Trasformazione da e in fondazione di partecipazione
Trasformazione da e in fondazione di partecipazione
di Andrea Fusaro
Professore straordinario di sistemi giuridici comparati, Università di Genova

Premessa

Il tema sembrerebbe interamente disciplinato negli artt. 2500-septies ed octies c.c., ma questi riferimenti normativi valgono soltanto laddove la condizione di partenza o quella di arrivo sia una società lucrativa. Operano, invece, regole diverse in presenza di società senza scopo di lucro (quali le società sportive dilettantistiche o le imprese sociali), cooperative, associazioni.

L'analisi dovrebbe, dunque, segmentarsi in due parti: una prima rivolta ad indagare l'applicazione degli articoli richiamati, esplorandone i termini di compatibilità, insieme con le eventuali deroghe imposte dalle peculiarità della fattispecie, sia quanto alla composizione sia in ordine alle funzioni; una seconda parte incentrata sull'individuazione delle regole applicabili negli altri casi, anche qui puntualizzandone poi gli adattamenti.

Sennonché la congiuntura rilevante è quella della trasformazione della fondazione, non già nella stessa, ed a prescindere dallo sbocco, e cioè indipendentemente dalla circostanza che si tratti di società lucrativa, non lucrativa, cooperativa od associazione.

Le varianti della trasformazione

Non si intende con questo negare l'esistenza di risvolti problematici nella congiuntura speculare, ma soltanto evidenziare come essi non riflettano le caratteristiche che connotano le fondazioni di partecipazione, configurandosi come da questa svincolate. Fa forse eccezione l'interrogativo circa la concepibilità dell'assegnazione di quote di interessi - in concambio delle partecipazioni sociali - ai membri dell'organo assembleare della fondazione: si tratta, peraltro, di un profilo privo di rilievo sistematico causale, atteggiandosi piuttosto quale corollario di opzioni di vertice, dal momento che, per un verso, occorre prendere posizione circa la concettuale ammissibilità della proposta (affatto banale) di rappresentare il patrimonio della fondazione attraverso quote da attribuire ai soci mentre, dall'altro, la commisurazione dei diritti economici e politici - in specie del potere decisionale - dei "soci" è riflesso della più ampia concezione dell'istituto.

Neppure è irrilevante lo sbocco della trasformazione in società non lucrativa od in associazione, dal momento che - come è stato opportunamente sottolineato - la portata normativa dell'art. 2500-octies deve essere riferita al contesto caratterizzato dal mutamento non solo del tipo, ma pure della finalità (da non lucrativa a lucrativa) [nota 1], così come quella dell'art. 28 attiene al mutamento dello scopo, che rappresenta il nucleo della fondazione; diversamente occorre far capo alla previsione - art. 2 D.P.R. 361/00 - in tema di modificazioni statutarie, la cui adozione è consentita all'organo interno, salvo il controllo dell'Autorità amministrativa. Tra l'altro, si è puntualizzato come la fusione con altra fondazione che non alteri lo scopo, ma anzi ne rappresenti l'attuazione, sia assimilabile ad una modifica statutaria, cosicché possa ben essere deliberata autonomamente, sottoponendola poi al controllo amministrativo [nota 2]. La resistenza a concludere altrettanto circa la trasformazione in associazione [nota 3]- o la fusione con essa - non si è tradotta nella corrispondente preclusione, ma nella riconduzione all'intervento dell'Autorità amministrativa, secondo il modello privilegiato dall'art. 2500-octies.

Risalta, tuttavia, l'anticipata marginalità di queste considerazioni rispetto alle specificità delle fondazioni di partecipazione.

Il quadro legislativo

Le fondazioni sono menzionate sia nell'art. 2500-septies sia nel 2500-octies. L'uno le contempla - al primo comma - quale esito della trasformazione delle società di capitali (ma è ormai prevalente l'interpretazione estensiva rivolta ad assimilare le società di persone) e - al terzo comma - disciplina il cuore del procedimento. L'altro le menziona, al primo comma, nella posizione speculare a quella dell'articolo precedente ed al quarto tratteggia il percorso.

