Il deposito degli atti esteri, la legalizzazione e l'apostille
Il deposito degli atti esteri, la legalizzazione e l'apostille
di Carlo Alberto Marcoz
Notaio in Morgex
Introduzione
L'attuale contesto economico e giuridico internazionale rende sempre più frequenti i casi in cui al notaio italiano viene richiesto di ricevere in deposito o semplicemente di utilizzare atti provenienti da paesi stranieri. La casistica è ampia: si può pensare ai verbali di organi di società commerciali ricevuti all'estero e destinati a produrre effetti anche in Italia (come la delibera di istituzione di una sede secondaria), agli atti rogati all'estero aventi per oggetto immobili in Italia, o più semplicemente alle procure, ricevute o autenticate da autorità straniere, destinate ad essere utilizzate per stipulare contratti in Italia.
La presenza di società o privati cittadini italiani in molti paesi stranieri rende, inoltre, necessario affrontare il problema della utilizzabilità in Italia di atti o contratti sottoscritti da nostri concittadini e ricevuti o autenticati da notai o autorità straniere.
Gli atti circolano sempre più spesso e più velocemente: la loro forma e, non di rado, anche la loro sostanza sono però disciplinate diversamente da un paese all'altro; talvolta gli obblighi e le facoltà dei notai stranieri (e delle altre autorità con poteri di autentica delle sottoscrizioni) non coincidono con quelli italiani [nota 1].
In tale contesto al notaio italiano è richiesto un attento esame del documento ricevuto, al fine di poter stabilire se tale documento sia direttamente utilizzabile in Italia, se possa in qualche modo essere adeguato alla normativa interna o se invece non possa in alcun modo produrre effetti nel nostro ordinamento. Si tratta di un esame spesso complesso e delicato, in quanto all'obbligo di conoscenza delle normative in vigore in Italia, si aggiunge la necessità di conoscere norme di carattere internazionale e norme di diritto straniero, in modo da poter valutare compiutamente la validità degli atti e rispondere idoneamente alle esigenze degli operatori. Il notaio deve saper utilizzare un atto estero valido, per evitare inutili ripetizioni e perdite di tempo ed energie, ma deve saper contemporaneamente impedire che un atto privo dei requisiti minimi richiesti dal nostro ordinamento produca, anche solo apparentemente, effetti in Italia.
Il presente breve studio si propone quindi il fine di riepilogare la disciplina vigente e le problematiche relative al deposito di atti esteri presso un notaio italiano e alla legalizzazione di atti esteri da utilizzare in Italia, in modo da fornire uno strumento di carattere essenzialmente pratico per lo svolgimento dell'attività quotidiana.
Il deposito di atti provenienti dall'estero
Le fonti normative
La dottrina che si è occupata del tema definisce "atto estero" in senso stretto un atto ricevuto o autenticato, anche in lingua italiana, da pubbliche autorità straniere, compresi i rappresentanti diplomatici o consolari stranieri accreditati in Italia; in senso lato si intende per atto estero qualunque atto giuridico redatto all'estero, sia da pubbliche autorità straniere, sia da privati, di norma in lingua straniera, ma anche in lingua italiana; anche se ricevuti o autenticati all'estero, non sono atti esteri gli atti dei consoli italiani.
Perché un atto estero sia utilizzabile in Italia a vari fini, in particolare relativi all'aggiornamento dei pubblici registri come richiesto dalle relative normative specifiche, deve preventivamente essere depositato presso un archivio notarile o un notaio italiano.
In particolare l'art. 106, n. 4, della legge notarile n. 89/1913 (come modificato dal D.l. n. 669/1996 convertito dalla legge n. 30/1997 che ha definitivamente risolto la questione relativa al deposito delle scritture private autenticate) dispone che nell'Archivio notarile sono depositati e conservati gli originali o le copie degli atti pubblici rogati e delle scritture private autenticate in paese estero prima di farne uso nello Stato, sempre che non siano già depositati presso un notaio esercente in Italia.
La norma non prende in considerazione le scritture private non autenticate che possono essere utilizzate con la sola stessa efficacia delle scritture private formate in Italia, mancando ogni certezza sulla loro provenienza.
L'art. 68 del regolamento notarile R.D. n. 1326/1914 consente quindi espressamente al notaio di ricevere in deposito, in originale od in copia, atti rogati in paese estero, purché siano debitamente legalizzati, redigendo apposito verbale, da annotare a repertorio. Tali atti, se redatti in lingua straniera, devono essere tradotti dal notaio se conosce la lingua straniera o da un perito scelto dalle parti (salvi i Comuni dove è ammesso l'uso della lingua straniera).
L'art. 1, n. 1), del R.D.L. n. 1666/1937 espressamente prevede inoltre che al notaio è consentito di ricevere in deposito atti pubblici, in originale o in copia, scritture private, carte e documenti, anche se redatti all'estero. Questa norma amplia il numero degli atti che il notaio può ricevere in deposito, includendovi in pratica ogni sorta di documento, eventualmente anche non legalizzato; tuttavia il deposito nulla aggiunge alla natura dell'atto depositato ed in quest'ultimo caso realizza il solo fine di rendere certa l'esistenza del documento, consentendone il rilascio di copie.
Più in generale l'art. 61, comma 1, lett. b) della L.N. dispone che il notaio deve custodire gli atti presso di lui depositati per disposizione di legge o a richiesta delle parti: gli atti esteri sono da ritenersi "atti conservati a richiesta delle parti" tenuto conto che prioritariamente l'art. 106 n. 4 prescrive l'onere di deposito presso l'archivio notarile (disciplinato nelle forme dall'art. 146 del R.N.).
L'art. 71 del R.N. prevede che colui che depositò un documento presso un notaio ha diritto ad averne a sua richiesta la restituzione, sempre che dall'atto di deposito risulti che questo seguì nel suo interesse; della restituzione è redatto dal notaio depositario analogo verbale, nel quale sarà trascritto per intero il documento che si restituisce; l'atto di deposito rimane presso il notaio che annota la restituzione nella colonna "osservazioni" del repertorio e sull'atto stesso.
