Le procure provenienti dall'estero
Le procure provenienti dall'estero
di Giovanni Aricò
Notaio in Reggio Emilia

Sviluppo delle tesi sulla circolazione degli atti provenienti dall'estero in relazione alle procure. Controlli notarili - requisiti minimi

Non è certo compito facile per un civilista, spesso legato alla sistematicità dei sistemi normativi ed alla dogmatica giuridica, ricostruire il percorso da seguire per la disciplina di fattispecie che presentano elementi di estraneità al nostro ordinamento interno. L'esame è tanto più arduo, in tema di procure provenienti dall'estero, se si considera che in gran parte dei casi ci si imbatte in documenti ormai già perfezionati, riguardo ai quali occorre decidere in brevissimo tempo se presentino caratteristiche tali da poter essere posti a base del negozio principale allegandoli allo stesso o se invece siano da considerare dei veri "oggetti non identificati" da rispedire al mittente.

La sensazione di disorientamento, in parte dovuta alla criticità delle norme di diritto internazionale privato ed ai criteri di collegamento suoi tipici ed in parte alla pretesa tutta notarile di ottenere un documento esattamente identico a quello prodotto da un pubblico ufficiale italiano, credo possa essere attenuata seguendo gli stessi itinerari logico-giuridici cui siamo abituati in materia di volontaria giurisdizione. E cioè facendo ricorso di volta in volta a regole generali di sistema e norme chiave (in tema di competenza per materia, territoriale, di forma degli atti ecc.) che, sia pur discutibili, ne disvelino i misteri.

Brevi considerazioni di ordine generale, ci consentono di raggiungere risultati di qualche utilità, riguardo alle procure estere.

1 - Di enorme significato è il rilievo secondo il quale il sistema tutto di d.i.p. e delle norme comunitarie orientano fortemente l'interprete verso l'equiparazione degli atti pubblici ed in generale degli atti autentici alle decisioni giudiziarie.

2 - Non privo di conseguenze operative è al riguardo il procedimento analogico che estende l'intera disciplina disposta in materia per gli atti pubblici (artt. 67 e 68 d.i.p.) alle scritture private autenticate con l'ausilio principale dell'art. 106 n 4 L.N. che prevede il previo deposito anche delle scritture private autenticate in Stati esteri. D'altro canto anche in seno alla Cae, ove si è discusso del tema dei requisiti minimi delle procure internazionali, pur invitando i notai interni ad utilizzare sempre l'atto pubblico, si è data per scontata la sostanziale parità di trattamento delle scritture autenticate rispetto all'atto pubblico, quanto alla circolazione.

3 - Altra porta risolutiva è rappresentata dal concetto di attuazione di cui all'art. 68 d.i.p., intendendosi in generale come utilizzazione dell'atto in Italia nei confronti di un'autorità amministrativa o giurisdizionale al fine di conseguire un provvedimento. Non perdendo al contempo di vista l'individuazione teleologica del tipo di attuazione che il negozio dovrà ricevere in Italia: iscrizione in pubblici registri (per i quali norme specifiche possono rinvenirsi alla base della disciplina 2657 comma 2, 2837 c.c.); esecuzione in giudizio contenzioso; utilizzazione funzionale per altri negozi, come nel caso delle procure (non essendo peraltro la procura in sé, generalmente, un atto da iscriversi autonomamente nei registri). Né trascurabile è la distinzione tra il caso di esecuzione forzata e di attuazione degli atti.

Passaggio, questo, utile ai nostri fini perché il notaio chiamato a fare uso di un documento straniero non deve imporre coercitivamente alcuna decisione, ma consentire semplicemente che l'atto spieghi concretamente il regolamento negoziale fissato dalla parte o dalle parti e dunque solo in caso di mancata ottemperanza o contestazione potrà farsi ricorso alla Corte di Appello secondo il meccanismo dell'art. 67 d.i.p.

C'è dunque spazio per pensare che l'utilizzo di una procura proveniente dall'estero da parte di un notaio incaricato della stipula del negozio principale concretizzi un'altra fattispecie di "attuazione" e che l'ufficiale rogante si trovi nella condizione del soggetto cui spetta l'esecuzione del primo filtro "alla frontiera", prima del riconoscimento automatico dell'atto nel nostro ordinamento non privo, come si dice, di passaggi obbligati.