Occorre verificare la rifrazione delle specificità della fondazione di partecipazione rispetto alla vicenda in esame, compito che impegna l'interprete a scandagliare minuziosamente le fasi del procedimento, dandosi carico altresì dell'ambito di discrezionalità demandato all'autonomia statutaria quanto alla praticabilità ed ai modi della trasformazione.

Si tratta di profili attinenti alla vicenda che vede la fondazione quale punto di partenza, inevitabilmente - come detto - la congiuntura più sensibile all'atteggiarsi delle sue peculiarità, che giocano meno nell'itinerario speculare.

Dell'art. 2500-octies rileva particolarmente il quarto comma e su di esso deve fermarsi l'attenzione, senza peraltro trascurare la norma transitoria dell'art. 223-octies. In questa sede pare, invece, sufficiente un richiamo allo sfondo normativo che si compone, notoriamente, della disciplina generale della trasformazione - artt. 2498, 2499, 2500, 2500-bis e 2500-ter, secondo comma -, nonché delle disposizioni dedicate a quelle eterogenee, in particolare l'art. 2500-novies.

All'art. 2500 octies deve poi affiancarsi l'art. 28 c.c. che pure contempla un'ipotesi di trasformazione - così come recita la rubrica -, la quale è peraltro riferita soltanto allo scopo ed è prevista quale rimedio all'esaurimento di questo o del patrimonio: essa è disposta dall'Autorità governativa, non diversamente da quanto prevede l'art. 2500-octies, il quale si limita ad aggiungere l'impulso interno. Il confronto tra le due disposizioni evidenzia l'assenza nella nuova dei limiti indicati nella precedente, né l'interprete ritiene di estenderveli, semmai intendendo la nuova comprensiva dell'antica, nel senso di assolvere al medesimo ruolo di allentamento della fissità dello scopo e sua modifica a fronte della sopravvenuta obsolescenza [nota 4].

I margini dell'autonomia statutaria

La previsione del primo comma dell'art. 28 circa il minor allontanamento possibile dalla volontà del fondatore deve raccordarsi con il secondo che contempla la clausola statutaria di devoluzione ed essere rapportata al modello riproduttivo della c.d. fondazione di partecipazione, domandandosi se l'intervento dell'Autorità governativa sia inderogabile, così da inferire l'inammissibilità od inefficacia di clausole statutarie che affidino ad organi interni la competenza a deliberare l'operazione straordinaria, oppure tali previsioni debbano essere equiparate alla "volontà del fondatore". L'accostamento non risulta così peregrino ove si consideri il simulacro di una "assemblea" o l'eventualità di un consiglio di amministrazione non "servente", composti proprio dai fondatori, oppure destinati ad includere i soggetti subentrati successivamente alla costituzione quali finanziatori. L'art. 28, affidando all'Autorità governativa la decisione della trasformazione, sembrerebbe sottintendere l'inderogabilità della competenza ed altrettanto dispone l'art. 2500-octies, ma si tratta di verificare l'insuperabilità di quest'impostazione.

Del libro primo occorre considerare gli artt. 26, 27, 28 e 31, apprezzandone nessi ed intrecci.

L'art. 28 presenta la trasformazione dello scopo come alternativa rispetto all'estinzione, ma - al secondo comma - eccettua l'eventualità che quei fatti siano previsti come cause di estinzione, evenienza già contemplata dall'art. 27, primo comma. Quello stesso secondo comma dell'art. 28 collega alla previsione di una causa statutaria di estinzione la "devoluzione dei beni a terze persone"; per contro, l'art. 31 primo comma nell'accordare priorità alle indicazioni statutarie non riproduce la corrispondente limitazione.

Il ruolo dell'intervento amministrativo

è, perciò, cruciale chiarire se l'intervento dell'Autorità amministrativa sia predisposto a presidio dell'attuazione del programma del fondatore, oppure a garanzia dell'interesse pubblico; quest'ultimo dev'essere a propria volta identificato, esplorandone il legame con la concezione - indebolita dal D.P.R. 361/00 - della pubblica utilità dello scopo della fondazione ed, in caso positivo, accertando se la sua attualità possa essere salvata riferendolo alla tutela dei terzi, oblatori in particolare.