Le disposizioni citate trovano la loro ratio nell'esigenza che ogni atto estero, per essere utilizzato in Italia, previa apposita legalizzazione (con le precisazioni ed eccezioni che si vedranno infra) che dia certezza della sua provenienza, sia assoggettato ad un preventivo controllo di legalità (sia formale sia sostanziale) da parte del notaio. Lo stesso notaio inoltre, ricevendo l'atto in deposito, garantirà l'adempimento degli obblighi fiscali e di pubblicità (ove previsti) e la conservazione dell'atto medesimo nel tempo, con possibilità di rilascio di copie.
Molti atti esteri possono produrre in Italia gli stessi effetti di atti pubblici (o di scritture private autenticate) nazionali: appare quindi evidente come l'ordinamento imponga che questi atti siano soggetti ad un attento e serio controllo, senza il quale la sicurezza di determinate transazioni e il corretto mantenimento e aggiornamento dei pubblici registri sarebbero a dir poco a rischio.
L'equivalenza e il controllo di legalità
La dottrina che si è occupata del tema ha in primo luogo sottolineato la necessità che l'atto estero, anche se formalmente riferibile ad un soggetto con poteri di certificazione simili a quelli del notaio italiano, possa essere considerato "equivalente" all'atto italiano per alcuni fondamentali aspetti.
Il nostro ordinamento infatti richiede spesso che un atto, a determinati fini, rivesta una forma particolare. Si pensi alle iscrizioni nel Registro delle Imprese o alle trascrizioni ed iscrizioni nei registri immobiliari: la forma scritta, sufficiente per la validità di una compravendita immobiliare, non basta per la sua trascrizione; appare quindi evidente come anche un atto proveniente dall'estero, per poter produrre gli stessi effetti di un atto italiano, debba fornire le medesime garanzie sulla sua provenienza ed autenticità (in tal senso, ad esempio, l'obbligo di legalizzazione previsto dagli artt. 2657 e 2837 c.c.).
Innanzitutto l'atto dovrà essere redatto o autenticato da un soggetto al quale espressamente l'ordinamento di appartenenza attribuisce tali poteri, il quale deve agire in conformità alle normative che li regolano.
L'atto pubblico dovrà quindi essere riconducibile ad un pubblico ufficiale con caratteri analoghi ai nostri: l'atto pubblico del notaio italiano infatti, essendo redatto da un soggetto con particolare formazione giuridica, tenuto al controllo di legalità e responsabile del contenuto, ha una particolare forza sia nel campo probatorio sia in quello esecutivo. è quindi necessario che anche l'atto "pubblico" estero, per avere la medesima efficacia di quello italiano, sia riconducibile all'opera ed al controllo di un soggetto cui l'ordinamento dello Stato riconosce poteri ed obblighi analoghi; e, più in generale, deve ritenersi che un atto non possa produrre al di fuori del proprio ordinamento giuridico effetti maggiori di quelli che questo gli riconosce.
Per quanto concerne le scritture private autenticate la questione è di più difficile analisi, esistendo negli ordinamenti stranieri livelli e responsabilità ben diversi in materia di autentica di sottoscrizioni: elemento comunque imprescindibile è che risulti espressamente la certificazione dell'autenticità della sottoscrizione (provenienza della firma dal sottoscrittore, previa verifica della sua identità), ma pare condivisibile la tesi che ritiene necessario un controllo da parte dell'ufficiale autenticante almeno della volontà delle parti di voler effettivamente sottoscrivere quel determinato atto.
Il controllo esterno della formale provenienza dell'atto (o dell'autentica) da un soggetto competente viene effettuato in sede di legalizzazione (o apostille), come si vedrà in seguito.
Il controllo, sempre estrinseco, di legalità dell'atto deve invece essere effettuato direttamente dal notaio (o dall'archivio) in sede di deposito; in questo caso quindi il notaio è chiamato alla verifica di un atto già completamente formato, senza alcuna possibilità di indagine della volontà delle parti a monte e di relativo adeguamento prima della redazione.
Essendo l'atto già definitivamente formato, il notaio dovrà procedere alla verifica della sua correttezza formale e sostanziale, al fine di poterlo ricevere in deposito e renderlo così utilizzabile nel nostro ordinamento; un atto che non superi tale controllo non può essere oggetto di deposito.
Per la forma, occorre un controllo del rispetto delle regole minime imposte dall'ordinamento di provenienza (in genere la forma è regolata dalla legge dello Stato in cui l'atto è posto in essere - si vedano gli artt. 48, 56, 60 legge n. 218/1995); per la sostanza, il notaio deve verificare, ove sia applicabile la legge straniera, la compatibilità dell'atto estero con l'ordine pubblico c.d. internazionale (art. 16 legge n. 218/1995) e con le norme di applicazione necessaria (art. 17 legge n. 218/1995) [nota 2].
Per ordine pubblico internazionale si intende generalmente un complesso di principi fondamentali appartenenti ad una determinata comunità nazionale in un certo momento storico; le norme di applicazione necessaria sono invece quelle norme di diritto italiano che devono essere applicate nonostante il richiamo alla legge straniera, in considerazione del loro oggetto e del loro scopo (si tratta di norme che perseguono obiettivi ritenuti di primaria importanza con modalità che appaiono tendenzialmente infungibili: ne sono un esempio le norme in tema di menzioni urbanistiche, poste a tutela di interessi di carattere generale e ritenute formalità intrinseche dell'atto e quindi inerenti la sua sostanza [nota 3]). è evidente che si tratta di una verifica quanto mai difficoltosa: mancando regole predefinite, occorrerà analizzare caso per caso il rispetto delle citate regole, applicando i principi esposti da dottrina e giurisprudenza.
