La presenza degli enti pubblici nelle fondazioni di partecipazione tra diritto nazionale e diritto comunitario
La presenza degli enti pubblici nelle fondazioni di partecipazione tra diritto nazionale e diritto comunitario
di Mario P. Chiti
Ordinario di diritto amministrativo, Università di Firenze

Introduzione

Il fenomeno della riscoperta delle fondazioni avvenuto nell'ultimo ventennio è dovuto anche a vari fattori pubblicistici. Si consideri infatti che nel recente periodo si sono coagulate esigenze e politiche convergenti negli esiti, quali la "privatizzazione" di molti enti pubblici; la crisi finanziaria pubblica; la riscoperta del principio costituzionale del "buon andamento della pubblica amministrazione" (art. 97 Cost.), tramite i criteri aziendalistici di efficienza, efficacia ed economicità; l'esigenza di un nuovo rapporto tra sfera pubblica e sfera privata, espresso nella formula, propria del diritto comunitario, di "partenariato pubblico privato – PPP". Circostanze tutte che portano a favorire l'utilizzo di forme organizzative diverse dalle tradizionali figure giuridiche soggettive pubbliche.

All'autonoma crescita della società civile, che si esprime anche nella valorizzazione di istituti antichi che trovano un rinnovato rilievo, quali appunto le fondazioni, si accompagna così un parallelo e forse ancor più imponente indirizzo dei pubblici poteri. L'espressione più alta di questa convergenza di indirizzi è di recente data dalla riforma costituzionale del 2001, che ha portato ad affermare nel novellato art. 118, comma 4, Cost. il principio per cui «Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà».

Una delle manifestazioni più evidenti della tendenza considerata è data dalle fondazioni di partecipazione, nelle quali la presenza degli enti pubblici è frequente e il loro ruolo assai rilevante.

La casistica delle fondazioni in esame – ancora eterogenea sino a quando il legislatore non provvederà a porre alcuni principi connotativi di questo modello di fondazione – vede una gamma di situazioni relative agli enti pubblici che vi partecipano; con rilevanti effetti per la disciplina applicabile.

Si consideri infatti che la fondazione di partecipazione può essere il frutto della trasformazione per legge di precedenti enti pubblici; oppure l'esito della decisione dell'ente pubblico di "esternalizzare" servizi ed attività in precedenza svolte direttamente con le proprie strutture. Ancora, l'ente pubblico può essere il promotore, inizialmente anche esclusivo, della fondazione per iniziative di pubblico interesse. L'ente pubblico, eventualmente anche con altre amministrazioni, può partecipare a fondazioni già costituite.

In tutti i casi considerati, il diritto applicabile alle fondazioni di partecipazione risente in varia misura della presenza dell'ente pubblico. Nei casi di massima contiguità della fondazione con la parte pubblica, quando si può parlare di una vera e propria loro strumentalità, è evidente che la forma giuridica privatistica è soltanto un guscio vuoto (altrimenti considerabile, con malizia, quale aggiramento dei vincoli pubblicistici). Diversamente accade nei casi di fondazioni di origine privatistica cui l'ente pubblico aderisce per la rilevanza pubblicistica delle loro iniziative, rimanendo però una delle parti del concerto sociale. Ma anche in tali casi, come si vedrà nel seguito, possono aversi situazioni a disciplina pubblicistica; ad esempio, nella gestione degli appalti.

La relazione è articolata in due parti. Nella prima si dà conto delle principali situazioni in cui la presenza dell'ente pubblico rende la disciplina delle fondazioni in tutto o in parte a rilevanza pubblicistica. Nella seconda si esprimeranno alcune considerazioni generali sulle fondazioni di partecipazione e le prospettive per una loro più compiuta disciplina.

L'intera problematica è influenzata dal diritto comunitario e dalle indicazioni scaturenti dalla comparazione giuridica, che favorisce fenomeni di "trapianto" di istituti e di "ibridazioni" reciproche tra ordinamenti. Il diritto comunitario è interessato principalmente alla "natura delle cose", più che alle forme con le quali ogni Stato membro organizza i propri soggetti; e quindi interviene ogni volta in cui rilevano le libertà comunitarie ed i diritti soggettivi scaturenti dal diritto europeo, indipendentemente dalla forma giuridica del soggetto coinvolto. Da qui una doverosa attenzione anche ai profili di diritto sopranazionale europeo.