La risposta si riverbera nell'apprezzamento della portata degli artt. 28 e 31, i quali entrambi ammettono la riserva a favore dell'autonomia privata: da essi potrebbe inferirsi l'attribuzione della competenza a deliberare ad un organo interno anziché alla pubblica amministrazione, a somiglianza dell'apertura verso l'introduzione di un termine finale o di una condizione risolutiva.

è, bensì, evidente la realizzazione per questa via di una certa instabilità dello scopo, ma la sua legittimazione deriverebbe dalla previsione statutaria.

La concezione corrente

è constatazione ripetuta che nella mentalità ad oggi prevalente la fondazione risulta custodita nella sua fisionomia tradizionale [nota 5] cui sono reputate coerenti le previsioni del primo libro che prefigurano il controllo pubblico (artt. 25 e ss.) [nota 6].

Tale impostazione non impedirebbe l'introduzione di organi statutari ulteriori rispetto a quello amministrativo [nota 7], ma piuttosto importerebbe una preclusione quanto alle competenze loro affidabili, che troverebbero un limite nel rispetto dello scopo impresso al patrimonio [nota 8], così come ritenuto da una non lontana pronuncia di merito secondo cui « … esistono fondazioni il cui statuto, in parte contraddicendo il tradizionale modello, attribuisce rilievo alla struttura organizzativa, sia attribuendo ampie competenze e larghi margini di discrezionalità al consiglio di amministrazione, sia prevedendo, oltre a questo, altri organi collegiali, come assemblee, consigli generali, comitati esecutivi. Resta fermo, però, che gli amministratori non possono, a differenza dei componenti l'associazione, alterare a proprio piacimento il contenuto dell'atto costitutivo, deliberare lo scioglimento dell'ente o modificarne il fine, perché lo svolgimento della loro attività è pur sempre vincolata al perseguimento dello scopo prefissato dal fondatore, e l'esercizio di queste funzioni spetta solo all'Autorità governativa» [nota 9].

Gli aggiornamenti proposti

Occorre, quindi, interrogarsi circa l'ammissibilità di una clausola statutaria che sottragga alla P.A. la competenza a deliberare la trasformazione, assegnandola ad un organo interno ed, in subordine, chiedersi se si possa per questa via limitare la discrezionalità in ordine all'an, od almeno al quomodo. Dei due quesiti, peraltro, a ben vedere soltanto il primo si lega alle specificità delle fondazioni di partecipazione [nota 10], riferendosi al segmento più avanzato dell'autonomia statutaria.

La posizione più progressista ammette sia il divieto statutario di trasformazione eterogenea - per analogia con l'art. 28, ed in ragione della connessione con il 31 -; sia la previsione dell'automatismo tanto della trasformazione in società, quanto della variazione dello scopo, tale da imporre agli amministratori di presentare l'istanza in presenza di determinate circostanze. L'attitudine a vincolare la condotta dell'organo esecutivo lascerebbe, nondimeno, impregiudicata la discrezionalità all'Autorità amministrativa. L'assimilazione della trasformazione all'estinzione sortisce, invero, l'effetto di estendere alla prima l'ammissibilità delle cause convenzionali [nota 11] espressamente prevista per la seconda dall'art. 27, al pari della condizione risolutiva e del termine finale [nota 12], ma conferma pure l'inevitabilità dell'intervento dell'Autorità amministrativa, che per l'estinzione è contemplato dall'art. 6 D.P.R. 361 [nota 13].

è, insomma, in gioco la sottrazione all'Autorità amministrativa dell'esclusiva circa l'ingerenza nella vita della fondazione, consegnata dagli artt. 25, 26, 28 e 31 c.c.

Muovendo dalla premessa circa l'inestensibilità all'art. 2500-octies dei limiti sanciti dall'art. 28 si è pervenuti ad ammettere la possibilità di trasformare in società le fondazioni di famiglia [nota 14], di qui allargandosi verso una rilettura dell'art. 28 medesimo, riferendo la preclusione alla trasformazione dello scopo alla preoccupazione di rispettare la volontà del fondatore che, essendosi riferito ad un certo nucleo, non tollera divagazioni. Per contro, prosegue tale ricostruzione, sarebbe concepibile la trasformazione in società dal momento che le quote sociali possono essere attribuite ai familiari [nota 15].