Qualora l'atto estero sia carente di alcuni elementi ritenuti necessari per il nostro ordinamento, il notaio deve verificare se sia possibile rimediare alle carenze in sede di deposito.
Per quanto riguarda i vizi di forma, non pare vi sia spazio per adeguamenti o integrazioni successivi: se un atto non ha i requisiti di forma (estrinseca) richiesti dalla legge applicabile, esso non può cambiare natura attraverso il deposito.
Alcuni vizi relativi al contenuto dell'atto, possono invece essere sanati.
In particolare se l'atto è regolato dalla legge straniera, sarà possibile integrarlo in sede di deposito, con eventuali menzioni o documenti mancanti richiesti dal nostro ordinamento [nota 4].
Se l'atto è regolato dalla legge italiana, soccorrono gli eventuali rimedi previsti dalla stessa.
Con l'intervento delle parti - o di una sola di esse o degli aventi causa ove ammesso - nell'atto di deposito sarà quindi comunque possibile sanare mediante conferma la mancanza di menzioni in materia di concessioni edilizie (art. 40, comma 4, D.P.R. n. 380/2001), così come sarà possibile confermare un atto di vendita di terreni con l'allegazione del certificato di destinazione urbanistica, assente ab origine, con data dell'atto depositato ai sensi dell'art. 30, comma 4-bis, D.P.R. n. 380/2001 introdotto dall'art. 12, comma 4, della legge n. 246/2005; detto art. 12 infatti, al comma 6, espressamente prevede che «per gli atti formati all'estero, le disposizioni di cui agli articoli 30 e 46 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e successive modificazioni, si applicano all'atto del deposito presso il notaio e le conseguenti menzioni possono essere inserite nel relativo verbale» [nota 5].
Un cenno meritano le dichiarazioni attualmente previste dall'art. 35, comma 22, del D.l. n. 223/2006 come convertito dalla legge n. 248/2006, in tema di mezzi di pagamento e di intervento di mediatori negli atti di cessione di immobili. La mancanza di tali dichiarazioni non incide certamente sulla validità dell'atto e la norma non pare di applicazione necessaria. Tuttavia, al fine di evitare sanzioni, le parti potranno procedere alle stesse in sede di atto di deposito. Infatti la ratio dell'obbligo di tali dichiarazioni è quella di permettere la tracciabilità dei pagamenti a fini antievasivi: laddove tali dichiarazioni risultino dal verbale di deposito, lo scopo pare comunque raggiunto (anche il tenore letterale della norma - che prevede che le dichiarazioni siano effettuate "all'atto" e non necessariamente "nell'atto", mediante "apposita" dichiarazione sostitutiva - non sembra contraddire tale impostazione: per quanto non effettuate contestualmente alla genesi dell'atto, le dichiarazioni, in quanto contenute nel verbale di deposito, sono comunque presenti al momento in cui l'atto diviene utilizzabile in Italia, ritenendosi con ciò realizzato il fine previsto dal legislatore di permettere eventuali controlli).
Per analoghe ragioni, le parti potranno rendere in sede di deposito eventuali dichiarazioni rilevanti ai fini di applicazioni di particolari agevolazioni o regimi fiscali (prima casa, prezzo-valore, ecc.), purché nei termini previsti (per la registrazione 60 giorni ai sensi dell'art. 13, comma 1, D.lgs. n. 131/1986).
Non sono soggette, per la giurisprudenza [nota 6], all'obbligo di deposito le procure alle liti, per le quali la verifica della compatibilità con il nostro ordinamento viene svolto dal giudice; per lo stesso motivo l'art. 68 della legge n. 218/1995 non richiede il deposito ai fini dell'efficacia esecutiva dell'atto pubblico straniero.
La forma dell'atto di deposito e gli adempimenti
Formalmente il deposito di un atto straniero si realizza mediante la redazione di un verbale da parte del notaio italiano, avente quali comparenti i soggetti che richiedono il deposito dell'atto.
Come detto, l'art. 68 del R.N. dispone che l'atto estero sia depositato in originale o in copia; in tale secondo caso si tratterà di una copia autentica o conforme rilasciata dal soggetto che secondo la legge straniera custodisce l'originale e/o è autorizzato al rilascio delle relative copie.
La stessa norma prevede che l'atto depositato sia "debitamente legalizzato": le specifiche modalità di legalizzazione (e le eventuali esenzioni) verranno analizzate nei paragrafi che seguono; tuttavia è importante notare che, salvo che esista un'apposita norma eccezionale che escluda tale legalizzazione, la regola generale è che essa non può mancare. La legalizzazione (o l'apostille) infatti assolve la funzione di rendere certa la provenienza dell'atto, attestando l'autenticità della firma del notaio o del pubblico ufficiale straniero e la relativa qualifica; deve quindi precedere necessariamente il deposito, che invece assolve la funzione di verifica della legalità dell'atto stesso ai fini dell'utilizzo nell'ordinamento italiano.
Sempre l'art. 68 del R.N., al comma secondo, richiede che l'atto estero depositato debba essere accompagnato dalla relativa traduzione in lingua italiana; in genere si tratterà quindi di un ulteriore documento allegato al medesimo verbale di deposito.
La traduzione (non necessaria nei Comuni ove è ammesso l'utilizzo diretto della lingua in cui l'atto depositato è scritto), come previsto per gli atti rogati dagli artt. 54 e 55 L.N., deve essere effettuata - e firmata - dal notaio, se conosce la lingua straniera; altrimenti deve essere effettuata da un perito scelto dalle parti.
La traduzione degli atti esteri in italiano è inoltre disciplinata dall'art. 11, comma 5, del D.P.R. n. 131/1986 [nota 7] ai fini della registrazione: tale norma non pare applicabile nella sua lettera agli atti depositati presso un notaio italiano, per i quali si applica l'esposta disciplina speciale dell'art. 68 R.N.