Le fondazioni di partecipazione ed il diritto pubblico

è merito della scienza giuridica (ad iniziare da Enrico Bellezza) aver colto un particolare tipo di fondazioni nella vasta messe di "nuove" fondazioni emerse negli ultimi tre lustri. Si tratta delle "fondazioni di partecipazione", così definibili per essere strutturalmente aperte alla partecipazione di più soggetti giuridici, tra cui costantemente gli enti pubblici; per derivare in vari casi la propria istituzione da un atto unilaterale multipersonale; per utilizzare un patrimonio costituito solo in piccola parte dall'iniziale conferimento, ed in misura assai maggiore da apporti successivi dei soci; per avere la propria ragione d'essere nella realizzazione di un programma di attività definito in progress dai soci. In sostanza, un tipo di fondazioni che si distacca sensibilmente pressoché da tutte le caratteristiche delle fondazioni tradizionali.

Le fondazioni di partecipazione costituiscono però, a loro volta, allo stato dell'evoluzione giuridica, un tipo alquanto eterogeneo in quanto se ne conosce una gamma variegata che va da figure giuridicamente assai prossime alle pubbliche amministrazioni ad altre figure di impronta schiettamente privata, ove la presenza di soggetti pubblici è solo eventuale e comunque non condizionante.

Lo scopo che questa relazione si ripropone è di verificare l'incidenza del diritto pubblico nella complessiva disciplina delle fondazioni di partecipazione, al fine di meglio definirne i contorni e porre le premesse per una conseguente disciplina di segno originale, in cui accanto al diritto comune – a valere come disciplina di riferimento – possano coesistere taluni aspetti di diritto pubblico.

Le fondazioni di partecipazione non sono infatti, a differenza di altri tipi recenti di fondazioni, una «mutazione dei poteri pubblici diretta alla riorganizzazione del diritto pubblico» (S. Cassese), ma un fenomeno nuovo che esprime la convergenza di iniziative pubbliche e private, e così si ricollega all'idea del partenariato pubblico-privato per il perseguimento di fini di utilità sociale. Il loro ambito va dunque ristretto con l'esclusione di tipi di fondazione che, ancorché partecipate, rimangono soggette a penetranti poteri di indirizzo e controllo pubblicistici; e che per tale motivo si usa definire quali "fondazioni di diritto pubblico".

La decisione di costituire la fondazione

Ogni provvedimento delle pubbliche amministrazioni deve essere motivato, con espressa indicazione delle ragioni di fatto e di diritto che hanno portato alla decisione (art. 3 legge n. 241/1990).

La regola è generale, e dunque non vi fanno eccezione le decisioni di carattere organizzativo, come quelle relative alla costituzione di nuovi soggetti giuridici esterni all'ente decidente (cfr. il citato art. 3 L. n. 241: «ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l'organizzazione amministrativa … deve essere motivato»).

Naturalmente, ove la costituzione della fondazione sia prevista direttamente dalla legge, nei casi in cui la norma non sia autoapplicativa, basta il richiamo alla norma che disciplina la fattispecie, senza ulteriori motivazioni.

Nel caso invece di scelta autonoma dell'ente, occorre dar conto, da un lato, delle specifiche ragioni di pubblico interesse che consigliano la costituzione del nuovo soggetto, nella prospettiva degli obbiettivi di economicità efficacia ed efficienza (tutte articolazioni del citato principio di "buon andamento" già previsto con lungimiranza dalla Costituzione). Dall'altro, del perché è preferita la "forma fondazione", anziché la forma societaria od altre forme previste dall'ordinamento (ad esempio "l'azienda speciale" di cui all'art. 113-bis del D.lgs. n. 267/2000, prevista per i casi della gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica, ma di utilizzazione anche per casi di attività di utilità sociale).

La decisione sulla costituzione delle nuove fondazioni è inoltre il frutto di un procedimento amministrativo, con una fase istruttoria in cui sono esaminati i dati della fattispecie e prospettate le varie soluzioni giuridiche possibili, ed una fase propriamente decisionale di competenza dell'organo dell'ente a ciò preposto (ad esempio, nei comuni il consiglio comunale, argomentando sulla base dell'art. 42 del citato testo unico degli enti locali; a meno che gli statuti dell'ente non stabiliscano diversamente, o non vi siano particolari situazioni che giustificano la competenza della giunta).

Trattandosi di un procedimento amministrativo disciplinato dal diritto pubblico, gli eventuali ricorsi sui provvedimenti che la concludono rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo.