Si tratta di uno sforzo costruttivo articolato, ricco di spunti preziosi per il contesto delle fondazioni di partecipazione.

La rielaborazione di alcuni spunti

Come anticipato, il perno risiede nella considerazione del controllo pubblico come tutorio di un interesse collettivo, oppure custode della volontà del fondatore. Laddove si opti per la seconda prospettiva si deve aver cura di introdurre limiti a presidio dello scopo non lucrativo: ad esempio la retrocessione del patrimonio al fondatore deve esser contenuta entro il recupero dei conferimenti se è stata svolta attività economica (mentre l'ottenimento di oblazioni od altre provvidenze dovrebbe determinare l'operatività del medesimo ordine di cautele indicate per le associazioni dal comma terzo del 2500-octies). Nel rispetto di tali limiti, se l'intervento dell'Autorità amministrativa è inteso supplire alla volontà privata, questa potrebbe evitarlo esprimendo una burocrazia interna autosufficiente, quindi proprio attraverso la valorizzazione delle potenzialità della fondazione di partecipazione.

Si realizzerebbe, però, in questo modo un notevole scarto rispetto ad altre previsioni consuete in statuti ispirati a tale modello: essa sarebbe ben più pregnante - ad esempio - della mera nomina delle cariche sociali da parte dell'organo di indirizzo, dal momento che l'art. 25 la demanda all'Autorità amministrativa non incondizionatamente, ma soltanto a fronte dello stallo delle disposizioni statutarie.

La competenza alla trasformazione rivela così la propria attitudine a fungere da cartina al tornasole del rafforzamento delle funzioni degli organi della fondazione, poiché attenta allo scopo la cui disponibilità è con maggiori resistenze consegnata alla competenza interna.

Il procedimento decisionale interno

è controverso se alla luce dell'art. 2500-octies, ultimo comma, c.c., che richiede l'identificazione dell' "organo competente", la trasformazione debba essere espressamente contemplata dall'atto costitutivo, oppure l'art. 2 D.P.R. 361/00 consenta di superare tale prescrizione, sciogliendola nel rispetto delle regole di funzionamento dell'organo cui affidare tale decisione, anche in assenza di espressa attribuzione statutaria. C'è allora da domandarsi se l'accoglimento della prima tesi importi semplicemente la preventiva adozione di una delibera modificativa dello statuto, o non valga piuttosto a far ritenere senz'altro preclusa la trasformazione non originariamente contemplata.

Si è effettivamente proposto di estendere la regola statutaria in tema di modifiche, sulla scorta di un rapporto di continenza, ma sostenendo che vale anche il reciproco, cosicché l'assenza della previsione di questa precluderebbe pure quella [nota 16]. L'argomento è solido e fa leva sulla natura di modificazione statutaria propria della trasformazione, ma si espone all'obiezione di sottovalutare il rilievo sostanziale di quest'ultima, percepito da chi ha proposto di identificare nella preclusione statutaria alla medesima la garanzia del carattere autenticamente e definitivamente non lucrativo delle fondazioni [nota 17].

Occorre, poi, rilevare che l'art. 2500-octies detta tale divieto per le associazioni e non per le fondazioni: ciò che stupisce sia per il suo riferimento alle prime (in quanto si tratta di una preclusione comunque superabile da parte di una modifica statutaria, mentre in presenza di oblazioni sussisterebbe comunque la preclusione alla trasformazione) sia per la mancata riproduzione rispetto alle fondazioni; peraltro l'art. 16 al secondo comma contempla per esse sole l'eventuale previsione statutaria della trasformazione, in questo modo subordinandone la praticabilità alla menzione espressa: ben vero che la norma si riferiva all'art. 28, ma essa pare estensibile oltre [nota 18]. Di qui un ulteriore argomento per subordinare la trasformazione all'espressa previsione, e ritenere insufficiente quella relativa alle modifiche statutarie.

Osservate in più ampia prospettiva, modifiche statutarie e trasformazione evidenziano poi notevoli somiglianze - concettualmente la seconda è riconducibile alla prima -, ma pure divaricazioni, riassumibili nella superiore incisività della seconda, che si riflettono sul piano procedimentale: le prime sono deliberate dagli organi interni e dall'Autorità amministrativa vengono soltanto controllate, mentre la seconda è da questa decisa.

