto» [nota 9].
In un noto intervento si è rilevato che «le fondazioni più importanti costituite in Italia negli ultimi vent'anni traggono origine, prevalentemente, da un negozio di fondazione inter vivos posto in essere da una pluralità di fondatori … intorno al nucleo patrimoniale iniziale vengono ad aggregarsi ulteriori sottoscrizioni. I sottoscrittori si distinguono in soci "fondatori", soci "ordinari", "sostenitori" o "benemeriti" in ragione del contributo versato; è previsto in alcuni statuti che tali soci si costituiscano in assemblea o vi nominino i loro rappresentanti. Significativo è il caso in cui l'atto costitutivo preveda per la dotazione patrimoniale della fondazione la sottoscrizione da parte dei fondatori di una "quota di capitale", cui è commisurato il potere di gestione dell'ente; la grande fondazione, non diversamente dalla grande impresa, ha bisogno per venire ad esistenza di un rastrellamento di fondi ad ampio raggio» [nota 10]. Si rileva altresì, sempre sul piano dell'indagine fenomenica, che «il fondatore o i fondatori tendono invero, seppure con criteri diversi, ad assicurarsi un controllo costante sull'attività della persona giuridica: partecipando direttamente al consiglio di amministrazione, ovvero eleggendovi un proprio rappresentante, o ancora, in ragione del maggior contributo versato all'atto di costituzione della fondazione, riservandosi il diritto di nominare in seno all'organo di amministrazione un maggior numero di consiglieri» [nota 11].
Come noto, i dati offerti dalla realtà empirica hanno condotto ad un approfondimento storico e sistematico, dal quale è emerso in maniera convincente che la concezione dell'istituto tradizionalmente vissuta nel nostro ordinamento rappresenta più un modello dogmatico, ed ideologico, che un modello normativo [nota 12].
La linea di demarcazione fra i connotati necessari della fattispecie e gli aspetti consegnati all'autonomia privata è stata tracciata identificando le costanti che a livello storico, e comparatistico, sono abbinate allo schema fondazionale, costanti rintracciate nella destinazione di un patrimonio allo scopo; nell'indisponibilità dello scopo da parte del fondatore una volta ottenuto il riconoscimento; nella mediazione necessaria di una vicenda organizzativa assistita da rilievo reale [nota 13].
Destinazione del patrimonio allo scopo; immutabilità dello scopo se non per intervento della Pubblica Autorità (art. 27, 28, 2500-octies c.c.); organizzazione strumentale sono i caratteri identificativi della fondazione sul piano tipologico.
Dal punto vista della configurazione dell'ordinamento interno la fondazione è morfologicamente neutra.
Le norme del codice civile dedicate specificamente all'istituto (artt. 16, 25, 26, 27, 28, e 2500-octies) non consegnano all'operatore alcuna soluzione strutturale, ma intervengono tutte sul momento funzionale, ovvero sulla destinazione del patrimonio allo scopo. Filtra dal tessuto normativo solo la necessità di amministratori, ovvero gestori del patrimonio; ma nessuna indicazione sulle possibili regole di azione a cui devono attenersi [nota 14].
Ciò che rileva, dunque, non è la forma della struttura organizzativa, ma la coerenza dell'azione degli organi alle caratteristiche funzionali dell'ente: destinazione del patrimonio allo scopo; immodificabilità dello scopo medesimo.
Tracciate dunque le coordinate fondamentali della fattispecie legale, è possibile vagliare la possibilità di ricondurre ad essa la fattispecie empirica nota come "fondazione di partecipazione".
Non vi è alcun dubbio che tre delle principali caratteristiche descrittive di quest'ultima (perseguimento di uno scopo generalmente di utilità sociale, e comunque non lucrativo; vincolo di destinazione del patrimonio al perseguimento dello scopo; articolazione dell'organizzazione in funzione attuativa e di controllo del rispetto del vincolo di destinazione del patrimonio) ripropongono i tratti tipologici della fondazione.