La traduzione in lingua italiana è inoltre prevista, come si vedrà in seguito, dall'art. 33, comma 3, del D.P.R. 445/2000 [nota 8]: qualora l'atto sia già munito di traduzione effettuata in sede di legalizzazione, non occorrerà ovviamente altra traduzione in sede di deposito; al contrario, ove l'atto legalizzato non sia stato preventivamente tradotto, la traduzione ex art. 68 R.N. assolve la medesima funzione, potendosi ritenere effettuata da un "traduttore ufficiale" [nota 9].
Devono essere tradotte tutte le parti dell'atto estero: se l'atto depositato è una scrittura privata autenticata, l'obbligo di traduzione riguarda anche la formula dell'autentica, al fine di consentire la verifica dei requisiti minimi del controllo e della certificazione effettuati dall'ufficiale autenticante. Discorso un po' diverso vale per le formule di legalizzazione, per le quali pare maggiormente condivisibile la tesi che non ritiene necessaria la traduzione, trattandosi di elementi estrinseci al documento la cui mancata traduzione non incide sull'intelligibilità dello stesso [nota 10]; eccezione certa all'obbligo di traduzione è quella dell'apostille, che in considerazione del suo contenuto, specificamente previsto, non può generare alcun dubbio interpretativo e non necessita di traduzione.
L'art. 68 R.N. non prevede alcuna specifica sanzione in caso di mancata traduzione dell'atto depositato (a differenza dell'art. 58 n. 4 L.N. che sancisce la nullità degli atti in caso di mancato rispetto degli artt. 54 e 55): appare corretta la tesi secondo la quale la sanzione prevista dall'art. 58 non sia applicabile al deposito di atto estero non tradotto, non essendo testualmente prevista [nota 11].
Si ritiene non necessario un apposito verbale di deposito per gli atti esteri che devono essere allegati ad un atto pubblico o autenticato da un notaio italiano (ad esempio le procure): in questi casi l'allegazione realizza di fatto anche il deposito. L'atto estero allegato dovrà quindi ugualmente essere legalizzato e tradotto (salve espresse eccezioni).
Si ribadisce che non è invece necessario alcun deposito, secondo la giurisprudenza, per le procure da utilizzare in giudizio (per le quali, come si è detto, il controllo di legalità viene effettuato direttamente dal giudice) e, per lo stesso motivo, ai fini dell'efficacia esecutiva degli atti pubblici stranieri (art. 68 della legge 218/1995). Inoltre sono esclusi dall'obbligo di deposito gli atti previsti dalla Convenzione ratificata con legge n. 342/1977 (scritture private autenticate in Austria soggette a trascrizione tavolare).
Il verbale di deposito viene annotato a repertorio con applicazione dell'onorario graduale (al 50%) o fisso corrispondente al contenuto dell'atto depositato ai sensi dell'art. 14 della Tariffa notarile (e in tal caso non è dovuto l'onorario di cui all'art. 8 della Tariffa).
Lo stesso è soggetto a registrazione nel termine di 60 giorni dalla data dell'atto (il termine non decorre quindi dalla data del deposito, ai sensi dell'art. 13, comma 1, D.P.R. n. 131/1986); per l'atto di deposito è dovuta l'imposta fissa. Inoltre è dovuta l'imposta di registro in relazione al contenuto e alla natura dell'atto depositato (artt. 2, 3 e 4 del D.P.R. n. 131/1986). Anche l'imposta di bollo è dovuta per l'atto di deposito e per l'atto depositato (soggetto a bollo in caso d'uso ai sensi dell'art. 30 della Tariffa, parte seconda, allegata al D.P.R. n. 642/1972).
Ove l'atto depositato sia soggetto ad imposta ipotecaria e/o catastale, il termine per il pagamento decorre invece dalla data del deposito. Il notaio che riceve il deposito deve procedere alle relative formalità entro 30 giorni ai sensi dell'art. 6, comma 1, D.lgs. n. 347/1990, che equipara gli atti ricevuti o autenticati a quelli di deposito, che costituiscono di fatto il titolo in forza del quale deve essere eseguita la formalità.
Per maggiori approfondimenti relativi agli adempimenti successivi al deposito e che costituiscono, come si è visto, la principale ragione del deposito stesso, si rimanda alle altre relazioni in tema di pubblicità immobiliare e commerciale. Si ricorda soltanto che, ai sensi della legge n. 73/1980 (come modificata dal D.lgs. n. 516/1992), i termini di cui all'art. 2671 c.c. (trascrizione) decorrono dalla data dell'atto di deposito, così come i termini per l'iscrizione nel Registro delle Imprese; in questo secondo caso però il deposito deve comunque avvenire entro il quarantacinquesimo giorno successivo al compimento dell'atto.
Nuove prospettive in materia di utilizzo di atti provenienti dall'estero potranno aprirsi grazie all'uso degli atti in formato digitale e alle firme elettroniche dei notai italiani e stranieri.
Si segnalano al riguardo iniziative interessanti: è in corso di sperimentazione un sistema di interscambio delle firme digitali tra gli ordinamenti italiano e francese; alcuni problemi devono tuttavia essere ancora risolti [nota 12], in particolare per il nostro ordinamento in tema di allegazione di atti digitali ad atti cartacei; attualmente è disponibile, alla pagina web ca.notariato.it/internazionale, un servizio sperimentale di verifica di files sottoscritti digitalmente da notai italiani, francesi e spagnoli: è un primo passo che potrebbe portare in futuro ad una nuova disciplina della materia, almeno relativamente alla necessità di legalizzazione, potendo essere verificata direttamente l'autenticità della firma del notaio straniero. Altra proposta in materia è quella relativa all'apostille elettronica (Programma pilota e-APP), per la quale sono reperibili informazioni sul sito www.hcch.net della Conferenza de L'Aja, nell'apposito Espace apostille.
