Le fondazioni di partecipazione: profili fiscali
Le fondazioni di partecipazione: profili fiscali
di Salvo Pettinato
Docente in diritto delle associazioni e fondazioni, Università di Bologna, Consigliere dell'Agenzia governativa per le organizzazioni non profit

I principali profili fiscali che riguardano l'operatività delle fondazioni di partecipazione sono ovviamente comuni a quelli relativi alle fondazioni ordinarie.

Ci riferiamo, cioè, alle imposte interessate applicabili a questi soggetti speciali, cioè l'Ires, l'Iva ed agli altri tributi concernenti gli atti (come è l'imposta di registro), così come alle tematiche generali di sostanziale presupposto tributario applicativo (soggettività, rapporti con la contabilità).

Con il primo dei predetti tributi di periodo, peraltro, portatore di una forte incidenza passiva (il 33% del reddito realizzato), si rendono molto interessanti e delicate, oltrechè già rilevantemente dibattute, alcune questioni che interessano gli aspetti più tipicamente soggettivi, i quali, nel contesto della materia, rivestono, com'è noto, un'importanza anche materiale, e non solo teorica quindi, di cospicue proporzioni.

Ci riferiamo primariamente alla possibilità di qualificazione delle fondazioni in parola come Onlus, ovvero, aspetto ancor più sofisticato, pur non proprio alternativo al primo, come enti di tipo associativo, ai fini del noto art. 148 del T.U.I.R. e dell'art. 4 del D.P.R. 633/1972. Posizioni, le predette, che implicano una sostanziale "dequalificazione fiscale" dei rapporti economici tra ente e "partecipanti", statuendo la legge, nella specie, che le relative operazioni poste in essere, anche se implicanti il pagamento di appositi corrispettivi dalla "base sociale" all'ente, non costituiscono, eccezionalmente, per motivi anche diversi, operazioni commerciali imponibili.

Qualificabilità di Onlus

La possibilità per una fondazione di partecipazione di assumere la qualifica di Onlus non ha motivo di apparire, in alcun modo, problematica, nei suoi profili più generali.

Come è noto infatti il primo comma dell'art. 10 del D.lgs. n. 460 del 4 dicembre 1997, prevede che «sono organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus) le associazioni, i comitati, le fondazioni, le società cooperative e gli altri enti di carattere privato, con o senza personalità giuridica».

Di conseguenza, quasi paradossalmente, la riconducibilità alle Onlus passa attraverso la preventiva propria qualificazione del soggetto in parola come fondazione giuridicamente propria, ferma, ovviamente, la separata necessità di assolvere anche tutti gli altri requisiti, per la qualifica in essere, posti con l'art. 10 medesimo.

Come noto gli stessi requisiti sono rappresentati:

1. dallo svolgimento di attività in uno o più settori previsti dalla lettera a), comma 1, dello stesso articolo in commento (assistenza sociale e sociosanitaria, assistenza sanitaria, beneficenza, istruzione, formazione, sport dilettantistico, tutela, promozione e valorizzazione di interesse artistico e storico, tutela e valorizzazione della natura e dell'ambiente, promozione della cultura e dell'arte, tutela dei diritti civili, ricerca scientifica di particolare interesse sociale);

2. dall'esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale;

3. dal divieto di svolgere attività diverse da quelle previste dalla lettera a), comma 1 ad eccezione di quelle ad esse direttamente connesse;

4. dal divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione, nonché fondi, riserve o capitali;

5. dall'obbligo di destinazione di utili e avanzi di gestione alle attività istituzionali o connesse;

6. dall'obbligo, in caso di scioglimento, di devoluzione del patrimonio ad altre Onlus, sentito l'organismo di controllo di cui all'articolo 3, comma 190, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (cioè l'Agenzia per le Onlus);

7. dall'obbligo di redigere il bilancio o rendiconto annuale;

8. dalla previsione di una disciplina uniforme del rapporto associativo e dal divieto di temporaneità dello stesso;

9. dall'obbligo di utilizzare, nella denominazione ed in qualsivoglia segno distintivo o comunicazione rivolta al pubblico, la locuzione «organizzazione non lucrativa di utilità sociale» o l'acronimo «Onlus».