La prevalenza sia del momento patrimoniale sia della destinazione di esso ad uno scopo è considerata dalla letteratura specialistica il tratto emblematico della fondazione di partecipazione [nota 15].
Gli ulteriori aspetti descrittivi del modello empirico non risultano apprezzabili in chiave di qualificazione in quanto da un lato tendenziali e non necessitati e dall'altro affetti da poliformismo dovuto alla necessità di adeguarsi alle diverse istanze dell'autonomia privata.
è sufficiente ricordare che esperienze organizzative analoghe a quella della fondazione di partecipazione sono state vissute dalle fondazioni culturali, come sopra ricordato [nota 16], e ritornano in una pluralità di fondazioni sorte per effetto di leggi di settore, e che la dottrina ha riconosciuto la generica compatibilità di una fondazione «amministrata da un organo composto su base associativa o assemblearmente nominato, in quanto si tratta di un carattere non solo causalmente, ma anche strutturalmente neutro e quindi indifferente. Infatti, nella fondazione l'assemblea designa esclusivamente il procedimento statutariamente rilevante di designazione degli amministratori ovvero è organo amministrativo essa stessa che potrà delegare ad un consiglio più ristretto i propri poteri, che rimangono tuttavia poteri amministrativi. In entrambi i casi si tratta di attività contrassegnata dal rilievo meramente attuativo … » [nota 17].
I limiti di legittimità della fondazione di partecipazione
Stabilito che l'ente in esame rappresenta una delle possibili tipologie di fondazione, e non una fondazione atipica, è doveroso evidenziare che l'interesse per esso e la ragione della sua diffusione traggono origine dall'adozione di schemi organizzativi atti a consentire ai fondatori e in generale ai "conferenti" di partecipare alla fase attuativa del programma fondazionale, da cui anche la genesi del nome.
La soddisfazione dell'esigenza di "immanenza" del fondatore o dei fondatori rappresenta una delle costanti storiche nella metamorfosi dell'istituto.
Si è rilevato che sul piano dell'evoluzione statutaria la prassi, avallata dal riconoscimento amministrativo, ha disatteso con sempre maggior sicurezza la regola dogmatica, ma non normativa, del distacco del fondatore dalle sorti dell'ente, a favore di una progressiva stabilizzazione delle sue facoltà di interferenza sui procedimenti attuativi dello scopo [nota 18].
Le norme del codice non vietano tale soluzione, che presenta il pregio di garantire il conferente circa l'effettiva destinazione del suo apporto allo scopo; il che spiega agevolmente anche l'apprezzamento che la "fondazione di partecipazione" ha ricevuto dagli enti pubblici, tenuti più di ogni altro a garantire l'esito positivo del denaro pubblico investito.
Le clausole statutarie consentono così ai fondatori di nominare i componenti dell'organo amministrativo-esecutivo, come di revocarli; si prevede che i fondatori e in generale i conferenti si riuniscano in organi di natura collegiale dove si decidono o si esprimono pareri in ordine alle linee di azione da seguire per attuare al meglio lo scopo.
La presenza di una preponderante struttura personalistica non è di per sé illegittima [nota 19], dal momento che altrove devono essere ricercati i caratteri qualificanti la fondazione, ma a precise condizioni.
a) Gli organi devono essere assegnatari di funzioni esclusivamente amministrative del patrimonio.
Pur con questa precisazione, la gradazione delle mansioni dei singoli organi risulta assai varia, potendo trascorrere dalla decisione in ordine al compimento di un atto gestionale fino alla mera approvazione dei bilanci preventivi e consuntivi o alla mera nomina degli amministratori, annoverabili con certezza fra gli atti di amministrazione di un ente.
Anche le stesse funzioni di controllo assegnate a soggetti interni, seppur di natura tecnica, come il controllo contabile, sono ancillari allo svolgimento dell'attività amministrativa, e quindi parte di essa, ma non assumono valenza di interesse generale, dal momento che la legge attribuisce all'Autorità amministrativa poteri di ingerenza penetranti a garanzia del corretto funzionamento dell'ente, per quanto di rado esercitati. Solo laddove il controllo interno è imposto dal legislatore (per esempio: art. 14 delle fondazioni lirico-sinfoniche), la competenza può assumere rilievo pubblicistico, come dimostrano anche i criteri e le regole di nomina dei componenti di tale organo.
b) Ne consegue che il giudizio di legittimità delle forme organizzative di ispirazione associativa dipende dai poteri convenzionalmente riconosciuti ai singoli organi.