Se è vero infatti che la Corte di Appello, in sede di pronuncia nel corso del procedimento innescato dal meccanismo dell'art. 67 d.i.p., per risolvere la contestazione scaturita dal rifiuto del pubblico funzionario (e anche notaio) di "utilizzare" l'atto autentico proveniente dall'estero, dovrà indagare i canoni previsti dalla legge straniera di origine (lex auctoris) per sciogliere il nodo gordiano della sussistenza dei requisiti per il riconoscimento, è fisiologico dedurre che sia previsto, o meglio imposto, uno spazio discrezionale interpretativo e di controllo in capo alla prima autorità italiana (altro pubblico ufficiale o notaio) che sia chiamato a fare uso del documento.

Ciò è provato anche dalla circostanza che l'intervento del giudice è solo eventuale e presuppone dunque un primo controllo "all'ingresso".

La norma centrale attorno alla quale ruota questo sistema di controllo preventivo è contenuta nell'art. 106 n. 4 L.N. (da leggersi in combinato disposto con l'art. 68 del R.N.) che prevede l'obbligo di deposito presso un notaio od un archivio notarile degli atti (atti pubblici e scritture private autenticate) provenienti dall' estero prima di farne uso nel territorio dello Stato.

In tema di procure, sotto il profilo documentale, l'allegazione all'atto del notaio rogante costituisce equipollente del deposito richiesto dall'art.106 (da ultimo Cass. 9257/2003).

La coincidenza della nozione di "attuazione" di cui al citato art. 68 d.i.p. con quella di "fare uso" prevista dalla norma notarile di cui sopra permette all'interprete di meglio chiarire il perimetro entro il quale tale controllo debba esercitarsi, in quanto rende ricostruibile la coerenza dell'intero sistema e permette di:

- chiarire che l'attività del notaio chiamato a fare uso di un documento straniero si differenzia da quella del giudice per la sola circostanza che egli non deve imporre coercitivamente alcuna decisione o risolvere contestazioni, ma consentire semplicemente che l'atto spieghi concretamente il regolamento negoziale fissato dalla parte o dalle parti;

- ribadire che in caso di mancata ottemperanza o contestazione circa la sussistenza dei requisiti per l'ingresso dell'atto nel nostro ordinamento, è possibile ricorrere al procedimento del ricorso alla Corte di Appello di cui all'art. 67 d.i.p.

Tutto dunque conduce alla equiparazione del controllo notarile di legalità al procedimento di delibazione delle sentenze, sia quanto alle finalità sia quanto alla profondità dell'indagine.

Posto il principio generale del controllo notarile ex art. 28 L.N. e quindi vaglio di legalità (atti proibiti dalla legge o nulli) e vaglio di liceità (atti contrari all'ordine pubblico e al buon costume), non sono affatto esauriti i problemi legati ai limiti entro cui circoscrivere l'attività preventiva. Occorre poi tener conto anche dell'articolo 54 del R.D. 10 settembre 1914, n. 1326 "Regolamento per l'esecuzione della legge 16 febbraio 1913, n. 89" che vieta al notaio di rogare contratti in cui intervengano persone che non siano assistite od autorizzate in quel modo che è dalla legge espressamente stabilito, affinché esse possano in nome proprio od in quello dei loro rappresentati giuridicamente obbligarsi.

Di certo:

1- il notaio deve preliminarmente controllare che il documento estero possa essere qualificato come atto pubblico o scrittura privata autenticata secondo le norme del paese di origine, ma tenendo conto anche dei principi generali del nostro ordinamento (provenienza da un pubblico ufficiale che agisca nell'esercizio delle funzioni);

2 - il notaio deve sottoporre l'atto al controllo di liceità (ordine pubblico);

3 - il notaio deve sottoporre l'atto al controllo di legalità (contrarietà a norme imperative) ivi comprese la presenza di traduzioni, legalizzazioni od apostille;

è in verità particolarmente gravoso caricare il notaio di controlli attuabili solo attraverso il ricorso a parametri che travalicano il diritto interno e le norme di diritto internazionale privato (ad es. conoscenza della legge applicabile all'atto) anche per gli ostacoli, a volte insuperabili, che per tale via si incontrano.