L'adesione a fondazione già costituita

Nei casi in cui la fondazione abbia avuto origine da decisione di altri soggetti, anche privati, l'ente può deliberare di aderire alla fondazione con uno status che dipende dai tipi di soci previsti dal relativo statuto. La fondazione può essere di tipo tradizionale; ma, a seguito dell'adesione dell'ente pubblico, con un'evoluzione verso il modello partecipativo; od una vera e propria fondazione di partecipazione.

La delibera deve dare specifica motivazione sulle ragioni dell'adesione, ad esempio per gli scopi di pubblico interesse perseguiti dalla fondazione e per la qualità dei risultati eventualmente già conseguiti.

L'adesione può essere accompagnata da condizioni per assicurare all'ente un'adeguata posizione all'interno degli organi e opportunità di incidenza sulla governance della fondazione. L'ente pubblico – specie se di tipo esponenziale (come la regione o il comune) – può inoltre ottenere condizioni particolari per quanto attiene il contributo statutariamente previsto; sia per obbiettive ragioni di bilancio che per compensare la particolare connotazione qualitativa apportata alla fondazione partecipata.

Per tali motivi, l'adesione di un ente pubblico ad una fondazione già esistente, quale che ne sia l'originaria natura, finisce per incidere in misura rilevante sulla sua organizzazione e sul suo funzionamento.

La partecipazione di altri soggetti a fondazione di cui è socio un ente pubblico

La compresenza di enti pubblici e soggetti privati in figure giuridiche soggettive con distinta personalità di diritto comune rispetto all'ente pubblico è da tempo fenomeno diffuso. Il caso più noto è quello delle società di capitale misto, ovvero pubblico e privato, che dopo le politiche di privatizzazione a livello statale è oggi massicciamente diffuso nel settore dei servizi pubblici locali (con effetti distorsivi ed ove invece la privatizzazione è spesso di carattere "formale", con la conseguente paradossale pubblicizzazione di settori prima contrassegnati dalla presenza privata).

Dopo un lungo contrasto giurisprudenziale, l'attuale disciplina (art. 113 del D.lgs. n. 267/2000 ed altre norme similari) prevede che l' "accompagnarsi" delle pubbliche amministrazioni con soggetti privati sia necessariamente il frutto di una procedura ad evidenza pubblica. In particolare, nelle società miste il socio privato – indifferentemente se in posizione minoritaria o maggioritaria – deve sempre essere scelto con tale tipo di procedura. Nel caso di acquisizione di partecipazioni in società già esistente, occorrerà invece una puntuale motivazione, similmente a quanto indicato al paragrafo "La decisione di costituire la fondazione".

Il caso delle fondazioni di partecipazione è diverso rispetto ai principi ora indicati, tanto nel caso di fondazioni per trasformazione ex lege, quanto di fondazioni di costituzione originale. Infatti, lo schema di questo tipo di fondazioni è strutturalmente aperto alla partecipazione di altri soggetti, con il solo limite – peraltro di diritto comune, più che di diritto pubblico – che i soggetti che aderiscono alla fondazione appartengano a determinate tipologie.

Nel caso, dunque, per l'ente pubblico non si tratta di selezionare un nuovo partner da un mercato aperto e composto da un numero indeterminato di soggetti, tra loro in posizione oggettivamente concorrenziale, ma di verificare le qualità formali del nuovo aderente, espressione di un settore determinato dal legislatore e privo di norma del carattere concorrenziale.

L'oggetto delle attività delle fondazioni di partecipazione

La presenza di un ente pubblico in altri soggetti giuridici deve sempre trovare il fondamento nell'interesse pubblico cui l'ente è preposto; interesse pubblico che evidentemente può essere meglio perseguito (od anche soltanto in tal modo perseguito) con un diverso assetto organizzativo, rispetto all'azione diretta dell'ente stesso. Ciò comporta che, nel caso, sia data un'ulteriore motivazione di tipo funzionale alla decisione di costituire una fondazione o di parteciparvi, se già costituita.

Premesso questo principio generale, le situazioni in cui l'ente pubblico può partecipare ad una fondazione sono le più diverse. Una prima ampia categoria di fondazioni comprende i casi di attività "esternalizzate" dalla pubblica amministrazione, per ragioni di miglior efficienza astrattamente assicurate dalla diversa figura giuridica e/o di maggiore funzionalità del diritto comune rispetto alle regole pubblicistiche. Esternalizzare (orrendo anglicismo, l'outsourcing, di origine aziendalistica) implica che l'oggetto della fondazione sia un'attività in precedenza svolta dall'ente pubblico direttamente con i propri mezzi. Si tratta dunque sempre di attività di pubblico interesse, tipiche della configurazione che la legge ha dato al particolare ente pubblico interessato all'esternalizzazione, che mutano solo nella veste formale e per il "guscio giuridico" in cui vengono poi esercitate.