Certamente incompatibile con il tipo fondazionale è l'attribuzione della disponibilità dello scopo anche da parte dei soci fondatori, come confermato ultimamente dalla norma dell'art. 2500-octies c.c. che consente la trasformazione della fondazione in società di capitali per effetto di un provvedimento amministrativo su mera proposta dell'organo competente [nota 20].
Nello stesso senso risulta incompatibile la previsione dell'estinzione dell'ente per decisione dell'assemblea dei fondatori o per decisione degli amministratori, dal momento che essa è dichiarata con provvedimento discrezionale dell'Autorità amministrativa al verificarsi di una delle cause previste dalla legge o dall'atto di fondazione.
L'eventuale concessione all'organo amministrativo del potere discrezionale di decidere la trasformazione, la fusione o l'estinzione dell'ente dovrà pertanto essere declassata a mera facoltà di proporre tali vicende organizzative all'Autorità amministrativa.
Nei limiti sopra indicati, dipendenti direttamente dal principio di indisponibilità dello scopo, gli organi fondazionali sono dotati di ampi poteri amministrativi, al punto che si ritiene che la tradizionale visione della posizione servente degli amministratori sia stata notevolmente ridimensionata dalla prassi, sia implicitamente, mediante la formulazione di scopi così generici da consegnare agli attuatori ampi margini discrezionali di manovra, sia espressamente, allorchè si assegna il potere di decidere senza criteri pretederminati nell'atto costitutivo investimenti patrimoniali, forme di autofinanziamento, individuazione dei beneficiari dell'attività istituzionale.
Solitamente il margine di discrezionalità concesso è tanto più ampio quanto maggiore è lo spazio che il fondatore o i fondatori si riservano nell'amministrazione dell'ente.
c) La soluzione organizzativa di coinvolgere i conferenti nell'amministrazione presenta certamente il pregio di favorire il reclutamento e la raccolta di mezzi necessari all'attuazione dello scopo [nota 21], soddisfando l'esigenza di controllo del proprio investimento ideale; al contempo, tuttavia, può aprire un varco al rischio di pratiche abusive, nelle quali il perseguimento di fini egoistici dei fondatori medesimi prevalga sulla necessaria eterodestinazione del risultato dell'attività [nota 22].
Si è notato, infine, che, la fondazione di partecipazione è aperta al reclutamento di "nuovi fondatori" desiderosi di apportare mezzi per il conseguimento dello scopo.
Il fenomeno è già promosso legislativamente in alcune fondazioni a partecipazione pubblica, quali le fondazioni liriche (D.lgs. 367/1996), le Ipab trasformate in fondazioni (art. 17 primo comma lett. c) D.lgs. 207/2001), le fondazioni universitarie (art. 2 comma tre, D.P.R. 254/2001).
La dottrina [nota 23] ammette che possa riconoscersi valenza generale alla possibilità di nuove adesioni successive al programma fondazionale, come ormai affermatosi nella prassi.
A tal fine si ritiene necessaria, tuttavia, una espressa previsione nell'atto costitutivo in tal senso, con la quale stabilire anche i requisiti di partecipazione, l'organo chiamato a vagliare le domande, la misura e la natura degli apporti, i diritti e gli obblighi spettanti ai nuovi conferenti.
[nota 1] E. BELLEZZA – F. FLORIAN, Le fondazioni di partecipazione, La Tribuna, 2006.
[nota 2] Intendendosi come tali tutti coloro che hanno effettuato apporti in funzione del perseguimento dello scopo.
[nota 3] E. BELLEZZA - F. FLORIAN, op. cit., p. 49.