La prassi sembra bensì orientarsi nel senso della maggior scorrevolezza, sulla scia dell'apertura offerta dalla giurisprudenza alla deliberazione interna delle modifiche statutarie, poi fatta propria dal D.P.R. 361 [nota 19], ma nel rispetto dello scopo. Non bisogna, infatti, dimenticare che proprio l'arresto più significativo - quello del Consiglio di Stato di un decennio fa [nota 20] reso a margine della Fondazione Spadolini - legittimò bensì la delibera consiliare, ma lo fece appoggiandosi al tenore letterale del terzo comma dell'art. 16 (che in precedenza veniva mutilato riferendolo alle sole associazioni [nota 21]) e comunque sottolineò che le modificazioni statutarie sono ammissibili purché «non siano tali da pregiudicare lo scopo programmato e da travolgere i connotati inderogabili della fattispecie voluti dal fondatore». Orientamento ribadito dalla dottrina più attenta a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 2 D.P.R. 361 [nota 22].

L'attualità della prospettiva non sembra superata dalla recente decisione del Tribunale di Roma che ha acconsentito l'adozione a maggioranza della decisione di trasformare una società di persone in società di capitali, in presenza nei patti sociali della clausola di mero rinvio alle disposizioni del codice civile, in quanto ben diverse sono le coordinate normative [nota 23].

Alcune notazioni di riepilogo

Dalle considerazioni sin qui esposte emergerebbe, quindi, come alla soppressione della competenza dell'Autorità amministrativa a deliberare la trasformazione si oppongano ostacoli testuali e di sistema; nonché come assai dubbio sia l'automatico ampliamento delle competenze degli organi interni verso la trasformazione in società, nel senso della proponibilità dell'istanza pur nel silenzio dello statuto [nota 24].

Certamente la coerenza sistematica non è assoluta (basti pensare al contrasto logico tra il necessario accertamento amministrativo della estinzione e la possibile privatezza degli scopi), ma occorre prenderne atto nei termini di una caratteristica tipologica legale, rivolgendosi piuttosto alla cernita delle ragioni a sostegno dell'adozione di questa forma [nota 25].

L'entrata in vigore dell'art. 2500-octies ha inciso sulla consistenza del vincolo, incrementandone la flessibilità, ma non ne ha necessariamente comportato la disponibilità da parte del fondatore o degli organi interni: esso ha soltanto ampliato l'ingerenza di questi ultimi prevedendo l'impulso rispetto ad una decisione che poi spetta all'Autorità amministrativa. La stessa equivalenza funzionale della trasformazione all'estinzione smentisce la disponibilità dello scopo, rendendo l'autonomia privata arbitra della sua vita e morte - potendone programmare la fine al momento stesso in cui la si crea -, ma non della variazione. Questo se, per un verso, vale a confermare la retrocedibilità dei beni - entro i limiti e con le cautele imposte dal carattere non lucrativo dello scopo - per altro demarca l'ambito delle competenze affidabili agli organi interni, ai quali il fondatore non è in grado di attribuire poteri di cui egli stesso è privo.

Vorrei chiudere con una notazione di apprezzamento nei confronti dell'iniziativa che ha sollecitato una riflessione sulle fondazioni di partecipazione, poiché essa ai meriti scientifici e pratici aggiunge quello di aver testimoniato inequivocabilmente un impulso decisivo impresso dalla categoria notarile [nota 26] alla valorizzazione di un'apertura dottrinale le cui potenzialità applicative diversamente tardavano ad essere colte in tutte le loro articolazioni.


[nota 1] Come subito osservato da G. MARASA', «Le trasformazioni eterogenee», in Riv. Not., 2003, p. 597, la trasformazione di ente non profit in società senza scopo di lucro sarebbe causalmente omogenea, cosicché non soggiacerebbe ai limiti sanciti dall'art. 2500-octies c.c. L'intuizione è ripresa da A. ZOPPINI e F. TASSINARI, «Sulla trasformazione eterogenea delle associazioni sportive», in Contr. Impr. , 2006, p. 910, facendone applicazione in tema di transito tra associazione e società sportiva dilettantistica e derivandone l'inapplicabilità alla trasformazione di associazione in società senza scopo di lucro del divieto connesso all'ottenimento di oblazioni.