Da qui una perdurante rilevanza pubblicistica di questa attività, che obbliga (a pena di non dismettere illegalmente i propri compiti) l'ente pubblico a mantenere una posizione di controllo e di garanzia sull'operato della fondazione partecipata. Nonché giustifica interventi del legislatore per condizionamenti diretti sul campo d'azione dei nuovi soggetti, o indiretti per le condizioni di partecipazione alla fondazione delle pubbliche amministrazioni.

In parte diverso è il caso delle fondazioni di partecipazione che non discendono da esternalizzazioni dal settore pubblico, ma direttamente dalla concorde volontà di vari soggetti. L'oggetto sociale deve ovviamente anche in questo caso essere di pubblico interesse – condizione generale essenziale per qualsivoglia partecipazione di ente pubblico – ma rimane, in misura molto superiore che nella categoria precedente, nelle mani degli stessi soggetti che ne sono soci. L'incidenza pubblicistica è mediata, vale a dire esercitata non direttamente sulla fondazione con indirizzi e controlli, ma tramite l'operato dei soggetti nominati dall'ente pubblico negli organi della fondazione.

L'organizzazione delle fondazioni di partecipazione

Gli studi sulle fondazioni di partecipazione hanno evidenziato che il modello organizzativo proprio di questa categoria di fondazioni si allontana sensibilmente da quello delle fondazioni tradizionali. Infatti, la connotazione "associativa" che connota le fondazioni di partecipazione implica che l'organo amministrativo, usualmente unico ed omogeneo per tipo di interessi rappresentati, si articoli variamente così da riprendere i modelli sia delle associazioni che delle società.

In molte fattispecie gli statuti prevedono un consiglio di amministrazione, una giunta/comitato esecutivo (spesso apparentemente pletorici, ma così previsti per assicurare la più ampia rappresentanza e partecipazione) e l'assemblea; con varianti di organi aperti all'ambiente sociale ed istituzionale in cui la fondazione opera (es. "l'assemblea del territorio" che si trova in alcuni statuti).

A queste peculiarità, la partecipazione di enti pubblici ne aggiunge altre. Anzitutto, le fondazioni che derivano da trasformazione di precedenti persone giuridiche pubbliche vedono, ex lege, la presenza maggioritaria negli organi collegiali di soggetti designati dagli enti pubblici; oppure determinate posizioni riservate alla parte pubblica. In secondo luogo, i criteri organizzativi sono poi da combinare con taluni criteri funzionali, quali la necessità di maggioranze qualificate (tali da includere necessariamente il voto della parte pubblica) per talune deliberazioni di particolare rilievo. Più in generale, la partecipazione di enti pubblici determina un sistema di governance della fondazione necessariamente più complesso, con specifiche garanzie per la parte pubblica.

Le articolazioni organizzative sono comunque assai varie a seconda del tipo di fondazione di partecipazione. In quelle di origine pubblicistica, si risente ancora notevolmente l'impronta precedente; confermandosi così i limiti delle trasformazioni "formali". I soggetti nominati dalla parte pubblica negli organi della fondazione sono legati ad essa da un mandato imperativo, più che da un mero vincolo fiduciario, e dunque si ritiene che possano essere revocati in caso di violazione del mandato ricevuto. Diversamente, nel caso delle fondazioni di origine propria, ove i soggetti nominati esercitano in autonomia i poteri amministrativi inerenti alla propria posizione.

In generale si può affermare che nel caso di fondazioni di origine privata il potere pubblicistico di conformare l'organizzazione non esiste o trova forti limitazioni.

Diritto comune e diritto pubblico nella operatività delle fondazioni di partecipazione:
gli appalti di lavori, servizi e forniture

I contratti con cui le fondazioni soddisfano le proprie necessità operative rappresentano uno dei settori in cui maggiormente si avverte l'influenza pubblicistica. Infatti, per il combinarsi di norme comunitarie e nazionali, le fondazioni in cui sia rilevante il finanziamento pubblico o che siano configurabili quali "organismi di diritto pubblico" – nozione di origine comunitaria e poi recepita dal diritto nazionale (cfr. art. 3 comma 26, D.lgs. n. 163/2006, codice dei contratti della pubblica amministrazione) – sono tenute ad osservare le procedure ad evidenza pubblica proprie delle pubbliche amministrazioni.