Ma a ben vedere, anche il solo controllo circa la qualificazione dell'atto come "autentico" richiede una minimale conoscenza delle norme straniere di riferimento (funzione notarile, requisiti dell'atto pubblico e dell'autentica, necessità o meno di apposizione di sigilli ecc.)

Così ad esempio in tema di forma delle procure, più volte negli studi del Cnn si sostiene che al notaio, al pari del giudice, sia richiesta la conoscenza di quelle nozioni giuridiche di diritto straniero che gli consentano di riconoscere la presenza dei requisiti di forma degli atti esteri (dovendosi ritenere superato il principio affermato nel vigore degli artt. 17-31 delle preleggi da Cass. 36254/1957, che sanciva la presunzione di validità degli atti stranieri.

Difficile è poi negare, visti i risultati cui si è pervenuti quanto alla equivalenza provvedimento giurisdizionale-atto, che l'art. 14 d.i.p. (secondo cui l'accertamento della legge straniera è compito del giudice il quale deve attivarsi con tutti gli strumenti che gli sono consentiti), sia riferibile a tutti i soggetti cui è demandata l'attuazione delle norme dell'ordinamento e dunque anche ai notai.

Tale fondamentale disposizione nel contempo rappresenta per il notaio fonte attributiva di dovere di indagine, ma costituisce anche norma di chiusura e limite alla conoscenza della norma straniera: allorché infatti non si riesca ad accertare la legge straniera, avvalendosi di tutti i mezzi di cui si dispone (anche attraverso risposte ministeriali, studi del Cnn o attestazioni consolari), ed in mancanza di altri criteri di collegamento, dovrà farsi applicazione della legge italiana.

Si possono rintracciare con maggiore facilità i parametri minimi di controllo legati anche alla conoscenza della legge straniera, e sostenere che il contenuto dell'esame notarile preventivo:

- non coincide con quello contenzioso della Corte di Appello;

- non deve essere di ostacolo al riconoscimento automatico degli atti esteri;

- deve ancorarsi a punti di approdo sicuri che vanno verificati caso per caso, non potendosi, in alcune ipotesi, prescindere dalla conoscenza della legge applicabile all'atto al vaglio, in quanto una volta richiamata da una norma di d.i.p., la norma straniera diventa disciplina nazionale applicabile;

- potrà esser svolto, ove il notaio non riesca a conoscere la legge straniera, utilizzando altri criteri di collegamento eventualmente previsti per la medesima ipotesi normativa ed in mancanza applicando la legge italiana.

Non mi sembra poi del tutto peregrina l'idea di pescare dal panorama giurisprudenziale consolidatosi (Cass. 97/56, 1936/63, 2623/59) in tema di provvedimenti dell'autorità giudiziaria e dunque applicabile, per la tesi che abbiamo sposato, agli atti autentici, il principio dell' "apparenza titolata" tratto dall'art. 742 c.p.c, piegandolo a nostro uso, una volta accettata la proporzione "provvedimento: atto = procura : negozio principale".

Il fondamento del principio viene rinvenuto nell'esigenza di tutelare il terzo (estraneo al procedimento) che in buona fede si è affidato all'esistenza di un provvedimento (e aggiungo: o atto) idoneo astrattamente a produrre gli effetti cui è destinato ed assistito di una presunzione di legittimità, se emanato da un pubblico ufficio.

E la norma citata, nell'ottica giurisprudenziale, è ritenuta espressione di un principio generale del nostro ordinamento estensibile a tutti i provvedimenti revocati o viziati.

Quali sono i requisiti per l'applicazione dell'apparenza titolata, è stato più volte sostenuto in dottrina e giurisprudenza:

- il terzo deve aver posto in essere un negozio valido (nel nostro caso negozio principale);

- il negozio principale deve essere stato perfezionato anteriormente all'accertamento dell'invalidità della procura straniera;

- il terzo deve essere in buona fede: la buona fede si presume anche perché deriva dall'apparenza di legittimità del provvedimento;

- il provvedimento non deve essere inesistente (potrebbe rientrare nel concetto di inesistenza la mancata sussistenza dei requisiti per qualificare l'atto come autentico o la mancanza della forma minima richiesta).