[nota 4] In tal senso E. BELLEZZA – F. FLORIAN, op. cit., p. 38-39, secondo i quali la fondazione di partecipazione «è contemplata proprio nella locuzione «altre istituzioni di carattere privato» che, in quanto previste nell'art. 12, sono ammesse al riconoscimento pure essendo necessariamente atipiche». Come esposto nel prosieguo, il passaggio testuale che non convince è rappresentato dall'affermazione della necessaria atipicità delle altre istituzioni di diritto privato. Gli stessi Autori paiono peraltro mitigare la perentorietà dell'affermazione laddove riconoscono che l'atipicità della fondazione di partecipazione «pare senz'altro essere più un'atipicità di struttura che di figura o persona giuridica». E. BELLEZZA – F. FLORIAN, op. cit., p. 40.
[nota 5] A. ZOPPINI, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, Napoli, 1995, p. 90, per il quale «la spiegazione più convincente della formula che compare nella norma è essenzialmente di carattere storico: essa è stata pensata da un legislatore timoroso che enti insuscettibili di essere sussunti ai tipi nominati potessero così sottrarsi al riconoscimento … ».
[nota 6] Così A. ZOPPINI, op. cit., p. 89.
[nota 7] A. FUSARO, voce Fondazione, in Digesto delle discipline privatistiche, sez. civ., vol. VIII, Torino, 1992, p. 364; G. IORIO, Le fondazioni, Milano, p. 18 e ss.
[nota 8] D. VITTORIA, «Le fondazioni culturali e il consiglio di amministrazione. Evoluzione della prassi statutaria e prospettive di tecnica fondazionale», in Riv. Dir. Comm., 1975, I, p. 298; A. ZOPPINI, op. cit.; A. FUSARO, op. cit. p. 360.
[nota 9] D. VITTORIA, op. cit., p. 301; G. IORIO, op. loc. ult. cit. Da ultimo si veda anche G. PONZANELLI, «La fondazione tra autonomia dei privati ed intervento del legislatore» in Nuova Giur. Civ. Comm., 2006, p. 419 e ss.
[nota 10] D. VITTORIA, op. cit. p. 302 e ss. Si vedano in proposito anche G. IORIO, op. cit., p. 212 e ss., e M. BASILE, Le Persone Giuridiche, in Tratt. di diritto priv., a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 2003, p. 272 e ss.
[nota 11] D. VITTORIA, op. cit., p. 309–310.
[nota 12] A. ZOPPINI, op. cit., p. 16 e ss.
[nota 13] A. ZOPPINI, op. cit., p. 83.
[nota 14] A. ZOPPINI, op. cit., p. 132-133
[nota 15] E. BELLEZZA – F. FLORIAN, op. cit. p. 25.
[nota 16] Cfr. D. VITTORIA, op. cit.
[nota 17] A. ZOPPINI, op. cit., p. 102. Nello stesso senso anche G. PONZANELLI, op. cit., p. 421.
[nota 18] D. VITTORIA, op. cit., p. 309; A. ZOPPINI, op. cit., p. 64.
[nota 19] Così anche M. BASILE, op. cit., p. 275, per i quali molteplici dati normativi tratti da leggi speciali confermano «la compatibilità con il modello fondazionale di differenziazioni di struttura che ne salvaguardano i caratteri tipici. E autorizzano ad affermare che pure l'autonomia privata, nell'istituire una fondazione, può introdurre varianti al modello prefigurato dal codice, ferma la centralità dell'organo di governo».
[nota 20] Ma in senso maggiormente possibilistico G. PONZANELLI, op. cit., p. 421, secondo il quale «sicuramente legittima sarebbe, invece, la modifica parziale delle finalità originarie, soprattutto quando queste rinviano a una più ampia categoria all'interno del quale è possibile e legittima una variazione».
[nota 21] Il rilievo è condiviso anche da G. PONZANELLI, op. cit., p. 422.
[nota 22] Segnala il problema A. ZOPPINI, op. cit., p. 68.
[nota 23] M. BASILE, op. cit.; G. PONZANELLI, op. cit., p. 422.
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