Si tratta di una limitazione considerata da taluni eccessivamente gravosa e tale da contraddire una delle principali motivazioni per la costituzione di questo tipo di soggetti giuridici (la semplificazione e l'efficienza operativa), ma che risponde ad una evidente patologia degli scorsi decenni, quando la "privatizzazione" era sostanzialmente intesa come fuga dalle regole a garanzia del mercato e della concorrenza; ma più in generale a presidio della legalità amministrativa.

è stato il diritto comunitario a rilevare il fenomeno e contrastarlo con le direttive su gli appalti pubblici, sempre più puntuali e dettagliate a partire dagli anni ottanta, e poi fattesi in larga parte autoapplicative (selfexecuting) per ovviare alla prassi dell'inottemperanza da parte degli Stati membri. Prima, con una compiuta normativa per gli appalti di rilievo economico "sopra soglia" (peraltro relativamente alta solo per i lavori; mentre è bassa per servizi e forniture); poi, con l'applicazione anche "sotto soglia" dei principi del Trattato e dei principi generali di diritto comunitario, la disciplina comunitaria ha vincolato tutti i soggetti a rilevanza pubblicistica – ad onta della loro qualificazione giuridica formale – a seguire le regole dell'evidenza pubblica.

Al di là della gravosità di queste regole, è stata anche contestata l'apparente contraddizione tra la "forma fondazione" e la loro possibile qualificazione come "organismi di diritto pubblico". In realtà, siamo di fronte ad un fenomeno – assai comune – per cui il medesimo soggetto può assumere un diverso rilievo giuridico, di diritto comune o di diritto pubblico, a seconda delle circostanze considerate. Inoltre, la nozione di "organismo di diritto pubblico" non implica una nuova categoria di persona giuridica, ma serve solo a definire le occasioni in cui un soggetto giuridico, come definito dal diritto nazionale, deve osservare le regole comunitarie a garanzia del mercato e della concorrenza.

Per ritornare al caso degli appalti delle fondazioni di partecipazione, esse sono tenute all'applicazione della disciplina pubblicistica nei casi – fattualmente frequentissimi – previsti dall'art. 28 e dagli artt. 32 e ss. del recente codice dei contratti pubblici (D.lgs. n. 163/2006).

Al riguardo è da segnalare con preoccupazione la posizione divenuta dominante nella giurisprudenza del Consiglio di Stato (da ultimo, VI, 30 ottobre 2006, n. 6449), per cui la qualificazione di un organismo di diritto pubblico è uno status che connota il soggetto, senza che vi sia bisogno di una verifica sulla specifica attività interessata dalla procedura di gara. Ciò per pretese elementari ragioni di certezza e trasparenza. Il Consiglio di Stato giunge così alla più che dubbia conclusione per cui, alla verifica delle condizioni in un caso, l'ente vada sempre qualificato come organismo di diritto pubblico con riguardo ad ogni ramo di attività e settore di intervento.

(Segue): il caso degli affidamenti "in house"

La compagine sociale delle fondazioni di partecipazione vede talora la presenza di imprese operative, ad esempio imprese di costruzioni, o di servizi o di forniture. Si può dunque porre il problema di una loro utilizzazione da parte della fondazione di cui fanno parte, in quanto imprese ovviamente ben conosciute e che possono assicurare condizioni economiche di favore; e che comunque sono interessate a garantire la migliore prestazione alla fondazione, nel comune interesse, proprio e della fondazione stessa.

Tuttavia, ove secondo la normativa citata al paragrafo precedente (in particolare il recente codice degli appalti) la fondazione in questione sia qualificabile come "soggetto aggiudicatore", gli affidamenti diretti a propri soci (noti anche con la formula inglese dell'affidamento in house) sono da considerarsi giuridicamente eccezionali. Tale è la conclusione raggiunta dalla giurisprudenza, ed ora codificata nel decreto legislativo n. 163/2006, sotto l'influenza del diritto comunitario. I casi considerati dalla giurisprudenza riguardano le società miste e gli appalti pubblici, ma i principi ivi espressi sono considerati di generale rilevanza per tutti i casi di affidamenti diretti a imprese che siano soci del soggetto affidante.

