Le fondazioni di partecipazione nell'imposizione indiretta
Le fondazioni di partecipazione nell'imposizione indiretta
di Guglielmo Fransoni
Straordinario di diritto tributario, Università di Foggia

Gli "apporti" alle fondazioni

L'imposta sulle successioni e donazioni

Come è ormai a tutti noto, l'art. 1, commi da 47 a 54 dell'allegato alla legge di conversione del D.l. 262/2006 ha "istituito" l'imposta di successioni e donazioni secondo la disciplina recata dal T.U. n. 346/1990 nel testo vigente alla data della sua "soppressione" avvenuta, come è altrettanto noto, ad opera dell'art. 13 della L. n. 383 del 2001.

La re-istituita imposta mantiene, quindi, i caratteri di fondo di quella precedente salva la modifica – ma, come è ovvio, non si tratta affatto di un aspetto trascurabile – del presupposto in virtù della sua estensione (oltre che ai trasferimenti mortis causa e alle liberalità inter vivos) anche ai trasferimenti di beni e diritti a titolo gratuito e alla costituzione di vincoli di destinazione.

Senza addentrarci troppo nell'interpretazione di una disposizione per la quale sarebbe necessaria quantomeno una relazione ad hoc e che sarà fonte di non lievi problemi interpretativi (ed alcuni accenni in tal senso saranno fatti fra breve), sembra agevole affermare che essa (disposizione) conferma, ove mai ve ne fosse stato bisogno, l'assoggettamento, in linea di principio, all'imposta sulle successioni e donazioni degli apporti alle fondazioni.

In realtà, anche rispetto gli apporti ad enti diversi dalle società è possibile ipotizzare la loro inserzione in assetti "onerosi" e ciò può accadere, in particolare, allorché l'apportante acquisti, per effetto dell'apporto, un diritto di partecipazione all'ente idoneo a realizzare in via diretta un interesse patrimoniale dell'apportante medesimo ed avente al tempo stesso un'incidenza sul patrimonio dell'ente (tipico il caso dei rapporti associativi che garantiscono all'associato la possibilità di utilizzare le strutture dell'associazione).

Ma tale possibilità di apporti a titolo oneroso sembra configurabile quasi esclusivamente nell'ambito di rapporti associativi. Quando l'apporto abbia come destinataria una fondazione, l'eventualità appena indicata appare davvero marginale e forse circoscritta a casi, più che eccezionali, patologici.

In linea generale, pertanto, sembra di poter affermare, con riguardo agli apporti alle fondazioni, che l'attribuzione patrimoniale in cui essi si risolvono debba considerarsi effettuata a titolo di liberalità o, al più, a titolo gratuito, talchè essa ricade, in ogni caso, nell'ambito oggettivo di applicazione dell'imposta sulle successioni e donazioni.

Tuttavia, si deve ricordare che l'art. 3 del T.U. n. 346 del 1990, richiamato (per quanto riguarda gli atti inter vivos) dall'art. 55 del medesimo T.U., dispone l'esclusione dall'imposta delle liberalità a favore di fondazioni che abbiano «come scopo esclusivo l'assistenza, lo studio, la ricerca scientifica, l'educazione o altre finalità di pubblica utilità, nonché le Onlus».

Si tratta, come è evidente, di una definizione molto ampia nella quale possono essere ricompresi gli scopi della maggioranza delle fondazioni. è bene sottolineare, tuttavia, deve trattarsi di scopi esclusivi [nota 1]; peraltro, quando l'attribuzione patrimoniale è effettuata a favore di fondazioni il cui scopo non è (ovvero non è esclusivamente) ricompreso fra quelli di cui all'art. 3, l'esclusione dall'imposta permane se il disponente destina l'oggetto della disposizione liberale ad uno degli scopi dell'art. 3 e tale destinazione sia effettivamente realizzata dal beneficiario entro cinque anni anche mediante il reimpiego delle somme ricavate dalla vendita di quanto ha formato oggetto di attribuzione.

Pertanto, l'atto dispositivo si dovrà considerare imponibile solo nel caso in cui la fondazione non abbia gli scopi esclusivi di cui all'art. 3 ovvero non sia previsto il vincolo al raggiungimento degli scopi medesimi, ovvero ancora tale destinazione non sia realizzata in concreto nel quinquennio.