La legalizzazione
Le fonti normative
L'art. 68 R.N. prescrive che gli atti esteri depositati presso un notaio italiano siano "debitamente legalizzati". Il medesimo obbligo di legalizzazione è previsto dall'art. 2657 ultimo comma c.c. (per la trascrizione) e dall'art. 2837 c.c. (per l'iscrizione). Si tratta di espressioni del citato principio secondo il quale un atto, per produrre effetti in Italia ed in particolare per poter validamente intervenire sui pubblici registri, deve essere in primo luogo, ancor prima che depositato presso un notaio o un archivio notarile, munito di una certificazione della sua "provenienza" da un pubblico ufficiale.
L'art. 1, comma 1, lettera l) del D.P.R. n. 445/2000 definisce la legalizzazione di firma come «l'attestazione ufficiale della legale qualità di chi ha apposto la propria firma sopra atti, certificati, copie ed estratti, nonché dell'autenticità della firma stessa». L'art. 30 del medesimo D.P.R. n. 445/2000 stabilisce che nelle «legalizzazioni devono essere indicati il nome e il cognome di colui la cui firma si legalizza. Il pubblico ufficiale legalizzante deve indicare la data e il luogo della legalizzazione, il proprio nome e cognome, la qualifica rivestita, nonché apporre la propria firma per esteso ed il timbro dell'ufficio».
Completa la disciplina l'art. 33 D.P.R. n . 445/2000, "Legalizzazione di firme di atti da e per l'estero" secondo il quale:
«1. Le firme sugli atti e documenti formati nello Stato e da valere all'estero davanti ad autorità estere sono, ove da queste richiesto, legalizzate a cura dei competenti organi, centrali o periferici, del Ministero competente, o di altri organi e autorità delegati dallo stesso.
2. Le firme sugli atti e documenti formati all'estero da autorità estere e da valere nello Stato sono legalizzate dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all'estero. Le firme apposte su atti e documenti dai competenti organi delle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane o dai funzionari da loro delegati non sono soggette a legalizzazione. Si osserva l'articolo 31.
3. Agli atti e documenti indicati nel comma precedente, redatti in lingua straniera, deve essere allegata una traduzione in lingua italiana certificata conforme al testo straniero dalla competente rappresentanza diplomatica o consolare, ovvero da un traduttore ufficiale.
4. Le firme sugli atti e documenti formati nello Stato e da valere nello Stato, rilasciati da una rappresentanza diplomatica o consolare estera residente nello Stato, sono legalizzate a cura delle prefetture.
5. Sono fatte salve le esenzioni dall'obbligo della legalizzazione e della traduzione stabilite da leggi o da accordi internazionali».
Il procedimento di legalizzazione
Esaminando le norme sopra riportate, si notano subito le differenze tra la legalizzazione e l'autenticazione: nella prima vengono certificate la legale qualità di chi ha apposto la firma e la sua autenticità, senza effettuazione di alcun controllo sul contenuto dell'atto (demandato come si è visto, per l'utilizzo in Italia, al notaio che riceverà poi l'atto estero in deposito). La firma legalizzata inoltre non viene apposta in presenza dell'ufficiale legalizzante, ma viene verificata tramite il confronto con un campione appositamente depositato.
è ciò che avviene ad esempio per gli atti dei notai italiani destinati a valere all'estero: competenti per la legalizzazione sono i Procuratori della Repubblica presso i Tribunali nella cui giurisdizione territoriale gli atti sono formati [nota 13].
La successiva legalizzazione dell'autorità dello Stato dove deve essere fatto valere l'atto avverrà in genere, secondo le previsioni degli ordinamenti stranieri, presso la rappresentanza consolare estera nel cui ambito territoriale risiede il Procuratore della Repubblica italiano legalizzante.
Gli atti esteri destinati a valere in Italia sono legalizzati dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all'estero. L'art. 49 del D.P.R. n. 200/1967 (legge consolare) stabilisce in merito che la legalizzazione avviene «previa, ove possibile, legalizzazione delle competenti autorità locali». Il procedimento di norma si articola in due gradi: un primo grado (c.d. legalizzazione interna) nel quale l'autorità nazionale straniera, secondo la propria normativa, legalizza la firma dell'ufficiale rogante (o autenticante); un secondo grado (c.d. legalizzazione esterna) in cui l'autorità consolare o diplomatica italiana procede ad un'ulteriore legalizzazione della firma dell'autorità nazionale.
Tale procedimento, che permette un maggiore controllo sulla qualità di pubblico ufficiale del soggetto rogante, non è tuttavia obbligatorio, come emerge dall'inciso "ove possibile". è cioè ammissibile che la legalizzazione di "primo grado" avvenga direttamente da parte dell'autorità consolare italiana [nota 14], se lo Stato estero in cui l'atto è formato non prevede una preventiva legalizzazione da parte di autorità nazionali.
All'atto legalizzato, se redatto in lingua straniera, deve essere allegata una traduzione in lingua italiana che, come accennato, deve essere effettuata dall'autorità italiana legalizzante o da un traduttore ufficiale. La mancanza di traduzione non incide sulla validità dell'atto: la stessa dovrà in tal caso essere effettuata, per quanto qui rileva, in sede di deposito dell'atto presso il notaio.
Particolare ipotesi è quella della legalizzazione di atti formati dalle rappresentanze diplomatiche o consolari estere in Italia: la legalizzazione in questo caso è effettuata, ai sensi dell'art. 33, comma 4, del D.P.R. n. 445/2000, dalle prefetture [nota 15].
In mancanza di legalizzazione (salve le esenzioni espressamente previste), l'atto estero non potrà essere utilizzato in Italia: esso è privo di quella certificazione relativa al soggetto che lo ha sottoscritto necessaria per provarne l'esistenza ai fini della sua operatività nel nostro ordinamento. Se dell'atto estero non si conosce la provenienza, a prescindere da ogni controllo di legalità effettuato dal notaio, lo stesso non può produrre effetti in Italia: unica soluzione possibile potrebbe essere quella di un accertamento giudiziale della legittimità dell'atto e della sua provenienza [nota 16].