La conclusione pare discutibile in relazione alle fondazioni in esame, che non si connotano in senso economico-imprenditoriale e che potrebbero beneficiare dell'operato dei propri soci sia per la qualità delle prestazioni che per le condizioni economiche assicurate. Si tratta dunque di verificare, caso per caso, se i caratteri delle fattispecie ricadono effettivamente nel divieto di affidamento diretto.

L'ambito di operatività delle fondazioni

Nelle fondazioni tradizionali il campo di operatività discende dallo scopo perseguito, e comunque è da intendere in senso elastico in quanto è assai difficile definire una chiara linea di confine per le diverse possibili iniziative. Il profilo giuridicamente rilevante per questa parte è principalmente quello della competenza statale o regionale per il riconoscimento della personalità, a seconda del previsto ambito di operatività.

La partecipazione degli enti pubblici – specie gli enti locali, per loro natura collegati al territorio di cui sono espressione – rappresenta un condizionamento sull'operato delle fondazioni cui aderiscono. Sta infatti prevalendo nell'ordinamento il principio per cui i soggetti partecipati da enti pubblici devono operare prevalentemente o esclusivamente nel territorio di riferimento degli enti. Il principio è stato elaborato ancora una volta in riferimento alle società miste, di cui si è discussa l'operatività c.d. extra moenia; ma, come nel caso degli affidamenti diretti e di altri profili di questo partenariato "istituzionalizzato", si considera avere una valenza generale quale limite per ogni coinvolgimento degli enti pubblici locali in diversi soggetti giuridici.

Ancor più di altri principi sopra esaminati, il limite della territorialità male si adatta alle fondazioni. Le loro iniziative possono infatti assumere una dimensione nazionale ed oltre, proprio per assicurare i migliori risultati nell'ambito loro primario: si consideri ad esempio una promozione internazionale di eventi culturali da tenersi nella città in cui la fondazione ha sede; oppure la costituzione di rapporti convenzionali con altre fondazioni nazionali ed estere; ed anche l'istituzione di sedi secondarie al fine di raccogliere fondi ed adesioni, anche tramite iniziative in tali luoghi, gemmate dalla sede principale.

Si tratta dunque di un limite da considerare solo in senso tendenziale, per evitare adesioni strampalate a soggetti davvero "remoti" agli scopi istituzionali (come talora avvenuto) e possibili sperperi di pubblico denaro, che la Corte dei Conti è tenuta a perseguire, come dopo si dirà.

Il lavoro nelle fondazioni di partecipazione

Sino a tempi recenti, il lavoro pubblico ed il lavoro privato avevano discipline assai diverse; e la partecipazione di enti pubblici ad altri soggetti portava delle complicanze pubblicistiche anche per la disciplina dei rapporti di lavoro.

è ben noto però che questa tradizionale distinzione ora è superata in massima parte, e dunque sia il lavoro dipendente che i rapporti contrattuali a termine, ed anche gli incarichi particolari, sono adesso rapportabili al diritto comune. Il punto è particolarmente positivo per l'operato delle fondazioni, che necessitano di condizioni operative meno rigide che nelle pubbliche amministrazioni, anche per quanto riguarda le persone a vario titolo utilizzate.

Permangono però disposizioni normative che contraddicono quanto esposto. Un caso è, ad esempio, quello delle fondazioni universitarie in cui la specifica normativa manifesta un'impostazione pubblicistica nella scelta di figure chiave per la fondazione (cfr. in particolare il D.P.R. n. 254/2001).

Si tratta però di rare eccezioni rispetto alla regola, di stretta interpretazione, che contraddicono alla tendenza di fondo verso l'applicazione generalizzata del diritto comune.

Per le fondazioni di partecipazione l'utilizzo degli istituti di diritto comune è essenziale specialmente per individuare le figure professionali più rilevanti ai fini della loro operatività, come i direttori e le equipollenti figure "motori" delle fondazioni. Oltre alla flessibilità nella selezione dei candidati, il diritto comune offre la possibilità di contratti individuali calibrati per lo specifico rapporto e per l'equilibrio delle rispettive necessità.

I controlli pubblicistici sulle fondazioni. Le responsabilità

Non si intende qua riprendere il tema, ben noto, dei controlli pubblici previsti dal codice civile sulle fondazioni (peraltro di recente profondamente rivisto), ma indicare come la partecipazione di enti pubblici alla fondazione aggiunga altre occasioni di controllo pubblicistico.