In tal caso, ai sensi dell'art. 1, comma 49 dell'allegato alla legge di conversione del D.l. n. 262/2006 l'aliquota applicabile sarà quella dell'8% prevista per i trasferimenti a favore dei soggetti diversi dai parenti e dagli affini.

La base imponibile sarà costituita dal valore dei beni e diritti trasferiti al netto degli oneri di cui è gravato il destinatario dell'attribuzione (diversi da quelli a favore di soggetti individualmente determinati) e delle passività deducibili.

Il fatto che dalla base imponibile dell'imposta non siano esclusi gli oneri a favore di soggetti individualmente determinati discende dalla regola prevista dall'art. 58 secondo cui tali oneri si considerano donazioni a favore dei beneficiari. Cosicché, se l'apporto alla fondazione è gravato da un modus, per un verso, l'attribuzione patrimoniale a favore di una fondazione sarà esclusa dall'imposta ai sensi dell'art. 3, ferma restando l'imponibilità del modus in capo al solo beneficiario e, per l'altro verso, se è il modus ad essere destinato alla fondazione, l'esclusione dall'imposta disposta dall'art. 3 si applicherà a questa parte dell'attribuzione medesima.

Vale la pena di accennare al fatto che nella determinazione del valore dei beni e diritti dovrà tenersi conto anche delle limitazioni inerenti al diritto oggetto di attribuizione. Questa considerazione è ovvia per quanto attiene ai beni sui quali siano costituiti diritti reali di godimento ovvero servitù a favore di terzi; ma la medesima logica dovrebbe valere anche nell'ipotesi in cui l'originario proprietario abbia costituito un vincolo di destinazione, almeno se si ritiene che tale vincolo sia idoneo a conformare il diritto di proprietà.

Come abbiamo sentito dalle precedenti relazioni, la pratica conosce la possibilità di una distinzione del patrimonio della fondazione in un patrimonio vincolato allo scopo e in un "fondo di gestione" la cui destinazione è lasciata alle determinazioni del "consiglio". Poiché in ogni caso le determinazioni del consiglio sono delimitate dallo scopo della fondazione, riterrei che tale distinzione sia irrilevante là dove lo scopo medesimo sia esclusivamente uno di quelli indicati nell'art. 3, comma primo, del T.U. Viceversa, se la fondazione persegue anche scopi diversi da quelli prima indicati, l'esclusione risulta applicabile solo per gli atti dispositivi (gratuiti o liberali) che incrementano il patrimonio vincolato allo scopo e vi sia stato l'effettivo impiego dell'apporto nel quinquennio.

Un caso particolare, la cui rilevanza è circoscritta alle sole ipotesi in cui l'apporto potrebbe risultare imponibile in ragione dell'inapplicabilità dell'esclusione di cui all'art. 3, è quello degli apporti effettuati da Comuni aventi ad oggetto beni immobili di proprietà degli stessi. Ai sensi del comma 275 dell'art. 1 della L. 311 del 2004 i trasferimenti immobiliari in questione, disposti a favore di alcuni soggetti tassativamente individuati [nota 2] fra i quali sono ricomprese le fondazioni, sono esenti dall'imposta di registro e dalle imposte ipotecarie e catastali. Poiché la disposizione non specifica se l'esenzione riguarda solo i trasferimenti a titolo oneroso ovvero anche le liberalità e poiché, all'epoca in cui la disposizione fu introdotta, la L. n. 383 del 2001 includeva nel presupposto dell'imposta di registro anche i traferimenti liberali, non si potrebbe escludere, in sé, l'estensione della previsione esentativa anche agli atti che, oggi, siano soggetti all'imposta di successione e donazione. Sennonché, l'esenzione riguarda solo i trasferimenti effettuati in vista della "valorizzazione del patrimonio immobiliare" e ciò impone di comprendere se l'espressione abbraccia tutte le possibili forme in cui tale "valorizzazione" può aver luogo, oppure se si tratta solo di una formula litotica per indicare la "monetizzazione" del patrimonio immobiliare [nota 3], conclusione questa che sembrerebbe favorita dalla circostanza che fra i soggetti beneficiari dei trasferimenti agevolati vi sono anche le società di cartolarizzazione rispetto alle quali tale finalità sembra perseguibile solo attraverso contratti di scambio. In questa prospettiva, risulta più dubbia, invece, la possibilità di estendere l'esenzione in esame agli atti soggetti all'imposta sulle successioni e donazioni.