Ebbene, riferendo tali criteri all'atto proveniente dall'estero riguardo al cui procedimento formativo il notaio è terzo, non è difficile giungere alla conclusone che il principio dell'apparenza titolata possa valere anche per il notaio e dunque affermare che :

- un documento estero rilasciato da una autorità a ciò preposta dall'ordinamento di origine, che sia qualificabile come atto autentico e rivestito della forma minima sufficiente nel paese di origine, legalizzato od apostillato, sussistendo la buona fede soggettiva, deve presumersi legittimo. La stessa buona fede che deve negarsi nell'ipotesi in cui il notaio possa conoscere il vizio del documento usando la normale diligenza, dato che, in tal caso, il suo convincimento non è derivante da un errore scusabile.

Peraltro i medesimi limiti vengono in dottrina resi applicabili anche ove il notaio sia richiesto di ricevere un atto in cui parte sia un ente ecclesiastico: si dice infatti che il pubblico ufficiale dovrà estendere il proprio esame ai canoni codiciali per controllare la regolarità dell'attività amministrativa esterna che ha condotto alla deliberazione ed attuazione dell'operazione.

Rimane sempre da approfondire la compatibilità di questa tesi con le conseguenze sotto il profilo civilistico del negozio concluso dal falsus procurator, ipotesi patologica questa che costituisce però uno solo dei possibili vizi del negozio e nulla ha a che fare con l'utilizzo o meno del documento straniero nel nostro Stato.

Giungendo più in concreto al tema delle procure, la norma centrale è costituita dall'art. 60 L. 218/95 che distingue tra legge applicabile alla sostanza da quella applicabile alla forma:

- il primo comma della norma in commento stabilisce quanto alla sostanza che «la rappresentanza volontaria è regolata dalla legge dello Stato in cui il rappresentante ha la propria sede d'affari sempre che egli agisca a titolo professionale e che tale sede sia conosciuta o conoscibile dal terzo. In assenza di tali condizioni si applica la legge dello Stato in cui il rappresentante esercita in via principale i suoi poteri nel caso concreto»;

Quando il rappresentante esercita i suoi poteri in Italia, la legge applicabile alla sostanza dell'atto (la c.d. forma "intrinseca") è dunque la legge italiana, a meno che il rappresentante agisca a titolo professionale e la propria sede d'affari sia conosciuta o conoscibile dal terzo. Il notaio, pertanto, se il rappresentante non agisce a titolo professionale, deve compiere una valutazione attinente alla sostanza della rappresentanza utilizzando le norme ed i principi propri del diritto italiano (ad esempio: contenuto e all'estensione dei poteri del rappresentante, alla durata del potere rappresentativo, alla revoca ed all'estinzione della procura, alla capacità del rappresentato, alle conseguenze del conflitto d'interessi e del contratto concluso con sé stesso, ed infine alle conseguenze del negozio concluso dal rappresentante senza poteri) [nota 1].

- il secondo comma stabilisce per la forma che «l'atto di conferimento di poteri è valido, quanto alla forma, se considerato tale dalla legge che ne regola la sostanza oppure dalla legge dello Stato in cui è posto in essere».

In ossequio ad un principio di favor validitatis, vengono forniti due criteri alternativi circa la validità della procura: uno che fa rinvio alla lex substantiae (e dunque al criterio di cui al primo comma dell'art. 60 della legge 218/95) e l'altro che fa invece riferimento alla lex loci actus, ovvero alla legge dello Stato in cui la procura viene conferita (da intendersi quindi non come il luogo in cui viene notificata al rappresentante).

Di conseguenza quanto alla c.d. forma "estrinseca": diventa essenziale che il notaio tenga conto dei requisiti di forma previsti dall'ordinamento straniero, tutte le volte in cui la forma dell'atto esibitogli non dovesse soddisfare eventuali requisiti più stringenti previsti dall'ordinamento italiano.