Per controllo si intende qua sia la tradizionale verifica a posteriori dell'operato della fondazione rispetto a determinati parametri di legittimità e/o di merito; sia l'influenza sulla loro attività tramite il potere di indirizzo.

La diversificata casistica delle fondazioni di partecipazione evidenzia situazioni in cui statutariamente si riconosce che l'ente pubblico di riferimento indirizza tramite i propri rappresentanti l'operato delle fondazioni; altre situazioni in cui l'ente pubblico è interessato solo ad assicurare la coerenza delle iniziative della fondazione con i propri programmi; altre situazioni ancora in cui la verifica è solo successiva, secondo i classici canoni del controllo a posteriori.

Queste forme di influenza pubblicistica sull'operato delle fondazioni non erano frequenti per le fondazioni tradizionali, più stabili e "conservatrici"; ma ben si spiega per le fondazioni di partecipazione, il cui obbiettivo reale è quello di realizzare iniziative e programmi di ambiziosa portata e di rilevante costo, per loro natura aperte a diversi esiti e pertanto, ove necessario, da "funzionalizzare" nel pubblico interesse.

I controlli come sopra definiti trovano principalmente forma negli statuti, ma spesso sono meglio definiti in accordi e patti parasociali. Nei casi di fondazioni in posizione "strumentale" rispetto agli enti pubblici, il mancato rispetto degli indirizzi o la gestione opinabile della fondazione può legittimare la revoca degli amministratori di nomina pubblica, ed in certi casi anche lo scioglimento degli organi sociali.

Varie fondazioni sono soggette per legge al controllo della Corte dei Conti; per altre è la stessa Corte dei Conti a ritenersi competente a tal fine stante la rilevanza della partecipazione finanziaria pubblica nella fondazione. Per amministratori e funzionari delle fondazioni soggette al controllo della Corte dei Conti si può dunque verificare una responsabilità erariale per cattiva spendita dei fondi gestiti.

Nel periodo recente è avvertibile la tendenza della Corte dei Conti – confortata dalla Cassazione – ad ampliare queste verifiche, in conseguenza del rapido aumento delle fondazioni di partecipazione e di altre figure giuridiche soggettive atipiche, partecipate da enti pubblici. L'ulteriore controllo pubblicistico che così si determina è indubbiamente asimmetrico rispetto alle esigenze di operatività delle fondazioni, ma trova giustificazione dai casi – non infrequenti – in cui le fondazioni (ed altri soggetti giuridici, come le società partecipate) sono utilizzate da disinvolti enti pubblici principalmente per sfuggire al rispetto delle normative pubblicistiche (appalti, vincoli finanziari discendenti dal patto di stabilità, ecc.).

Per una delimitazione della nozione di fondazione di partecipazione e la conseguente disciplina

L'esame dei principali condizionamenti pubblicistici sulle fondazioni di partecipazione dimostra come alla fortuna di questo modello organizzativo non si accompagni ancora un'appropriata disciplina legislativa. L'influenza del diritto pubblico si avverte in molte questioni dell'organizzazione e della funzionalità delle fondazioni di partecipazione, con gradi diversi a seconda del tipo specifico di ente (circostanza che sollecita a "dissezionare" il modello in tipi particolari). Certo è che di fronte ad una disciplina così composita non risulta convincente considerare la disciplina codicistica in ogni caso quale normativa di riferimento. Alla atipicità delle fondazioni di partecipazione – ripetesi, per adesso, sino all'eventuale configurazione di uno specifico "modello" fondazionale – corrisponde un diritto altrettanto atipico in cui coesistono, con tensioni e asimmetrie, diritto comune e diritto pubblico.

Si consideri in particolare che per le fondazioni in esame l'influenza pubblicistica è avvertibile – come indicato – in tutti i tratti caratterizzanti: lo scopo della fondazione può essere determinato direttamente dalla legge, nel caso delle fondazioni di origine pubblica; o può essere anche modificato dalla legge, nel caso di fondazioni di origine privata; il patrimonio iniziale può essere di limitata entità, perché molte fondazioni sono costituite proprio con la finalità di raccogliere finanziamenti, che, in caso positivo, sono di regola utilizzati per gli scopi della fondazione e non patrimonializzati; l'organizzazione risente del carattere partecipato dell'ente, con vari organi collegiali aperti ad ulteriori presenze di nuovi aderenti.