è appena il caso di rilevare che le stesse regole valgono anche per quanto destinato alle fondazioni mortis causa (sia a titolo di eredità, sia come legato) e che è pacifica l'applicazione del regime sopra illustrato tanto alle ipotesi in cui l'ente è già costituito, quanto a quelle in cui l'ente è ancora da costituire [nota 4].

In questo quadro di relativa certezza e di soluzioni ormai collaudate, si possono indicare poche "zone d'ombra".

Una prima ipotesi è quella in cui la fondazione sia beneficiaria non del trasferimento di un diritto reale, ma della costituzione di un'obbligazione (sempre che, ovviamente, si ammetta la possibilità di donazioni obbligatorie). Nell'ipotesi in cui la prestazione oggetto dell'obbligazione sia il futuro trasferimento di un diritto reale, non dovrebbero esservi dubbi in ordine alla applicazione del regime sopra individuato. Più incerta è la soluzione nell'ipotesi in cui l'obbligazione riguardi la prestazione di un servizio. Contro l'imponibilità di queste forme di apporto potrebbe farsi valere l'argomento secondo cui, nell'imposta in esame, le ipotesi di imponibilità degli atti costitutivi (e non traslativi) sembrano essere tipizzate (si veda l'art. 1, comma 2 che prevede l'equiparazione ai trasferimenti solo di alcuni di tali atti). Ma si tratta, probabilmente, di un argomento non risolutivo anche perché l'estensione del presupposto dell'imposta alla costituzione di vincoli di destinazione sembra ricomprendere anche assetti assimilabili alla costituzione di diritti personali a favore del beneficiario del vincolo (si pensi al caso del proprietario dell'immobile che destini il bene all'uso esclusivo da parte della fondazione come sede).

Una seconda ipotesi è proprio quella della costituzione di vincoli di destinazione.

Al riguardo, ci sembra che l'interpretazione verosimilmente destinata a prevalere è quella secondo cui, in coerenza con l'individuazione del presupposto dell'imposta nell'arricchimento del beneficiario (secondo l'opinione che ci sembra ormai maggioritaria), là dove il vincolo non implichi il trasferimento del bene ad un terzo, la sua costituzione sarà soggetta ad imposta solo se vi è un beneficiario "individualmente determinato" con conseguente applicazione delle regole proprie (e della logica) della donazione modale. Cosicché il vincolo di destinazione costituito a favore della fondazione sarà tassabile alla stregua di una donazione a favore della stessa.

Tuttavia, questa impostazione non risolve tutti i problemi, giacchè l'esclusione di cui all'art. 3 più volte citato si applica, alla lettera, ai soli trasferimenti di beni e diritti. Per equiparare le costituzioni di vincoli a favore delle fondazioni alle donazioni, si deve, quindi, affermare la possibilità di un'applicazione analogica della disposizione in esame che può trovare il suo fondamento testuale anche nell'art. 1, comma 50 dell'allegato alla legge di conversione del D.l. 262 del 2006. In altri termini, il requisito della "compatibilità" ivi affermato al fine dell'applicazione delle disposizioni del T.U. – requisito, sia detto per incidens che risulterebbe in parte inutile alla luce della disposizione del comma 47 che, invece, re-istituisce l'imposta sulle successioni e donazioni proprio e integralmente secondo le disposizioni del T.U. – può esser letto non solo come esclusione delle norme incompatibili con le modifiche introdotte dalla legge di conversione citata, ma anche come prescrizione per l'interprete di adattare le precedenti disposizioni al fine di garantirne la compatibilità.

Le imposte ipotecarie e catastali

Rispetto alle imposte ipotecarie e catastali, il discorso può essere molto più breve.

Infatti, gli artt. 1, comma 2 e 10, comma 3 del D.lgs. n. 347 del 1990 dispongono l'esclusione (rispettivamente dall'imposta ipotecaria e da quella catastale) dei trasferimenti immobiliari ove ricorrano le condizioni dell'art. 3 del D. lgs. n. 346 del 1990. In queste ipotesi, pertanto, le regole viste per l'imposta sulle successioni e donazioni si applicano anche alle imposte ipotecarie e catastali.