Gli atti esenti da legalizzazione
Ai sensi del citato art. 33 del D.P.R. n. 445/2000 sono innanzitutto esenti da legalizzazione le firme apposte su atti e documenti dai competenti organi delle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane o dai funzionari da loro delegati.
In particolare rilevano gli atti rogati o autenticati dai consoli italiani all'estero ai sensi dell'art. 19 del D.P.R. n. 200/1967, che stabilisce che il capo dell'ufficio consolare esercita, nei confronti dei cittadini, le funzioni di notaio, attenendosi alla legislazione nazionale [nota 17]. Le medesime funzioni sono esercitabili anche se parti dell'atto sono contemporaneamente cittadini e non cittadini, oppure soltanto non cittadini, purché ciò sia previsto da convenzioni internazionali ovvero gli atti debbano essere fatti valere in Italia. L'esercizio della funzione notarile è stabilito dall'art. 45 del D.P.R. n. 18/1967 "Ordinamento dell'amministrazione degli affari esteri"; la possibilità di delega da parte del capo dell'ufficio è prevista dall'art. 4 del D.P.R. n. 200/1967 [nota 18].
Sono poi esentati da legalizzazione, in quanto sostituita dalla forma semplificata dell'apostille, gli atti provenienti dagli Stati contraenti della Convenzione de L'Aja del 5 ottobre 1961. E sono esenti da ogni forma di certificazione preventiva gli atti provenienti dagli Stati contraenti della Convenzione di Bruxelles del 25 maggio 1987.
Tra alcuni paesi sono inoltre in vigore specifiche convenzioni bilaterali che comportano l'esenzione da legalizzazione (ad esempio, per l'Italia relativamente ad atti pubblici e scritture private autenticate: con l'Austria, Convenzione 30 giugno 1975 [nota 19] ratificata con legge n. 342/1977; con la Germania: Convenzione 7 giugno 1969 [nota 20] ratificata con legge n. 176/1973).
1. La Convenzione de L'Aja del 5 ottobre 1961
La Convenzione de L'Aja, entrata in vigore il 24 gennaio 1965 [nota 21], prevede in realtà un procedimento semplificato di certificazione della firma del soggetto rogante o autenticante, che viene "legalizzata" dalla sola autorità dello Stato nel quale l'atto è formato. Essa si applica agli "atti pubblici" [nota 22] provenienti da uno Stato contraente e destinati ad essere utilizzati sul territorio di un altro Stato contraente.
Tale forma di legalizzazione avviene mediante apposizione della apostille, formula unificata a contenuto fisso il cui modello inderogabile è allegato alla Convenzione (quadrato di 9x9 cm minimo); consiste nella certificazione della veridicità della firma, la qualità del firmatario e, se necessario, l'autenticità del timbro o sigillo apposto all'atto.
La stessa può essere apposta (anche in un momento successivo alla firma) in fondo all'atto o su un allegato, redatta in francese, lingua ufficiale della Convenzione, o nella lingua dell'autorità che la rilascia; le menzioni che vi sono contenute possono essere scritte anche in una seconda lingua; il titolo "Apostille" deve essere sempre riportato in francese [nota 23].
L'apostille non è parte integrante dell'atto; se redatta in epoca posteriore allo stesso, come di norma accade, non sposta in alcun modo la data di formazione dell'atto medesimo [nota 24].
Tale natura e la rigida previsione del testo, della lingua e del modello dell'apostille rendono superflua ogni sua traduzione: anche qualora il contenuto fosse scritto con caratteri particolari (si pensi al greco), il titolo in francese impedirebbe ogni equivoco, unitamente alla numerazione di ciascuna riga del testo.
La situazione degli Stati contraenti si trova aggiornata sul sito www.hcch.net.
Per l'Italia la competenza per l'apposizione dell'apostille coincide con quella per la legalizzazione: Procuratore della Repubblica per gli atti notarili e gli atti giudiziari e dello stato civile, Prefetto per gli altri atti amministrativi.
A seguito dell'introduzione dell'apostille si è posto il problema pratico della validità di un'eventuale legalizzazione di un atto proveniente da un paese contraente della Convenzione de L'Aja. La stessa Convenzione, all'art. 9, obbliga gli Stati ad adottare le misure necessarie per evitare che i loro agenti diplomatici o consolari procedano a legalizzazione nei casi in cui la stessa è sostituita dall'apostille; la norma non prevede quindi l'invalidità della legalizzazione, che deve ritenersi comunque valida. Infatti la legalizzazione è di norma qualcosa di più dell'apostille, prevedendo come si è visto un doppio controllo (autorità nazionale e autorità consolare italiana). Qualche dubbio si pone per i casi di eventuale legalizzazione effettuata dal solo console italiano, senza preventiva legalizzazione dell'autorità nazionale del paese da cui l'atto proviene: in questo caso il controllo dell'autorità consolare italiana è in realtà qualcosa di meno dell'apostille, che promanando da autorità del medesimo Stato dell'ufficiale rogante fornisce maggiori garanzie. Tuttavia la mancata previsione di invalidità e il principio generale di conservazione degli atti inducono a ritenere valida anche questa legalizzazione.
2. La Convenzione di Bruxelles del 25 maggio 1987
Ogni forma di legalizzazione è effettivamente soppressa tra gli Stati membri delle Comunità europee contraenti della Convenzione di Bruxelles ratificata e resa esecutiva dall'Italia con la legge n. 106/1990, che si applica agli atti pubblici e alle scritture private autenticate dagli stessi provenienti [nota 25].