Con riferimento ai predetti requisiti, è possibile osservare che le principali particolarità si determinano, per le fondazioni di partecipazione, in relazione a quelli di cui alla lett. h), ovvero alla norma che prevede la «disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l'effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori d'età il diritto di voto per l'approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell'associazione».

Tale previsione, per certi aspetti, parrebbe, invero, essere lontana dalla tematica in oggetto, in quanto essa può ritenersi estranea, per definizione, al concetto di fondazione. E in effetti, tale conclusione è quella che più automaticamente si evince, nella pratica, quando si è in presenza di una fondazione ordinaria, soggetto che, dunque, si dichiara sic et simpliciter, ma pacificamente, estraneo alla previsione.

Per la fondazione di partecipazione, invece, è chiaro che viene a porsi, con proporzioni rilevanti, un delicato dilemma, a proposito della citata estraneità.

Da un lato, è rigorosamente fondato concludere che l'indubbia qualifica di fondazione parrebbe indurre ad una sostanziale equiparazione al primo caso (fondazione ordinaria, cioè), ai fini della predetta non applicabilità.

Senonché il tema, secondo noi, risulta influenzato decisivamente dagli effetti che svolge, nei suoi confronti, un'altra qualificazione soggettiva assai rilevante in materia fiscale: cioè, quella di ente di tipo associativo (oggetto del successivo punto di approfondimento n. 2) di cui all'art. 148 del T.U.I.R.

Come noto, tale qualifica soggettiva, il cui fondamento come in tutte le norme sul non profit deve essere indagato alla luce di una ratio benevola nei confronti della collettività dei consociati (punto distintivo delle norme in oggetto), riveste un grande rilievo sia ai fini Ires che a quelli Iva, dal momento che consente di annoverare eccezionalmente come non commerciali tutte le prestazioni di servizio specifiche (purché attuative di fini istituzionali) rese dall'ente in favore degli associati anche dietro pagamento di corrispettivi.

è evidente, in prima analisi, che tale norma, esaminata in chiave letterale, non parrebbe riconducibile alla fondazione, nella misura in cui presuppone la presenza di soggetti associati, cioè di una categoria mai riconnettibile alle fondazioni.

Ma mentre tale conclusione è fin troppo facile per le "semplicissime" fondazioni ordinarie, pur preso anche atto del fatto che il T.U.I.R. equipara agli associati anche figure più eteree come i "partecipanti" e gli iscritti, oltreché i soggetti che si trovano in una posizione similare verso un altro ente che "per legge, regolamento o statuto" forma con il primo soggetto un'organizzazione multisoggettiva, si ha invece che ipotizzare che lo status "associativo" predetto che possa competere, ad una o più delle categorie di soggetti "connessi" alla fondazione di partecipazione, non sembra affatto irreale.

Come vedremo più avanti per gli enti di tipo associativo, la configurazione in oggetto può ricomprendere anche le fondazioni di partecipazione (per come inaspettatamente lo stesso fisco ha riconosciuto, nel contesto di una sua nota e severa presa di posizione, sul diverso tema delle Onlus), e diviene di conseguenza indirettamente possibile ritenere - tornando al problema della necessità del fattore "democratico" per i corpi soggettivi allargati - che il requisito in parola può essere assolto, naturalmente con adeguate previsioni statutarie.

Infatti, con una presa di posizione orientata a negare alle fondazioni di partecipazione la qualificabilità di Onlus, ove fossero integrate, con la posizione di partecipanti, da società di capitali o da enti pubblici (cioè, da soggetti per i quali l'ultimo comma dell'art. 10 prevede espressamente la qualificabiltà come Onlus), proprio il fisco ha avallato la risposta favorevole.

L'erario, infatti, preoccupato di motivare la suddetta esclusione - priva, invero, fattore per noi decisivo, di supporto legislativo - ha mancato, nella risoluzione n. 164/E del 28 dicembre 2004, di palesare alcun limite di applicabilità della norma in parola, basato su un difetto capitale di soggettività, verso la fondazione di partecipazione, sottolineandone anzi implicitamente la sostanziale omnicomprensività di ratio qualificativa.