L'imposta di bollo

In linea generale, per gli atti in cui intervenga un notaio, non sono previste esenzioni dall'imposta di bollo anche qualora essi siano a favore di fondazioni.

L'unica eccezione è contenuta nell'art. 27-bis della tabella il quale, tuttavia, dispone l'esenzione dei soli atti "posti in essere o richiesti" dalle Onlus. Tuttavia, sembra dubbio che si possa estendere tale agevolazione anche agli atti di liberalità a favore delle Onlus, non trattandosi di atti dalle stesse posti in essere o richiesti.

L'imposta sul valore aggiunto

Poiché, come è noto, non sussiste alcuna alternatività fra Iva e imposta sulle successioni e donazioni, la prima può risultare applicabile agli apporti ove ne ricorrano i relativi presupposti soggettivi (ovvero se l'apporto è posto in essere da un soggetto qualificabile come imprenditore o esercente arti e professioni) ed oggettivi (cioè ove l'apporto costituisca cessione di beni o prestazioni di servizi).

Per quanto attiene alle cessioni di beni, restano quindi esclusi, innanzi tutto, gli apporti in denaro che, per previsione espressa, non costituiscono cessioni di beni.

Per gli atti a titolo gratuito che importano il trasferimento di diritti reali, l'applicazione dell'imposta è implicata dalla regola che equipara alle cessioni a titolo oneroso gli atti di destinazione del bene al consumo personale dell'imprenditore ovvero a finalità estranee all'esercizio dell'impresa. Tale previsione, presente anche nella disciplina del reddito d'impresa, pone, in questo settore, alcuni problemi interpretativi là dove il trasferimento, ancorché a titolo gratuito, realizzi comunque un interesse dell'impresa, talchè si è sostenuto che, in questi casi, l'operazione rilevi solo come decurtazione patrimoniale (ossia come costo) correlato alla soddisfazione dell'interesse medesimo e non come atto di realizzazione di plusvalenze o ricavi.

Questa distinzione, tuttavia, è di più dubbia applicazione nel settore dell'imposta sul valore aggiunto (corroborando così l'opinione secondo cui le categorie dell'una imposta non sono trasponibili automaticamente all'altra). Rispetto all'imposta sul valore aggiunto risulta infatti prevalente il dato della "fuoriuscita" del bene dal circuito di applicazione dell'imposta che sembra giustificare, comunque, la sua imponibilità.

Tuttavia, ai sensi dell'art. 10, n. 12 del D.P.R. n. 633 del 1972 sono esenti le cessioni gratuite di beni poste in essere nell'esercizio dell'impresa o di arti e professioni ad esclusione di quelle relative a beni di valore inferiore a 25 euro la cui produzione o commercio non rientra nell'attività propria dell'impresa se la cessione (gratuita) è effettuata a favore di Onlus o di enti pubblici, associazioni riconosciute e fondazioni aventi per scopo esclusivo l'assistenza, la beneficenza, l'istruzione, lo studio, la ricerca scientifica, l'educazione.

Al riguardo, si deve notare, peraltro, che la formula impiegata non è del tutto coincidente con quella di cui all'art. 3 del D.lgs. n. 346/90 in quanto, per un verso, include anche i fini di beneficenza ed istruzione e, per altro verso, non contempla la clausola di chiusura relativa agli altri "fini di pubblica utilità". Tuttavia, sotto un profilo, per così dire, quantitativo, le ipotesi di non coincidenza fra le due formule appaiono estremamente limitate e, peraltro, non mi sembra da escludere in ogni caso un'interpretazione che tenda a rendere comunque coincidenti gli ambiti di applicazione dell'esenzione ai fini Iva e dell'esclusione ai fini dell'imposta sulle successioni e donazioni.

Per quanto attiene alle prestazioni di servizio, si deve rilevare, invece, che, in linea di principio, le prestazioni gratuite di servizi sono considerate imponibili (se il loro valore eccede 25 euro) ai sensi dell'art. 3, comma 3 del D.P.R. n. 633 e, al tempo stesso, non esiste una regola analoga a quella appena vista per le cessioni gratuite di beni.