Gli Stati contraenti che hanno dichiarato che l'accordo è applicabile immediatamente nei loro confronti sono attualmente soltanto l'Italia, la Francia, il Belgio, la Danimarca e l'Irlanda. La situazione è consultabile nel database degli accordi sul sito del Consiglio d'Europa www.consilium.europa.eu, sezione "documenti".
Chiaramente la totale abolizione di ogni forma di legalizzazione sposta l'ago della bilancia a favore della rapida circolazione degli atti, ma rende ancor più difficile il controllo per il notaio che si accinge a ricevere in deposito l'atto estero non legalizzato (o ad allegarlo, come nel caso più diffuso delle procure): l'atto giunge in Italia privo di ogni traduzione e di ogni certificazione relativa al soggetto rogante o autenticante; spetta al notaio italiano informarsi ed attivarsi anche per questi controlli. Nessuna norma infatti prevede esenzioni in materia; sarà solamente possibile, ma si tratta di procedimento eccezionale e non semplice, ricorrere all'art. 4 della Convenzione stessa, che prevede la possibilità di richiedere informazioni all'autorità centrale competente dello Stato da cui l'atto proviene, previa motivazione.
In questo contesto appaiono di ancora maggior interesse i tentativi citati in precedenza di trovare soluzioni nuove, digitali e telematiche, per la legalizzazione degli atti (o per l'apostille): si tratterebbe di procedure estremamente rapide, idonee a stabilire un giusto equilibrio tra l'esigenza di circolazione degli atti e quella di certezza della loro provenienza ai fini dell'utilizzo in un paese straniero.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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M. LEO, La sanatoria della nullità degli atti traslativi di terreni, studio n. 100-2006/C, in Cnn notizie del 7 dicembre 2006.
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S. TONDO, Sull'uso in Italia di scritture private autenticate all'estero, in Cnn Studi e materiali n. 1, Milano, 1986, p. 94 e ss.
[nota 1] In tema di rappresentanza volontaria si segnala il recente studio n. 5-2006/A, Condizioni indispensabili per la validità delle procure notarili "internazionali", approvato dalla Commissione affari europei e internazionali del Consiglio Nazionale del Notariato il 20 ottobre 2006, in Cnn notizie del 7 novembre 2006.
[nota 2] Appare comunque necessaria una preventiva verifica della legge che regola il contratto: qualora infatti il contratto sia regolato nella sua sostanza dalla legge italiana, il controllo del notaio si estende al rispetto di tutte le norme dell'ordinamento italiano.
[nota 3] Tali norme sono in genere direttamente applicabili ai contratti aventi per oggetto il trasferimento di immobili siti in Italia, regolati, in assenza di scelta delle parti, dalla legge italiana ai sensi degli artt. 51, comma 2 e 57 legge 218/1995 e dell'art. 4, comma 3, legge n. 975/1984 di ratifica della Convenzione di Roma del 19 giugno 1980.
[nota 4] Al riguardo si segnala la tesi già sostenuta dallo studio n. 5521/C, Deposito di atto estero privo di certificato di destinazione urbanistica, di Mauro Leo, approvato dalla Commissione studi civilistici del Consiglio Nazionale del Notariato il 22 gennaio 2005, che ammetteva il deposito di un atto estero di trasferimento di terreni privo di certificato di destinazione urbanistica a condizione che lo stesso fosse completato con il detto certificato, allegato al verbale di deposito.
[nota 5] In merito: studio n. 100-2006/C, La sanatoria della nullità degli atti traslativi di terreni, di Mauro Leo, approvato dalla Commissione studi civilistici del Consiglio Nazionale del Notariato il 25 marzo 2006, in Cnn notizie del 7 dicembre 2006.
[nota 6] Cass. 28 marzo 2006 n. 7089; Cass. 14 febbraio 2000 n. 1615; Cass. 21 febbraio 1996, n. 1340; Cass. 8 maggio 1995 n. 5021.
[nota 7]«Agli atti scritti in lingua straniera deve essere allegata una traduzione in lingua italiana eseguita da un perito iscritto presso il Tribunale ed asseverata conforme con giuramento. In mancanza di periti traduttori iscritti presso il Tribunale nella cui circoscrizione ha sede l'ufficio del registro competente la traduzione è effettuata da persona all'uopo incaricata dal presidente del Tribunale».
[nota 8]«Agli atti e documenti indicati nel comma precedente, redatti in lingua straniera, deve essere allegata una traduzione in lingua italiana certificata conforme al testo straniero dalla competente rappresentanza diplomatica o consolare, ovvero da un traduttore ufficiale».
[nota 9] Le due norme si integrano. Appare dunque condivisibile la tesi di chi ritiene che, se da un lato può ritenersi "traduttore ufficiale" il notaio ai sensi dell'art. 68 R.N., dall'altro deve ritenersi che il «perito scelto dalle parti» previsto dal medesimo articolo debba essere scelto tra i "traduttori ufficiali" ai sensi dell'art. 33 D.P.R. 445/2000 (da intendersi come perito iscritto presso il Tribunale o soggetto che asseveri la propria traduzione presso un ufficiale competente, non esistendo una definizione normativa né un albo specifico).
[nota 10] Anche ritenendo necessaria la traduzione della formula di legalizzazione, comunque la sua mancanza non incide sulla validità dell'atto né può costituire violazione dell'art. 54 L.N.
[nota 11] Di contrario avviso risalente giurisprudenza (Cass. 3 agosto 1962 n. 2322 in Riv. Not., 1963, 161), fondandosi sul fatto che l'allegato costituisce parte integrante dell'atto.
[nota 12] U. BECHINI, «Le firme digitali trasfrontaliere alla prova», in Cnn notizie n. 213 del 10 novembre 2006.
[nota 13] Competenza delegata con D.M. 10 luglio 1971; gli stessi sono anche competenti per gli atti giudiziari e dello stato civile, mentre per gli altri atti amministrativi è competente il Prefetto (per la Regione autonoma della Valle d'Aosta il Presidente della Regione e per le Province di Trento e Bolzano il Commissario di Governo).