Ciò, allora, ha anche confermato la spettanza potenziale della qualifica di Onlus nei casi ordinari, diversi da quello negativamente risolto per i c.d. "soci" titolari di influenza dominante, o più esattamente per l'ente che li annovera tra i partecipanti.

In particolare, l'Agenzia delle Entrate, nella risoluzione in commento, ha affermato che: «qualora il soggetto che chiede l'iscrizione nell'anagrafe delle Onlus annoveri tra i propri soci enti esclusi espressamente dall'area Onlus ai sensi dell'art. 10, comma 10, del D.lgs. n. 460 del 1997 sia necessario verificare il ruolo che tali enti ricoprono all'interno dell'organizzazione. Dovrà concludersi per il diniego della qualifica di Onlus qualora si constati che gli "enti esclusi" ai sensi del citato art. 10, comma 10 del D.lgs. n. 460 del 1997 esercitino un'influenza dominante nelle determinazioni dell'organizzazione». E ha altresì aggiunto che «quest'ultima circostanza ricorre verosimilmente se il numero di tali soci è prevalente». «In tali casi, invero, [secondo il fisco], l'organizzazione perde la propria autonomia e viene a configurarsi nella sostanza quale ente strumentale, facendo così venire meno la ratio del disposto recato dal citato articolo 10, quale emerge anche dalla relazione illustrativa al decreto n. 460 del 1997».

Ciò sottolineato con ogni cura, scostandoci, ora, per una breve digressione, dal tema precipuo dei profili soggettivi della "base sociale" (delle fondazioni di partecipazione) ci preme sottolineare sin d'ora che la negativa presa di posizione erariale è già stata autorevolmente criticata in forma ufficiale, e che, comunque, essa si palesa obbiettivamente carente sul piano tecnico.

In particolare, si fa riferimento all'Atto di indirizzo di carattere generale reso ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. a), D.P.C.M. 21 marzo 2001, n. 329 e approvato in data 23 novembre 2004, con cui l'Agenzia per le Onlus ha affermato l'irrilevanza, ai fini della natura privata di una fondazione, della partecipazione di un soggetto fondatore che rivesta la natura di ente pubblico.

In particolare, l'Agenzia per le Onlus è giunta alla conclusione che non sussistono ostacoli verso il fatto che una fondazione, costituitasi con gli apporti non esclusivi di un ente pubblico, possa legittimamente assumere la qualifica di Onlus, godendo delle relative agevolazioni fiscali.

La suddetta conclusione risulta assolutamente coerente con le soluzioni elaborate sul tema dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato, richiamate dall'Agenzia per le Onlus stessa a sostegno dell'orientamento assunto nell'atto di indirizzo.

A tal riguardo, la Corte di Cassazione aveva infatti chiarito che «la natura pubblica degli enti che concorrono a formare un nuovo ente non è sufficiente ad attribuire natura pubblicistica a quest'ultimo […] né può ritenersi indicativa della natura pubblica di un'associazione la partecipazione ai suoi organi di rappresentanti dei soggetti pubblici che l'hanno formata» (Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., sentenza 23 novembre 1993, n. 11541).

In senso conforme all'orientamento espresso dalla Corte di Cassazione si è pronunciato anche il Consiglio di Stato, stabilendo che «il perseguimento di finalità pubbliche non costituisce elemento determinante il carattere pubblicistico dell'ente, così come non ne sono sicura testimonianza l'intervento di organi pubblici nel procedimento di nomina di organi amministrativi o l'esercizio di controlli statali, ove non siano accompagnati dalle titolarità di pubblici poteri, dalla prerogativa dell'autotutela e dalla potestà di autodeterminazione di scioglimento, nonché dall'espressa qualificazione pubblicistica da parte del legislatore» (Cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 marzo 1987 n. 137 in Foro Amm. 1987, p. 525, Cons. Stato 1987, I, p. 395).