L'unica disposizione agevolativa in materia consiste nella previsione dell'esclusione dall'imposta delle prestazioni di servizi a favore delle Onlus e degli altri enti ed associazioni che, senza fine di lucro, perseguono finalità educative, culturali, sportive, religiose di solidarietà ed assistenza sociale, limitatamente, però, alle prestazioni di "divulgazione pubblicitaria".

Come è noto, inoltre, il presupposto dell'imposta sul valore aggiunto comprende anche le importazioni da chiunque effettuate. Al riguardo, si deve evidenziare che, l'art. 68 del D.P.R. n. 633 del 1972 prevede, con una formula coincidente a quella impiegata dalla disposizione in materia di cessioni di beni, la non assoggettabilità ad imposta delle importazioni di beni oggetto di donazione a favore di Onlus o di enti pubblici, associazioni riconosciute e fondazioni aventi per scopo esclusivo l'assistenza, la beneficenza, l'istruzione, lo studio, la ricerca scientifica, l'educazione.

Peraltro, secondo l'interpretazione ministeriale, che in questo caso sembra coerente con la lettera e la ratio della disposizione, l'esclusione si applica solo se il bene sia già stato donato anteriormente all'importazione.

Un discorso a parte meritano gli atti costitutivi di vincoli di destinazione.

In primo luogo, a me sembra che, là dove essi risultino idonei a conformare la proprietà in modo tale da escluderne ogni concorrente impiego nell'ambito dell'attività di impresa, risulta difficile negare l'applicazione della disposizione in materia di destinazione a finalità estranee all'esercizio dell'impresa e, quindi, l'applicazione dell'imposta all'atto della costituzione del vincolo medesimo. D'altra parte, in dottrina è stato già autorevolmente sostenuto che, ai fini della realizzazione della fattispecie prevista da quella disposizione, non rileva tanto la dismissione del bene, ossia la sua "fuoriuscita" dal patrimonio dell'impresa, quanto l'atto di destinazione in sé che, logicamente, si pone a monte rispetto alla sua alienazione. In queste ipotesi, peraltro, si pone il problema se sia ancora possibile applicare il richiamato art. 10, n. 12 il quale, letteralmente, si riferisce alle sole cessioni. Sembra peraltro possibile ritenere che al termine cessione vada attribuito il significato che esso assume nell'ambito dell'imposta sul valore aggiunto e, quindi, ricomprenda anche le operazioni assimilate alle cessioni stesse.

è possibile, invece, pervenire a conclusioni diverse là dove il vincolo di destinazione non sia incompatibile con l'utilizzazione del bene nell'ambito dell'attività d'impresa (l'esempio potrebbe essere quello della costituzione di un vincolo di destinazione su un fabbricato a favore di una fondazione affinchè la stessa lo utilizzi come asilo nido destinato ai figli dei dipendenti dell'impresa nonché a terzi). In questa ipotesi, non mi sembra possibile affermare l'integrazione della fattispecie di destinazione a finalità estranee all'esercizio dell'impresa. Resta però il dubbio se, quantomeno per la parte in cui la fondazione può ospitare anche i figli di soggetti non legati all'impresa da rapporti di dipendenza, si possa parlare di prestazione di servizi a titolo gratuito con le conseguenze prima indicate.

Infine, si deve ricordare che, là dove la donazione sia soggetta ad Iva, l'imposta assolta può essere detratta dall'imposta sulle successioni e donazioni.

Trasformazioni, fusioni e scissioni

Le operazioni di trasformazione, fusione e scissione rilevano, ai fini delle imposte indirette essenzialmente, quale presupposto dell'imposta di registro.

Tuttavia, rispetto a tale imposta, esiste solo una disposizione che disciplina il regime di tali operazioni, ossia l'art. 4 della Tariffa la quale prende però in esame solo gli atti propri degli enti (di qualsiasi tipo) aventi ad oggetto l'esercizio di attività commerciali o agricole.

Questo pone il problema del regime delle operazioni che coinvolgano anche soggetti diversi da quelli espressamente contemplati dalla norma.