[nota 14] Si ritiene valida la legalizzazione effettuata direttamente dall'autorità consolare, qualora la stessa disponga di un campione della firma da legalizzare.
[nota 15] Si segnala in merito che a decorrere dal 1° gennaio 2005 le funzioni notarili degli agenti diplomatici e consolari francesi non sono più esercitabili nei paesi membri dell'Unione europea, dello spazio economico europeo, in Svizzera, Andorra, Monaco e Santa Sede (D.M. 6 dicembre 2004).
[nota 16] Cass. 7 febbraio 1975, n. 468, in Foro It. 1975, I, p. 1134, relativamente ad un atto formato in uno Stato in cui non esistono rappresentanze diplomatiche o consolari italiane.
[nota 17] Ciò significa, per la dottrina dominante, che deve essere rispettata nella redazione degli atti e delle autentiche la legge notarile.
[nota 18] Con alcune limitazioni: la delega può avvenire solo a favore di personale appartenente alle carriere direttive, salvo quanto concerne le autenticazioni e le procure generali e speciali.
Ai sensi degli artt. 30 e 39 del D.P.R. n. 18/1967, le funzioni consolari, in mancanza di ufficio consolare in loco, sono esercitate dalle ambasciate.
[nota 19] Art. 14: «1. Gli atti pubblici formati da uno dei due Stati da un Tribunale, una autorità amministrativa o un notaio, e che siano provvisti del sigillo di ufficio, hanno nell'altro Stato il medesimo valore, quanto alla loro autenticità, degli atti pubblici formati in tale Stato senza necessità di alcuna legalizzazione o formalità analoga.
2. Analogamente, gli atti privati redatti in uno dei due Stati e la cui autenticità sia attestata da un Tribunale, una autorità amministrativa o un notaio di tale Stato non hanno bisogno nell'altro Stato di alcuna legalizzazione o formalità analoga».
[nota 20] Art. 1: «1. Gli atti e documenti pubblici rilasciati in uno degli Stati contraenti e muniti del sigillo o timbro ufficiale possono essere usati nell'altro Stato contraente senza necessità di alcuna legalizzazione diplomatica, consolare od interna o di altra formalità equivalente.
2. Atti e documenti pubblici, ai sensi del primo comma, sono considerati soltanto:
1) gli atti e documenti di un'autorità giudiziaria, compresi quelli rilasciati da un cancelliere ed anche da un Rechtspfleger;
2) gli atti e documenti di un'autorità amministrativa;
3) gli atti e documenti rilasciati da enti pubblici, se tali atti, secondo l'ordinamento giuridico nazionale, sono considerati pubblici;
4) gli atti e documenti notarili;
5) gli atti di un ufficiale giudiziario;
6) gli atti di protesto di cambiali o di assegni anche se formati da un segretario comunale italiano o da un ufficiale postale tedesco, o da altra persona competente secondo l'ordinamento giuridico nazionale.
3. Le disposizioni del comma 1 si applicano anche agli atti o documenti rilasciati dalle Rappresentanze diplomatiche e dagli Uffici consolari di uno degli Stati contraenti, indipendentemente dal fatto che la Rappresentanza diplomatica o l'Ufficio consolare abbia la sua sede nell'altro Stato contraente o in un terzo Stato».
[nota 21] Nel titolo recita «supprimant l'exigence de la légalisation des actes publics étrangers» cioè «sulla soppressione della necessità di legalizzazione degli atti pubblici stranieri».
[nota 22] L'art. 1 della Convenzione definisce "atti pubblici" ai propri fini:
a) i documenti che provengono da un'autorità o da un funzionario investito dell'autorità dello Stato, compresi quelli provenienti da pubblici ministeri, cancellieri e ufficiali giudiziari;
b) i documenti amministrativi;
c) gli atti notarili;
d) le dichiarazioni ufficiali quali le menzioni di registrazione, i visti per data certa, le scritture private autenticate.
[nota 23] Si noti che la Convenzione de L'Aja non prevede alcun obbligo di traduzione per l'atto che deve essere munito di apostille: per gli atti oggetto di deposito presso un notaio la stessa verrà effettuata in quella sede ex art. 68 R.N.; per gli atti esecutivi o le sentenze, non vi è obbligo di traduzione ai fini della validità dell'atto (Cass. Civ. 19 settembre 2000 n. 12398, in Corriere Giur., 2001, 7, p. 914).
[nota 24] Cass. Civ. 17 giugno 1994, n. 5877, in Mass. Giur. It., 1994.
[nota 25] Art. 1 della Convenzione: «1. La presente Convenzione si applica agli atti pubblici che, redatti sul territorio di uno Stato contraente, devono essere esibiti sul territorio di un altro Stato contraente o ad agenti diplomatici o consolari di un altro Stato contraente, anche se detti agenti svolgono le loro funzioni sul territorio di uno Stato che non è parte alla presente Convenzione.
2. Sono considerati come atti pubblici:
a) i documenti rilasciati da un'autorità o da un funzionario dipendenti da un'autorità giudiziaria dello Stato ivi compresi quelli rilasciati dal pubblico ministero, da un cancelliere o da un ufficiale giudiziario;
b) i documenti amministrativi;
c) gli atti notarili;
d) le dichiarazioni ufficiali, quali attestati di registrazione, visti per convalida di data ed autenticazioni di sottoscrizioni, apposte su una scrittura privata.
3. La presente Convenzione si applica altresì agli atti redatti nella loro qualità ufficiale da agenti diplomatici o consolari di uno Stato contraente, i quali svolgono le proprie funzioni sul territorio di qualsiasi Stato, qualora detti atti debbano essere esibiti sul territorio di un altro Stato contraente, i quali svolgono le proprie funzioni sul territorio di uno Stato che non è parte alla presente Convenzione».
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