Alla domanda poi se si applichi o meno alla procura estera la disposizione dell'art. 1392 c.c. per effetto della quale la procura deve rivestire la medesima forma richiesta dalla legge per l'atto da stipulare, si può agevolmente rispondere [nota 2] che, una volta esperita l'indagine su quale sia l'ordinamento competente e sulla ineccepibilità della procura sulla base della legge straniera (che può o meno contenere una norma sulla simmetria analoga al 1392), il notaio non deve più preoccuparsi del rispetto del principio interno di simmetria e potrà pertanto utilizzare una procura per scrittura privata autenticata anche per ricevere un atto che richieda la forma pubblica (una procura a donare ricevuta dal notaio francese senza assistenza di testimoni, ovvero una procura a costituire società di capitali rilasciata per scrittura privata autenticata dal notaio del Lussemburgo, ecc.).

Trattando, inoltre, della natura del controllo notarile circa la forma della procura, tenendo conto dei ragionamenti sviluppati, si può ritenere che anche al notaio, al pari del giudice, sia richiesta, se non altro dal punto di vista della responsabilità professionale, la conoscenza di quelle nozioni giuridiche di diritto straniero che gli consentano di riconoscere la validità dei requisiti di forma degli atti provenienti da altri paesi [nota 3].

Nella direzione indicata è rivolto il lavoro sulle procure internazionali da me svolto in seno alla Cae e poi riconvertito ed adattato per la Caei [nota 4] che si sostanzia in un unico questionario, estremamente sintetico, cui hanno dato risposta le delegazioni dei notariati dei principali paesi europei, diretto alla individuazione del "contenuto minimo sufficiente" richiesto perché una procura possa dirsi "notarile", cioè dotata di alcuni connotati essenziali che le consentano sia di superare il vaglio di legalità secondo i principi dell'ordinamento di origine, sia di essere utilizzata validamente nel paese di arrivo.

Ed infine, quid iuris per le procure per scrittura privata non autenticata?

Alla luce delle considerazioni esposte, dovremmo concludere che, nonostante la valida applicazione della lex auctoris che preveda, nel caso di specie, la assoluta sufficienza della forma scritta, tale documento non sia dotato neppure della minima sicurezza giuridica (anche per la mancanza di legalizzazione) per consentire allo stesso di circolare nel nostro ordinamento e di essere posto alla base di altre contrattazioni che richiedono una forma più solenne o meglio il requisito dell'autenticità documentale per la loro pubblicità nei registri immobiliari o commerciali; e ciò anche sul piano della diligenza professionale media. Non si vede infatti di quali mezzi possa disporre il notaio per verificare l'autenticità di una simile procura; fermo rimanendo che il controllo dei Conservatori dei registri pubblici potrà essere svolto solo sul documento notarile presentato loro e non sugli allegati che ne costituiscono appendice.

Una conferma di questo principio di simmetria minima ai fini pubblicitari può essere rinvenuto nell'art. 55 d.i.p ove previsto che la pubblicità degli atti di costituzione, trasferimento ed estinzione dei diritti reali è regolata dalla legge dello Stato in cui il bene si trova al momento dell'atto; altra conferma del principio si intravede nell'art. 9 punto 6 della legge 975/84 di ratifica della Convenzione di Roma del 10 giugno 1980 per il quale per i diritti reali è previsto il rispetto delle norme imperative di forma della legge del luogo in cui è posto l'immobile. Ragionando in termini diversi, si consentirebbe l'accesso ai registri pubblici di un documento le cui riconducibilità certa al soggetto titolare della posizione giuridica di cui si dispone, non è certificata da alcuna pubblica autorità, con evidente ed ingiustificata disparità di trattamento per le medesime fattispecie disciplinate in toto dalla legge italiana.

Vale la pena ricordare che la procura rilasciata all'estero e ricevuta da notaio straniero deve essere tradotta in italiano e legalizzata o munita di apostille, salvo contrari accordi internazionali (per il cui approfondimento rinvio allo studio del collega Marcoz) [nota 5].