Il primo profilo di tale problematica attiene alla necessità che, per l'applicazione dell'art. 4, abbiano oggetto commerciale o agricolo tanto l'ente di partenza quanto quello di arrivo, ovvero se possano esservi ricomprese anche le trasformazioni da o in ente commerciale e le fusioni in o degli enti medesimi. Per la soluzione del problema, che come subito dirò riguarda essenzialmente le fusioni e le scissioni, non può farsi affidamento ad alcun dato testuale. Tuttavia, sarei propenso a ritenere che, anche interpretando la disposizione alla luce della direttiva comunitaria del 1969, possa concludersi a favore dell'applicazione dell'art. 4 nelle ipotesi in cui l'ente con oggetto commerciale o agricolo costituisca il punto di arrivo delle operazioni di trasformazione, fusione e scissione; per contro riterrei che la conclusione dovrebbe essere opposta per le trasformazioni, fusioni e scissioni in enti non commerciali (o con oggetto agricolo).

Nelle ipotesi in cui non trova applicazione l'art. 4 della Tariffa, occorre distinguere fra trasformazioni e fusioni o scissioni.

Per le prime, infatti, secondo la prassi consolidata [nota 5], confermata anche da un parere del Consiglo di Stato [nota 6], le operazioni di trasformazione non hanno contenuto patrimoniale e, come tali, non sono mai soggette ad imposta proporzionale di registro.

Diverso il discorso per le fusioni e scissioni.

Vero è che in diritto commerciale è ormai acquisito che tali operazioni non hanno ad oggetto i beni, ma il soggetto.

Tuttavia, non devono essere sottovalutate alcune ulteriori circostanze.

In primo luogo, le operazioni di fusione sono state soggette ad imposta proporzionale di registro fino a tempi recenti e, comunque, successivi all'affermarsi della tesi che ha qualificato le fusioni come "operazioni sui soggetti".

In secondo luogo, il processo che ha condotto ad applicare solo l'imposta in misura fissa rispetto alle fusioni e scissioni sembra essersi svolto sotto la spinta della direttiva comunitaria del 69, piuttosto che per effetto della ricordata evoluzione dottrinale.

In terzo luogo, se si sostenesse che le fusioni e le scissioni sono sempre e comunque "neutrali" in quanto operazioni sui soggetti, la limitazione contenuta nell'art. 4 diverebbe priva di senso e il precedente regime impositivo (quello in cui era prevista l'applicazione dell'imposta proporzionale) dovrebbe considerarsi come un regime di sfavore per le operazioni di fusione e scissione proprie delle società commerciali o agricole e degli enti equiparati.

Infine, non bisogna neppure dimenticare che il carattere di operazione sui soggetti si attaglia perfettamente alle fusioni, mentre, anche sotto il profilo sostanziale, presenta qualche margine di incertezza in più nel caso delle scissioni.

Se, peraltro, si escludesse l'applicazione dell'imposta fissa alle fusioni e scissioni fra o in enti non aventi ad oggetto l'esercizio di attività commerciali o agricole, si aprirebbero per tali operazioni scenari inquietanti dovendosi optare o per l'applicazione dell'imposta secondo il regime proprio di ciascuno dei beni compresi nell'operazione, ovvero per l'applicazione dell'art. 9.

Si tratta, pertanto, di un'incertezza che andrebbe risolta sul piano normativo e la cui mancanza rischia di pregiudicare, di fatto, la possibilità stessa di simili operazioni.


[nota 1] Fermo restando che l'esclusività sussiste anche quando la fondazione persegua una pluralità di scopi purchè siano tutti ricompresi nell'elencazione di cui sopra.

[nota 2] Si veda al riguardo la Risoluzione dell'Agenzia 13 aprile 2006, n. 53 ed il commento di S. CANNIZZARO, «Presupposti di applicabilità dell'esenzion dalle imposte indirette ai sensi dell'art. 1, comma 275, legge finanziaria 2005», in Cnn Notizie Segnalazioni novità, 26 aprile 2006.

[nota 3] Sui dubbi interpretativi determinati da tale locuzione si veda A. LO MONACO e A. RUOTOLO, «Dismissioni e obiettivi di finanza pubblica: una "nuova" disposizione», in Cnn Notizie Segnalazioni novità, 20 ottobre 2005.

[nota 4] R.M. 5 novembre 1973, n. 54.

[nota 5] R.M. 19 novembre 1993, n. 437.

[nota 6] Consiglio di Stato sezione III, n. 804/1993 del 28 settembre 1993.

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