[nota 2] A. ZOPPINI, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, Jovene, 1995, p. 222 ritiene «consentite modificazioni anche profonde, se ed in quanto coerenti all'attuazione dello scopo», ammettendo la «possibilità, quando il patrimonio sia esuberante, di creare per scissione ulteriori fondazioni accessorie», ovvero ampliare la gamma delle attività finalizzate al conseguimento dello scopo, aggiungendo che «egualmente ammissibile appare la trasformazione dell'ente nel caso in cui il patrimonio sia esiguo, limitando il campo di attività o attraverso la fusione con una fondazione avente fini analoghi».

[nota 3] A. ZOPPINI, Le fondazioni…, cit., p. 20 osserva che assecondare la trasformabilità della fondazione in associazione - sostenuta da D. VITTORIA, «Il cambiamento del "tipo" per gli enti del I libro del c.c.», in Cont. e Impr., 1993, p.1149 «significherebbe riconoscere ai fondatori un potere di governo dello scopo dell'ente che è, invece, loro precluso».

[nota 4] Merita di essere segnalata la bella relazione di M. MALTONI, «La trasformazione eterogenea di fondazioni in società di capitali», presentata al convegno notarile di Taormina dell'aprile 2006, il cui testo è, con gli altri, in corso di pubblicazione in Riv. Dir. Civ., il quale ha invitato a valorizzare l'affinità funzionale della trasformazione prevista dall'art. 2500-octies con quella prevista dall'art. 28, quale deroga all'immutabilità dello scopo - così da poterla impiegare come surrogato di essa -, pur escludendo la trasferibilità alla prima dei limiti sanciti per la seconda.

[nota 5] Nitidamente illustrata da M. BASILE, Le persone giuridiche, Milano, 2003, p. 272 e ss.

[nota 6] Controllo limitato alla legittimità secondo la giurisprudenza prevalente: Cass. 14 maggio 1987, n. 4442.

[nota 7] Ciò che la prassi aveva da tempo preso ad attuare, come registrato da D. VITTORIA, «Le fondazioni culturali ed il consiglio di amministrazione. Evoluzione della prassi statutaria e prospettive della tecnica fondazionale», in Riv. Dir. Comm., 1975, I, p. 298 e ss.

[nota 8] P. RESCIGNO, voce Fondazione. C) Diritto civile, in Enc. Dir., vol. XVII, Milano, 1968, p. 790 e ss.; M.V. DE GIORGI, Le persona giuridiche in generale, in Trattato di diritto privato, dir. da P. Rescigno, Vol. 2, tomo I, Utet, Torino, II ediz., 1999, p. 193 e ss.

[nota 9] In termini Trib. Salerno, 27 gennaio 1999, in Nuova Giur. Civ. Comm., 1999, I, p. 779, con nota di M.V. DE GIORGI, Il controllo sull'amministrazione delle fondazioni. A. ZOPPINI, Le fondazioni…, cit., p. 220 puntualizza come la modificabilità dello statuto trovi limite nei connotati inderogabili della fattispecie - l'irrevocabilità del programma ed il carattere necessitato dell'attività - e fermo comunque l'art. 27.

[nota 10] Diversamente, ove conservi discrezionalità, per quali ragioni l'Autorità amministrativa disporrà la trasformazione? Sembra cogliere nel segno M. MALTONI, «La trasformazione eterogenea di fondazioni in società di capitali», cit., secondo cui nel silenzio della norma l'unico indizio sarebbe l'interesse dell'impresa, ossia la sua continuazione, che tuttavia - a differenza dall'art. 28 - importerebbe la dissoluzione del vincolo di destinazione, riuscendo così pertinente l'accostamento all'estinzione.

[nota 11] M. MALTONI, «La trasformazione eterogenea di fondazioni in società di capitali», cit.

[nota 12] M.V. DE GIORGI, Le vicende modificative ed estintive, in M. BASILE, Le persone giuridiche, cit., p. 375 e ss.

[nota 13] M.V. DE GIORGI, Le vicende modificative ed estintive, cit., p. 382.