In SINTESI il notaio dovrà dunque, in presenza di una procura proveniente dall'estero, verificare:

a) che sia un atto valido secondo i criteri di rinvio dettati dal diritto internazionale privato italiano (art. 60 della legge 218/95) e dunque indagare, se occorre, anche la disciplina applicabile nel paese di origine;

b) che sia un atto proveniente da un'autorità competente di uno Stato straniero;

c) che sia munita di legalizzazione od apostille, salvo la presenza di convenzioni bilaterali che aboliscono la legalizzazione e l'apostille;

d) che sia munita di traduzione [nota 6], fatta anche dallo stesso notaio o da un interprete;

e) che non sia contraria ai parametri previsti dagli artt. 28 L.N. e 54 R.N. e che abbia in ogni caso, per il principio di congruità con l'atto al quale deve essere allegata, i requisiti minimi di sicurezza giuridica e di accertamento dell'identità del sottoscrittore richiesti per la circolazione in Italia del negozio principale; in mancanza sarà applicabile la procedura di cui all'art. 67 L. 218/95;

f) che sia un atto idoneo ad essere allegato, in luogo del deposito, all'atto notarile.

In presenza di tali controlli sarà in ogni caso, per quanto detto, applicabile al notaio il principio dell'apparenza titolata.

Procure consolari

Per completare il panorama legato alla casistica pratica, qualche interesse riveste infine il tema delle "procure per atto consolare".

Si tratta degli atti rogati dagli "uffici esteri" che, limitando il campo di indagine all'ordinamenti italiano, comprendono le "rappresentanze diplomatiche", distinte in "Ambasciate" e "Legazioni", e gli "Uffici consolari di I e II categoria".

La disciplina di riferimento è da rintracciare nel D.P.R. 5 gennaio 1967 n. 18 e nel D.P.R. 5 gennaio 1967 n. 200, dal cui contesto normativo emergono quali disposizioni di interesse notarile : gli artt. 39 e 45 u.c. D.P.R. 18 secondo i quali «l'Ufficio consolare o, in mancanza, le Ambasciate e le Legazioni esercitano, in conformità al diritto internazionale, le funzioni in materia di notariato»; l'art. 3 D.P.R. 200 secondo il quale «le funzioni sono esercitate dal capo dell'ufficio consolare il quale può delegare, ai sensi del successivo art. 4, le proprie funzioni ad altro personale dell'ufficio (anche non appartenente alle carriere direttive) in materia di autenticazioni e di procure generali e speciali».

Ma, senza alcun dubbio, la norma più significativa è contenuta nell'art. 19 D.P.R. 200/67 che non solo determina la inderogabile applicazione della legislazione italiana, ma delimita anche l'ambito di competenza dell'ufficiale rogante.

Infatti attribuisce al capo dell'ufficio consolare l'esercizio nei confronti dei cittadini italiani delle funzioni notarili, attenendosi alla legislazione nazionale, ma ne estende il perimetro anche quando parti dell'atto siano cittadini italiani e non, o solo stranieri se previsto da convenzioni internazionali o nel caso in cui gli atti debbano essere "fatti valere" in Italia.

Si tratta di funzioni "derivate" in quanto il responsabile è incardinato nel sistema amministrativo diplomatico ed i suoi poteri notarili o, più in generale, certificativi, promanano non da una attribuzione diretta ma dalla circostanza di essere l'autorità amministrativa territorialmente competente all'estero.

La competenza che ne risulta è generale e non limitata a particolari categorie di negozi, con applicazione diretta della legge notarile quanto alla sostanza ed alla forma degli atti senza possibilità di deroghe: e così potrà ricevere atti pubblici od autenticare scritture private, rilasciandone copie od estratti.

E non solo, se si considera che anche un cittadino straniero può richiedere al pubblico ufficiale di ricevere un atto purché destinato ad essere utilizzato in Italia.

è evidente che in tali casi, pur non potendosi qualificare il pubblico ufficiale incaricato come notaio, per le differenti responsabilità e controlli, il notaio italiano in possesso di una procura "consolare" si troverà in presenza di un atto notarile nazionale, potendo di conseguenza verificarne la legalità secondo lo schema tipico di una procura rilasciata da altro notaio italiano. Si ritiene infatti che, in virtù del citato art. 19, il capo dell'ufficio consolare essendo assoggettato, nell'esercizio delle funzioni notarili, alla legge italiana, debba rispettare tutte le prescrizioni di forma e di sostanza contenute nel codice civile, nella legge notarile e nelle altre leggi speciali. Non vale infatti ad escludere l'applicazione delle norme italiane, anche quanto ai requisiti di forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata, il disposto degli artt. 2-3 D.P.R. 200/67 che obbliga il responsabile ad agire in conformità alle convenzioni ed agli usi internazionali, ritenendosi che il rispetto di tali prescrizioni possa solo essere integrativo e non sostitutivo della legge italiana.