Dalle menzionate pronunce giurisprudenziali poste a sostegno della posizione interpretativa assunta dall'Agenzia per le Onlus si evince, pertanto, che ad una fondazione costituitasi anche con gli apporti di un ente pubblico (o, più in generale, di un ente "escluso" ai sensi dell'art. 10, comma 10, D.lgs. 460/97) non possa essere attribuita in nessuna misura "natura pubblica" o, meno che mai, "commerciale" e che, conseguentemente, tale ente, in presenza dei requisiti previsti dall'art. 10 del D.lgs. n. 460/1997, debba essere ammesso a godere della qualifica di Onlus e dei relativi benefici fiscali.

Possibilità, per le fondazioni di partecipazione, di beneficiare delle agevolazioni tributarie previste per gli enti di tipo associativo

Ribadito quanto sopra, riteniamo siano mature le condizioni per riportare, allora, il "fuoco" essenziale delle nostre osservazioni sul secondo dei profili soggettivi sopra evocati. Come è stato accennato, l'art. 148 del T.U.I.R. prevede per gli enti di tipo associativo alcune significative disposizioni di agevolazione fiscali.

In particolare, il legislatore non considera commerciale «l'attività svolta nei confronti degli associati o partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali, dalle associazioni, dai consorzi e dagli altri enti non commerciali di tipo associativo».

L'applicazione del beneficio in questione, che omettiamo per brevità di riassumere, presuppone pertanto, tra l'altro, la presenza di soggetti associati o partecipanti.

Come già esposto, nelle fondazioni di partecipazione, l'elemento di specialità, rispetto alle fondazioni "comuni", è dato dalla presenza attiva, nell'ambito costitutivo di questa tipologia di ente, di una molteplicità soggettiva interessata a "partecipare" alla sua operatività, ovvero ai suoi risultati di vera e propria "azione": una partecipazione che non concerne, certo, i risultati economici dell'attività, bensì il perseguimento stesso, nella sua fase reale di attività preparatoria, delle finalità istituzionali non lucrative.

Si precisa, al riguardo, che anche l'Agenzia delle Entrate, nella succitata risoluzione del 28 dicembre 2004, n. 164/E, ha definito le fondazioni di partecipazione come quei «soggetti caratterizzati, a fianco della struttura essenziale … prevista dal codice civile, dalla partecipazione di altri soggetti (sostenitori o partecipanti o simili) i quali condividono gli scopi originari dell'ente e intendono contribuire alla loro realizzazione mediante l'apporto di operatività e di capitali».

Inoltre, sempre nella medesima risoluzione, l'Agenzia ha precisato che, ai fini dell'acquisizione della qualifica di Onlus per le fondazioni di partecipazione, «occorrerà verificare che la presenza tra i soci fondatori o sostenitori della fondazione di enti pubblici e di società commerciali … non sia prevalente e comunque tale da esercitare un'influenza dominante nelle determinazioni dell'organizzazione».

Alla luce di quanto sopra esposto, risulta pertanto di tutta evidenza come l'erario, nel descrivere le principali caratteristiche giuridiche delle fondazioni di partecipazione, abbia fatto più volte espresso riferimento, nella risoluzione in parola, alla presenza di soci fondatori e partecipanti all'interno della struttura di queste ultime. E a questo riguardo l'unico problema influente è stato colto nell'eventualità che taluno dei "membri" più influenti sia un soggetto cui è resa, dalla legge stessa, inammissibile l'assunzione della qualità di Onlus.

In ragione di ciò, è quindi possibile affermare che è la stessa Amministrazione finanziaria che, implicitamente (e forse in maniera inconsapevole), avalla l'interpretazione in base alla quale è possibile, per le fondazioni di partecipazione, nei casi ordinari, usufruire dei benefici fiscali previsti dall'art. 148 del T.U.I.R. per gli enti di tipo associativo, stante la menzionata presenza, all'interno di esse, di "soci fondatori" e di "partecipanti".

E tale effetto opera sia ai fini della verifica di correttezza della qualità di Onlus sia ai più generali fini dell'equiparazione solo fiscale (agli enti di tipo associativo) delle fondazioni di partecipazione.

PUBBLICAZIONE
» Indice
» Approfondimenti
ARTICOLO
» Quesiti