[nota 14] Su cui si segnala M.V. DE GIORGI, «Fondazioni di famiglia e attività d'impresa», in Nuova Giur. Civ. Comm., 2005, p. 82.

[nota 15] M. MALTONI, «La trasformazione eterogenea di fondazioni in società di capitali», cit.

[nota 16] M. MALTONI, «La trasformazione eterogenea di fondazioni in società di capitali», cit.

[nota 17] A. ZOPPINI, Problemi e prospettive per una riforma delle associazioni e delle fondazioni, in A.A. V.V., Per una riforma del diritto di associazioni e fondazioni, Milano, IlSole24Ore, 2005, p. 9 e ss.

[nota 18] Peraltro l'art. 28 non richiede l'iniziativa interna, cosicché la disposizione sarebbe da riferire piuttosto a quanto indicato dal secondo comma dell'art. 28, quindi alla paralisi del potere amministrativo di variare lo scopo.

[nota 19] Trib. Milano, 3 gennaio 1994, in Nuova Giur. Civ. Comm., 1995, I, p. 1076 confermò la competenza dell'organo amministrativo a deliberare la modificazione statutaria.

[nota 20] Cons. Stato, 20 marzo 1996, n. 123.

[nota 21] Cons. Stato, 1 giugno 1960, in Cons. Stato, 1961, I, p. 644.

[nota 22] A. ZOPPINI, Prime osservazioni sistematiche sulla riforma del riconoscimento delle persone giuridiche private, in Il riconoscimento delle persone giuridiche, a cura di M.V. De Giorni - G. Ponzanelli - A. Zoppini, Ipsoa, 2001, p. 14 e ss.

[nota 23] Com'è noto, il nuovo art. 2500-ter al primo comma nello stabilire che «la trasformazione di società di persone in società di capitali è decisa con il consenso della maggioranza dei soci … » premette la salvezza della diversa previsione statutaria, che per le società preesistenti all'entrata in vigore della riforma delle società di capitali conteneva un generico rinvio al codice, quindi all'art. 2252 c.c. che prevede il consenso unanime dei soci per le modifiche del contratto sociale. Secondo Trib. Roma, ordinanza n. 25661/06: «la citata clausola di rinvio generico alle disposizioni del codice civile (comprese quelle contenute in libri diversi da quello contenente la disciplina delle società), al pari delle clausole di per sé non espressive di clausole risolutive espresse ... e di quelle non indicanti termini essenziali per l'adempimento ... ha da un lato natura di mera clausola di stile, essendo ovvio che la legge disciplina il contenuto del contratto e delle relative vicende in mancanza di pattuizioni specifiche tra le parti e, dall'altro, non costituisce regola del contratto, bensì contiene il rinvio a regola esterne di rapporto, come tale entrante in giuoco al momento in cui lo svolgimento del rapporto lo richiede: id est, per quanto qui interessa, al momento in cui i soci decidono la trasformazione».

[nota 24] Non invece rispetto all'art. 28 che prescinde dall'impulso interno.

[nota 25] Laddove ci si prefigga la realizzazione di scopi privati, avvalendosi di soggetti cui si demandino poteri così estesi si replica lo schema del trust, riuscendo, invero difficile, reperire moventi plausibili per ricorrere alla fondazione, che sembra trovare ragione nel perseguimento di uno scopo privato, ma nell'assenza di totale affidamento nei titolari delle cariche; oppure per realizzare uno scopo ulteriore. Sul punto si rinvia ad A. ZOPPINI, Fondazione e trusts (spunti per un confronto), in A.A. V.V., l trust in Italia oggi, Milano, 1996, p. 246, nonché P. MATTHEWS, «Trusts, trust di scopo o fondazioni», in Contr. e Impr., 2004, p. 275; P. MANES, «Le nuove prospettive in materia di fondazioni», in Contr. e Impr., 2004, p. 284.

[nota 26] Particolare merito dev'essere, ovviamente, riconosciuto al Notaio Enrico Bellezza di Milano, il quale ha, tra l'altro, illustrato le potenzialità applicative in numerosi scritti e da ultimo del volume composto con Francesco Florian intitolato Le fondazioni di partecipazione, pubblicato dalla casa editrice La Tribuna.

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