L'esegesi della disciplina esistente è anche l'occasione di una riflessione propositiva, per i cui esiti si avverte la disponibilità del legislatore (ad esempio con i convegni e gli studi promossi dalle Camere; ma con riflessioni anche in sede regionale, per quanto di competenza su un terreno in cui si manifesta un'incipiente concorrenza di interventi).

In tale prospettiva, l'attuale genus delle fondazioni di partecipazione risulta da restringere a seguito dell'estromissione di due tipologie che solo di facciata sono "di partecipazione". La prima comprende le fondazioni scaturenti dalla mera privatizzazione formale di precedenti enti pubblici, che rimangono, ciò non ostante, prevalentemente finanziate dallo Stato e/o da altre pubbliche amministrazioni, soggette a penetrante potere di indirizzo e controllo, in sostanza risultando ancora longa manus dell'amministrazione di riferimento. L'altra, poi, comprende le fondazioni "strumentali" all'ente che le ha promosse e costituite, caratterizzate dalla piena funzionalizzazione dell'attività a favore di questo; ove la partecipazione di altri soggetti ha carattere ancillare rispetto all'ente ausiliato. In ambedue i casi è corretta la qualificazione oggi dominante tra gli studiosi del diritto amministrativo di queste fondazioni come "fondazioni di diritto pubblico", in cui la forma esterna non può nascondere un'evidente sostanza pubblicistica.

La disciplina di queste fondazioni pubblicistiche che si propone di espungere dal novero delle fondazioni di partecipazione difficilmente sarà diversa dalla specialità casistica, con enfasi di volta in volta posta sugli interessi pubblici perseguiti e le modalità di loro perseguimento. Nel mentre la disciplina codicistica varrà solo per i pochi casi in cui ciò sia previsto o compatibile con le connotazioni pubblicistiche di tali enti.

La lettura ora espressa prescinde dal considerare il dato di origine di tali fondazioni, privilegiando invece il grado di condizionamento da parte del diritto pubblico. Il dato costitutivo non è infatti di per sé decisivo, come dimostra il caso delle fondazioni universitarie (ai sensi del D.P.R. n. 254/2001), costituite formalmente per convergente volontà di vari soggetti, ma nella sostanza "organi indiretti" dell'ente di riferimento (l'Università).

Le fondazioni di partecipazione devono, invece, esprimere compiutamente un partenariato pubblico privato, quali enti di forma privatistica in cui più soggetti, privati e pubblici, perseguono fini di utilità sociale. Non si tratta dunque di emanazioni di amministrazioni pubbliche, né di forme elusive dei vincoli pubblicistici, ma espressione istituzionalizzata (il ricordato Libro verde della Commissione parla di "partenariato istituzionalizzato") dell'incontro di volontà tra soggetti pubblici e privati per realizzare una forma di cooperazione di lungo termine per il conseguimento di scopi di utilità sociale.

La relativa disciplina – di cui si ribadisce l'urgenza, atteso il rapido sviluppo del fenomeno cui occorre dare un affidabile scenario giuridico di riferimento – non potrà che essere principalmente di diritto comune, salve alcune fattispecie (come gli appalti) caratterizzate da norme pubblicistiche per assicurare il necessario rispetto degli interessi pubblici rilevanti, quali concorrenza e imparzialità.

Nota bibliografica

La produzione scientifica sulle "nuove" fondazioni e il diverso atteggiarsi della soggettività giuridica sta divenendo sterminata. Si indicano qua solo le opere di diritto pubblico più recenti e significative, considerate per la presente relazione: Fondazioni e attività amministrativa, a cura di S. Raimondi-R. Ursi, Giappichelli, Torino, 2006 (ed ivi molti contributi rilevanti, tra cui quelli di V. CERULLI IRELLI e D. SORACE); A. MALTONI, Il conferimento di potestà pubbliche ai privati, Giappichelli, Torino, 2006; G. NAPOLITANO, Le fondazioni di origine pubblica: origine e regole; in Pubblico e privato nel diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2003; F. MERUSI, La privatizzazione per fondazioni tra pubblico e privato, in Dir. Amm., 2004, p. 463; E. FRENI, La trasformazione degli enti pubblici, Giappichelli, Torino, 2004; M.P. CHITI, L'organismo di diritto pubblico, Clueb, Bologna, 2000; S. CASSESE, La disciplina delle fondazioni: situazioni e prospettive, in Studi in onore di P. Rescigno, Giuffrè, Milano, 1998, II. 1, p. 161; ID., «Le privatizzazioni: arretramento o riorganizzazione dello Stato? », in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1998, p. 583.

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