Va senza dire che tali atti consolari, non essendo atti esteri, non dovranno essere legalizzati (art. 33 D.P.R. 445/2000), verranno rilasciati in originale o, trattandosi di procure generali, conservati dall'ufficio consolare che ne rilascia copie autentiche (in tal ultimo caso il notaio italiano per utilizzare la procura generale dovrà provvedere alla registrazione presso l'Ufficio del Registro in sede di verbale di deposito od allegazione e potrà, di conseguenza, rilasciarne a sua volta copie conformi.


[nota 1] Secondo lo studio n. 04.09.03/29 Ue del 3 settembre 2004 «il notaio dovrà sicuramente prestare particolare attenzione ai requisiti di sostanza della procura per i quali si applica la legge italiana, e così, in particolare, alle questioni relative all'efficacia vincolante dell'attività del rappresentante nei confronti del rappresentato, al contenuto e all'estensione dei poteri del rappresentante, alla durata del potere rappresentativo, alla revoca ed all'estinzione della procura, alla capacità del rappresentato, alle conseguenze del conflitto d'interessi e del contratto concluso con sé stesso, ed infine alle conseguenze del negozio concluso dal rappresentante senza poteri . Non potrà, ad esempio, utilizzare una procura a vendere un bene immobile in Italia, ricevuta da un notaio francese, con il nome del mandatario in bianco, pur trattandosi di procura valida a tutti gli effetti in diritto francese, e ciò in quanto per il diritto italiano la procura è una dichiarazione recettizia destinata ad un soggetto determinato ed inoltre perché è un negozio intuitu personae, come confermato dall'art. 1722, n. 4 c.c. (norma applicabile anche alla procura), secondo il quale la procura si estingue, salvo eccezioni, per morte, interdizione e inabilitazione del rappresentante. Neppure potrà accettare una procura generale autenticata da un public notary inglese, per il compimento di atti di straordinaria amministrazione o di disposizione, che si limiti ad effettuare un generico rinvio alla sez. 10 del Powers of Attorney Act 1971 e che non contenga l'elencazione specifica degli atti stessi, come richiede l'art. 1708, secondo comma c.c.».

[nota 2] Studio Cnn n. 3511 del 16 dicembre 2002.

[nota 3] L. MILONE, «Il nuovo diritto internazionale privato ed il notaio», in Vita not., 1966, p. 637 e ss.

[nota 4] Studio 5-2006/A del 20 ottobre 2006, In Cnn Notizie del 7 novembre 2006.

[nota 5] La legalizzazione (ora disciplinata dagli artt. 30, 31 e 33 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa", consiste nell'attestazione ufficiale della legale qualità di chi ha apposto la propria firma sopra atti, certificati, copie ed estratti, nonché dell'autenticità della firma stessa, ed è richiesta p<er gli atti ed i documenti formati all'estero da autorità estere e da valere nello Stato. La legalizzazione non è necessaria quando la procura sia stata rilasciata in uno Stato contraente della Convenzione de L'Aja del 5 ottobre 1961, resa esecutiva in Italia con legge 20 dicembre 1966, n. 1253, la quale considera sufficiente la c.d. apostille, consistente in una dichiarazione apposta sul documento dall'autorità competente dello Stato da cui esso emana, che attesta la veridicità della firma e la qualità in cui ha agito chi ha apposto la firma. Come è stato notato, l'apostille lascia in vita la c.d. legalizzazione interna, consistente nell'attestazione effettuata dall'autorità straniera competente, e sopprime invece la c.d. legalizzazione esterna, solitamente effettuata dall'autorità consolare del paese cui l'atto è destinato.

[nota 6] Quesito Cnn 18 gennaio 2006 n. 30 2006 C.

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